Centro Sociale
inchieste sociali
servizio sociale di gruppo
educazione degli adulti
Centro Sociale
inchieste sociali - servizio sociale di gruppo
educazione degli adulti
a. I - n. 1-2-3 luglio-agosto-settembre 1954 - un numero L. 150 - un fascicolo doppio L. 250 - un numero con allegata tavola 70 X 100 L. 300 abbonamento annuo (12 numeri) L. 1500 - abbonamento annuo (12 numeri e 6 tavole 70 X 100) L. 3000 — spedizione in abbonamento postale gruppo^ IV - c. c. postale n. 1/20100 — Direzione Redazione Ammi nistrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Roma - telefono 593.455
S o m m a r i o 1 Premessa
3 Centri Sociali in Italia
Paolo Volponi 7 L’Unrra Casas e i Centri Sociali
1 7 Dati del lavoro sociale dell’ UNRRA Casas
dal 1947 a oggi
Achille Ardigò 1 8 Gli enti di riforma e i Centri Sociali
2 6 La legislazione degli enti di riforma
L. Q. 2 7 Il Centro Sociale come edificio
3 0 D ocum enti 3 4 Notizie
3 8 Estratti e Segnalazioni
Servizio sociale rurale - Spopolamento della mon tagna - Lavoro sociale e urbanistica - Fumetti - La ricostruzione rurale problema europeo
Allegati
Prospetto dei Centri Sociali in Italia
Recensioni : L. Mumford, L a c u ltu r a d elle città
(R. Musatti); S e r v i z i e A s s i s t e n z a s o c ia le d i fa b b rica
(0. Vali in) J
Documentari : R a g a z z i d iffic ili (USIS); S tr u m e n ti e o r c h es tre (British Council)
Periodico mensile redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ UNRRA CASAS Prima Giunta
Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino,
Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnolli, Angela Zucconi - Direttore responsabile:Paolo Volponi - Redattore:Anna Maria Levi
P R E M E S S A
Questa 'pubblicazione non porta né direttive né messaggi. Il Centro di Edu
cazione Professionale per Assistenti Sociali ha il compito di curarne la redazione,
la I Giunta delVUnrra Casas ne sostiene l’onere finanziario; insieme realizzano
in queste pagine un incontro tra la teoria e l’esperienza, che potrà anche andare
a beneficio di terzi.
I componenti il Comitato di direzione rappresentano in questa sede soltanto
la propria personale competenza, né vi sono gerarchie tra i collaboratori.
In altre parole non si tratta di una pubblicazione ufficiale.
Non la intendiamo neppure come una rivista di informazioni. Altri si è assunto
il compito di informare gli assistenti sociali o i maestri o i cooperatori, i medici
condotti o i segretari comunali, i funzionari degli Eca o i pretori. Il nostro problema
sarebbe semmai di fornire un’informazione utile in egital misura al lavoro sociale
che queste persone svolgono, spesso non considerando abbastanza che si tratta di la
voro sociale, quasi sempre ignorandosi a vicenda e operando in compartimenti stagni.
Non potremmo assolvere un compito cosi vasto e d’altronde siamo scettici sulla
utilità delle informazioni e delle segnalazioni, delle quali non si accusa ricevuta.
Per chi lavora a Gamberale può essere anche superfluo sapere che poche settimane
or sono si è tenuta a Toronto la V II Conferenza Internazionale di Servizio Sociale
(« Il tema allo studio é stato la creazione del benessere sociale attraverso l’auto-aiuto
(sic) e la cooperazione »). Chi si propone di informare muove infatti, per così dire,
da Toronto su Gamberale. Noi seguiremo un cammino inverso, tentando di aiutare
quel nostro lettore a riconoscere le linee del suo lavoro quotidiano in discorsi che
altrimenti rischiano di sembrare generici, quando, per difetto di traduzione, non
sono addirittura incomprensibili.
Così può essere quasi inutile segnalare a quel nostro lettore costretto a leggere
a lume di candela, un articolo pubblicato da una rivista la cui consultazione e spesso
difficile a Roma o a Milano. Preferiamo darne larghissimi estratti, assumendoci
il compito di una selezione accurata, responsabile, e, nei limiti delle nostre possibi
lità, intelligente.
Ci proponiamo di operare questa selezione sia facendo lo spoglio dei periodici
piu interessanti, sia leggendo relazioni di lavoro, verbali di riunioni, registrazioni
e lettere, di quanti possono fornire dei documenti interessanti il lavoro sociale.
Di nostro metteremo i riferimenti, i richiami, i commenti, soprattutto lo sforzo
costante della « messa a foco », così attenta da sembrare pedante.
Che sì assolva con questo anche a un compito di informazione è fuori dubbio,
ma si tratta piuttosto di pubblicare « richieste » ed « offerte », di favorire in altre
parole quello scambio di idee, di dati, di esperienze, senza il quale chi comincia,
comincia sempre da capo, quello « scambio » che vediamo talvolta affiorare nei momenti
piu felici di un corso o di un convegno, quando una convivenza più o meno casuale
comincia a diventare un gruppo.
Questa rivista difatti si propone di funzionare come un centro sociale. Il nostro
Comitato di direzione, nella eterogeneità delle competenze rappresentate (1), raffigura
, , ., n r . Ac h il l e Ar d ig ò, esperto in problemi sociali della colonizzazione interna; dr. Va n n a Ca s a r a, i ^ enwale per l’ Educazione popolare - Ministero della P . I.; dr. Gio r g io Mo l in o, deil’Amm. ^ I S1Si?llzlal1 italiane e Internaz.; p rol. Lu d o v ic o Qu a r o n i, della Facoltà di Architettura dell’Univ. ,o - < r ‘ Gio r g io Ce r ia n i Se b r e g o n d i, dell’Associaz. per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno O c i Z r i <X ,vfAN? * 1 Sp a g n o l i, dell’ U N R R A CASAS Prima giunta; dr. An g e l a Zu c c o n i, dlrett. cen tro Educaz. Professionale Assistenti Sociali (CEPAS).
L ’attività assistenziale, dove c’è,
è sussidiaria. In quasi tutti i casi si
è inserita successivamente all’impianto
del centro.
2. Perché il lavoro si svolge quasi
esclusivamente come lavoro di gruppo
e la dinamica dei gruppi condiziona
l’impostazione dei programmi.
3. Perché opera concretamente la
corresponsabilità, in alcuni casi anche
amministrativa, dei dirigenti e dei
frequentanti. (I Centri deH’Unione per
la Lotta contro l’Analfabetismo hanno
continuato, a prezzo di grandi sacri
fici, il loro lavoro anche quando l’Unio
ne non ne ha potuto sostenere finan
ziariamente la attività.)
Sotto il gruppo dei centri assisten
ziali abbiamo citato un ente che lavora
su scala nazionale, l’ONARMO, per
il quale però mancano dei dati precisi
relativi a singoli centri.
Sotto il gruppo dei centri sociali o
comunitari abbiamo citato un altro
ente che lavora su scala nazionale,
l’INA-Casa, ente che non si sente
ancora in grado di differenziare i risul
tati ottenuti dalle varie condotte so
ciali istituite presso i quartieri INA-
Casa. Alcune di queste condotte hanno
dato origine a veri e propri centri
sociali.
Un’ultima osservazione illustrativa
del prospetto: dell’ampia rete di cen
tri istituiti dall’Unione per la Lotta
contro l’Analfabetismo, dall’UNRRA-
CASAS, e dal Movimento Comunità,
abbiamo citato solo quei centri che han
no raggiunto un elevato grado di ma
turità, tale da garantirne lo sviluppo
futuro.
La situazione è stata fatta sulla
base delle notizie e della documenta
zione cortesemente messa a nostra
disposizione dagli enti interessati. (3)
In relazione ai problemi sui quali le
singole federazioni sono state chiamate
a riferire possiamo fare queste consi
derazioni:
a)
quanto al primo punto: «Action
du centre social pour combattre la
délinquence minorile », è particolar
mente interessante la esperienza dei
centri istituiti dall’Ente per la Prote
zione Morale del Fanciullo, centri col
legati ad una serie d’iniziative orien
tate a combattere la delinquenza mi
norile, lo stato di abbandono dei mi
nori, ecc.
b)
quanto al secondo punto: «Les
programmes pour adultes dans les
centres sociaux », l’esperienza più in
teressante è quella compiuta dal
l’Unione per la Lotta contro l’Analfa
betismo: i notevoli risultati raggiunti
sono proprio dovuti al fatto di avere
adottato fin dall’inizio la formula del 3
(3) A l questionario inviato dal Comitato di Iniziativa hanno risposto anche centri che non rientrano nella denominazione di centri sociali, comunitari o assistenziali: centri che si occupano di determinate cate gorie e non hanno quindi una competenza territoriale (liberati dal carcere ecc.) e cen tri che svolgono un’azione di propulsione, di coordinamento, di smistamenti delle atti vità assistenziali di tutta una regione. Per esempio: il Centro Universitario del Fanciullo presso l’Istituto di Psicologia dell’Univer sità di Roma, il Centro « Risorgi e vivi * dell’Associazione Rinascita Sociale di Mi lano oppure l’Ente Ausiliario di Assistenza Sociale che opera in tutto il Territorio Libero di Trieste, il Centro di Servizio Sociale del- l’ETFAS, il Centro Regionale di Servizio Sociale per la Regione Trentino-Alto Adige. Così pure non rientrano nella categoria centri sociali: a) centri che si occupano di determinate categorie: i CRAL aziendali - b) centri che si occupano di determinate categorie raggruppate oltre tutto secondo
una determinata confessione religiosa:
ACLI. È da considerare però che in molti casi anche questi due ultimi tipi di centro esercitano la loro azione su tutta (o quasi tutta) la popolazione di una determinata località, per il fatto che gli appartenenti alla categoria lavoratrice di cui detti enti si occupano, risiedono tutti nella stessa zona e partecipano alla vita dei centri, nella loro duplice qualità di lavoratori (di una certa categoria) e di abitanti del luogo. Non vor remmo essere fraintesi: nell’essere conside rati o meno centri sociali, non c ’è né da guadagnare, né da perdere. Ma discutendosi l’opportunità di creare un operante rapporto federativo tra i centri sociali esistenti, ci pare molto importante avere le idee chiare e associare organismi realmente omogenei.
L ’attività assistenziale, dove c’è,
è sussidiaria. In quasi tutti i casi si
è inserita successivamente all’impianto
del centro.
2. Perché il lavoro si svolge quasi
esclusivamente come lavoro di gruppo
e la dinamica dei gruppi condiziona
l’impostazione dei programmi.
3. Perché opera concretamente la
corresponsabilità, in alcuni casi anche
amministrativa, dei dirigenti e dei
frequentanti. (I Centri dell’Unione per
la Lotta contro l’Analfabetismo hanno
continuato, a prezzo di grandi sacri
fici, il loro lavoro anche quando l’Unio
ne non ne ha potuto sostenere finan
ziariamente la attività.)
Sotto il gruppo dei centri assisten
ziali abbiamo citato un ente che lavora
su scala nazionale, l’ONARMO, per
il quale però mancano dei dati precisi
relativi a singoli centri.
Sotto il gruppo dei centri sociali o
comunitari abbiamo citato un altro
ente che lavora su scala nazionale,
l’INA-Casa, ente che non si sente
ancora in grado di differenziare i risul
tati ottenuti dalle varie condotte so
ciali istituite presso i quartieri INA-
Casa. Alcune di queste condotte hanno
dato origine a veri e propri centri
sociali.
Un’ultima osservazione illustrativa
del prospetto: dell’ampia rete di cen
tri istituiti dall’Unione per la Lotta
contro l’Analfabetismo, dall’UNRRA-
CASAS, e dal Movimento Comunità,
abbiamo citato solo quei centri che han
no raggiunto un elevato grado di ma
turità, tale da garantirne lo sviluppo
futuro.
La situazione è stata fatta sulla
base delle notizie e della documenta
zione cortesemente messa a nostra
disposizione dagli enti interessati. (3)
In relazione ai problemi sui quali le
singole federazioni sono state chiamate
a riferire possiamo fare queste consi
derazioni:
a) quanto al primo punto: «Action
du centre social pour combattre la
délinquence minorile », è particolar
mente interessante la esperienza dei
centri istituiti dall’Ente per la Prote
zione Morale del Fanciullo, centri col
legati ad una serie d’iniziative orien
tate a combattere la delinquenza mi
norile, lo stato di abbandono dei mi
nori, eco.
b) quanto al secondo punto: «Les’
programmes pour adultes dans les
centres sociaux », l’esperienza più in
teressante è quella compiuta dal
l’Unione per la Lotta contro l’Analfa
betismo: i notevoli risultati raggiunti
sono proprio dovuti al fatto di avere
adottato fin dall’inizio la formula del
(3) Al questionario inviato dal Comitato
di Iniziativa hanno risposto anche centri che non rientrano nella denominazione di centri sociali, comunitari o assistenziali: centri che si occupano di determinate cate gorie e non hanno quindi una competenza territoriale (liberati dal carcere eco.) e cen tri che svolgono un’azione di propulsione, di coordinamento, di smistamenti delle atti vità assistenziali di tutta una regione. Per esempio: il Centro Universitario del Fanciullo presso l’Istituto di Psicologia dell’Univer sità di Roma, il Centro « Risorgi e vivi » dell’Associazione Rinascita Sociale di Mi lano oppure l’Ente Ausiliario di Assistenza Sociale che opera in tutto il Territorio Libero di Trieste, il Centro di Servizio Sociale del- l’ETFAS, il Centro Regionale di Servizio Sociale per la Regione Trentino-Alto Adige. Così pure non rientrano nella categoria centri sociali: a) centri che si occupano di determinate categorie: i CRAL aziendali - 6) centri che si occupano di determinate categorie raggruppate oltre tutto secondo
una determinata confessione religiosa:
ACLI. È da considerare però che in molti casi anche questi due ultimi tipi di centro esercitano la loro azione su tutta (o quasi tutta) la popolazione di una determinata località, per il fatto che gli appartenenti alla categoria lavoratrice di cui detti enti si occupano, risiedono tutti nella stessa zona e partecipano alla vita dei centri, nella loro duplice qualità di lavoratori (di una certa categoria) e di abitanti del luogo. Non vor remmo essere fraintesi: nell’essere conside rati o meno centri sociali, non c ’è né da guadagnare, né da perdere. Ma discutendosi l’opportunità di creare un operante rapporto federativo tra i centri sociali esistenti, ci pare molto importante avere le idee chiare e associare organismi realmente omogenei.
C
E
N
T
R
I
S
O
C
IA
L
I
O
C
O
M
U
N
IT
A
R
I
©
03©
2
P«
fi W T3
2
& g
.s u
I
3
© B
® a
2 ©
& U
•B ©
JS S
©
^ "i
1
‘ c 1/33
CO•c
G
S
s 4->
A3 i—I U £T?
>
o
MU
hP 203
■Mg 1
■I
03s
* -a
£o
bD
O
S
0 ®
1 -i
S .9
CV ÌH
« ^
JJ 1) «
r3 u 'S
centro sociale anche per risolvere pro
blemi di educazione di base, di educa
zione civica, di educazione cooperati
vistica eco. Possiamo dire che nel no
stro Paese è particolarmente sentito il
collegamento tra l’educazione degli
adulti ed il lavoro dei centri sociali;
lo stesso Comitato Centrale per l’Edu
cazione Popolare, organo del Ministero
della Pubblica Istruzione, finanzia e
segue con vivo interesse alcuni esperi
menti del genere;
c)
lo stesso vale per l’istruzione
tecnica anche se in tal campo la con
nessione è ancora sul piano delle
intenzioni.
Il bisogno di integrare la propria
attività, in materia di corsi di addestra
mento professionale, con personale qua
lificato per il servizio sociale, è stato
avvertito anche dal Ministero del La
voro e della Previdenza sociale, il
quale ha dato recentemente alcune di
sposizioni in tale senso ai suoi uffici
periferici. (4)
Quanto ai problemi peculiari della
situazione italiana e alle linee di svi
luppo del nostro lavoro, occorre con
siderare che le difficoltà che incontria
mo, sono, in forma accentuata, quelle
che in tutti i paesi ostacolano tale tipo
di lavoro. In forma accentuata anzi
tutto perché l’Italia arriva piuttosto
tardi: tutti i centri citati sono sorti in
questo dopo guerra. Inoltre, se in
molti paesi i centri nascono sul
ter-(4) Citiamo a questo proposito un passo
di una recente circolare del Ministro Vigo- relli agli Uffici del Lavoro e della Massima Occupazione: « ... L ’opportunità che i lavo ratori abbiano esatta nozione delle finalità che i cantieri di lavoro e di rimboschimento ed i corsi di addestramento professionale si prefiggono e dei benefici di cui, attraverso essi, si intende farli giovare, nonché di for nire ai più bisognosi quegli aiuti che sono talvolta indispensabile premessa all’utile frequenza dei cantieri e dei corsi, induce ad affidare ad assistenti sociali il compito di essere vicini ai lavoratori per porgere la loro più ampia assistenza morale e mate riale possibile. A ll’uopo gli Uffici Regionali del Lavoro sono invitati eco. ecc. » (12 mag gio 1954).
reno di una ricca vita associativa e
rappresentano un punto d’incontro di
tante diverse esperienze associative che
cercano di integrarsi, da noi raramente
la gente che frequenta i centri ha un
passato in questo senso.
Altri elementi che accentuano le
nostre difficoltà: la gravità della situa
zione economica, il non coordinamento
degli interventi e, infine, lo spirito di
parte e 1’aggravarsi delle divisioni po
litiche che rende in molti casi illusorio
l’elemento più caratteristico del cen
tro sociale, cioè l’apertura a tutti indi
pendentemente dall’appartenenza ad
una confessione religiosa o ad un par
tito politico.
Esposta così sommariamente la si
tuazione italiana ci sembra utile porci
le seguenti domande: è opportuno pro
muovere la costituzione di una Fede
razione Nazionale nella quale siano riu
niti tutti i centri di vario tipo che
anzi abbiamo cercato di illustrare? Ov
vero è preferibile inizialmente solleci
tare soltanto la adesione di quei cen
tri nei quali prevale l’intenzione comu
nitaria? 0 infine può essere più utile
invogliare i singoli centri — mano a
mano che riconoscono di avere rag
giunto le caratteristiche particolari del
centro sociale — a volere aderire diret
tamente alla Federazione Internazio
nale e a volere impegnarsi, nello stesso
tempo, a fornire attraverso il Comitato
Italiano di Servizio Sociale, una perio
dica documentazione della propria atti
vità affinché ne siano informati — sem
pre a cura del CISS — tutti quei
centri di diverso tipo che si sforzano di
adeguare la propria funzione a quella
dei Centri Comunitari veri e propri?
Il Comitato Provvisorio Centri So
ciali pone a se stesso ed alla Federa
zione Internazionale queste domande,
nell’intento di indirizzare la propria
attività futura nel modo più efficace, e
perché è sicuro di potere ricevere dalla
discussione e dalla esperienza dei de
legati presenti, utili consigli ed orien
tamenti.
Discussione del rapporto italiano
Il rapporto italiano (5) è stato letto
e approvato preventivamente da tutti
i rappresentanti degli enti aderenti al
Comitato di iniziativa, nonché dagli
osservatori italiani presenti alla riu
nione: la dott. Casara del Comitato
Centrale per l’Educazione Popolare,
il dott. Chilosi della Divisione Assi
stenza del Ministero del lavoro, il
prof. Serafini dell’Istituto Italiano dei
Centri Comunitari, la dott. Delmati
dell’ONARMÒ, la dott. Chimenz del
l’Unione Lotta contro l’Analfabetismo,
il dr. Orlandini per il CASAS, ecc.
Il rapporto italiano è stato com
mentato molto favorevolmente dai de
legati di tutti gli altri Paesi presenti
alla riunione, alcuni dei quali (USA)
hanno sentito il bisogno di rallegrarsi
del contributo di pensiero apportato
dai delegati italiani.
Il pomeriggio del giorno 3 giugno si
è impiegato quasi interamente nella
discussione dei problemi posti dai vari
rapporti nazionali e si tiene a preci
sare che oggetto di particolare atten
zione e discussione hanno costituito le
ripetute domande poste dai delegati
italiani, al fine di conoscere quali si
dovessero ritenere i requisiti essen
ziali di un centro sociale e, in parti
colare, se tali requisiti potessero iden
tificarsi in quelle caratteristiche fonda-
mentali elencate nel rapporto italiano.
Dopo un approfondito esame della
questione, tutti i delegati hanno con
cordato sulla convenienza che il Comi
tato Permanente della Federazione In
ternazionale dichiarasse di accettare
tali punti come i principi generali cui
(5) Quanto segue è estratto dalla relazio
ne della dott. R . Stasi al Comitato Italiano di Servizio Sociale (CISS).
deve ispirarsi l’organizzazione e il fun
zionamento di ogni centro sociale che
voglia servire bene il suo scopo.
Tale deliberazione è di particolare
valore per noi italiani, in relazione alla
eventualità della costituzione, in tempo
più o meno prossimo, di una Federa
zione Nazionale Centri Sociali, che sia
rappresentativa di organismi omogenei.
A tale proposito è anche utile
precisare che — a seguito dei pareri
espressi dai vari delegati intervenuti
nella discussione — si convenne sulla
opportunità di raccomandare ai diri
genti dei centri sociali di voler seguire
sempre più il metodo del lavorare
« insieme » (avec) agli utenti dei cen
tri e non solo a loro favore (pour).
In altri termini, la partecipazione at
tiva alla vita del centro da parte del
maggior numero possibile delle fami
glie e degli individui utenti del centro
stesso, deve essere considerata l’ele
mento indispensabile per ogni azione
che si voglia condurre in modo effica
cemente educativo.
Al quesito finale posto dal rapporto
italiano, relativamente all’opportunità
che i singoli centri sociali, aventi i
necessari requisiti, aderiscano diretta-
mente alla Federazione Internazionale
(sull’esempio del centro sociale « Casa
mia » di Napoli), il Comitato Perma
nente della Federazione Internazionale
ha risposto precisando di dover rite
nere una tale procedura come la meno
desiderata e consigliabile, poiché non
consente l’incontro sul piano nazionale
dei centri sociali di un determinato
Paese e non agevola, quindi, quel pro
gressivo evolversi e perfezionarsi che
può, invece, essere conseguito dal pa
ragonare le rispettive realizzazioni e
studiare insieme le modifiche e le
innovazioni utili da apportarvi.
L’ U NRRA CASAS e i Centri Sociali
di Paolo Volponi
Il lavoro sociale del CASAS si propone come desti
nazione ultima il centro sociale.
L’idea del centro sociale è però già matura, dif
fusa nei Gruppi e coltivata dagli assistenti sociali;
del centro sociale proprio come luogo di raccolta,
di discussione ed impostazione dei problemi locali
sia di gruppo che comunitari.
Ora bisogna vedere come e dove questo lavoro
abbia trovato i suoi motivi di sviluppo, e quando
nelle sue intenzioni si sia innestata quella dei centri
sociali. E ancora, cosa molto importante per chi
voglia conoscere i significati più intimi di questa
linea di sviluppo e la base di partenza verso il centro
sociale, quanto il succedersi delle fasi e l’amplifi
carsi degli scopi sociali sia avvenuto per iniziativa
interna al Servizio Incremento Economico Sociale
del CASAS, oppure per le pressioni dell’ambiente
esterno, cioè in accoglimento da parte degli organi
periferici di istanze di gruppi o di iniziative preesi
stenti nell’ambiente.
Verificandosi il primo caso, sarà ancora interes
sante distinguere fra una iniziativa dal basso, presa
dagli assistenti sociali e dai Gruppi di fronte a certe
realtà, o una iniziativa, o meglio decisione, assunta
dai responsabili del Servizio in attuazione di un pro
gramma prestabilito.
Per riuscire a cogliere queste distinzioni e questi
momenti di maturazione è necessario rifarsi al la
voro, ripeterne le fasi con giudizio, interpretarne i
risultati.
Il lavoro iniziale, la somma dei suoi interventi
quotidiani ed immediati, si potrebbe dire accidentali,
se non si temesse di suggerire un’idea di provviso
rietà o di precarietà, non serve direttamente a questo
esame; se ne possono invece derivare gli spunti
Sviluppi verso il centro sociale
per iniziativa centrale dell’ente o in seguito alla naturale pres sione dell’ambiente
Passaggio d a l l’assiste n z a in senso stretto al servizio sociale.
I tappa: l’assistenza familiare.
per una valutazione delle premesse ad un lavoro
più attivo; si può vedere cioè quanto ha significato,
al di fuori della contingenza, l’aver portato un carico
di indumenti, di vecchi giornali illustrati o di mate
rassi, per il lavoro successivo in quello stesso paese;
o quanto il ricovero di un ammalato a bordo della
jeep, o la presenza stessa dell’assistente sociale
nelle case per la cura della pulizia, dell’alimenta
zione, dei cosiddetti primi passi della ripresa.
E questo, oltre che per l’immediato peso materiale,
per l’apertura di un rapporto, per l’accettazione reci
proca fra assistente e assistiti.
Quanto hanno significato i fatti dell’assistenza in
senso stretto perché la « Signorina dell’UNRRA-
CASAS » diventasse l’assistente sociale; perché l’in
tervento assistenziale si arricchisse di altri dati
fino a diventare un’operazione di servizio sociale?
In questa sede è sufficiente porre questi interro
gativi, che indubbiamente susciteranno in chi è
da quei tempi al servizio del CASAS una somma
di ricordi che ora possono facilmente trasformarsi
in quelle ragioni che interessano. Ma questo è valido
per tutti quelli che hanno operato ed operano in
campo sociale.
Un’assistenza di quel genere, nemmeno da chia
mare « familiare », che si rivolgeva indiscriminata
mente a chi si trovava in un dato stato di bisogno
— povero, malato, senza tetto, disoccupato — al
di fuori di ogni altra sua condizione ed anche di
quella familiare, si andava superando da sé, veniva
annullata, mano a mano, dalla stessa dimensione
della sua mole: i suoi interventi, appena prodotti,
si esaurivano (portare uno all’ospedale, fare un
libretto di lavoro, attribuire un sussidio).
L’assistenza diventò « familiäre » quando in un
secondo momento l’assistente sociale incominciò
ad interessarsi dei nuclei familiari come tali: la fami
glia e la casa, la famiglia e il suo stato di bisogno,
il suo stato sociale, morale; rapporti tra i genitori,
tra i genitori e i figli.
Forse inizialmente il nucleo si offrì all’assistente
sociale o l’assistente sociale lo scoprì quale cifra
amministrativa, assegnatario di alloggio; o forse
l’assistente lo ricompose attraverso vari interventi
di primo tipo.
È certo che ancora in queste fasi giocavano un
ruolo di primo ordine l’improvvisazione e la com
partecipazione, la spinta affettiva. Nelle relazioni
di quel tempo gli assistenti parlavano di tristissimi
casi con accenti accorati, veramente patiti, come dei
casi di loro parenti. Sembrava che dietro la fami
glia, indicata con cognome e nome di tutti, e dietro
questo affetto, non ci fosse niente altro; il villaggio e
tutto il paese erano una teoria, ben distinta, di casi.
Questo era certamente un grosso rischio: conce
dersi a tali tristezze, reagire su un piano affettivo;
poteva voler dire legarsi a tale lavoro e non riuscire
a vederne l’uscita, non trovare cioè una soluzione,
nel tempo, agli stessi casi.
Altri due elementi concorrevano a tale rischio:
quello sempre presente di un « vezzo » degli assegna
tari a restare in quel comodo stato di tutela, che
finiva per giustificare ogni abbandono, ogni man
canza di iniziativa; e quello frequente della mancanza
di una precisa capacità professionale da parte del
l’assistente, che perciò non trovava una soluzione
di mestiere, una illuminazione teorica del caso.
Un terzo elemento era poi la contemporaneità di
diversi generi di lavoro per lo stesso Gruppo, giacché
si riproponevano di frequente i primi problemi di
assistenza ai villaggi che mano a mano venivano
assegnati e la necessità della presenza di uno stesso
assistente sociale in più villaggi.
Ad ogni modo il rischio di un ristagno del lavoro
sociale fu superato, probabilmente per l’ampiezza
che i Gruppi avevano saputo dargli, ampiezza che
svuotò gli affetti, le premure costanti, e che diede
agli assistenti sociali una forza di iniziativa che li
portò fuori del villaggio CASAS, alla scoperta dei
problemi di tutti.
Inoltre gli stessi ambienti, incuriositi o interessati
iniziarono le loro pressioni sugli assistenti sociali.
Non va poi dimenticato che spesso, anche durante
la prima fase, gli assistenti sociali si erano mossi
di fronte a problemi locali, quali quelli dell’asilo,
della colonia, del patronato, con grande efficacia
Partecipazione effettiva dell’as sistente sociale al « caso » : ri schio di esaurire l’assistenza in un interesse e motivo;
tendenza degli assegnatari ad adagiarsi in uno stato di tutela.
11 tappa: pressione degli am bienti sugli assistenti sociali. Evoluzione spontanea verso l’as sistenza di gruppo.
e copiosi risultati, e che quindi erano in qualche
modo introdotti almeno nel paese se non proprio
nel vivo della comunità sociale.
Intanto, mentre il lavoro cresceva gradualmente
di volume — sembrerà un assurdo — guadagnava
di intensità, di un senso preciso, perdendo il vizio
di una assiduità controproducente e diminuendo per
forza di cose la sua carica affettiva.
Inoltre l’assistente si trovava automaticamente a
rappresentare di fronte aU’opinione paesana la pio
t i cinema al Villaggio
di Gamherale
cola comunità del villaggio, ormai stabilitasi, se
non per altro, in virtù dei rapporti di vicinato; ed
allora fu costretta ad accettare tale comunità, a
penetrarla.
D ’altro canto aveva in carico problemi comuni a
tutti gli assegnatari, che poteva curare solo di fronte
al gruppo completo; fossero pure soltanto quelli della
manutenzione-alloggi o della cura dell’accesso al
villaggio. Ma vi erano anche quelli dei rapporti
fra vicini, fra le donne, fra i fanciulli. Così mentre
l’assistenza diventava in concreto « familiare », assu
meva in pratica anche il mezzo della tecnica di
gruppo. Allora le relazioni di lavoro cominciarono
a parlare di riunioni di capi di famiglia, di madri,
di ragazzi, non solo allo scopo di impartire disposi
zioni amministrative, ma in ordine ai problemi del
l’igiene, dei buoni rapporti, dell’educazione dei figli,
della disoccupazione.
Va detto a questo punto che le cose non si succe
dettero solo così automaticamente; ma furono spinte
dai Gruppi, dalla loro coscienza e capacità. Lo stesso
coraggio — ci sembra il termine più adatto — che
una capo gruppo aveva dimostrato quando tolse
un morticino, troppo a lungo pianto, dal letto di
un’accanita pietà famihare, veniva ora usato per
una faticosissima apertura dell’attività assisten
ziale, per l’azione nel paese, per una necessità di
conoscenza, di ricerca di rapporti, di nuove inten
zioni nel lavoro.
Gli assistenti sociali, mentre 'ancora si dedicavano
alla cura delle famiglie ormai con un chiaro princi
pio educativo, cominciarono il rilevamento dei pro-
. blemi più vasti sia sociali che economici. Dal canto
suo la Sede Centrale seguiva i loro sforzi - diffici
lissimi se si considera che con quella ansia di ricerca
che muoveva i Gruppi si poteva cadere di fronte a
problemi troppo vasti ed inattaccabili, i problemi
totali della vita economica di un paese, che avreb
bero finito per frustrare ogni tentativo e poi scorag
giare gli assistenti sociali — avendo riorganizzato
tutto il Servizio Sociale, con l’assunzione di perso
nale specializzato, fino a porsi in grado di indiriz
zare tecnicamente i Gruppi.
Nel contempo si compiva quella trasformazione,
alla quale si accennava in principio, da un’assistenza
generica, anche se vasta, a un meditato servizio
sociale dalle molteplici iniziative.
Questo avveniva non tanto per una differente
natura dei fatti assistenziali, quanto per una definita
intenzione educativa che meglio li informava e
che li inseriva su un piano armonico e generale di
conquista dei problemi. Le azioni non avevano più
un carattere di provvedimenti unilateralmente presi
di fronte a certi stati di bisogno; ma si completavano
111 tappa: si giunge a perce pire i problemi deila comunità.
Valore educativo dell’assistenza familiare.
La famiglia come gruppo es senziale. Dalla coscienza fami liare alla coscienza comunitaria.
bilateralmente, per un’azione dell’assistente sociale
che si proponeva ad una consapevole accettazione da
parte del destinatario.
La novità era costituita dalla ricerca di una
coscienza dei soggetti, di una maturazione di un
senso esatto di responsabilità.
Appare evidente come questo sia legato all’idea
del centro sociale.
Infatti nel campo di un servizio sociale familiare
ogni intervento, che non abbia carattere assoluta-
mente straordinario e non si diriga ad un caso pato
logico, presuppone nei soggetti un substrato di edu
cazione, un riposto senso morale al quale si dirige;
attraverso cioè una serie di mosse mira a scoprire
una sanità congenita, offrendo solo dei nuovi modelli
o schemi pratici.
La famiglia in sostanza si rigenera per forza interna,
riportata in superficie, per una cultura che ha come
dato permanente di una antica civiltà rurale. Ma è
chiaro che sul piano di questa ripresa di coscienza,
di questa maturazione individuale, si pongono i
problemi del gruppo sociale, come somma delle
esigenze individuali e come dati di natura col
lettiva.
Nel nostro paese non vi sono funzionanti delle
comunità sociali — eccetto rarissimi casi — , non vi
è generalmente una cultura comunitaria.
L ’unica sede della cultura popolare è la famiglia;
l’unica tradizione, che ingannevolmente sembra a
volte giustificare tutto un paese o una regione, è
familiare. Il rapporto della popolazione con il ter
ritorio è familiare. Né tutto questo è smentito dal
fatto che in alcuni paesi sembrano strettissimi i
rapporti, addirittura comunitari; ma sono così solo
per vecchie ragioni di sicurezza o per un semplice
fatto associativo.
Ora ciascuno rimastica il proprio problema in
solitudine, anche se vicino è un altro che tace preoc
cupato dallo stesso problema.
I gruppi esistenti sono legati da fatti secondari,
generalmente dai motivi di un comune desiderio
di evasione (sports, ricreazioni, ecc.) e non hanno
un sostanziale significato sociale.
Il cinema al Villaggio di Oamberale
Una volta, si diceva poco fa, che l’assistenza fami
liare abbia dato a ciascuno la coscienza dei propri
problemi, avvengono i trasferimenti sul piano col
lettivo. Ma per questo c’è bisogno di tutta una
serie di contatti e di una nuova educazione, perché
le energie si ritrovino comuni di fronte ai problemi
diventati comuni.
L’azione sociale si diffonde su un nuovo piano
educativo, dove l’educazione è intesa universal
mente, non solo come fatto culturale o utili
taristico, ma rivolta a tutti i cittadini come
tali.
La riscoperta e il ravvivamento di una coscienza
famibare possono servire a suscitare negb individui
il senso della comunanza con altri di alcuni loro
problemi, dei problemi della « cittadinanza »; ma
non ad impostarli praticamente e ad affrontarli
poi su un piano di collettività, tanto più che, specie
nel meridione, tale coscienza familiare conserva il
vizio originale della sua formazione, spesso avvenuta
in difesa dalle « cricche », da una società non sentita
Interesse ai problemi della co munità: il fine di una nuova educazione.
L ’idea di centro sociale.
Perché gli individui si pongano, depositari di una
cittadinanza, su un piano sociale, per esercitare
tutte quelle azioni che dalla cittadinanza discen
dono, occorre che siano inseriti nella comunità,
della quale avvertano la dimensione in rapporto a
quella dei loro problemi.
Ma questo si può fare allacciando all’educazione
familiare e a quel « sapere naturale » (proverbi, canti
popolari; costumi, ecc.) che ha permesso il perpe
tuarsi delle civiltà rurali e la cui validità si avverte
di fronte alle tristi manifestazioni dell’urbanesimo,
questa nuova educazione della quale si parlava;
svolta in gruppo, portata ad arricchirsi nel [centro
sociale, inteso proprio come strumento di « leva
democratica », la cui idea si vede già ben chiara a
questo punto.
Questo processo è stato intuito dai Gruppi del
CASAS, avvertito di fronte alla realtà dei problemi,
forse non identificato e chiarito in tutti i suoi mecca
nismi, ma certamente assimilato. (Il problema di tale
identificazione e chiarimento è il problema odierno).
Come si spiegherebbe altrimenti d’idea di centro
sociale che essi hanno avuto, spesso originale, e i
tentativi fatti in questo senso e coronati da successo ?
Quando cominciarono a chiedere i locali per « far
stare insieme la gente » o i finanziamenti per « le
comitive » (la parola gruppo è successiva e meno
affettiva) non pensavano, questo è certo, solo a
scopi ricreativi, a dei circoli dei giocatori o a
gruppi di sportivi.
Richiedevano già l’istituzione di biblioteche, di
ambulatori, di corsi di cultura, di addestramento, ecc.
Capivano la necessità di muoversi su un piano
comunitario, di affrontare le complesse situazioni
locali, di sprigionare nelle popolazioni possibilità di
libere iniziative; di portarle cioè su un « piano sto
rico », si potrebbe dire, se non si volesse restare in
questo clima di umiltà proprio del servizio sociale e
così aderente ai suoi scopi ed alle sue azioni.
Per questo i Gruppi accettarono con entusiasmo
la gestione dei corsi di educazione popolare, che per
mettono una educazione ampia, come si richiedeva,
e praticamente la scelta di gruppi o un’azione nei
confronti di gruppi precostituiti, svolta con la colla
borazione di forze interne alla comunità e in una
sede di incontro di diverse categorie sociali.
D ’altra parte presero anche l’iniziativa di interve
nire in campo economico con l’aiuto all artigianato
e con l’istituzione di cooperative.
Si diceva poco sopra che il problema del Servizio
Sociale della Prima Giunta dell’UNRRA CASAS è
oggi quello della identificazione dei meccanismi e
del chiarimento delle fasi di un lavoro che si dirige
all’obiettivo dei centri sociali.
Ora il Servizio dispone di un programma preciso,
ormai accettato dai suoi Gruppi, che si articola nei
punti di uno studio preliminare dell’ambiente, con
dotto direttamente dall’assistente sociale; di una
assistenza familiare meditata, delle attività di gruppo
fino al potenziamento della comunità.
Sul terreno accidentatissimo dell’assistenza nel
nostro paese il CASAS si muove con chiarezza: mira
all’istituzione di centri sociali in quei paesi dove ciò
è possibile per la presenza di precisi rapporti fra popo
lazione — territorio — problemi, dove l’ambiente
sociale è vitale e per il quale il termine comunità
non è un’arbitraria definizione (naturalmente un
ambiente di questo genere risulta da un complesso
e minuzioso lavoro precedente), o si accontenta di
operare nel proprio villaggio e fuori, per quanto,
possibile, nel campo di un servizio sociale dagli scopi
ben determinati, di riportare le famiglie curate al
livello sociale dell’ambiente. Rinuncia cioè in questo
secondo caso al lavoro educativo più complesso,
operando però anche nei confronti della comunità
con interventi tecnici sulle gestioni EOA, asili,
colonie, ecc., venendo ad acquistare un carattere di
assistenza di condotta.
In ogni caso si muove con degli obiettivi precisi
e al di fuori di un’assistenza produttrice all’infinito
degli stessi interventi quotidiani, che si ripeta con
noia tremenda di chi la fa e con nessun effetto,
anzi con gli effetti controproducenti di alimentare
stati di passività e di rinuncia, in chi la riceve.
Questo modo di lavorare ha consentito risultati
completi e numerosi, anche nel campo dei centri
sociali.
Valore comunitario dei corsi di educazione popolare e va lore educativo della collabo- razione tra i gruppi.
Gli obiettivi precisi del lavoro sociale CASAS: il centro sociale, la condotta assistenziale.
Corso di educazione popolare al Villaggio UNRRA CASAS di Castel di Sangro
Piano per la istituzione di cen tri sociali.
Alcuni sono già funzionanti come tali, anche se allo
stato iniziale e più come speranze che realtà effettive;
altri allo stato potenziale e prossimi a concretarsi.
Quasi tutti godono dell’apporto di gruppi sensi
bilizzati con corsi di educazione degli adulti e sono
aperti ad una serie di attività e di collaborazioni
locali; dispongono di una sede propria, certe volte
messa a disposizione dai comuni che in alcuni casi
garantiscono anche un finanziamento (Orsogna),
e di una propria attrezzatura.
Il movimento dei centri sociali è ormai cosi vasto
che la Sede Centrale del CASAS ha ultimamente
condotto un rigoroso censimento delle iniziative in
questo senso più avanzate (si nota che quelli esi
stenti sono stati censiti attraverso il difficile questio
nario redatto dal Comitato di Iniziativa per una
Federazione Italiana dei Centri Sociali) per poter
di conseguenza programmare un esatto piano di
lavoro e di investimenti.
Tale piano ormai definito, prevede la costruzione
di edifici o l’adattamento di locali esistenti e l’attri
buzione di attrezzatura per numerosi centri sociali,
in via di organizzazione con l’integrazione di ini
ziative già in atto.
Non sembra opportuno riportare in questa sede
le cifre o i dettagli del piano, tanto più che questa
rivista si ripromette di documentare nel corso delle
sue pubblicazioni le attualità dei centri sorti nel
nostro paese.
L’aver illustrato con questo articolo il lavoro del
CASAS riguardo alle sue intenzioni di centro so
ciale, sembra esaurire di conserva un discorso sui
principi dei suoi centri, che appunto risultano per
conseguenza. Caso mai si può rimandare ad un’altra
volta l’esame della loro pratica applicazione, che natu
ralmente risulta condizionata o incompleta proprio
per una fedeltà totale agli ambienti ed alle loro varie
necessità.
Basterà dire che un piano per la costituzione di
centri, redatto a questo punto, è un atto coerente
ad un’intenzione chiara e ad una metodologia ormai
precisata e sperimentata.
1 ¡OIDOS "SSD 2 a 13 0 19 54 3I | 6iU1D) 624 758 774 544 i 31 0 I 18 0 56 0 39 2 16 0 14 0 13 6 28 76 ! 4 6 8 2 a te s i n a n n o ¡ 6 6d| |¡a i n N - v O r o O r o c n c S L D T - ' ^ - T - r oT- ro cN (S m ol T-J185 en fì c e ss o 19 53 ¡¡OIDOS ’ SSD j ^ v o o x ' O i o x r o c o ' 0 < S B - c o r o ! 1 05 I ro v lo s t 3¡¡6 ¡tUDJ 624 734 744 524 310 164 560 392 160 140 136 28 36 n K > a )p c ■ » . . q i6 6d| | ¡a i n MT- ro (S (S m f l N O r l i n t S ' n i - t r r fS T- S -D " 2 « 19 52 ¡¡DIDOS "SSD u i ' í O Í O t O í D ' O N »1 | tt 0'3 0 S -g 3¡ | 6ilu d j 564 686 742 508 31 0 16 4 53 6 31 2 16 0 10 4 4 0 8 6 d e ll e < q u a li : 6 6d¡ |¡a ■ « r v O i n O O f S r o O i O T- m fS (N m e l T- ¡ « ^ | I I II I » g 19 51 ¡¡DIDOS ‘ SSD N O O O i T - N r - L n O i S j o l | | ^ £ 'a. •- a. 0¡ | 6 ¡U lDj 480 566 644 472 310 24 436 312 160 104 350 8 tr a s fe 1 u è G r i ¡ 6 6d¡|¡a T- m (S T- ro r r ( M C D O r j - O m <N T- I C O I I I I 1 rs m '53td e s 19 50 ¡¡DIDOS “SSD v O t O O O t r - C O ^ N | r l | j » g a o ; ¡6 ;iu D j I 48 0 50 6 63 2 40 8 29 4 24 43 6 25 6 14 0 72 ? « e s y ° s ¡ 6 6o|¡¡a 11 29 21 14 29 1 21 7 4 2 R - i ' ! ' s i . ¡¡DIDOS 'SSD i n r - N O O ' J t O i C D | N | | O eo u 0) ^0 3¡|S lU ID j 196 350 400 288 182 396 216 140 ce >0 « t o ~à uQ- O ¡ 6 6d¡|¡a 5 18 15 11 22 19 5 4 f i^ Q) 3 J 3 /i co 0 5 k. 0 > 0 ! ¡DIDOS "SSD T f e o n v O r - | o a > s | | i 1 1 5 6 4 5 > ss o n o ri s u lt st e ss o a s s is t d¡ | 6 ¡iu d} 88 184 014 148 260 216 116 ¡B 6d| |¡a (S ce ’ I- 'T | | 0 m <N | | | | so a. n _o "5 u a ti a e i i 19 47 ¡|D¡DOS 'SSD I <• I “ > I I ♦ N I I I I a s « d i| 6 ¡u jd} 120 48 814 204 88 76
s
«o i l« E 1 ¡ 6 6d¡¡¡a | “ > « t | | r - | | | | co IS ¡2 o 0 G R U P P O A S S IS T E N Z A U D IN E ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... B O L O G N A ... ... ... ... ... ... ... ... ... . F O R L Ì ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... C A R R A R A ... ... ... ... ... ... ... ... ... .. A N C O N A ... ... ... ... ... ... ... ... ... .. R O M A ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... C A S T E L D I S A N G R O ... ... ... ... ... .. P O N T E C O R V O ... ... ... ... ... ... ... ... S A L E R N O ... ... ... ... ... ... ... ... ... .. M A T E R A ... ... ... ... ... ... ... ... ... .... C A L A B R IA ... ... ... ... ... ... ... ... ... .. C A T A N IA ... ... ... ... ... ... ... ... ... ... T O T A L I... ... ... N O T A — L e c if re re la ti v e a< c o rs o d i u n a n n o . P u ò d a rs i, p p ro p ri a a t t iv it à . i 9- 0 ID C J, 2 2 O -0 E 2 o-S E 0 v. . «j O- e •- <D -0 E <d Ou.aJ . a s i e ÜJ "D QJ X O N _ g s a f-g ECD E p CD 0 s o3 E S - P c l i . !D u e O 0 Ñ -O 0 u x O § (D C O Ñ _o 5 - s i § > <D -= O y -S'£§ -Q S <D Svi L. Ol W3 l f sE i2 LD — "T Xi 0 'ài P a (y = <O „ w= O. O O CD Cl r-. 'S 0 — 0 N.1 0 eC -tr CD C g ti Di O 2"ò 0 M O U3 0 c E o i .1e 0 •O N £ £ 0-0 § . . X Z " p -0 e V . 0 ..-ò^ j j .0 X •a. e e I o ~ ■ s ! s c = CD O E - o I S E S c £ E ^ — c 2ò « g a c -2 c o « S a r lU C — (O-O-fD-O. v) •- -C. c "0 ^ 2■s gu
i l r * O t 3 0) o U 'C <DC CD O C ? 8 - 2 3 S S ' E U C ■Q. CTi CD ■ — 3 d j: a - <u = u c 8-5 - 5 c *¡ _CD 'Ò )C 0 "D _O_0J c '2 tí .2 o> 2 i. ò <U ?> ¿ i l o O O - d s .2 o 2 *5 , « N ._ ” "p Q. V X) O C - í° tP 2 u o E 5 .2'Ñ E:
tìqj > « a o d2 o " g g S ^ o d d 5 ^ 1 § ^ O . o § - S ; s»••I s S
, § . § £ o. ^ D E - ro O * g -2 £ o ° s | E E o o 3 § u a> o a i c o o 3 | . E o o o "o cO) ~ <iT ° cu ì: .2ì§ -2 C i a o p: « " O § o § 3 ® Z l '5 N ffO • S u j -2 C <D E o « t u 8 s £ S ' ù r i i ° 5 « ■g "S ._ "■ " ~S-DU
03
§
O - O ^ S1 ■ CX-- o ~o o o C a c <d -O O >■ <D o O O ¿¡ . - 3 0 . ._ sE S ! s ^ £■ „ u 'Ò) D g " ° 0 --Ef g l g s K I
~ l s . i g = s "C o •- p ^ n 5 ' 1'§ S i i §22:
” i 8 = 5 ? e — a = : c ^ o ’x - g > a J 9 o ¿ E k n ~ S o co (D
O l2
o E £*■ 2 •— <D c ■Q. +-> i/> o o o M 1 5 E l >— O uS C E O ' .2 S E g ~ é . § g g | “ l _" si S i l i s i i
C O) CD O . E o o ' o ; - 5 a » : : CD CDo ‘pì'O r
■■
3
-CD X o JO - — U O 'Ñ • s t lS f i o-|S « Í 8 ¡ • ; § ! g "®-5 . : B ° c r g ID o fll .2 .5 o o c -2 w y > o c c o a E r i : o -j x> o o *> ^ co —
g&l gl feg
s --- " c, o x n j¿ Zg D~ 5 \ , 2 ò O o g 3 § E « § CL-^~ on 2 o o O _ -o P c ■o ■O 3 O C Ì 3 C — - ■d' - 5 5 ” ! * = 3 Ü 5 * o c o p i ID C ■ E 0.0= iH isa11
S 5 aa; o>_a) p 5 c" s “ s ° Qj a ’ P ^ ~ C U 2 ¿3 Pi -2 O £ CD E O -Q CO .0 o > o 53 . a "o O . S c O o O a) 3 o «3.0*5 § Ce 01 S^-g-gs-2^ s ù o’ o a j a 2 ° S ò § 2 ^ . g | o - o•
- "TS
e o e ..
2
- -• £ 3
a°-Ñ a <u' ° E 2 o c S ° l | o - g S oUO-Oe-«¿.ü¡ .e- > ~D O- ,C C — 0 ° ir 5 •= O) T> ■ 2 S - o 3 0 — ♦j_cd o -5 ce — £ § g a 7 l ’S T ’ " “ ■ § “ ! o . - r -s . CD ~-3 ^ : 2 2 2 -o _2 ^ -o 3 ¡ J- CD o 2, w 0 0*2.E ^2 - 2 . E p e ! « g I I a e o 33- t !D C O- 2 T O o ?E « „-SR^ ^ S3> e e_ O <*= P. ? -2 S 2 . s CD 2 0 ^ 0 0 ^-s ^ M -s l i ü l ü l
^*"5 2n O ^ a ® o 1
o, ° 0 0 g E á | ¿ K OS S ¿1 -| | ¡- = I I §
« D o A ^ f f S - E C ID E o : S § s ~ ■ S o - o g ; : s CD 'D - X c O -2 - 0.TD05 O a o 3 O. CD — a •-^•¿■>wcDci:crS2.i.Si
M o e 'S *5 — e ._ ^ a ^ N CD .2 CO o a O « — CD CD ei ?a=s0- ."'
• - —• O «S.T“ il •s d3£“3
o -C ■ i 0 .5 N -2 : £ & >|S' o 3 xC > a C -O -, ) > C „ ? 0 D o i i : ? Il- S S s i i8 se 5 .0.0 5„
- ^ S à g g S g
« - ^ 2 c E e i o- . - .3 a p eE ^ ;p 1
17Gli enti di riforma e i Centri sociali
di A chille A rdigò •
Assegnatari di terre, poderisti, quotisti Hanno diritto all’assegnazione delle terre espropriate, quei « lavoratori manuali della ter ra » che — secondo la legge Sila (art. 16) «non siano pro prietari o enfiteuti di fondi rustici o tali siano in misura insufficiente all’impiego della mano d’opera della famiglia ». La terra espropriata viene as segnata, secondo le disponibi lità, la qualità dei terreni e le suscettibilità di trasforma zione, a quegli aventi diritto che ne hanno fatto domanda. Tra gli aventi diritto gli enti stabiliscono delle categorie di priorità (l’aver già lavorato le terre espropriate o avere rap porti di lavoro per esse, il carico famigliare ecc.). Gli enti assegnano poderi 0 quote.
I poderi (in media dai 6/8 ai 10/12 ha) sono aziende suffi cienti ad assorbire tutta la capacità lavorativa della fami glia contadina (aziende lavo ratrici autonome).
Le quote (in media da 1 a 3/4 ha) sono «frazioni di ter reno che vengono generalmente assegnate per integrare il fab bisogno alimentare di famiglie contadine già insediate su altri piccoli fondi... » (dalla circo lare 37/97, del 30 novembre 1953 del ministro Salomone). Gii assegnatari riscattano le aziende in 30 annualità. Il prezzo della casa con annessi e degli altri miglioramenti fon diari è in genere circa un terzo del costo.
Un discorso sui centri sociali, possibili o poten
ziali, nelle zone di riforma, non può essere avviato
senza un richiamo alla natura degli enti che a tale
riforma sono preposti.
Anche dall’esamé sommario di quelle esperienze
che vanno sotto il nome dei centri sociali o comuni
tari, appare infatti indubbio che questi non sono
da considerarsi come elementi prefabbricati, gli
stessi per qualunque costruzione e con qualunque
linea architettonica.
Un centro sociale è possibile, e si caratterizza, solo
in rapporto con l’esistenza di dati scopi e metodi
delle persone o dell’ente promotore e con la strut
tura sociale in cui s’inserisce.
Con questo scritto si cercherà appunto di intro
durre — in linea generale e preliminare — lo studio
di tale rapporto, nella speranza che dalle esperienze
di base del lavoro sociale negli enti di riforma e dal
l’esame dei problemi di indirizzo e di metodo che si
aprono, altri possa alimentare una profìcua discus
sione sull’argomento.
Due punti sono inizialmente da accertare:
1) se gli scopi e i metodi del centro sociale
siano omogenei a quelli degli enti di riforma;
2) in caso affermativo, quale sia — nella strut
tura organizzativa periferica degli enti e nella realtà
sociale in cui questi operano — l’ambito entro cui
conviene che il centro sociale sia inserito.
In ordine al primo punto va detto subito che
ciò in cui meglio si manifestano, in concreto, gli
scopi e i metodi degli enti in relazione alle possi
bilità di formazione di centri comunitari, è l’orga
nizzazione dei servizi sociali.
Questi hanno raggiunto, negli enti più attivi,
un grado di differenziazione delle competenze, e
perciò delle qualifiche, ignoto fin qui nel settore
rurale in Italia e forse non solo in quel settore.
Si è distinto Yaddetto sociale (per lo più tramite
tra i contadini e i tecnici agricoli per tutte le questioni
contrattuali e i rapporti ufficiali, e incaricato delle
attività sociali per gli uomini) AalV assistente sociale
diplomata (i cui settori di specifica competenza sono
in genere: quello femminile e dell’infanzia, il patro
nato spicciolo, Tinteressamento per i problemi
urgenti e comuni delle famiglie contadine). A
queste due categorie di lavoratori sociali non
manca, negli enti più avanzati, l’ausilio di inse
gnanti locali o di incaricati comunali. Infine, per più
cooperative di servizi tra assegnatari e comparsa la
figura del segretario cooperatore che tende per
forza interna delle cose ad assorbire di continuo
le competenze dell’addetto sociale, nelle attività
economiche, culturali e ricreative. All’addetto so
ciale, subordinato al dirigente tecnico locale, a
differenza del cooperatore, si attribuiscono allora
altri compiti, prevalentemente d’ufficio (mutue sani
tarie ad esempio).
Le iniziative intraprese con varia intensità e dif
fusione da questi lavoratori sociali toccano i settori
più diversi d’attività : dai corsi d’istruzione pro
fessionale e di economia domestica (sia serali che
residenziali) ai corsi di educazione degli adulti (ini
ziati alla fine del 1953), dall’organizzazione di servizi
per le collettività di nuova formazione all’apertura
di circoli ricreativi con spacci, libri, riviste, appa
recchi radio e talora televisivi; dalle riunioni tra
assegnatari per discutere questioni di comune inte
resse, alle feste collettive organizzate dalle coope
rative o dai funzionari, per non parlare delle coope
rative là dove di fatto esistono.
Tuttavia, a questo vasto e per molti aspetti meri
torio lavoro, sembra ogni giorno più necessario un
ordine, né statico né burocratico, che pero renda tale
lavoro efficace rispetto agli scopi sociali di fondo della
riforma e adeguato a rispondere alle nuove esigenze
e ai nuovi problemi che gli enti hanno da affrontare.
Cooperative di servizi fra assegnatari Secondo l’art. 23 della legge Sila, gli assegnatari di terre espropriate dagli enti di riforma «sono obbligati, per la durata di venti anni dalla stipulazione del contratto di vendita [della terra], a far parte delle coope rative o consorzi che l’Opera [Sila e poi gli altri enti di riforma] avrà promosso o co stituito per garantire l ’assi stenza tecnica ed economico- finanziaria alle nuove piccole proprietà coltivatrici. L ’ina dempienza dì tale obbligo im porta la decadenza dall’asse gnazione... ».
Secondo l’art. 22 della stessa legge, alle cooperative o ai consorzi che l ’ente di riforma deve promuovere per « cia scuna unità organica di colo nizzazione » « g r a d u a lm e n te saranno affidati i compiti ed i servizi » già organizzati dagli enti, nel campo della: 1) Assistenza tecnica ed eco- nomico-finanziaria per gli asse gnatari;
2) Istruzione professionale gra tuita;
3) Attività o centri di mecca nica agraria.
N ell’Ente Maremma, che è l’ente di riforma presso il quale l’or ganizzazione delle cooperative di servizi ha avuto finora il maggiore sviluppo, le coope rative sono costituite in media con un numero di non oltre cento soci, e raccolgono i capi famiglia di ogni reparto dei centri di colonizzazione. L ’attività svolta da queste coo perative in appena due anni di vita, è rilevante: dalla gestione di circoli con spacci al piccolo credito ai soci, dall’acquisto
19