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Centro sociale A.02 n.1 Gennaio-Febbraio. Inchieste sociali servizio sociale di gruppo educazione degli adulti

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(1)

V

Centro Sociale

„ inchieste sociali

servizio sociale di gruppo

educazione degli adulti

(2)

C e n t r o S o c i a l e

inchieste sociali - servizio sociale di gruppo

educazione degli adulti

a. II - n. 1 gennaio-febbraio 1955 - un numero L. 250 - abbonamento annuo (6 fascicoli e 12 tavole 70X 100, di cui 6 allegate) L . 2300 abbonamento alle sole 12 tavole L . 1800 - spedizione in abbonamento postale gruppo IV — c. c. postale n. 1/20100 - Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 - Rom a - telefono 593.455

S o m m a r i o

G. B. Angioletti i Casa a nove piani

F. S. Milligan i Famiglia e vicinato

Eugenio Gentili 8 L ’unità di vicinato e l’urbanistica

Lidia de Rita 13 Il vicinato come gruppo

19 Cenni bibliografici

21 Documenti

21 Notizie

28 Distretti, Gruppi assistenza e Villaggi del-

F Un r r a Ca s a s

29 Estratti e Segnalazioni

Psicologia del lavoro in équipe - Esperimenti di montaggio — Relazioni di parentela e relazioni di vicinato - Organizzazione della Comunità Allegati

Il comune (tavola di M . Sortino - commento di G. M olino)

Documentari: Club dei vicini USIS); Il Parco Nazionale di Yellowstone(USIS)

Periodico mensile redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ U N R R A CASAS Prima Giunta

Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio M olino,

Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnoili, Angela Zucconi - Direttore responsabile: Paolo V olponi - Redattore: Anna Maria L evi

(3)

CASA A

NOV PIANI

Da più di due anni abito a Roma in una casa

del quartiere Flaminio. È un edificio di costruzione

recente, a nove piani, e v i trovano dimora ventisette

fa m iglie: tanto quanto bastava nei tempi m itic i a

form are una tribù. M a della tribù questo centinaio

di uomini, donne e ragazzi, non ha davvero nulla.

F u o ri del proprio appartamento nessuno conosce

g li altri, se non per fuggevoli in con tri nell’ascen­

sore; e anzi, se uno dall’atrio si a ffre tta verso la

cabina aperta ma già occupata da un altro, questi

il più delle volte fin gerà di non vederlo, chiuderà

g li sportelli, premerà il bottone, e s’involerà sva­

gato e leggero ad un’altezza ignota. Nessuno ha

nulla in comune con g li a ltri: m o lti sono stranieri

(inglesi, svedesi, americani, fra ncesi), e credo che

fra i rim anenti non si trov i un solo romano (salvo

il portiere, che però è nativo di Caprarola: e si sa

che tra un romano di Roma e un laziale c’è più

differenza che tra il giorno e la n otte). A ffin ità

elettive non ne esistono: uno è commerciante, l’altro

diplomatico, l’altro a ttore; e c’è un conte, un gene­

rale, un bottegaio, un musicista, forse un monsi­

gnore, e così via, ma nemmeno per caso due che

facciano lo stesso mestiere. A lcun i posseggono

l’automobile, a ltri no, ma non verrebbe nuli in

mente a chi la detiene di invitare il coinquilino,

ferm o da un quarto d’ora in attesa del

«

celere

»,

a salire accanto a lui che, per l’appunto, deve per­

correre la stessa strada fino al centro. Salutare

una signora che abita al piano di sopra o di sotto

sarebbe grave scorrettezza, rim proverare anche

affabilmente un ragazzino, che v i urta correndo giù

per le scale, è sicura fonte di insanabili inim icizie

con i suoi cari genitori.

S i sente molte volte paragonare le case di questo

tipo agli alveari. M a io ho il sospetto che in un

vero alveare le api si intendano tra di loro assai

meglio di quanto non ci si intenda noia ltri in questi

nove piani. E poi, le cupi hanno una regina, mentre

noi ci accontentiamo di una sparuta assemblea di

« condòmini », che si riunisce un paio di volte

all’anno per lamentare deficienze alle quali non

verrà m ai posto riparo. M a almeno i

«

condò­

m in i

»,

direte, si conoscono e si parlano! È vero:

Però, solitamente dimorano in altre case, perché

usano a ffitta re il loro appartamento a gente ch e .

di tanto in tanto si rinnova e che non si riesce

quasi m ai a identificare. Un giorno ho appreso

(4)

dai giornali che al mio stesso piano ha abitato per un anno un personaggio fa ­

moso. C’è un nastro bianco sul portone, e nessun inquilino saprebbe dirm i a chi

è nato un fig lio ; mettono piante ornamentali all’ingresso, scende solenne dalle

scale un corteo, e così m i accorgo che il conte aveva una fig lia da m aritare;

a San Silvestro un tale butta dalla finestra un’intera cassa di bottiglie e lampa­

dine vecchie, e così vengo a sapere che nella mia stessa casa abita un demente.

N on è una tribù, tu tt’altro. E allora m i chiedo :

«

Che cos’è dunque una

società? ». Se

ne discorre tanto, se ne discute ovunque, e più la si prende a

cuore, e più sfugge, va in fumo, si sottrae alla nostra più o meno amorevole

indagine: almeno nelle città più gmndi. Società, se non sbaglio, è parola che

sottintende\ il vivere insieme. A pro il Tommaseo, e leggo

: «Società.

Com­

pagnia. Unione d’uomini congiunti per natura, o per leggi

».

Ora, nella no­

stra casa, ci si fa meno compagnia che non in un autobus. D i unione non è

neppure il caso di parlare, perché non c’è un solo problema o interesse sui

quali ci si trovi tu tti d’accordo: quello del prim o piano non vuol pagare

I ascensore per quello dell’ottavo o del nono; le fam iglie dell’ala sinistra si

lamentano perché hanno meno acqua, dicono, di quelle dell’ala desina; e se

uno, per sua sventura, ha fatto installare un telefono

«

duplex », passerà i

suoi giorn i a odiare con tutta l’anima il

«

coutente

»

che ha preso l’abitudine,

per varie ore, di conversare in poltrona all’apparecchio. Quanto alla natura

che ci dovrebbe tenere congiunti, si è già visto che le d ifficoltà cominciano

con i paesi d’origine; e l’americano suona e balla fino alle due di notte per-

ché così si fa in America, il francese va a letto alle dieci perché così si fa

in Francia, il meridionale grida e il nordico tace, i l sardo vive austeramente

e il bolognese, quando ride, tremano le pareti di tre piani interi.

T

eniamo infine alle leggi. Queste tu tt’al più si osservano quando le detta

lo Stato, assai meno quando le detta il Comune, ma approvar le une o le

altre, è tu tt’altro discorso : ché g li stranieri le trovano assurde o arretrate, g li

indigeni, commisurandole ai dettami dei p a rtiti p o litici ai quali apparten­

gono, le ritengono o troppo molli, o ridicole, o addirittura inique, e insomma

tutte da rifare.

L unica parvenza di società, nella nostra casa, è quella delle domestiche.

Loro sì, si conoscono tutte, si accompagnano volentieri a braccetto per le

strade e nelle botteghe,

si

chiamano da una finestra all’a ltra acutamente

fischiando o insegnandosi a voce spiegata le ultime canzoni. Questo starebbe

a confermare che l’unica form a di solidarietà sopravvissuta è quella popolare.

Ma le domestiche sono come uccelli di passo, vengono dal F riu li, dalle M a r­

che, dalla Sardegna, e neppure hanno il nido che già cambiano padrone o

tornano al paese. N é bastano le amicizie saltuarie con garzoni, elettricisti,

idraulici o m ilitari, a irrobustire almeno in quel garrulo ambito l’attacca­

mento a un focolare non proprio e non legato agli a ltri da un reciproco patto.

Quel che accade nella mia casa, si ripete in tutto il quartiere e si

riproduce in quasi tu tti g li a ltri quartieri nuovi di Roma. Cosicché, se si tol­

gono le eccezioni ( anche queste popolaresche) di Trastevere e di San Gio­

vanni, risulta che nella m etropoli vive almeno un milione di cittadini estra­

nei lim o all’altro al punto da ignorarsi anche quando abitano sotto lo stesso

tetto. E

se

pure vagamente si conoscono di vista, non riescono m ai a scoprire

qualcosa di comune tra di loro, non interessi, non affinità, non aspirazioni.

Ognuno, o sta per proprio conto, o vive a dispetto degli altri. E questa sa­

rebbe la nostra società.

G.

b. Angioletti

(5)

Quando il parente l’ ha saputo il vicino è già corruto

M eglio un prossimo vicino che un lontano cugino

Anche la regina ha bisogno della vicina

Quando il vicino tiene il bene la parte te ne viene

Ciò che è nel tuo occhio è nell’ occhio del tuo vicino

Chi ha il buon vicino ha il buon mattutino

Casa che ha buon vicino vai più qualche fiorino

Nessuno può aver pace se al vicino non piace

La volpe in vicinato non fa mai danno

Quando brucia nel vicinato, porta l’ acqua a casa tua

Chi affitta il suo podere al vicino, aspetti danno o lite o mal mattino

Chi vuole ingannare il suo vicino ponga l’ ulivo grosso e il fico piccolmo

N è mulo, nè mulino, nè fiume, nè forno, nè signore per vicino

Chi lascia il vicin per un mancamento, va più in là e ne trova cento

Chi ha tegoli di vetro non tiri sassi al vicino

T ’ annoia il tuo vicino? Prestagli uno zecchino

Moglie e ronzino, pigliali dal vicino

I vicini le maritano e il padre dà la dote

Tanto bastasse la mala vicina, quanto basta la neve marzolina

N è alla mensa, nè al mulino non aspettare il tuo vicino

(6)

Famiglia e vicinato

di F . S. Milligan

L e grandi fa m ig lie di un tempo, in parte aristocratiche, in parte ap­ partenenti all’alta borghesia, avevano in comune vasti interessi, tradizioni, norme di comportamento, credenze religiose. N elle loro lunghe lettere, nei loro diari, si svolgeva la loro let­ teratura, e la loro storia veniva nar­ rata e documentata nelle fotografie dei loro album di fam iglia. Stabili­ vano canoni di preferenza nel vitto, nell’abbigliamento, negli svaghi, nel­ l’arredamento, nella musica, nella danza, nella prosa : tutte le form e di espressione, morali, estetiche, intellet­ tuali, della vita comunitaria, subivano la loro influenza. L ’educazione era sot­ to il loro virtuale monopolio in tutte le sue form e : scuole pubbliche, univer­ sità, v ia g g i all’estero, governanti e precettori. Di loro scriveva Adam o Smith verso la fine del ’700 : « L ’at­ tività della popolazione di alto rango o dai vistosi patrim oni raram ente si prolunga dalla mattina alla sera. I suoi membri dispongono general­ mente di largo tempo da dedicare alle distrazioni, ed hanno quindi modo di perfezionarsi in ogni ramo del sa­ pere, sia pratico che teorico o este­ tico, del quale loro stessi hanno creato i fondamenti, e per il quale hanno acquistato gusto fin dalla p ri­ ma infanzia. N on così accade tra la gente di basso rango ».

Abbiamo riunito in un solo estratto due articoli di F. S. M illigan, segretario della Federazione Nazionale delle Associazioni Comunitarie in Inghilterra: Vecchie fam i­

glie e nuovi vicinati, pubblicato in « Aduli

Education », Londra, estate 1954, e I I vici­

nato come unità di cultura, pubblicato in

«S o c ia l S ervice», L o n d r a , marzo-mag-- gio 1954.

L a nostra storia è in gran parte la storia delle gran d i fa m iglie, che dal loro seno hanno espresso statisti e legislatori, p reti e soldati, avvocati, uomini di studio, am m inistratori ; che hanno nutrito e trasmesso una cultura (nel senso di civiltà ) che si è allargata e propagata.

M a il tem po delle gran d i fa m ig lie si è orm ai conchiuso, con il progres­ sivo afferm arsi della dem ocrazia poli­ tica e sociale. I problem i che o g g i si pongono quasi con urgenza rig u a r­ dano il tipo di civiltà che potrà em er­ g ere da una società democratica, co­ me potrà form arsi, trasm ettersi e svilupparsi. Questi in terro g a tivi tro ­ veranno a loro tempo e spontanea­ m ente risposta : è tu ttavia necessario ricord are che la cultura di una data società non viene creata da un solo settore della società stessa, e che, per quanto im portante sia stato l’apporto delle grandi fa m iglie, non fu il solo fa tto re determinante.

A nche la gente « comune » presen­ tava caratteri prop ri di civiltà e di cultura, pur non essendone sempre consapevole. Quando l’unità, la cellula sociale, era ancora costituita dalla f a ­ m iglia, la fa m ig lia « comune » non a veva né l’organizzazione né la possi­ bilità di m antenere relazioni su la rga scala, e neppure poteva perm ettersi, per le sue condizioni di ignoranza, di intrattenere una volum inosa co rri­ spondenza : se i suoi m em bri lascia­ vano il paese d’origin e per em igrare all’estero o verso le gran d i città, erano perduti per la fa m iglia , e diventa­ vano invece m em bri di altre comu­ nità, inserendosi naturalm ente in rap porti di vicinato.

(7)

O ggi, con la fa cilità di comunicare e di via g g ia re, i legam i di parentela si disperdono meno rapidam ente, unità sparse della stessa fa m ig lia possono m antenersi in reciproco con­ tatto. Ciò non toglie però che il pas­ saggio dal piccolo mondo di casa al mondo esterno esca dai lim iti che erano quelli della «g ra n d e fa m ig lia », e si esprim a in quelli del vicinato.

f

Il vicinato

11 contenuto della vita di vicinato è piuttosto espresso in sentimenti che in term in i razionali, ed è quindi d ifficile acquistarne conoscenza dal di fu ori. . ,

I l vicinato può essere considerato, senza cadere in afferm azioni a rb itra ­ rie, non soltanto come una unità di cultura, di civiltà, m a come unita di cultura consapevole, e capace di trasm ettersi e fondersi in quella piu vasta cultura che sta alla base di tutta una società democratica.

I l prim o m ezzo di trasm issione dei v a lo ri culturali è costituito dalla fa ­ m iglia, ma nessuna fa m ig lia è o g g i isolata, per quanto possa aspirare a provvedere a se stessa con i suoi soli mezzi.

Un agglomerato accidentale

di fam iglie con tu tti i legami e le

form e di associazione che sorgono

appunto dalla loro vicinanza, costi­

tuisce il- vicinato.

In ogni fa m ig lia il padre, recandosi al lavoro, è espo­ sto a contatti sociali con i suoi com­ pagni di lavoro e alle norme di vita che regolano l’ambiente dell officin a o dell’ufficio. En tram bi i gen itori possono essere m em bri di associa­ zioni religiose, politiche, sindacali o ricreative, nelle quali confluiscono punti di vis ta ed opinioni comuni su interessi particolari. Si incontrano nei negozi, nelle « code », sugli auto­ bus, nelle anticam ere dei m edici, e le va rie questioni rela tive al modo di com portarsi — dovere, civism o, cor­ rettezza — vengono in superficie

at-traverso la discussione e l’esercizio della critica. 1 bambini, fino all’età di almeno 11 anni, frequentano una scuola situata nelle im m ediate v ic i­

nanze ; giocano insieme nelle strade o nei cam pi da gioco, vanno e ven­ gono nelle case dei com pagni sm i­ stando notizie da casa a casa e fo r ­ nendo occasioni e confronti tra i diversi m etodi di educazione.

I l v ici­

nato è quindi un insieme di

«

ten­

sioni

» —

tra individui, tra famiglie,

tra casa e scuola, tra casa e lavoro,

tra opinioni e gruppi di interesse

— ;

le tensioni possono essere im portanti e di peso decisivo, le relazioni p er­ sonali possono degenerare in lit ig i e persino in violenze ; ma da tu tti que­ sti fa tto r i insieme em erge un modo di viv ere, una

cultura di vicinato.

L a m a g g io r parte della gente che lavora v iv e in un vicinato, i cui lim iti nella città non sono chiari come nel v illa g g io ; ma ne esiste la consapevo­ lezza, ed essi appaiono ben chiari e distin gu ibili quando accade che vec­ chi legam i o am icizie si spezzino in occasione di spostamenti verso nuove abitazioni o altre città.

T r e aspetti principali della cultura di vicinato sono degni di nota. P rim a di tutto i cosidetti

ra pporti di buon

vicinato,

cioè la prem ura e la solida­ rietà che si m anifestano quando si verifica qualche d is g ra zia : c’è una - regola di vita nei confronti di coloro che sono colpiti persino nei vicin a ti nei quali i d ir itti non sono risp ettati e dove il livello generale è molto basso. I l secondo aspetto talvolta si rive la come un tra tto spiacevole, a seconda se si abbia o meno qualche cosa da nascondere : è la curiosità. Se ci è indifferente parlare dei fa tti nostri sul pianerottolo o dalla fine­ stra, non la condannerem o; ma se desideriam o la riservatezza, ci risen­ tirem o verso i vicin i curiosi. L ’ inte­ resse che tanta gente p rova per g li a ffa ri degli a ltri — le loro fortu ne

(8)

e disgrazie, le operazioni, le nascite, i m atrim oni, le m orti — crea nel vicinato una conoscenza perfetta anche di quello che accade dietro porte chiuse e cortine. Può rappre­ sentare un m otivo di fastidio, ma può talvolta im pedire sofferenze e tragedie, può contribuire in modo po­ sitivo a creare più strette relazioni umane, in modo particolare per coloro che sono soli od isolati.

Il terzo aspetto è l’accettazione di un tipo riconosciuto di apparenze esteriori, ossia della così detta « r i­ spettabilità ». Sono i fru tti dell’in­ nato spirito di conservazione, che si aggrappa a tutto quello che si ritiene possa essere definito « ciò che è be­ ne », e si preoccupa di trasm ettere le norme e i principi delle generazioni più vecchie a quelle più giovani.

È un fa ttore potente della vita fa ­ m igliare, perché ogni membro di una fa m ig lia ha il dovere, nei confronti degli altri membri, di non lasciare che essi scadano agli occhi dei vicini. « L ’uccello che insudicia il nido è l’uc­ cello cattivo », dice un proverbio ; e l’uomo che vuole in fran gere il codice riconosciuto va via, verso altri luoghi, dove, vivendo anonimo, può allonta­ nare da sé ogni responsabilità. L a r i­ spettabilità indica il tono e definisce la cultura di un vicinato. L e norme di rispettabilità naturalmente variano, e in certi quartieri non sarebbe consi­ derato rispettabile essere in rapporti amichevoli con la polizia.

A ttra v erso comuni interessi e un comune sentire, tra g li abitanti del vicinato si stabiliscono delle rela­ zioni, e attraverso regole gen eral­ mente, se non universalmente, accet­ tate,^ il vicinato si rive la come una unità di im portanti valori m orali, intellettuali ed estetici chiaramente individuabili, diventa qualche cosa su cui è possibile costruire.

Famiglia e vicinato di fronte al problema educativo.

Come potrà il vicinato essere un m ezzo di sviluppo culturale? L o stru­ m ento per tale sviluppo deve essere l’educazione.

L ’educazione è un processo di sv i­ luppo interno a ll’individuo, e alcune pa rti di questo sviluppo devono de­ riv a re dall’insegnamento.

N e i prim i anni della vita ci occor­ rono insegnamenti che riguardano il mondo in cui viviam o in modo da p o tervi tro va re la nostra strada ; che riguardano le nostre istituzioni, per essere in grado di sostenere la nostra parte di responsabilità; che rig u a r­

dano le nozioni a noi necessarie per poter guadagnare di che vivere. M a m olto rim ane da im parare che non può essere insegnato. N o i im pa­ riam o da soli con la riflessione, ma più di tutto im pariam o dall’azione che sulla nostra mente esercitano g li incontri con g li altri, e in generale l’esperienza.

L a nostra educazione si compie attraverso v a rie vie. L a fa m iglia , la chiesa, il p a rtito politico, l’osteria, l’officina, i ritro v i, le associazioni alle quali apparteniam o — sono tutti centri di educazione che si trovano anche nel vicinato.

L a cultura è un aspetto della comu­ nità, e non può svilupparsi attraverso unità individuali, o fr a m em bri di gruppi che partecipano di alcuni in­ teressi comuni, ma non hanno radici in un gruppo sociale. U na cosciente cultura dem ocratica può crescere m e­ g lio nei punti focali di una v ita comunitaria, e una cultura nazionale è tanto più ricca quanto più numerosi sono i suoi centri di a ttiv ità critica e creativa, pur che abbiano dimen­ sioni ta li da o ffr ire una certa va rietà di possibilità ed occasioni, e purché abbiano una stabilità sufficiente per gara n tirsi una v ita unitaria.

(9)

L a fa m iglia , che è uno di questi punti focali, ha ancora l ’im portante compito di guidare i p rim i passi nella vita di comunità e di fo rn ire una r e ­ gola di disciplina nell’insiem e delle relazioni personali.

Con la scuola, ha il compito creativo di sviluppare le norme di com porta­ mento sociale, e oggi ha assunto una funzione critica, come « ricevente » dei due gran d i canali di diffusione dell’educazione e degli svaghi di m as­

sa : radio e televisione, ambedue di­ rette alla fa m iglia.

M a l’ unità fa m ig lia re di per se stessa è troppo piccola, e la grande fa m ig lia , fondata sulle relazioni tra le piccole unità fa m ig lia ri, ha ces­ sato di esistere. L ’unità sociale di o g g i è il vicin ato — il villa g g io , la piccola città, oppure quella parte di una grande città che si sente unita in un vicinato.

(10)

unità di vicinato e l’urbanistica

di Eugenio Gentili

Il v ic in a to ,c o m e cellu la e le m e n ta re di c o n v iven za o r g a n iz z a ta , non può ess ere d e fin ito nei te rm in i di un p a r tic o la r e sp a zio u rban istico; esso è un r a p p o r to um ano nel qu ale ha il suo peso anche il c a r a tte r e d e lle c o n d izio n i am b ie n ta li.

U n lavatoio pubblico, un cortile, un ballatoio che disim pegna parecchi a llo g g i; una strada abba­ stanza tranquilla da poterci portare le sedie e lavo­ rare di cucito in com pagnia; il tram che conduce al lavoro ; un m ercato : ecco qualche esempio di « fa tti » m ateriali, o m eglio, di ca ratteri ambien­ tali collegabili alla vita di vicinato.

Il perché di questa breve serie di esempi è presto detto : il vicinato, come cellula od unità elem entare di convivenza organ izzata sfu gge ad una definizione puramente urbanistica, così come ad una pura­ mente sociologica, anzi sfu gge a qualsiasi precisa teorizzazione spaziale fo rs e ancor più di altri

(11)

orga-nism i di m aggiore complessità : esso va piuttosto interpretato come rapporto umano risultante da svariate condizioni, e non g ià come particolare circoscrizione di un intorno fisico. P r e fe r ib ile dunque, anziché tentare di schem atizzarlo per forza , cercare attraverso esempi v iv i i caratteri urbanistici che intervengono a form arlo.

L ’idea stessa di vicinato fa im m ediatam ente correre il pensiero alla v ita dei piccoli e dei pic­ colissim i centri o di quelle città o p a rti di esse che meno hanno risentito i p rofon d i m utam enti dei tem pi più recenti. In altre parole, sem bra più fa cile capirsi guardando ciò che è avvenuto ed avviene in quegli insediam enti talvolta plurisecolari che ancor’oggi continuano a v iv e re ed a funzionare nei m odi loro o rig in a ri : e si può risa lire tra n ­ quillam ente fino al medioevo.

L ’abitazione m edioevale ign ora l’esistenza di numerosi fu nzioni e servizi, e non concepisce tale mancanza come un lim ite, perché è im plicito che il soddisfacim ento dei bisogni re la tiv i nasca da una integrazione realizzata fu o ri dalla casa, sull aia, sulla corte, così come sulla strada o nella piazza. E la strada e la piazza si modellano in vis ta di ta li com piti : è il portico, là dove il clim a lo esige ; sono, attorno agli edifici più notevoli od alle fo n ­ tane, le gradinate, che finiscono per diventare teatro dove il pubblico si ritro v a ad osservare e critica re ciò che avviene ai suoi piedi.

I l concetto di una integrazione che avviene fu o ri dalla casa ci illum ina subito su alcuni carat­ teri : principalm ente la mancanza di certi servizi individuali e il sussistere di bisogni che possono ve n ir soddisfatti per il singolo solo in quanto lo siano per la collettività, m entre la necessità di comunicazione con il vicino si può specchiare in una riduzione dell’intim ità. Come si vede, si tra tta di caratteri decisamente n ega tivi ; e che per supe­ r a rli intervenga un fa tto positivo, qual’è il v ic i­ nato, è solo una constatazione di m atem atica ele­ mentare.

Sembra dun(lue d ifficile am m ettere che il p er­ m anere di determ inati lineam enti urbanistici, una

N e i p iccoli cen tri e n e lle zo n e più an tich e d e lla c ittà , il ra p p o r to di v ic in a to si è m a n ten u to così c o m e è s o r to parecch i sec o li fa .

L e an tich e a b ita zio n i m an cano di v a r ie fu n zion i e s e r v iz i, m a vi si è s o p p e r ito in q u alch e m o d o fu o ri d a lla casa, con il re c ip ro c o aiu to t r a vicin i.

È s ta ta dunque la presen za di c a r a tte r i a m b ie n ta li n e g a tiv i a fa r nascere la v it a di v icin a to ?

(12)

C on l ’e v o lv e r s i d ei tip i di a b ita ­ zio n i, che da u n ifam ilia ri d iven ­ ta n o c o lle ttiv e , il r a g g io del v ic i­ n a to si v a addensando e re strin ­ ge n d o .

volta soddisfatti i bisogni di cui si è detto, basti da solo ad assicurare la continuità dei rapporti umani di vicinato.

S e ci portiam o più avanti nel tem po ad osser­ va re abitati che risalgano al sei-settecento, notiamo che determ inati caratteri si spostano : la struttura interna delle abitazioni, soprattutto in certe p a rti dell’Europa, si affina, differenziando i locali desti­ nati alle fu nzioni fondam entali. E d ecco che dalla strada, di cui si va impadronendo il traffico, il punto di incontro si sposta più vicino all’abita­ zione del singolo, quando non addirittu ra a ll’in­ terno di essa. Se ne deve dedurre che i confini del vicinato si restringono, e non è diffìcile con­ trollare come in effetti la partecipazione corale alla comunità si affievolisca col finire del m edioevo 0 delle form e di vita che in esso avevano avuto origine.

U n altro elemento da notare è il passaggio dal prevalere della casa u n ifam iliare alla diffusione del fabbricato collettivo : nel prim o caso la vita di vicinato si svolge necessariamente a ll’esterno, e perciò stesso può dilatarsi in una continuità a catena di cellule successive. N e ll’altro caso è natu­ rale che un collegam ento nasca anzitutto tra g li abitanti di uno stesso edificio e che le persone si incontrino nelle corti e sulle scale, o che comuni­ chino da una finestra a ll’altra : e qui la cellula tende a chiudersi.

L a città del secolo scorso si è favolosam ente m oltiplicata senza a v v e rtire la presenza di va lori paragonabili al vicinato : essa ha cercato di rispon­ dere a dei bisogni quantitativi, graduandone il soddisfacim ento secondo criteri di opportunità commerciale o politica. N ella P a r ig i di Haussman 1 grandi tagli dei boulevards si fre g ia n o di im po­ nenti edifici dove il singolo può anche v iv e re ign o­ rando il suo v ic in o ; ma dietro a questa sottile cortina si addensano le vecchie case e le stradu- cole im praticabili alle carrozze, dove ognuno sente la presenza di un intorno umano che g li è comune.

(13)

Contem poraneam ente si allungano nelle in term i­ nabili p e r ife r ie i qu artieri am orfi del feudalesim o industriale ; qui non soltanto l’uomo non può più costruire la prop ria casa, ma nemmeno può sce­ glierla, perché una vale l’altra, essa g li è assegnata come una divisa indifferente, è tu tt’uno con lo stato di necessità e di disperazione in cui egli si trova, identico a quello in cui tu tti si trovano attorno a lui. Così, la casa diventa qualcosa di sordo e di estraneo, e si spengono quei fe rm e n ti che da essa nascevano : la strada della fe lic ità im plica neces­ sariam ente una evasione, né si può guardare con am ore il prossim o che fa da sfondo alla scena di ogni giorno.

L a r a p id ità e la v a s tità con cui si è espansa la c ittà del secolo scorso hanno m o ltip lic a to case p r iv e di p e rs o n a lità , che l ’u om o non può a m a re .

Quale sia il volto della città di o g g i lo sappiamo bene : sotto il segno di una stridente disarm onia, assistiamo al sop ravvivere di strutture secolari, così come alle p rofezie di ideali città del futuro, m entre ci va sfuggendo il senso stesso della nostra dimensione di uomini.

R in tracciare adesso elem enti p o sitivi comuni entro un intorno fìsico anche lim itato, sembra im presa senza uscita. U na recente inchiesta con­ dotta a Rouen porta a concludere che una vita di vicinato si associa a condizioni di basso tenore di v ita :

« N el corso del nostro studio, g li elementi favorevoli alla formazione dei vicinati, ci sono sembrati i seguenti: — abitazioni a pochi piani;

— certe attrezzature in comune (p. es. i lavatoi) ; — l’assenza di determinate comodità (case sprovviste di acque, mancanza di riscaldamento centrale);

— molti bambini e spazi, adatti per i giochi, comuni a più edifici;

— un numero sufficiente ma limitato di negozi (se sono in numero troppo scarso, g li spostamenti provocano la dispersione delle massaie ; se in numero troppo abbon­ dante, ne deriva una divisione, perché gli abitanti di uno stesso stabile o gruppo di stabili non hanno la possibilità di incontrarsi presso i medesimi forn itori) ;

—• un livello di vita laborioso e semplice, che permetta di comunicare e partecipare con il prossimo, a d iffe ­ renza di quanto avviene in condizioni di agiatezza anche modesta, entro le quali si riscontrano atteggiamenti più individualistici ».

P e r contro l’esperienza di stim olare la socialità tra vicin i per mezzo di servizi comuni, esperienza sviluppata e controllata specie nei paesi scandinavi

L a c it t à di o g g i è un m osaico d is a rm o n ic o di an tich issim e s tr u t­ tu r e n elle q u ali ce rc a n o di in c a ­ s tr a r s i e le m e n ti dì tip o a v v e n iri­ stico . L a v it a di v ic in a to p a re si associ a lla m is eria ed a l bisogn o. In un liv e llo di v it a e le v a to , n em m en o i s e r v iz i c o lle ttiv i rie sco n o a s ti­ m o la r e una co n o sce n za t r a le p ersone.

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Forse solo il la v o ro di tip o d o m e ­ stico o quasi, co m e l ’a r tig ia n a to e la piccolissim a industria, con le necessità di re cip ro ca in te g r a ­ zion e, p o trà r ic re a re la base p er una unità di vic in a to lib e r a ta d a l­ l ’assillo d ei bisogn i più e le m e n ta r i.

con un elevato tenore di vita, si va risolvendo in un insuccesso : i va lori tipicam ente domestici vanno perduti, senza che le persone riescano a conoscersi più che in qualsiasi altro tipo di abitazione col­ lettiva.

È, una volta di più, il fallim ento di una urba­ nistica che pretenda di a g ire sugli uomini, anziché p a rtire dagli uomini p er dare loro le condizioni ambientali più adatte. Così è evidentem ente im pos­ sibile enunciare qualsiasi concetto urbanistico g e­ nerale capace di ricreare nei nuovi a g g reg a ti la vita di vicinato : solamente dove p a rticola ri c ir­ costanze segnalino la possibilità, sia pure latente, di un più caldo rapporto umano, là l’urbanista dovrà porre ogni cura p er scegliere anzitutto la dimensione da assegnare aH’elem ento urbanistico adeguata all’ intensità di quel rapporto. Un tale ele­ mento può dunque chiam arsi unità di vicinato, e la sua am piezza non si esprim e con calcoli di uni­ versale validità, ma si a ffid a unicamente alla sen­ sibilità di chi progetta.

N e i casi reali che possono presentarsi og g i- giorno, la più fo rte funzione di collegam ento è forse rappresentata dal lavoro, specie se articolato in a ttività com plem entari ; ma a ttività che si svol­ gano entro un ra g g io modesto, dall’artigian ato fino alla piccolissim a industria, così come si v e ­ rifica nella regione a nord di Milano. Qui i v a ri m estieri confluenti nell’ industria del legno hanno bisogno uno dell’altro p er giun gere al prodotto fin ito; e ciò che si può vedere in qualunque cortile della B rianza dove si aprono le va rie botteghe, può agevolm ente tradu rsi in una fo rm a attuale, senza che l’abbandono di ca ratteri urbanistici n ega tivi abbia a indebolire la necessità del rapporto umano.

U na tale unità di vicinato può concepirsi di nuovo come una integrazione non astratta, anzi come uno strumento che l’ urbanista consegna ai suoi sim ili perché continuino a realizzare ciò che già in essi esiste.

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Il vicinato come gruppo

di Lidia de Rita

Per chi vive in città il termine «v ic in a to » ha un significato molto vago ed un’estensione varia in quanto può comprendere tanto gli abitanti delle case vicine, quanto quelli dello stesso palazzo, o solo quelli degli ap­ partamenti sullo stesso piano. In genere i vicini, in città, si ignorano : volutamente o no, con un sottile gioco di rapidi controlli reciproci o nella più sincera ed assoluta indifferenza. Man mano che dai grandi appartamenti con una densità di un abitante ogni due o più vani si passa ai caseggiati popolari, fino alle casette delle zone cittadine più antiche in cui la densità diventa di cinque, sei ed anche più abitanti per vano, una più intensa vita sociale si avverte nelle strade strette, tra balcone e balcone, porta e porta, e sembra concretarsi talvolta in gruppi organizzati di ragazzi di ogni età che circolano con la stessa padronanza ovunque. Qui il vicino non è solo la persona o la fam iglia che abita accanto, ma rap­ presenta qualcosa di diverso che ha già una certa fun­ zione psico-sociale, di solidarietà morale e materiale, di controllo, di influenza per la formazione di atteggia­ menti e la modificazione di opinioni. Naturalmente il valore del vicinato dal punto di vista psico-sociale varia secondo le regioni, il clima — non è certo in una città lombarda lo stesso che in una pugliese — , secondo il livello socio-economico, il sistema di vita, ecc.

V i sono zone poi, in particolare quelle rurali del cen­ tro-sud, in cui il vicinato acquista una sua fisionomia precisa sia dal punto di vista topografico per la disposi­ zione delle case, sia da quello psicologico, in quanto il vicino è investito da una tonalità affettiva che può essere positiva o negativa, ma difficilmente è indiffe­ renza, sia da quello sociale, perché i vicini costituiscono un vero e proprio « gruppo », sentono di essere uniti da un certo vincolo e possiedono effettivamente una somma, di atteggiamenti, modi di dire, convinzioni co­ muni che li differenziano — molto lievemente benin­ teso — dagli appartenenti ad un altro vicinato.

Esempio tipico in cui questi fattori sono combinati in maniera originale è la comunità dei « Sassi » di Matera, dove forse più che in qualunque altro paese meridionale il fenomeno si presenta evidente ed inte­

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Sassi infatti il vicinato è quasi sempre ben delineato nei suoi confini topografici, comprendendo il gruppo di case disposte intorno ad una piazzetta o cortile nel quale si svolge quasi in comune gran parte della vita dei bimbi, delle donne e, in misura minore, degli uomini. Gli abitanti di queste case sono legati ad un’infinità di piccole regole di vita comune, si aiutano a vicenda, si controllano, sanno tutto di ciascuno degli altri ed hanno in genere rapporti molto familiari e di carattere diverso da quelli che esistono tra fam iglie amiche o legate da vincoli di comparaggio, parentela, ece. In un giorno del­ l’anno i vicini celebrano tutti insieme una festa che simboleggia in maniera evidente la fusione delle diverse famiglie in un unico gruppo : anche se oggi questa specie di rito non è più frequente come prima, anche se le sue origini ed il suo significato sono ancora discussi, esso testimonia il valore quasi istituzionale che il vici­ nato ha avuto nella comunità materana.

A parte comunque questi fattori più propriamente sociologici o etnologici, lo psicologo di fronte al feno­ meno vicinato quale lo si può osservare oggi a Matera, si pone essenzialmente questa domanda: Esiste una unità psico-sociale nel vicinato? Vale a dire, sono effet­ tivamente queste famiglie unite da vincoli psicologici tali da far pensare ad una vera fusione di essi in un gruppo, o il valore psico-sociale del raggruppamento è completamente scomparso e la vicinanza è accettata e subita come un fatto negativo?

Non si tratta — è evidente — di un interesse pura­ mente scientifico; si tratta di accertare, in sostanza, se questo vivere quasi in comune, legati necessariamente ad un certo numero di convenzioni, immersi nel gioco complesso delle interazioni (influenze reciproche) e sog­ getti inevitabilmente ad una certa pressione esercitata in senso unico dallo standard di atteggiamento, di opi­ nione, di comportamento del gruppo stesso, porti allo stabilirsi di buone relazioni tra i suoi componenti o non sortisca l’effetto contrario.

L o s o c io m e tria si p rop o n e di " m i s u r a r e ” con la m a g g io r e o b ­ b ie t t iv it à po ssib ile la fr e q u e n z a e la q u a lità d e lle in te rre la z io n i esi­ sten ti t r a g li in dividui di un d e ­ te rm in a to gru p p o , e quindi la co esio n e e l'e ffic ie n z a d el g ru p p o stesso.

11 primi risultati di una ricerca che si sta conducendo in questo senso a Matera usando in particolare, oltre i metodi classici dell’intervista e dell’osservazione, il metodo sociometrico, hanno messo in luce una grande carica di tensioni negative tra le famiglie dei vicinati studiati, e pochissima coesione nel gruppo. Si può dire che la maggior parte delle famiglie sono scontente dei vicini che hanno, pur sapendo bene di poter contare su loro in caso di necessità urgente. Il dovere dell’aiuto reciproco, il senso di solidarietà umana sono infatti ancora vivi tra queste fam iglie; il piacere di stare in­ sieme a conversare o divertirsi costituisce tuttora lo spunto per un avvicinamento frequente ed amichevole.

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Ma è raro il caso di qualcuna che, pensando all’even­ tualità di cambiare abitazione, mostri il desiderio di avere ancora i vicini che ha attualmente. Per quanto tali risultati siano sconcertanti, ed ammettendo che la ricerca successiva li confermi, riteniamo sia utile tenerli presenti considerando il problema dal punto di vista pratico.

Dalla nostra ricerca appare chiaro che l’esasperazione dei rapporti tra le famiglie del vicinato ha delle moti­ vazioni abbastanza logiche accanto ad altre meno facil­ mente ponderabili. Innanzitutto l’eccessiva vicinanza fisica: i rapporti sono peggiori infatti quanto più le case sono vicine; in secondo luogo il livello economico molto basso che, oltre a creare inevitabilmente in cia­ scuno uno stato di tensione continuamente in cerca di occasioni per scaricarsi, fa sì che ogni piccola differenza acquisti un valore sproporzionato e crei invidie e ran­ cori. La maggiore mobilità economico-sociale verificatasi in questi ultimi anni ha aggiunto motivi di dissenso in un mondo fermo per secoli in una greve uniformità di livello, in un mondo in cui « lavoro e sacrificio » erano le leggi comuni della vita, e « contentarsi di poco » il necessario sostegno della dignità individuale. Queste ed altre ragioni plausibili di tensione, che non staremo qui a considerare, ci sembra siano sufficienti per non farci concludere troppo semplicisticamente che queste famiglie preferirebbero vivere isolate (come del resto qualche donna ha affermato in un impeto d’ira), o — peggio ancora — che meglio sarebbe far in modo che stiano lontane una dall’altra, perché « i contadini sono individualisti », perché non sono capaci di vita asso­ ciativa.

-* E ’ certo che il vicinato ha avuto una funzione sociale e psicologica importante nella vita di questa piccola comunità come mezzo di trasmissione della cultura e quindi di educazione sociale. Anche oggi del resto, no­ nostante i fatti negativi, questa sua funzione persiste anche se si va stemperando e talvolta deformando sotto la pressione dei nuovi rapidi ed efficaci mezzi di tra­ smissione e di formazione dell’opinione pubblica; ed ha un indiscutibile vantaggio di precedenza sulla scuola. I bambini, si può dire, vivono « nel vicinato » più che nella loro famiglia : passano da una casa all’altra, assor­ bono avidamente tutto quello che possono apprendere osservando i vicini sia direttamente, sia attraverso quello che ne sentono dire in casa nei pochi momenti di isolamento ed intimità familiare, quando la madre commenta col marito o con i figli più grandi i fatti acca­ duti nel vicinato durante il giorno, l’ultimo scandalo o la lite che ha variato la monotonia della giornata. Presto imparano anche loro a riferire quello che hanno

N e lla sua fo r m a più sem p lice Tan alisi s o c io m e tric a ci d à p e r e s e m p io il q u a d ro e s a tto d e lla d ir e z io n e d e lle d iv e r s e “ sc e lte ” f a t t e d a ciascun c o m p o n e n te d el g r u p p o t r a i c o m p a g n i, secon do un d e te r m in a to “ c r i t e r i o ” , c o m e la ­ v o r a r e in siem e , o d iv e r tir s i insie­ m e , o a b ita r e v ic in i, ecc. N e llo stesso m o d o si p ossono r e g is t r a r e i “ r if iu t i” e quindi le te n s io n i esis te n ti nel g ru p p o .

T u t t i qu esti d a ti, espressi g ra fic a - m e n te o n u m eric am en te , ra p p re ­ sen ta n o in m a n ie ra a b b a sta n za e v id e n te la co m p lessa stru ttu ra m o le c o la r e d i un g ru p p o e so n o di v a lid o a iu to p e r lo stu dio di m o lti fe n o m e n i psico-so ciali, dei q u ali ten d o n o a c o g lie r e s o p r a ­ t u tto l’a s p e tto din am ico .

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D icen do “ g ru p p o ” non si vu ole in te n d e re q u alcosa di m is tic o, un “ noi ” s u p e r io r e che sussisterebbe al di fu o ri e al di so p ra d eg li individui te n u ti in siem e da un qualunque leg am e.

Il gru p p o è l’ in siem e d e g li in d i­ vid u i che lo co stituiscon o e che tu tta v ia non restan o sem plice- m en te giu s ta p p o s ti l’ uno a ll’a ltro , m a si influenzano a vice n d a più o m eno a ttiv a m e n te , p er cui ad un c e r to punto v ie n e a svilupparsi una s e rie di co n v in zio n i com un i, una specie di c o n fo r m ità che può m a n i­ fes ta rsi in m ille m o d i, persin o nel lin g u a g g io usato ed in c e r te fo r m e di co m p o rta m e n to .

Ciascuno pur contin u an do a d a re ed a r ic e v e r e in p a ri m isura, se­ co n d o la p r o p r ia esp e rie n za , è in un c e r to senso s o g g e tto ad una pressio n e che lo induce a c o n fo r­ m arsi a q u e llo che è d iv e n ta to lo ** stan d ard ” del gru p p o stesso sia in o p in io n i che in m o d o d ’a g ir e , in a tte g g ia m e n ti ecc.

visto, e l’interesse dei grandi è il migliore stimolo a perfezionare i mezzi di raccolta delle notizie che poi, valutate ed ampiamente interpretate dagli ascoltatori, costituiscono come altrettante lezioni pratiche sulla base delle quali si effettua l’apprendimento degli schemi non solo psicologici e sociali, ma anche morali della comu­ nità. Quando l’apprendimento è completo, i fatti sono ormai riferiti già deformati dalla valutazione sogget­ tiva che si è intanto perfettamente adeguata ai modelli « standard » della comunità. E ’ facile immaginare come l’ individuo, in tempi in cui saper leggere e scrivere era un lusso di pochi, venisse rigorosamente modellato su schemi difficilmente modificabili dei quali diveniva a sua volta depositario e trasmettitore, non solo nell’am­ bito della sua famiglia, naturalmente, ma di tutto il vicinato. Oggi quasi tutti i ragazzi vanno a scuola, molte famiglie hanno la radio, giornali ed opuscoli cir­ colano ovunque, ed al cinema si va con una certa fre ­ quenza: sarebbe assurdo pensare che il vicinato po­ tesse serbare intatta la sua funzione. Nuove forme di vita si vanno inserendo rapidamente sul vecchio sistema di valori, il che è inevitabile e certamente benefico per molti aspetti, ma ha creato un forte squilibrio tra vec­ chia e nuova generazione, un diffuso senso di disagio che corrisponde effettivamente ad una crisi che è in atto ed i cui aspetti sono molti e complessi. E ’ molto probabile che la difficoltà di rapporti, le tensioni, l’insofferenza reciproca che abbiamo notato nei vicinati non siano altro che, appunto, uno degli aspetti di questa crisi, é possiamo spiegarcelo molto bene.

Innanzitutto il vicinato costituisce il punto d’incon­ tro più immediato della vecchia e nuova generazione, in cui le differenze di atteggiamento, di opinioni, ideali, sistema di vita si fanno sentire ogni giorno, in ogni circostanza, si può dire, e diventano quindi esasperanti. In secondo luogo, poiché il nucleo fondamentale del vicinato è ancora costituito dai vecchi o da adulti che hanno una certa uniformità di « mentalità » più o meno stabile e difficilmente modificabile, la funzione del « gruppo » che tuttora persiste è legata ai vecchi schemi e finisce col costituire quasi un punto di resistenza all’inserimento di nuovi atteggiamenti, di un diverso sistema di vita, e di valori che, oltre ad essere estranei al vecchio mondo, sono spesso in netto conflitto con quelli che sono stati per secoli i « valori » della civiltà contadina.

Possiamo dire quindi che se il vicinato può costituire il « punctum dolens » della cultura contadina, questo dimostra che esso è uno degli aspetti più essenziali di questa cultura e che proprio attraverso il « gruppo » vicinato il vecchio mondo resiste attivamente alla

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pres-sione di forze nuove destinate a mutare l’equilibrio generale. Ora, se il fermento di rapida evoluzione che si è ormai impadronito della cultura contadina va guar­ dato come un fatto positivo, è indiscutibile che non si debba disancorare tale civiltà da quei fondamentali « valori » che hanno forse costituito la ragione essen­ ziale del suo sopravvivere, nonostante le gravi condi­ zioni storiche, sociali, economiche. Sarebbe opportuno

che una intelligente azione sociale prendesse in consi­ derazione proprio l’opportunità di utilizzare il vicinato, il « gruppo » più naturale in fondo per gente profon­ damente attaccata alla sua casa, alla sua famiglia, alla { sua terra.

Atteggiamenti e schemi di comportamento sono le­ gati strettamente alla « cultura » di un popolo, e ven­ gono acquisiti attraverso l’influenza dei piccoli gruppi dei quali l’individuo fa parte. Sono questi, più che i grandi gruppi etnici, o politici, o nazionali, che « edu­ cano » l’individuo e lo modellano secondo una determi­ nata cultura. Un geniale studioso di questi problemi, il Lewin, è arrivato alla conclusione che è più facile cambiare in forma durevole gli atteggiamenti ed il modo di comportarsi di un individuo determinando tali cambiamenti nel gruppo a cui egli appartiene, o cer­ cando di inserirlo ed « integrarlo » in un gruppo che possieda le qualità desiderate, anziché agendo sull’indi­ viduo singolarmente preso. Perché il gruppo è — per così dire — 1’« ancoraggio » dei modi di pensare e di comportarsi di ciascuno' e ne costituisce la stabilità e la sicurezza ; una modificazione portata sul singolo indi-^ viduo può facilmente essere annullata dalla pressione* in senso contrario del gruppo a cui egli appartiene. )

Naturalmente il problema è molto complesso, e nono­ stante il fiorire di ricerche sulla dinamica del gruppo, sulle influenze reciproche degli individui in esso e sui modi di operare delle diverse forze interne ed esterne, le conclusioni definitive sono ancora, si può dire, molto poche e largamente discusse. L ’azione diretta sul grup­ po o attraverso questo, sia a scopo psicoterapeutico (come è frequentemente praticata in America e comin­ cia ad attuarsi anche in Europa), sia nell’azione sociale, è estremamente delicata e difficile e fa ancora appello più all’intuizione ed alla capacità di chi la pratica, che ad un’organica conoscenza delle leggi che regolano i dinamismi di interazione individuale nel gruppo.

Ci sembra tuttavia di fondamentale importanza pro­ porre alla riflessione di chi lavora nel campo del ser­ vizio sociale, particolarmente nelle zone rurali, questo problema, a conclusione di quanto si è detto : il vicinato come gruppo ha avuto una sua funzione precisa ed indubbiamente positiva per molti aspetti ; oggi sembra

G ii a tte g g ia m e n ti d e lla person a­ lit à um ana, c io è la m a n ie ra di pen sa re e s e n tire nei c o n fro n ti d e i d iv e rs i p ro b le m i che in teressan o l'in d ivid u o , in flu en zan o p ro fo n d a ­ m e n te il suo c o m p o rta m e n to sia fa m ilia r e che so ciale.

Esistono in o ltre d e te r m in a ti “ sche­ m i” re la tiv i a d o g n i cu ltu ra, che r e g o la n o con un c e r to c a r a tte r e di n ecessità la fo r m a d e ll’a g ir e um a­ n o: ese m p io più e le m e n ta r e ed e v id e n te sono le n o r m e che r e g o ­ la n o i ra p p o r ti in te rin d iv id u a li e che possono a n d a r e d a co m p lic a ti c e r im o n ia li ad una sem p lice fo rm a di saluto.

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averla persa nel disorganizzarsi generale del vecchio mondo, ma forse uno dei mezzi per ricostituire più soli­ damente ed in un’atmosfera rinnovata e democratica la vecchia trama sociale del mondo contadino è quello di non lasciar naufragare il vicinato, di valorizzarlo e potenziarlo invece come gruppo sociale per meglio agire attraverso esso. Sarà più facile in tal modo assecondare la spinta al rinnovamento delle nuove generazioni senza lasciare che diventi un motivo di rottura le cui conse­ guenze morali possono essere molto dannose; solo così si aiuterà meglio e più naturalmente il mondo conta­ dino a risolvere con le sue stesse forze i suoi grandi problemi.

Lidia de Rita

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CENNI BIBLIOGRAFICI

Ci pare utile, insieme a cenni bibliografici più precisi, suggerire qualche testo lette­ rario facilmente reperibile, di quelli che possono appartenere al patrimonio consueto di un lettore anche semplice, per aggiungere significato a questo concetto di « vicinato ». U tile soprattutto per fa r comprendere, at­ traverso cose raccontate nel linguaggio vero ma non interessato dell’arte — che a fa tti e problemi giunge per suggestioni e riso­ nanze, non per deduzioni e logici sviluppi più d ifficili a seguirsi — come questo rap­ porto non sia un nuovo ritrovato di psico­ logi e urbanisti, un termine di partenza per teorie sociologiche, ma una delle realtà uma­ ne* di chi vive tra la gente, un legame qualche volta buono e qualche volta cattivo, riscontrabile in ogni tempo e in ogni luogo (lo provano i proverbi che abbiamo citato, dei quali alcuni sono versioni popolari di antichi detti latini, altri appartengono al mondo arabo, ai paesi più diversi).

Dalle commedie goldoniane (Goldoni, in una nota al Campiello, avvertiva il lettore come per c a m p ie llo dovesse intendere « ... una Piazzetta, di quelle che per lo più sono attorniate da case povere e piene di gente bassa » dove sovente nell’estate tutti gli abitanti si radunano per semplici diver­ timenti che chiamano « alle finestre o alla strada la m aggior parte del vicinato », e tutto il tema della commedia si svolge tra chiacchiere e battibecchi a commento di una vita fatta di minute vicende comuni), a certi racconti di Matilde Serao (Terno secco è la storia degli abitanti di un quartiere di Napoli, dove domestiche e dame decadute, ciabattini e questurini, lunatici e magistrati, tutti insieme giocano e tutti insieme vin­ cono al lotto tre numeri miracolosi), fin o ai libri di Pratolini, primo fr a tutti Cronache di poveri amanti, dove la fiorentina via del

Corno è più protagonista che non sfondo alle vicende dei personaggi, ai racconti di M a­ rotta ne L ’oro di Napoli, di Anna M aria Ortese (la partecipazione delle vicine alla compera degli occhiali per la bambina quasi cieca nel volume I I mare non bagna N a p o li) : il pretesto alle narrazioni è dato dal mate­ rializzarsi e manifestarsi, in occasioni

tra-, giche o in occasioni spiccioletra-, del valore non di continuo avvertito di uno stare in­ sieme, di un aver radici che è dato anche all’uomo più sradicato e più solo.

Quanto ad una specifica bibliografia, per ciò che riguarda il vicinato inteso in senso particolarmente urbanistico, rimandiamo il lettore alle indicazioni in nota all’articolo di Lewis Mumford, L ’unità di quartiere, pubblicato in « Comunità », n. 24, apri­ le 1954.

P er il vicinato dal punto di vista della ecologia e della socio-psicologia, riportiamo una nota bibliografica sommaria, cortese­ mente comunicataci da A lbert Meister, re­ sponsabile della Sezione di Sociologia della Cooperazione istituita ad Iv re a :

a) Teoria e metodi.

Wright, H. F., Barker, R. G., Methods in

Psychological Ecology, Università di Kan­

sas.

Esame di una doppia serie di problemi: 1) il problema del mondo non-psicologico nel quale vive l’individuo e i modi mediante i quali questo mondo viene trasformato in un mondo psicologico o habitat; 2) il pro­ blema dell’habitat psicologico, che dipende in parte dal mondo non-psicologico e in parte dalle determinazioni (motivations) e dalla personalità dell’individuo. La prospet­ tiva di ricerca deriva dagli studi di K. Le- win e F. Heider.

Lippitt R., Group Dynamics and Personality

Dynamics, in « The American Journal of

Orthopsychiatry, voi. XXI, n. 1, 1951. Attraverso lo studio dei rapporti tra dina­ mica di gruppo e personalità, si pone il problema degli ostacoli che devono essere superati per stabilire e mantenere rapporti sociali in seno a nuclei d’abitazione. Criswell, J. H., A Sociometric Study of

Race Cleavage in thè Class Room, in

« Areh. Psychol. », n. 235, 1939.

Le tensioni internazionali nei rapporti umani sul piano dellhabitat si riscontrano già nei fanciulli in età scolastica. Applica­ zione del metodo sociometrico.

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Ma i s o n n e u v e, Je a n, Recherches expérimenta­ les sur les cadres socio-affectifs, in « Ca­

hiers Internationaux de Sociologie », vo­ lume XIII, 1952.

Questo studio, insieme ad altro più par­ ticolareggiato (in « Sociometry », vol. IX, n. 1, 1952) ha per oggetto la « vicinanza » ovvero la cristallizzazione delle abitudini di vicinato.

Me is t e r, Al b e r t, Du Test socìométrìque à une mesure de l’integration, in « Commu­

nautés et Vie Coopérative », n. 7-8, 1954. Studio metodologico sul test sociometrico, dove in particolare si considera l ’influenza della struttura formale del gruppo e delle condizioni spaziali (dispersione delle abita­ zioni) sulla direzione delle scelte sociome­ triche.

b) Lavori dì ricerca.

Fe s t in g e r, L., Sc h ä c h te r, S., Ba c k, K., Social

Pressures in Inform ai Groups: A Study of a Housing Project, ed. Harper, New

York, 1950.

Studio effettuato in un nucleo d’abitazione costituito da 270 famiglie, avente per og­ getto le relazioni tra ambiente fisico e raggruppamenti sociali.

Me r t o n, R . K ., We s t, P. S., Jah o d a, M ., Pat­ terns of L iv in g : Explorations in the So­ ciology of Housing, ed. Harper, New

York, 1953.

Studio sull’influenza dell’habitat sul com­ portamento dei componenti. Questa ricerca, che è stata condotta in quartieri d’abita­ zione costruiti dallo Stato, rappresenta uno dei primi lavori nel campo della sociologia del vicinato II Merton si è dedicato ad al­ tre ricerche nello stesso settore.

Me r t o n, R., K ., Fi s k e, M ., Cu r t i s, A., Se­

lected Problems of Field Work in the Planned Community, in « American So­

ciological R e v ie w », n. 12, 1947. vedi sopra.

Lu n d b e r g, G. A., Social Attraction Patterns

in a Rural Village; a Preliminary Report,

in «Sociom etry», n. 1, 1937.

Ly n d, R ., S., Ly n d, H., M ., Middletown, Har­

court, 1929.

Middletown in Transition, Harcourt, 1937.

Lo o m i s, C ., P., P olitical and Occupational

Cleavage in a Hanoverian Village, G er­ many, in « Sociometry », 9, n. 4, 1946.

Le precedenti indicazioni si riferiscono a lavori che riguardano più l ’ecologia psico­ logica che non la sociologia del vicinato.

Fe s t in g e r, L ., Architecture and Group M em ­ bership, in « Human Relations ». National

Planning Comittee, India, National Hou­

sing, ed. Shah, Bombay, Vora, 1948.

De u t s c h, M., Co l l i n s, M., E., Interracial

Housing: A Psychological Evaluation of a Social Experiment, Università del Minne­

sota, 1951.

Studio sull’evoluzione dei pregiudizi raz­ ziali in nuclei d’abitazione misti di elementi bianchi e negri. Pare che certi tipi di coa­ bitazione entro lo stesso nucleo siano più favorevoli di altri al superamento dei pre­ giudizi razziali.

Ba r k e r, R., G., One Boy’s Day, Università del Kansas.

E’ il resoconto completo della giornata di un ragazzo di una piccola città del Kansas. Ogni dato del comportamento viene classi­ ficato e analizzato in funzione dell’habitat e del vicinato.

Ba r k e r, R., G., Instrument for Behavioral

Analysis.

Descrizione dei concetti e dei principi uti­ lizzati per la classificazione del comporta­ mento entro l’habitat.

Fe s t in g e r, L., Ke l l e y, H., Changing Attitudes

through Social Contact, Università del

Michigan, 1951.

Studio sperimentale su di un nucleo d’abi­ tazione. Viene ad essere confermata l ’impor­ tanza dell’isolamento ecologico degli abi­ tanti, l’influenza di questo isolamento sulle comunicazioni tra abitanti, la mancanza di integrazione nel gruppo degli individui spa­ zialmente isolati.

Fe s t in g e r, L., Ca r t w r i g h t, D., e altri, A Stu­

dy of a Rum or; its O rigin and Spread,

in « Human Relations », n. 1, 1948. Difficoltà di stabilire un piano di attività sociali nel nucleo sopra descritto.

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Il Comune

Commento alla tavola allegata al n. 1 , A n n o I I di «.Centro Sociale

»

A cura di G. Molino

Lo Stato attua i suoi fini non soltanto con i propri organi (amministrazione diretta), ma anche indirettamente attraverso i così detti enti pubblici autarchici terri­ toriali (Comune, Provincia, Regione). Tali enti si dicono autarchici perché hanno il potere di amministrare da sé i propri interessi, te rrito ria li perché esercitano il loro potere su un territorio determinato.

NelPordinamento vigente il più importante dei tre enti pubblici è il Comune. Gli elementi del Comune sono:

a) I l te rrito rio comunale : esso è una parte del territorio statale ed è deter­ minato con legge, e pertanto soltanto con legge può venire modificato. Sul proprio territorio il Comune esercita il suo potere con l ’esclusione di ogni altro ente territoriale, fatta eccezione dello Stato, nonché della regione e della provincia nelle cui giurisdi­ zioni rientra.

b) L a popolazione del comune : essa è form ata da tutti i residenti nel territorio. La residenza è data dalla dimora abituale e dalla conseguente iscrizione nei registri anagrafici del Comune. L a popolazione a seconda della natura della dimora si di­ stingue in:

-— residente o stabile : form ata da coloro che nel Comune hanno la dimora abituale o residenza;

— occasionale o flu ttu a n te: composta da coloro che nel Comune hanno soltanto una dimora occasionale;

— legale: costituita dalla popolazione residente o presunta tale, accertata in base alle risultanze del censimento generale. La popolazione legale ha notevole impor­ tanza perché al numero degli individui che hanno tale cittadinanza bisogna riferirsi ogni qualvolta la legge fa dipendere dal numero degli abitanti del Comune determinati effetti giuridici.

Se un individuo, per esempio, ha i suoi interessi a Napoli, perché ivi risiede sta­ bilmente ed ivi ha il centro dei suoi interessi, egli ha la cittadinanza napoletana, e la conserva anche se per un certo periodo di tempo debba risiedere a Milano. Durante tale periodo egli conserverebbe la cittadinanza sia stabile sia legale napoletana (in quanto censito a Napoli), pur essendo occasionalmente residente a Milano.

Secondo il Codice civile la residenza è nel luogo in cui si dimora abitualmente, ma dal Regolamento anagrafico sono stabiliti vari casi che costituiscono vere e pro­ prie eccezioni alla regola suddetta per diverse persone quali : studenti, ricoverati in luoghi di cura e beneficenza, bambini a baliatico ed esposti collocati in affidamento.

Può essere ai cittadini limitato il diritto di assumere q trasferire, la propria

residenza dove loro più aggrada? Ciò è controverso: tanto la legge 9 aprile 1931 n. 358 sulla disciplina delle m igrazioni interne, quanto quella del 6 luglio 1939 n. 1092 contro l ’urbanesimo, che limitavano la facoltà di cambiamento di residenza, sono tuttora appli­ cate per i Comuni di m aggiore importanza, ma la sopravvivenza delle disposizioni restrittive contenute nelle leggi di cui sopra contrasta con l ’art. 16 della Costituzione, che riconosce a tutti i cittadini il diritto di abitare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce per motivi di sanità e di sicurezza.

c) I l potere di imperio, che è un potere derivato dello Stato.

In sostanza solo lo Stato è un ente sovrano, mentre il Comune ha potestà di comando, ma soltanto in quanto tale potere g li viene conferito da una legge deilo Stato. Il potere di imperio del Comune si esplica in materia di tributi, igiene, sanità, edilizia e polizia locale.

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