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Centro sociale A.01 n.1-2-3 Luglio-Agosto-Settembre. Inchieste sociali servizio sociale di gruppo educazione degli adulti

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(1)

Centro Sociale

inchieste sociali

servizio sociale di gruppo

educazione degli adulti

(2)

Centro Sociale

inchieste sociali - servizio sociale di gruppo

educazione degli adulti

a. I - n. 1-2-3 luglio-agosto-settembre 1954 - un numero L. 150 - un fascicolo doppio L. 250 - un numero con allegata tavola 70 X 100 L. 300 abbonamento annuo (12 numeri) L. 1500 - abbonamento annuo (12 numeri e 6 tavole 70 X 100) L. 3000 — spedizione in abbonamento postale gruppo^ IV - c. c. postale n. 1/20100 — Direzione Redazione Ammi­ nistrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Roma - telefono 593.455

S o m m a r i o 1 Premessa

3 Centri Sociali in Italia

Paolo Volponi 7 L’Unrra Casas e i Centri Sociali

1 7 Dati del lavoro sociale dell’ UNRRA Casas

dal 1947 a oggi

Achille Ardigò 1 8 Gli enti di riforma e i Centri Sociali

2 6 La legislazione degli enti di riforma

L. Q. 2 7 Il Centro Sociale come edificio

3 0 D ocum enti 3 4 Notizie

3 8 Estratti e Segnalazioni

Servizio sociale rurale - Spopolamento della mon­ tagna - Lavoro sociale e urbanistica - Fumetti - La ricostruzione rurale problema europeo

Allegati

Prospetto dei Centri Sociali in Italia

Recensioni : L. Mumford, L a c u ltu r a d elle città

(R. Musatti); S e r v i z i e A s s i s t e n z a s o c ia le d i fa b b rica

(0. Vali in) J

Documentari : R a g a z z i d iffic ili (USIS); S tr u m e n ti e o r c h es tre (British Council)

Periodico mensile redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ UNRRA CASAS Prima Giunta

Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino,

Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnolli, Angela Zucconi - Direttore responsabile:Paolo Volponi - Redattore:Anna Maria Levi

(3)

P R E M E S S A

Questa 'pubblicazione non porta né direttive né messaggi. Il Centro di Edu­

cazione Professionale per Assistenti Sociali ha il compito di curarne la redazione,

la I Giunta delVUnrra Casas ne sostiene l’onere finanziario; insieme realizzano

in queste pagine un incontro tra la teoria e l’esperienza, che potrà anche andare

a beneficio di terzi.

I componenti il Comitato di direzione rappresentano in questa sede soltanto

la propria personale competenza, né vi sono gerarchie tra i collaboratori.

In altre parole non si tratta di una pubblicazione ufficiale.

Non la intendiamo neppure come una rivista di informazioni. Altri si è assunto

il compito di informare gli assistenti sociali o i maestri o i cooperatori, i medici

condotti o i segretari comunali, i funzionari degli Eca o i pretori. Il nostro problema

sarebbe semmai di fornire un’informazione utile in egital misura al lavoro sociale

che queste persone svolgono, spesso non considerando abbastanza che si tratta di la­

voro sociale, quasi sempre ignorandosi a vicenda e operando in compartimenti stagni.

Non potremmo assolvere un compito cosi vasto e d’altronde siamo scettici sulla

utilità delle informazioni e delle segnalazioni, delle quali non si accusa ricevuta.

Per chi lavora a Gamberale può essere anche superfluo sapere che poche settimane

or sono si è tenuta a Toronto la V II Conferenza Internazionale di Servizio Sociale

(« Il tema allo studio é stato la creazione del benessere sociale attraverso l’auto-aiuto

(sic) e la cooperazione »). Chi si propone di informare muove infatti, per così dire,

da Toronto su Gamberale. Noi seguiremo un cammino inverso, tentando di aiutare

quel nostro lettore a riconoscere le linee del suo lavoro quotidiano in discorsi che

altrimenti rischiano di sembrare generici, quando, per difetto di traduzione, non

sono addirittura incomprensibili.

Così può essere quasi inutile segnalare a quel nostro lettore costretto a leggere

a lume di candela, un articolo pubblicato da una rivista la cui consultazione e spesso

difficile a Roma o a Milano. Preferiamo darne larghissimi estratti, assumendoci

il compito di una selezione accurata, responsabile, e, nei limiti delle nostre possibi­

lità, intelligente.

Ci proponiamo di operare questa selezione sia facendo lo spoglio dei periodici

piu interessanti, sia leggendo relazioni di lavoro, verbali di riunioni, registrazioni

e lettere, di quanti possono fornire dei documenti interessanti il lavoro sociale.

Di nostro metteremo i riferimenti, i richiami, i commenti, soprattutto lo sforzo

costante della « messa a foco », così attenta da sembrare pedante.

Che sì assolva con questo anche a un compito di informazione è fuori dubbio,

ma si tratta piuttosto di pubblicare « richieste » ed « offerte », di favorire in altre

parole quello scambio di idee, di dati, di esperienze, senza il quale chi comincia,

comincia sempre da capo, quello « scambio » che vediamo talvolta affiorare nei momenti

piu felici di un corso o di un convegno, quando una convivenza più o meno casuale

comincia a diventare un gruppo.

Questa rivista difatti si propone di funzionare come un centro sociale. Il nostro

Comitato di direzione, nella eterogeneità delle competenze rappresentate (1), raffigura

, , ., n r . Ac h il l e Ar d ig ò, esperto in problemi sociali della colonizzazione interna; dr. Va n n a Ca s a r a, i ^ enwale per l’ Educazione popolare - Ministero della P . I.; dr. Gio r g io Mo l in o, deil’Amm. ^ I S1Si?llzlal1 italiane e Internaz.; p rol. Lu d o v ic o Qu a r o n i, della Facoltà di Architettura dell’Univ. ,o - < r ‘ Gio r g io Ce r ia n i Se b r e g o n d i, dell’Associaz. per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno O c i Z r i <X ,vfAN? * 1 Sp a g n o l i, dell’ U N R R A CASAS Prima giunta; dr. An g e l a Zu c c o n i, dlrett. cen tro Educaz. Professionale Assistenti Sociali (CEPAS).

(4)

L ’attività assistenziale, dove c’è,

è sussidiaria. In quasi tutti i casi si

è inserita successivamente all’impianto

del centro.

2. Perché il lavoro si svolge quasi

esclusivamente come lavoro di gruppo

e la dinamica dei gruppi condiziona

l’impostazione dei programmi.

3. Perché opera concretamente la

corresponsabilità, in alcuni casi anche

amministrativa, dei dirigenti e dei

frequentanti. (I Centri deH’Unione per

la Lotta contro l’Analfabetismo hanno

continuato, a prezzo di grandi sacri­

fici, il loro lavoro anche quando l’Unio­

ne non ne ha potuto sostenere finan­

ziariamente la attività.)

Sotto il gruppo dei centri assisten­

ziali abbiamo citato un ente che lavora

su scala nazionale, l’ONARMO, per

il quale però mancano dei dati precisi

relativi a singoli centri.

Sotto il gruppo dei centri sociali o

comunitari abbiamo citato un altro

ente che lavora su scala nazionale,

l’INA-Casa, ente che non si sente

ancora in grado di differenziare i risul­

tati ottenuti dalle varie condotte so­

ciali istituite presso i quartieri INA-

Casa. Alcune di queste condotte hanno

dato origine a veri e propri centri

sociali.

Un’ultima osservazione illustrativa

del prospetto: dell’ampia rete di cen­

tri istituiti dall’Unione per la Lotta

contro l’Analfabetismo, dall’UNRRA-

CASAS, e dal Movimento Comunità,

abbiamo citato solo quei centri che han­

no raggiunto un elevato grado di ma­

turità, tale da garantirne lo sviluppo

futuro.

La situazione è stata fatta sulla

base delle notizie e della documenta­

zione cortesemente messa a nostra

disposizione dagli enti interessati. (3)

In relazione ai problemi sui quali le

singole federazioni sono state chiamate

a riferire possiamo fare queste consi­

derazioni:

a)

quanto al primo punto: «Action

du centre social pour combattre la

délinquence minorile », è particolar­

mente interessante la esperienza dei

centri istituiti dall’Ente per la Prote­

zione Morale del Fanciullo, centri col­

legati ad una serie d’iniziative orien­

tate a combattere la delinquenza mi­

norile, lo stato di abbandono dei mi­

nori, ecc.

b)

quanto al secondo punto: «Les

programmes pour adultes dans les

centres sociaux », l’esperienza più in­

teressante è quella compiuta dal­

l’Unione per la Lotta contro l’Analfa­

betismo: i notevoli risultati raggiunti

sono proprio dovuti al fatto di avere

adottato fin dall’inizio la formula del 3

(3) A l questionario inviato dal Comitato di Iniziativa hanno risposto anche centri che non rientrano nella denominazione di centri sociali, comunitari o assistenziali: centri che si occupano di determinate cate­ gorie e non hanno quindi una competenza territoriale (liberati dal carcere ecc.) e cen­ tri che svolgono un’azione di propulsione, di coordinamento, di smistamenti delle atti­ vità assistenziali di tutta una regione. Per esempio: il Centro Universitario del Fanciullo presso l’Istituto di Psicologia dell’Univer­ sità di Roma, il Centro « Risorgi e vivi * dell’Associazione Rinascita Sociale di Mi­ lano oppure l’Ente Ausiliario di Assistenza Sociale che opera in tutto il Territorio Libero di Trieste, il Centro di Servizio Sociale del- l’ETFAS, il Centro Regionale di Servizio Sociale per la Regione Trentino-Alto Adige. Così pure non rientrano nella categoria centri sociali: a) centri che si occupano di determinate categorie: i CRAL aziendali - b) centri che si occupano di determinate categorie raggruppate oltre tutto secondo

una determinata confessione religiosa:

ACLI. È da considerare però che in molti casi anche questi due ultimi tipi di centro esercitano la loro azione su tutta (o quasi tutta) la popolazione di una determinata località, per il fatto che gli appartenenti alla categoria lavoratrice di cui detti enti si occupano, risiedono tutti nella stessa zona e partecipano alla vita dei centri, nella loro duplice qualità di lavoratori (di una certa categoria) e di abitanti del luogo. Non vor­ remmo essere fraintesi: nell’essere conside­ rati o meno centri sociali, non c ’è né da guadagnare, né da perdere. Ma discutendosi l’opportunità di creare un operante rapporto federativo tra i centri sociali esistenti, ci pare molto importante avere le idee chiare e associare organismi realmente omogenei.

(5)
(6)

L ’attività assistenziale, dove c’è,

è sussidiaria. In quasi tutti i casi si

è inserita successivamente all’impianto

del centro.

2. Perché il lavoro si svolge quasi

esclusivamente come lavoro di gruppo

e la dinamica dei gruppi condiziona

l’impostazione dei programmi.

3. Perché opera concretamente la

corresponsabilità, in alcuni casi anche

amministrativa, dei dirigenti e dei

frequentanti. (I Centri dell’Unione per

la Lotta contro l’Analfabetismo hanno

continuato, a prezzo di grandi sacri­

fici, il loro lavoro anche quando l’Unio­

ne non ne ha potuto sostenere finan­

ziariamente la attività.)

Sotto il gruppo dei centri assisten­

ziali abbiamo citato un ente che lavora

su scala nazionale, l’ONARMO, per

il quale però mancano dei dati precisi

relativi a singoli centri.

Sotto il gruppo dei centri sociali o

comunitari abbiamo citato un altro

ente che lavora su scala nazionale,

l’INA-Casa, ente che non si sente

ancora in grado di differenziare i risul­

tati ottenuti dalle varie condotte so­

ciali istituite presso i quartieri INA-

Casa. Alcune di queste condotte hanno

dato origine a veri e propri centri

sociali.

Un’ultima osservazione illustrativa

del prospetto: dell’ampia rete di cen­

tri istituiti dall’Unione per la Lotta

contro l’Analfabetismo, dall’UNRRA-

CASAS, e dal Movimento Comunità,

abbiamo citato solo quei centri che han­

no raggiunto un elevato grado di ma­

turità, tale da garantirne lo sviluppo

futuro.

La situazione è stata fatta sulla

base delle notizie e della documenta­

zione cortesemente messa a nostra

disposizione dagli enti interessati. (3)

In relazione ai problemi sui quali le

singole federazioni sono state chiamate

a riferire possiamo fare queste consi­

derazioni:

a) quanto al primo punto: «Action

du centre social pour combattre la

délinquence minorile », è particolar­

mente interessante la esperienza dei

centri istituiti dall’Ente per la Prote­

zione Morale del Fanciullo, centri col­

legati ad una serie d’iniziative orien­

tate a combattere la delinquenza mi­

norile, lo stato di abbandono dei mi­

nori, eco.

b) quanto al secondo punto: «Les’

programmes pour adultes dans les

centres sociaux », l’esperienza più in­

teressante è quella compiuta dal­

l’Unione per la Lotta contro l’Analfa­

betismo: i notevoli risultati raggiunti

sono proprio dovuti al fatto di avere

adottato fin dall’inizio la formula del

(3) Al questionario inviato dal Comitato

di Iniziativa hanno risposto anche centri che non rientrano nella denominazione di centri sociali, comunitari o assistenziali: centri che si occupano di determinate cate­ gorie e non hanno quindi una competenza territoriale (liberati dal carcere eco.) e cen­ tri che svolgono un’azione di propulsione, di coordinamento, di smistamenti delle atti­ vità assistenziali di tutta una regione. Per esempio: il Centro Universitario del Fanciullo presso l’Istituto di Psicologia dell’Univer­ sità di Roma, il Centro « Risorgi e vivi » dell’Associazione Rinascita Sociale di Mi­ lano oppure l’Ente Ausiliario di Assistenza Sociale che opera in tutto il Territorio Libero di Trieste, il Centro di Servizio Sociale del- l’ETFAS, il Centro Regionale di Servizio Sociale per la Regione Trentino-Alto Adige. Così pure non rientrano nella categoria centri sociali: a) centri che si occupano di determinate categorie: i CRAL aziendali - 6) centri che si occupano di determinate categorie raggruppate oltre tutto secondo

una determinata confessione religiosa:

ACLI. È da considerare però che in molti casi anche questi due ultimi tipi di centro esercitano la loro azione su tutta (o quasi tutta) la popolazione di una determinata località, per il fatto che gli appartenenti alla categoria lavoratrice di cui detti enti si occupano, risiedono tutti nella stessa zona e partecipano alla vita dei centri, nella loro duplice qualità di lavoratori (di una certa categoria) e di abitanti del luogo. Non vor­ remmo essere fraintesi: nell’essere conside­ rati o meno centri sociali, non c ’è né da guadagnare, né da perdere. Ma discutendosi l’opportunità di creare un operante rapporto federativo tra i centri sociali esistenti, ci pare molto importante avere le idee chiare e associare organismi realmente omogenei.

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(8)
(9)

centro sociale anche per risolvere pro­

blemi di educazione di base, di educa­

zione civica, di educazione cooperati­

vistica eco. Possiamo dire che nel no­

stro Paese è particolarmente sentito il

collegamento tra l’educazione degli

adulti ed il lavoro dei centri sociali;

lo stesso Comitato Centrale per l’Edu­

cazione Popolare, organo del Ministero

della Pubblica Istruzione, finanzia e

segue con vivo interesse alcuni esperi­

menti del genere;

c)

lo stesso vale per l’istruzione

tecnica anche se in tal campo la con­

nessione è ancora sul piano delle

intenzioni.

Il bisogno di integrare la propria

attività, in materia di corsi di addestra­

mento professionale, con personale qua­

lificato per il servizio sociale, è stato

avvertito anche dal Ministero del La­

voro e della Previdenza sociale, il

quale ha dato recentemente alcune di­

sposizioni in tale senso ai suoi uffici

periferici. (4)

Quanto ai problemi peculiari della

situazione italiana e alle linee di svi­

luppo del nostro lavoro, occorre con­

siderare che le difficoltà che incontria­

mo, sono, in forma accentuata, quelle

che in tutti i paesi ostacolano tale tipo

di lavoro. In forma accentuata anzi­

tutto perché l’Italia arriva piuttosto

tardi: tutti i centri citati sono sorti in

questo dopo guerra. Inoltre, se in

molti paesi i centri nascono sul

ter-(4) Citiamo a questo proposito un passo

di una recente circolare del Ministro Vigo- relli agli Uffici del Lavoro e della Massima Occupazione: « ... L ’opportunità che i lavo­ ratori abbiano esatta nozione delle finalità che i cantieri di lavoro e di rimboschimento ed i corsi di addestramento professionale si prefiggono e dei benefici di cui, attraverso essi, si intende farli giovare, nonché di for­ nire ai più bisognosi quegli aiuti che sono talvolta indispensabile premessa all’utile frequenza dei cantieri e dei corsi, induce ad affidare ad assistenti sociali il compito di essere vicini ai lavoratori per porgere la loro più ampia assistenza morale e mate­ riale possibile. A ll’uopo gli Uffici Regionali del Lavoro sono invitati eco. ecc. » (12 mag­ gio 1954).

reno di una ricca vita associativa e

rappresentano un punto d’incontro di

tante diverse esperienze associative che

cercano di integrarsi, da noi raramente

la gente che frequenta i centri ha un

passato in questo senso.

Altri elementi che accentuano le

nostre difficoltà: la gravità della situa­

zione economica, il non coordinamento

degli interventi e, infine, lo spirito di

parte e 1’aggravarsi delle divisioni po­

litiche che rende in molti casi illusorio

l’elemento più caratteristico del cen­

tro sociale, cioè l’apertura a tutti indi­

pendentemente dall’appartenenza ad

una confessione religiosa o ad un par­

tito politico.

Esposta così sommariamente la si­

tuazione italiana ci sembra utile porci

le seguenti domande: è opportuno pro­

muovere la costituzione di una Fede­

razione Nazionale nella quale siano riu­

niti tutti i centri di vario tipo che

anzi abbiamo cercato di illustrare? Ov­

vero è preferibile inizialmente solleci­

tare soltanto la adesione di quei cen­

tri nei quali prevale l’intenzione comu­

nitaria? 0 infine può essere più utile

invogliare i singoli centri — mano a

mano che riconoscono di avere rag­

giunto le caratteristiche particolari del

centro sociale — a volere aderire diret­

tamente alla Federazione Internazio­

nale e a volere impegnarsi, nello stesso

tempo, a fornire attraverso il Comitato

Italiano di Servizio Sociale, una perio­

dica documentazione della propria atti­

vità affinché ne siano informati — sem­

pre a cura del CISS — tutti quei

centri di diverso tipo che si sforzano di

adeguare la propria funzione a quella

dei Centri Comunitari veri e propri?

Il Comitato Provvisorio Centri So­

ciali pone a se stesso ed alla Federa­

zione Internazionale queste domande,

nell’intento di indirizzare la propria

attività futura nel modo più efficace, e

perché è sicuro di potere ricevere dalla

discussione e dalla esperienza dei de­

legati presenti, utili consigli ed orien­

tamenti.

(10)

Discussione del rapporto italiano

Il rapporto italiano (5) è stato letto

e approvato preventivamente da tutti

i rappresentanti degli enti aderenti al

Comitato di iniziativa, nonché dagli

osservatori italiani presenti alla riu­

nione: la dott. Casara del Comitato

Centrale per l’Educazione Popolare,

il dott. Chilosi della Divisione Assi­

stenza del Ministero del lavoro, il

prof. Serafini dell’Istituto Italiano dei

Centri Comunitari, la dott. Delmati

dell’ONARMÒ, la dott. Chimenz del­

l’Unione Lotta contro l’Analfabetismo,

il dr. Orlandini per il CASAS, ecc.

Il rapporto italiano è stato com­

mentato molto favorevolmente dai de­

legati di tutti gli altri Paesi presenti

alla riunione, alcuni dei quali (USA)

hanno sentito il bisogno di rallegrarsi

del contributo di pensiero apportato

dai delegati italiani.

Il pomeriggio del giorno 3 giugno si

è impiegato quasi interamente nella

discussione dei problemi posti dai vari

rapporti nazionali e si tiene a preci­

sare che oggetto di particolare atten­

zione e discussione hanno costituito le

ripetute domande poste dai delegati

italiani, al fine di conoscere quali si

dovessero ritenere i requisiti essen­

ziali di un centro sociale e, in parti­

colare, se tali requisiti potessero iden­

tificarsi in quelle caratteristiche fonda-

mentali elencate nel rapporto italiano.

Dopo un approfondito esame della

questione, tutti i delegati hanno con­

cordato sulla convenienza che il Comi­

tato Permanente della Federazione In­

ternazionale dichiarasse di accettare

tali punti come i principi generali cui

(5) Quanto segue è estratto dalla relazio­

ne della dott. R . Stasi al Comitato Italiano di Servizio Sociale (CISS).

deve ispirarsi l’organizzazione e il fun­

zionamento di ogni centro sociale che

voglia servire bene il suo scopo.

Tale deliberazione è di particolare

valore per noi italiani, in relazione alla

eventualità della costituzione, in tempo

più o meno prossimo, di una Federa­

zione Nazionale Centri Sociali, che sia

rappresentativa di organismi omogenei.

A tale proposito è anche utile

precisare che — a seguito dei pareri

espressi dai vari delegati intervenuti

nella discussione — si convenne sulla

opportunità di raccomandare ai diri­

genti dei centri sociali di voler seguire

sempre più il metodo del lavorare

« insieme » (avec) agli utenti dei cen­

tri e non solo a loro favore (pour).

In altri termini, la partecipazione at­

tiva alla vita del centro da parte del

maggior numero possibile delle fami­

glie e degli individui utenti del centro

stesso, deve essere considerata l’ele­

mento indispensabile per ogni azione

che si voglia condurre in modo effica­

cemente educativo.

Al quesito finale posto dal rapporto

italiano, relativamente all’opportunità

che i singoli centri sociali, aventi i

necessari requisiti, aderiscano diretta-

mente alla Federazione Internazionale

(sull’esempio del centro sociale « Casa

mia » di Napoli), il Comitato Perma­

nente della Federazione Internazionale

ha risposto precisando di dover rite­

nere una tale procedura come la meno

desiderata e consigliabile, poiché non

consente l’incontro sul piano nazionale

dei centri sociali di un determinato

Paese e non agevola, quindi, quel pro­

gressivo evolversi e perfezionarsi che

può, invece, essere conseguito dal pa­

ragonare le rispettive realizzazioni e

studiare insieme le modifiche e le

innovazioni utili da apportarvi.

(11)

L’ U NRRA CASAS e i Centri Sociali

di Paolo Volponi

Il lavoro sociale del CASAS si propone come desti­

nazione ultima il centro sociale.

L’idea del centro sociale è però già matura, dif­

fusa nei Gruppi e coltivata dagli assistenti sociali;

del centro sociale proprio come luogo di raccolta,

di discussione ed impostazione dei problemi locali

sia di gruppo che comunitari.

Ora bisogna vedere come e dove questo lavoro

abbia trovato i suoi motivi di sviluppo, e quando

nelle sue intenzioni si sia innestata quella dei centri

sociali. E ancora, cosa molto importante per chi

voglia conoscere i significati più intimi di questa

linea di sviluppo e la base di partenza verso il centro

sociale, quanto il succedersi delle fasi e l’amplifi­

carsi degli scopi sociali sia avvenuto per iniziativa

interna al Servizio Incremento Economico Sociale

del CASAS, oppure per le pressioni dell’ambiente

esterno, cioè in accoglimento da parte degli organi

periferici di istanze di gruppi o di iniziative preesi­

stenti nell’ambiente.

Verificandosi il primo caso, sarà ancora interes­

sante distinguere fra una iniziativa dal basso, presa

dagli assistenti sociali e dai Gruppi di fronte a certe

realtà, o una iniziativa, o meglio decisione, assunta

dai responsabili del Servizio in attuazione di un pro­

gramma prestabilito.

Per riuscire a cogliere queste distinzioni e questi

momenti di maturazione è necessario rifarsi al la­

voro, ripeterne le fasi con giudizio, interpretarne i

risultati.

Il lavoro iniziale, la somma dei suoi interventi

quotidiani ed immediati, si potrebbe dire accidentali,

se non si temesse di suggerire un’idea di provviso­

rietà o di precarietà, non serve direttamente a questo

esame; se ne possono invece derivare gli spunti

Sviluppi verso il centro sociale

per iniziativa centrale dell’ente o in seguito alla naturale pres sione dell’ambiente

(12)

Passaggio d a l l’assiste n z a in senso stretto al servizio sociale.

I tappa: l’assistenza familiare.

per una valutazione delle premesse ad un lavoro

più attivo; si può vedere cioè quanto ha significato,

al di fuori della contingenza, l’aver portato un carico

di indumenti, di vecchi giornali illustrati o di mate­

rassi, per il lavoro successivo in quello stesso paese;

o quanto il ricovero di un ammalato a bordo della

jeep, o la presenza stessa dell’assistente sociale

nelle case per la cura della pulizia, dell’alimenta­

zione, dei cosiddetti primi passi della ripresa.

E questo, oltre che per l’immediato peso materiale,

per l’apertura di un rapporto, per l’accettazione reci­

proca fra assistente e assistiti.

Quanto hanno significato i fatti dell’assistenza in

senso stretto perché la « Signorina dell’UNRRA-

CASAS » diventasse l’assistente sociale; perché l’in­

tervento assistenziale si arricchisse di altri dati

fino a diventare un’operazione di servizio sociale?

In questa sede è sufficiente porre questi interro­

gativi, che indubbiamente susciteranno in chi è

da quei tempi al servizio del CASAS una somma

di ricordi che ora possono facilmente trasformarsi

in quelle ragioni che interessano. Ma questo è valido

per tutti quelli che hanno operato ed operano in

campo sociale.

Un’assistenza di quel genere, nemmeno da chia­

mare « familiare », che si rivolgeva indiscriminata­

mente a chi si trovava in un dato stato di bisogno

— povero, malato, senza tetto, disoccupato — al

di fuori di ogni altra sua condizione ed anche di

quella familiare, si andava superando da sé, veniva

annullata, mano a mano, dalla stessa dimensione

della sua mole: i suoi interventi, appena prodotti,

si esaurivano (portare uno all’ospedale, fare un

libretto di lavoro, attribuire un sussidio).

L’assistenza diventò « familiäre » quando in un

secondo momento l’assistente sociale incominciò

ad interessarsi dei nuclei familiari come tali: la fami­

glia e la casa, la famiglia e il suo stato di bisogno,

il suo stato sociale, morale; rapporti tra i genitori,

tra i genitori e i figli.

Forse inizialmente il nucleo si offrì all’assistente

sociale o l’assistente sociale lo scoprì quale cifra

amministrativa, assegnatario di alloggio; o forse

(13)

l’assistente lo ricompose attraverso vari interventi

di primo tipo.

È certo che ancora in queste fasi giocavano un

ruolo di primo ordine l’improvvisazione e la com­

partecipazione, la spinta affettiva. Nelle relazioni

di quel tempo gli assistenti parlavano di tristissimi

casi con accenti accorati, veramente patiti, come dei

casi di loro parenti. Sembrava che dietro la fami­

glia, indicata con cognome e nome di tutti, e dietro

questo affetto, non ci fosse niente altro; il villaggio e

tutto il paese erano una teoria, ben distinta, di casi.

Questo era certamente un grosso rischio: conce­

dersi a tali tristezze, reagire su un piano affettivo;

poteva voler dire legarsi a tale lavoro e non riuscire

a vederne l’uscita, non trovare cioè una soluzione,

nel tempo, agli stessi casi.

Altri due elementi concorrevano a tale rischio:

quello sempre presente di un « vezzo » degli assegna­

tari a restare in quel comodo stato di tutela, che

finiva per giustificare ogni abbandono, ogni man­

canza di iniziativa; e quello frequente della mancanza

di una precisa capacità professionale da parte del­

l’assistente, che perciò non trovava una soluzione

di mestiere, una illuminazione teorica del caso.

Un terzo elemento era poi la contemporaneità di

diversi generi di lavoro per lo stesso Gruppo, giacché

si riproponevano di frequente i primi problemi di

assistenza ai villaggi che mano a mano venivano

assegnati e la necessità della presenza di uno stesso

assistente sociale in più villaggi.

Ad ogni modo il rischio di un ristagno del lavoro

sociale fu superato, probabilmente per l’ampiezza

che i Gruppi avevano saputo dargli, ampiezza che

svuotò gli affetti, le premure costanti, e che diede

agli assistenti sociali una forza di iniziativa che li

portò fuori del villaggio CASAS, alla scoperta dei

problemi di tutti.

Inoltre gli stessi ambienti, incuriositi o interessati

iniziarono le loro pressioni sugli assistenti sociali.

Non va poi dimenticato che spesso, anche durante

la prima fase, gli assistenti sociali si erano mossi

di fronte a problemi locali, quali quelli dell’asilo,

della colonia, del patronato, con grande efficacia

Partecipazione effettiva dell’as­ sistente sociale al « caso » : ri­ schio di esaurire l’assistenza in un interesse e motivo;

tendenza degli assegnatari ad adagiarsi in uno stato di tutela.

(14)

11 tappa: pressione degli am­ bienti sugli assistenti sociali. Evoluzione spontanea verso l’as­ sistenza di gruppo.

e copiosi risultati, e che quindi erano in qualche

modo introdotti almeno nel paese se non proprio

nel vivo della comunità sociale.

Intanto, mentre il lavoro cresceva gradualmente

di volume — sembrerà un assurdo — guadagnava

di intensità, di un senso preciso, perdendo il vizio

di una assiduità controproducente e diminuendo per

forza di cose la sua carica affettiva.

Inoltre l’assistente si trovava automaticamente a

rappresentare di fronte aU’opinione paesana la pio­

t i cinema al Villaggio

di Gamherale

cola comunità del villaggio, ormai stabilitasi, se

non per altro, in virtù dei rapporti di vicinato; ed

allora fu costretta ad accettare tale comunità, a

penetrarla.

D ’altro canto aveva in carico problemi comuni a

tutti gli assegnatari, che poteva curare solo di fronte

al gruppo completo; fossero pure soltanto quelli della

manutenzione-alloggi o della cura dell’accesso al

villaggio. Ma vi erano anche quelli dei rapporti

fra vicini, fra le donne, fra i fanciulli. Così mentre

l’assistenza diventava in concreto « familiare », assu­

(15)

meva in pratica anche il mezzo della tecnica di

gruppo. Allora le relazioni di lavoro cominciarono

a parlare di riunioni di capi di famiglia, di madri,

di ragazzi, non solo allo scopo di impartire disposi­

zioni amministrative, ma in ordine ai problemi del­

l’igiene, dei buoni rapporti, dell’educazione dei figli,

della disoccupazione.

Va detto a questo punto che le cose non si succe­

dettero solo così automaticamente; ma furono spinte

dai Gruppi, dalla loro coscienza e capacità. Lo stesso

coraggio — ci sembra il termine più adatto — che

una capo gruppo aveva dimostrato quando tolse

un morticino, troppo a lungo pianto, dal letto di

un’accanita pietà famihare, veniva ora usato per

una faticosissima apertura dell’attività assisten­

ziale, per l’azione nel paese, per una necessità di

conoscenza, di ricerca di rapporti, di nuove inten­

zioni nel lavoro.

Gli assistenti sociali, mentre 'ancora si dedicavano

alla cura delle famiglie ormai con un chiaro princi­

pio educativo, cominciarono il rilevamento dei pro-

. blemi più vasti sia sociali che economici. Dal canto

suo la Sede Centrale seguiva i loro sforzi - diffici­

lissimi se si considera che con quella ansia di ricerca

che muoveva i Gruppi si poteva cadere di fronte a

problemi troppo vasti ed inattaccabili, i problemi

totali della vita economica di un paese, che avreb­

bero finito per frustrare ogni tentativo e poi scorag­

giare gli assistenti sociali — avendo riorganizzato

tutto il Servizio Sociale, con l’assunzione di perso­

nale specializzato, fino a porsi in grado di indiriz­

zare tecnicamente i Gruppi.

Nel contempo si compiva quella trasformazione,

alla quale si accennava in principio, da un’assistenza

generica, anche se vasta, a un meditato servizio

sociale dalle molteplici iniziative.

Questo avveniva non tanto per una differente

natura dei fatti assistenziali, quanto per una definita

intenzione educativa che meglio li informava e

che li inseriva su un piano armonico e generale di

conquista dei problemi. Le azioni non avevano più

un carattere di provvedimenti unilateralmente presi

di fronte a certi stati di bisogno; ma si completavano

111 tappa: si giunge a perce­ pire i problemi deila comunità.

(16)

Valore educativo dell’assistenza familiare.

La famiglia come gruppo es­ senziale. Dalla coscienza fami­ liare alla coscienza comunitaria.

bilateralmente, per un’azione dell’assistente sociale

che si proponeva ad una consapevole accettazione da

parte del destinatario.

La novità era costituita dalla ricerca di una

coscienza dei soggetti, di una maturazione di un

senso esatto di responsabilità.

Appare evidente come questo sia legato all’idea

del centro sociale.

Infatti nel campo di un servizio sociale familiare

ogni intervento, che non abbia carattere assoluta-

mente straordinario e non si diriga ad un caso pato­

logico, presuppone nei soggetti un substrato di edu­

cazione, un riposto senso morale al quale si dirige;

attraverso cioè una serie di mosse mira a scoprire

una sanità congenita, offrendo solo dei nuovi modelli

o schemi pratici.

La famiglia in sostanza si rigenera per forza interna,

riportata in superficie, per una cultura che ha come

dato permanente di una antica civiltà rurale. Ma è

chiaro che sul piano di questa ripresa di coscienza,

di questa maturazione individuale, si pongono i

problemi del gruppo sociale, come somma delle

esigenze individuali e come dati di natura col­

lettiva.

Nel nostro paese non vi sono funzionanti delle

comunità sociali — eccetto rarissimi casi — , non vi

è generalmente una cultura comunitaria.

L ’unica sede della cultura popolare è la famiglia;

l’unica tradizione, che ingannevolmente sembra a

volte giustificare tutto un paese o una regione, è

familiare. Il rapporto della popolazione con il ter­

ritorio è familiare. Né tutto questo è smentito dal

fatto che in alcuni paesi sembrano strettissimi i

rapporti, addirittura comunitari; ma sono così solo

per vecchie ragioni di sicurezza o per un semplice

fatto associativo.

Ora ciascuno rimastica il proprio problema in

solitudine, anche se vicino è un altro che tace preoc­

cupato dallo stesso problema.

I gruppi esistenti sono legati da fatti secondari,

generalmente dai motivi di un comune desiderio

di evasione (sports, ricreazioni, ecc.) e non hanno

un sostanziale significato sociale.

(17)

Il cinema al Villaggio di Oamberale

Una volta, si diceva poco fa, che l’assistenza fami­

liare abbia dato a ciascuno la coscienza dei propri

problemi, avvengono i trasferimenti sul piano col­

lettivo. Ma per questo c’è bisogno di tutta una

serie di contatti e di una nuova educazione, perché

le energie si ritrovino comuni di fronte ai problemi

diventati comuni.

L’azione sociale si diffonde su un nuovo piano

educativo, dove l’educazione è intesa universal­

mente, non solo come fatto culturale o utili­

taristico, ma rivolta a tutti i cittadini come

tali.

La riscoperta e il ravvivamento di una coscienza

famibare possono servire a suscitare negb individui

il senso della comunanza con altri di alcuni loro

problemi, dei problemi della « cittadinanza »; ma

non ad impostarli praticamente e ad affrontarli

poi su un piano di collettività, tanto più che, specie

nel meridione, tale coscienza familiare conserva il

vizio originale della sua formazione, spesso avvenuta

in difesa dalle « cricche », da una società non sentita

(18)

Interesse ai problemi della co­ munità: il fine di una nuova educazione.

L ’idea di centro sociale.

Perché gli individui si pongano, depositari di una

cittadinanza, su un piano sociale, per esercitare

tutte quelle azioni che dalla cittadinanza discen­

dono, occorre che siano inseriti nella comunità,

della quale avvertano la dimensione in rapporto a

quella dei loro problemi.

Ma questo si può fare allacciando all’educazione

familiare e a quel « sapere naturale » (proverbi, canti

popolari; costumi, ecc.) che ha permesso il perpe­

tuarsi delle civiltà rurali e la cui validità si avverte

di fronte alle tristi manifestazioni dell’urbanesimo,

questa nuova educazione della quale si parlava;

svolta in gruppo, portata ad arricchirsi nel [centro

sociale, inteso proprio come strumento di « leva

democratica », la cui idea si vede già ben chiara a

questo punto.

Questo processo è stato intuito dai Gruppi del

CASAS, avvertito di fronte alla realtà dei problemi,

forse non identificato e chiarito in tutti i suoi mecca­

nismi, ma certamente assimilato. (Il problema di tale

identificazione e chiarimento è il problema odierno).

Come si spiegherebbe altrimenti d’idea di centro

sociale che essi hanno avuto, spesso originale, e i

tentativi fatti in questo senso e coronati da successo ?

Quando cominciarono a chiedere i locali per « far

stare insieme la gente » o i finanziamenti per « le

comitive » (la parola gruppo è successiva e meno

affettiva) non pensavano, questo è certo, solo a

scopi ricreativi, a dei circoli dei giocatori o a

gruppi di sportivi.

Richiedevano già l’istituzione di biblioteche, di

ambulatori, di corsi di cultura, di addestramento, ecc.

Capivano la necessità di muoversi su un piano

comunitario, di affrontare le complesse situazioni

locali, di sprigionare nelle popolazioni possibilità di

libere iniziative; di portarle cioè su un « piano sto­

rico », si potrebbe dire, se non si volesse restare in

questo clima di umiltà proprio del servizio sociale e

così aderente ai suoi scopi ed alle sue azioni.

Per questo i Gruppi accettarono con entusiasmo

la gestione dei corsi di educazione popolare, che per­

mettono una educazione ampia, come si richiedeva,

e praticamente la scelta di gruppi o un’azione nei

(19)

confronti di gruppi precostituiti, svolta con la colla­

borazione di forze interne alla comunità e in una

sede di incontro di diverse categorie sociali.

D ’altra parte presero anche l’iniziativa di interve­

nire in campo economico con l’aiuto all artigianato

e con l’istituzione di cooperative.

Si diceva poco sopra che il problema del Servizio

Sociale della Prima Giunta dell’UNRRA CASAS è

oggi quello della identificazione dei meccanismi e

del chiarimento delle fasi di un lavoro che si dirige

all’obiettivo dei centri sociali.

Ora il Servizio dispone di un programma preciso,

ormai accettato dai suoi Gruppi, che si articola nei

punti di uno studio preliminare dell’ambiente, con­

dotto direttamente dall’assistente sociale; di una

assistenza familiare meditata, delle attività di gruppo

fino al potenziamento della comunità.

Sul terreno accidentatissimo dell’assistenza nel

nostro paese il CASAS si muove con chiarezza: mira

all’istituzione di centri sociali in quei paesi dove ciò

è possibile per la presenza di precisi rapporti fra popo­

lazione — territorio — problemi, dove l’ambiente

sociale è vitale e per il quale il termine comunità

non è un’arbitraria definizione (naturalmente un

ambiente di questo genere risulta da un complesso

e minuzioso lavoro precedente), o si accontenta di

operare nel proprio villaggio e fuori, per quanto,

possibile, nel campo di un servizio sociale dagli scopi

ben determinati, di riportare le famiglie curate al

livello sociale dell’ambiente. Rinuncia cioè in questo

secondo caso al lavoro educativo più complesso,

operando però anche nei confronti della comunità

con interventi tecnici sulle gestioni EOA, asili,

colonie, ecc., venendo ad acquistare un carattere di

assistenza di condotta.

In ogni caso si muove con degli obiettivi precisi

e al di fuori di un’assistenza produttrice all’infinito

degli stessi interventi quotidiani, che si ripeta con

noia tremenda di chi la fa e con nessun effetto,

anzi con gli effetti controproducenti di alimentare

stati di passività e di rinuncia, in chi la riceve.

Questo modo di lavorare ha consentito risultati

completi e numerosi, anche nel campo dei centri

sociali.

Valore comunitario dei corsi di educazione popolare e va­ lore educativo della collabo- razione tra i gruppi.

Gli obiettivi precisi del lavoro sociale CASAS: il centro sociale, la condotta assistenziale.

(20)

Corso di educazione popolare al Villaggio UNRRA CASAS di Castel di Sangro

Piano per la istituzione di cen­ tri sociali.

Alcuni sono già funzionanti come tali, anche se allo

stato iniziale e più come speranze che realtà effettive;

altri allo stato potenziale e prossimi a concretarsi.

Quasi tutti godono dell’apporto di gruppi sensi­

bilizzati con corsi di educazione degli adulti e sono

aperti ad una serie di attività e di collaborazioni

locali; dispongono di una sede propria, certe volte

messa a disposizione dai comuni che in alcuni casi

garantiscono anche un finanziamento (Orsogna),

e di una propria attrezzatura.

Il movimento dei centri sociali è ormai cosi vasto

che la Sede Centrale del CASAS ha ultimamente

condotto un rigoroso censimento delle iniziative in

questo senso più avanzate (si nota che quelli esi­

stenti sono stati censiti attraverso il difficile questio­

nario redatto dal Comitato di Iniziativa per una

Federazione Italiana dei Centri Sociali) per poter

di conseguenza programmare un esatto piano di

lavoro e di investimenti.

Tale piano ormai definito, prevede la costruzione

di edifici o l’adattamento di locali esistenti e l’attri­

buzione di attrezzatura per numerosi centri sociali,

in via di organizzazione con l’integrazione di ini­

ziative già in atto.

Non sembra opportuno riportare in questa sede

le cifre o i dettagli del piano, tanto più che questa

rivista si ripromette di documentare nel corso delle

sue pubblicazioni le attualità dei centri sorti nel

nostro paese.

L’aver illustrato con questo articolo il lavoro del

CASAS riguardo alle sue intenzioni di centro so­

ciale, sembra esaurire di conserva un discorso sui

principi dei suoi centri, che appunto risultano per

conseguenza. Caso mai si può rimandare ad un’altra

volta l’esame della loro pratica applicazione, che natu­

ralmente risulta condizionata o incompleta proprio

per una fedeltà totale agli ambienti ed alle loro varie

necessità.

Basterà dire che un piano per la costituzione di

centri, redatto a questo punto, è un atto coerente

ad un’intenzione chiara e ad una metodologia ormai

precisata e sperimentata.

(21)

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17

(22)

Gli enti di riforma e i Centri sociali

di A chille A rdigò •

Assegnatari di terre, poderisti, quotisti Hanno diritto all’assegnazione delle terre espropriate, quei « lavoratori manuali della ter­ ra » che — secondo la legge Sila (art. 16) «non siano pro­ prietari o enfiteuti di fondi rustici o tali siano in misura insufficiente all’impiego della mano d’opera della famiglia ». La terra espropriata viene as­ segnata, secondo le disponibi­ lità, la qualità dei terreni e le suscettibilità di trasforma­ zione, a quegli aventi diritto che ne hanno fatto domanda. Tra gli aventi diritto gli enti stabiliscono delle categorie di priorità (l’aver già lavorato le terre espropriate o avere rap­ porti di lavoro per esse, il carico famigliare ecc.). Gli enti assegnano poderi 0 quote.

I poderi (in media dai 6/8 ai 10/12 ha) sono aziende suffi­ cienti ad assorbire tutta la capacità lavorativa della fami­ glia contadina (aziende lavo­ ratrici autonome).

Le quote (in media da 1 a 3/4 ha) sono «frazioni di ter­ reno che vengono generalmente assegnate per integrare il fab­ bisogno alimentare di famiglie contadine già insediate su altri piccoli fondi... » (dalla circo­ lare 37/97, del 30 novembre 1953 del ministro Salomone). Gii assegnatari riscattano le aziende in 30 annualità. Il prezzo della casa con annessi e degli altri miglioramenti fon­ diari è in genere circa un terzo del costo.

Un discorso sui centri sociali, possibili o poten­

ziali, nelle zone di riforma, non può essere avviato

senza un richiamo alla natura degli enti che a tale

riforma sono preposti.

Anche dall’esamé sommario di quelle esperienze

che vanno sotto il nome dei centri sociali o comuni­

tari, appare infatti indubbio che questi non sono

da considerarsi come elementi prefabbricati, gli

stessi per qualunque costruzione e con qualunque

linea architettonica.

Un centro sociale è possibile, e si caratterizza, solo

in rapporto con l’esistenza di dati scopi e metodi

delle persone o dell’ente promotore e con la strut­

tura sociale in cui s’inserisce.

Con questo scritto si cercherà appunto di intro­

durre — in linea generale e preliminare — lo studio

di tale rapporto, nella speranza che dalle esperienze

di base del lavoro sociale negli enti di riforma e dal­

l’esame dei problemi di indirizzo e di metodo che si

aprono, altri possa alimentare una profìcua discus­

sione sull’argomento.

Due punti sono inizialmente da accertare:

1) se gli scopi e i metodi del centro sociale

siano omogenei a quelli degli enti di riforma;

2) in caso affermativo, quale sia — nella strut­

tura organizzativa periferica degli enti e nella realtà

sociale in cui questi operano — l’ambito entro cui

conviene che il centro sociale sia inserito.

In ordine al primo punto va detto subito che

ciò in cui meglio si manifestano, in concreto, gli

scopi e i metodi degli enti in relazione alle possi­

bilità di formazione di centri comunitari, è l’orga­

nizzazione dei servizi sociali.

(23)

Questi hanno raggiunto, negli enti più attivi,

un grado di differenziazione delle competenze, e

perciò delle qualifiche, ignoto fin qui nel settore

rurale in Italia e forse non solo in quel settore.

Si è distinto Yaddetto sociale (per lo più tramite

tra i contadini e i tecnici agricoli per tutte le questioni

contrattuali e i rapporti ufficiali, e incaricato delle

attività sociali per gli uomini) AalV assistente sociale

diplomata (i cui settori di specifica competenza sono

in genere: quello femminile e dell’infanzia, il patro­

nato spicciolo, Tinteressamento per i problemi

urgenti e comuni delle famiglie contadine). A

queste due categorie di lavoratori sociali non

manca, negli enti più avanzati, l’ausilio di inse­

gnanti locali o di incaricati comunali. Infine, per più

cooperative di servizi tra assegnatari e comparsa la

figura del segretario cooperatore che tende per

forza interna delle cose ad assorbire di continuo

le competenze dell’addetto sociale, nelle attività

economiche, culturali e ricreative. All’addetto so­

ciale, subordinato al dirigente tecnico locale, a

differenza del cooperatore, si attribuiscono allora

altri compiti, prevalentemente d’ufficio (mutue sani­

tarie ad esempio).

Le iniziative intraprese con varia intensità e dif­

fusione da questi lavoratori sociali toccano i settori

più diversi d’attività : dai corsi d’istruzione pro­

fessionale e di economia domestica (sia serali che

residenziali) ai corsi di educazione degli adulti (ini­

ziati alla fine del 1953), dall’organizzazione di servizi

per le collettività di nuova formazione all’apertura

di circoli ricreativi con spacci, libri, riviste, appa­

recchi radio e talora televisivi; dalle riunioni tra

assegnatari per discutere questioni di comune inte­

resse, alle feste collettive organizzate dalle coope­

rative o dai funzionari, per non parlare delle coope­

rative là dove di fatto esistono.

Tuttavia, a questo vasto e per molti aspetti meri­

torio lavoro, sembra ogni giorno più necessario un

ordine, né statico né burocratico, che pero renda tale

lavoro efficace rispetto agli scopi sociali di fondo della

riforma e adeguato a rispondere alle nuove esigenze

e ai nuovi problemi che gli enti hanno da affrontare.

Cooperative di servizi fra assegnatari Secondo l’art. 23 della legge Sila, gli assegnatari di terre espropriate dagli enti di riforma «sono obbligati, per la durata di venti anni dalla stipulazione del contratto di vendita [della terra], a far parte delle coope­ rative o consorzi che l’Opera [Sila e poi gli altri enti di riforma] avrà promosso o co­ stituito per garantire l ’assi­ stenza tecnica ed economico- finanziaria alle nuove piccole proprietà coltivatrici. L ’ina­ dempienza dì tale obbligo im­ porta la decadenza dall’asse­ gnazione... ».

Secondo l’art. 22 della stessa legge, alle cooperative o ai consorzi che l ’ente di riforma deve promuovere per « cia­ scuna unità organica di colo­ nizzazione » « g r a d u a lm e n te saranno affidati i compiti ed i servizi » già organizzati dagli enti, nel campo della: 1) Assistenza tecnica ed eco- nomico-finanziaria per gli asse­ gnatari;

2) Istruzione professionale gra­ tuita;

3) Attività o centri di mecca­ nica agraria.

N ell’Ente Maremma, che è l’ente di riforma presso il quale l’or­ ganizzazione delle cooperative di servizi ha avuto finora il maggiore sviluppo, le coope­ rative sono costituite in media con un numero di non oltre cento soci, e raccolgono i capi famiglia di ogni reparto dei centri di colonizzazione. L ’attività svolta da queste coo­ perative in appena due anni di vita, è rilevante: dalla gestione di circoli con spacci al piccolo credito ai soci, dall’acquisto

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