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Centro sociale A.03 n.12. Inchieste sociali servizio sociale di gruppo educazione degli adulti

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Academic year: 2021

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Centro Sociale

inchieste sociali - servizio sociale di gruppo educazione degli adulti

a. I l i — n. 12, 1956 — un numero con tav. alleg. L. 400 — abbonamento a 6 fascicoli e 6 tavole 7 0 X 100 allegate L. 2.200 - estero L. 4.000 abbonamento alle sole 6 tavole L. 900 - spedizione in abbonamento postale gruppo IV - c. c. postale n. 1/20100 - Direzione Redazione Amministrazione: piazza Cavalieri di Malta, 2 — Roma — telefono 593.455

S o m m a r i o

i Il sapere e l’eguaglianza M. Mazzocchi

A lemanni

3 Appunti su un’esperienza di montaggio

6 Note del gruppo di lavoro

9 Guida per un montaggio su tema: L’ emigrazione 21 Documenti

29 Notizie

33 Estratti e segnalazioni

Squilibri socio-culturali e modernizzazione - Bambini e uccelli in Sardegna.

Allegati

La Costituzione Italiana : IV . I diritti e i doveri ( 2 t a v o l e d i G i a n n i P o l i d o r i , t e s t o d i A c h i l l e B a t t a g l i a e M a r c e l l o C a p u r s o )

Periodico bimestrale redatto a cura del Centro Educazione Professionale Assistenti Sociali sotto gli auspici dell’ UNRRA CASAS Prima Giunta Comitato di direzione: Achille Ardigò, Vanna Casara, Giorgio Molino, Ludovico Quaroni, Giorgio Ceriani Sebregondi, Giovanni Spagnolli, Angela Zucconi - Direttore responsabile: Paolo Volponi - Redattore: Anna Maria Levi

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Il sapere e Veguaglianza

« Se la cultura-, dunque, è studio di p erfezion e, e di una perfezion e armoniosa, universale, che consiste piuttosto nel divenire che non nell’avere qualche cosa, in uno stato interno della m ente e dello spirito, non in una serie estern a di circostanze, è chiaro che la cultura, lungi dall’ essere una cosa frivola e m utile ( . . . . ) ha una funzione assai im portante da adem­ piere p er l’umanità. E questa funzione è particolarm ente im portante nel nostro mondo m oderno, in cui l’intera civiltà in misura m olto m aggiore che la civiltà della G recia e di Roma, è m eccanica ed esteriore, e tende a diventarlo costantem ente di più ».

« L a ricerca della p erfezion e è ricerca di grazia e di luce. Chi lavora per la grazia e la luce lavora p er l’ afferm azion e della ragione e della volontà di Dio. Chi lavora p er la m eccanicità, chi lavoi’a p er l’odio, lavora soltanto p er il caos. La cultura guarda al di là della m eccanicità, la cultura odia l’ od io; la cultura ha un’unica grande passione, la passione p er la grazia e p er la luce. N e ha una ancora più gran d e: la passione di farle prevalere. N on è contenta fin ch é tutti noi non arriviam o ad una umanità p e r fe tta ; sa che la grazia e la luce dei pochi saranno necessariam ente incomplete sino a quando le masse umane rozze e brancolanti nel buio non siano toccate dalla grazia e dalla luce. Se non m i sono peritato di dire che dobbiamo lavorare p er la grazia e la luce, neanche mi perito di a f f e r ­ mare che dobbiamo a vere una larga base, dobbiamo instaurare grazia e luce fr a quanti più è possibile. Ho sem pre insistito che i m om enti felici dell’umanità, le epoche che lasciano un segno nella vita di un popolo, le età fio ren ti p er la letteratura e l’arte e p er tutta la potenza creativa del

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genio, son quelle in cui vi è un ardore nazionale di vita e di pensiero, in cut l’intera società è, al maissimo grado, perm eata dal pensiero, sensibile alla bellezza, intelligente e sveglia. Soltanto deve trattarsi di vero pensiero e di vera bellezza; vera grazia e vera luce. M olti cercheranno di dare alle masse, com e le chiamano, un nutrim ento intellettuale preparato e adattato nel modo ch’ essi giudicano conveniente alla loro concreta situazione. La comune letteratura popolare è un esem pio di questo modo di agire sulle masse. M olti cercheranno di addottrinarle nel com plesso di idee e di giudizi che costituisce il credo della loro profession e e del loro partito. L e nostre organizzazioni religiose e politiche o ffron o un esem pio di questa m anie)a di agire sulle masse. Non condanno né l’una né l’altra m aniera, ma la cultura opera diversam ente. N on cerca di abbassare il suo am m aestra­ mento al livello delle classi in ferio ri; non cerca di guadagnarle a questa o quella setta p er m ezzo di giudizi fa tti su misura e di parole d’ ordine. Cerca di eliminare le classi, di fa r circolare dappertutto quanto di meglio sia stato pensato e conosciuto nel mondo, di fa r vivere tutti gli uomini in un’a tm osfera di grazia e di luce, ove possano servirsi delle idee, come essa stessa fa, liberam ente: alimentati e non limitati da esse.

Questa è l’idea sociale : e gli uomini di cultura sono i v eri apostoli della eguaglianza. I grandi uomini di cultura son quelli che hanno avuto la passione di diffondere, di fa r trion fare, di portare da un’estrem ità all’altra della società, il m iglior sapere, le idee m igliori del loro tem p o; che si sono industriati p er spogliare il sapere di tutto ciò che fo sse ruvido, bizzarro, difficile, astratto, professionale, esclusivo; p er umanizzarlo, per renderlo effica ce fu o ri della com briccola di persone evolute e dotte, rim a­ nendo pur sem pre il miglior sapere e il miglior pensiero del tempo... ».

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Appunti su un’esperienza

di montaggio

di M uzio Mazzocchi Alem anni

La pagina di Arnold (1) (del quale

forse converrà che Centro sociale

riesumi anche lo studio sulla educa­ zione popolare in Francia intorno al­ la metà del secolo scorso) mi è parsa singolarmente pertinente come intro­ duzione a questa testimonianza sul lavoro svolto durante il seminario dedicato dal Centro Educazione Pro­ fessionale Assistenti Sociali a speci­ fiche esperienze di lettura, con preciso riferimento al « montaggio » ; cioè, sui problemi particolari di collabora­ zione che si sono risolti o discussi nel corso della stessa esperienza e soprat­ tutto sulle questioni di fondo (come oggi si dice) che ne sono scaturite e ne costituiscono il sostanziale con­ suntivo.

La diagnosi del carattere eterono­ mo e sezionale della penetrazione cul­ turale operata dal gruppo politico, dalle Chiese; la denuncia dell’equi­ voco implicito nel concetto tradizio­ nale di cultura popolare (surrogato­ ria sostanzialmente e non soltanto strumentalmente) ; l’affermazione del­ l’intrinseco spirito democratico, in senso anticlassista, della genuina

azio-(1) Questa pagina dell’Arnold ritrovo discussa e respinta in un saggio di Eliot,

Appunti per una definizione della cultura,

che, ispirato al noto conservatorismo del­ l’autore, è pure una stimolante lettura rac­ comandabile a chi voglia approfondire i temi sfiorati nel nostro « seminario ». Si veda, in particolare, il riferimento all’ipo­ tesi del Mannheim e la denuncia del pe­ ricolo di disgregazione culturale presente nelle società ad alto livello di specializza­ zione, e di ossificazione nella casta.

ne educativa ; questi punti del discorso dell’Arnold mi sembrano premesse indispensabili a ogni impiego di tec­ niche divulgative specifiche. Insieme alla attualissima dichiarazione della naturale tendenza della cultura così intesa e vissuta a « spogliare il sa­ pere... di tutto ciò che sia ruvido, biz­ zarro, difficile, astratto, professio­ nale, esclusivo... ».

Ecco : la tecnica di un « montag­ gio » a questo soprattutto mira : a rompere gli schemi della presentazio­ ne e dello svolgimento tradizionali di un tema, a uscire dai compartimenti stagni dello « specialismo », a stabi­ lire un funzionale raccordo tra diversi piani culturali; a suscitare, con la varietà della gamma dei suoi elementi

compositivi, una risposta fra le innu­ merevoli probabili nella zona degli interessi, a saturare una qualche va­ lenza.

Si è forse, in questo modo, definito il nostro soggetto? Rispondere affer­ mativamente vorrebbe dire acconten­ tarsi davvero di poco. D ’altra parte, una definizione soddisfacente del ter­ mine « montaggio » credo sia impos­ sibile; o, almeno, la ritengo possibile solo per successiva eliminazione dei superati metodi delle pigre abitudini della comunicazione culturale.

Il riferimento è — ovviamente — al « montaggio » in generale. Che se si volesse considerarne i tipi diversi adottati nelle più avanzate esperienze di educazione popolare, si dovrebbe distinguere fra montaggio di libri in senso stretto e montaggio audiovisivo

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in senso spettacolare. Stabilire d’al­ tra parte dei confini assolutamente determinati non solo sembra azzar­ dato ma addirittura impossibile. Con­ verrebbe tuttavia, anche per evitare qualche non improbabile confusione di idee, ricorrere a una terminologia più aderente, di volta in volta, al ca­ rattere delle varie realizzazioni. In effetti, quando nelle pur ottime « fi- ches de lecture » elaborate e diffuse da « Peuple et Culture » vedo indi­ cata come « montage » la presenta­ zione d’ un’opera letteraria, con l’ade­ guato commento bio-bibliografico-cri- tico, mi vien fatto di chiedermi se non si applichi un termine « specia­ le » a un’organizzazione del testo che è implicita in ogni lettura non auto­ matica e passiva; implicita anche, in teoria — ma non così purtroppo nella malinconica realtà della scuola — in ogni esperienza di insegnamento let­ terario. Né mi sembra che i punti essenziali della breve relazione del Dumazedier al X Congresso nazionale di « Peuple et Culture », relazione dedicata appunto al « montaggio nel quadro della diffusione della cultura », siano del tutto convincenti. E non per la loro schematicità, ma piuttosto per l’eccessiva elasticità della termi­ nologia, per il débordem ent (tipico di certo entusiasmo pionieristico) del concetto di « montaggio », per la sua estensione arbitraria a pratiche e metodi culturali ormai stagionati.

In effetti, il tanto parlare che si fa di « montaggio », soprattutto nell’am­ bito della « educazione degli adulti » è una delle numerose conseguenze della attuale crisi degli strumenti e dei metodi tradizionali del lavoro cul­ turale ed educativo (fino a qualche decennio fa ancora difeso e come as­ sorto nel cerchio del suo isolamento sociale oltre che tecnico) ; crisi acce­ lerata o, meglio, determinata dalla rapidissima evoluzione tecnologica e dalla necessità di adeguare (tentar di adeguare ; senza, è ovvio, eccessive

speranze di riuscir nell’ intento) a quella trasformazione e a quel pro­ gresso oggettivo lo sviluppo intellet­ tuale e morale delle masse sempre più vaste che passano dal livello di vita subalterna a quello della partecipa­ zione attiva alla vita della comunità sociale.

« Troppo diversa è la vita di oggi » — scriveva recentemente il maggior poeta italiano vivente, Eugenio Mon­ tale, recensendo un libro di collages storico-cronistici e, riferendosi, nel confronto, a quello che Zweig ha chia­ mato « il mondo di ieri » — più ra­ pide sono le comunicazioni, il mondo sembra piccolo, i viaggi sono facili e non insegnano più nulla, le mode sono accettate senza discutere perché « la vita ha sempre ragione », un eguale conformismo domina interi continenti che credono di esser diversi e studiano i mezzi per sopraffarsi, l’accesso alla cultura di sterminate masse ha alzato di un centimetro il livello medio dell’uomo, ma ha reso pressoché impossibili le « cime ».

Ora, in questa situazione di eviden­ te usura del monologo culturale tradi­ zionale e nel relativo insorgere della necessità di un dialogo sempre più articolato (e arduo, e spericolato) in particolare per la vasta, capillare, au­ tomatica diffusione dei mezzi audio­ visivi, l’esperienza del cosiddetto mon­ taggio sembra collocarsi nell’ampio spazio disponibile compreso tra il sag­ gio specialistico e la letteratura divul­ gativa di tipo digest. E se il genere prossimo può considerarsi quello del­ la letteratura di intrattenimento ap­ punto divulgativo, si potrà anche dire che la differenza specifica è data dal­ l’impiego organico che in esso si attua, o almeno si dovrebbe attuare, di mezzi e strumenti e accorgimenti non esclu­ sivamente letterari. Impiego organi­ co — come già fu sottolineato dal Chiappano (cfr. « La cultura popo­

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lare », ott. - die. 1954) — e non mera­ mente decorativo, ornamentale.

Si tratterà dunque di un accosta­ mento di fonti riccamente, sintetica­ mente, espressive, in un ordine più che strettamente « logico » utilmente evocativo; dell’impiego di elementi attinti a tutti i possibili campi della documentazione : un saggio storico servirà quanto (e forse meno) d’una immagine pittorica debitamente com­ mentata, il resoconto parlamentare si accompagnerà al brano di musica popolare, le testimonianze della nar­ rativa o della poesia (a volte così ful­ mineamente illuminanti) alle pezze di appoggio statistiche, al ragionamento economico, ai risultati delle inchieste ufficiali.

L ’e s p e r ie n z a compiuta recente­ mente presso il CE P A S mi sembra soprattutto interessante — a parte il concreto, « tangibile » risultato raggiunto con la realizzazione del te­ sto del montaggio che qui si pubblica — perché ha, si può dire dalle prime battute del lavoro in comune, messo in luce con netta evidenza e senza possibilità di equivoci, la ricchezza delle implicazioni del problema della divulgazione culturale, la carenza isti­ tuzionale della nostra organizzazione educativa e scolastica, l’assurdità del perpetuarsi della pigra, inerte divi­ sione della vita e attività intellettuale in settori di gelosa competenza che spesso si ignorano reciprocamente. Di qua la scuola, di là la biblioteca; di qua lo studio dei problemi econo­ mici e sociali dello Stato, di là l’eser­ cizio solitario e prezioso della esplo­ razione di una letteratura che a quel­ la tematica attinge i suoi motivi più intensi ; di qua la discussione sul la­ voro di gruppo, di là l’elaborazione ideologica di quanto sarebbe il neces­ sario contenuto di quella stessa tec­ nica o metodo che spesso nei nostri istituti di educazione attiva finisce col diventare pura esercitazione for­ male.

U n’analisi particolareggiata del

montaggio eseguito dagli allievi ci porterebbe assai lontano. Del resto, quest’analisi è stata condotta in sede di seminario con spregiudicatezza cri­ tica e autocritica. A parte l’inevita­ bile schematicità del testo, dovuta soprattutto ai limiti della durata, il punto più discutibile ci parve — e a me seguita a parere — l’ inseri­ mento e l’utilizzazione — in questa forma e misura — del poemetto pa- scoliano. Ha esso, così « usato », nel testo del montaggio, una funzione narrativa? Ha — così, senza il so­ stegno d’una appropriata introdu­ zione o commento critico — denso com’è di problemi estetici, linguistici, storici, quella reale funzione ed effi­ cacia lirico-evocativa che nella sua unità — una volta che questa sia at­ tivamente penetrata — possiede in

misura eccezionale? « Quell’orrida

Italy, col gergo anglo italico degli emigranti reduci dall’America » : so­ no parole di Croce che, confrontate con i giudizi nettamente opposti della più recente e avvertita storiografia letteraria (si veda soprattutto, di Giovanni Getto, « Pascoli e l’Am eri­ ca » nella « Nuova Antologia » del die. 1956) danno il senso della com­ plessità dei nodi culturali che espe­ rienze del genere di quella compiuta presentano.

Quei nodi non sono stati certo tutti sciolti nel breve lavoro svolto insie­ me. Ma la serietà, l’impegno, l’inten­ sità della partecipazione del gruppo hanno consentito di avviare un discor­ so che si può considerare — se mi è consentito dirlo — non del tutto inu­ tile. E forse il bilancio attivo si può riassumere nella frase felicemente espressiva pronunciata da un’allieva a proposito dei testi utilizzati : « og­ getti dimenticati distrattamente e ri­ trovati; e rifatti lucidi di una lucen­ tezza nuova ».

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Note del gruppo di lavoro

La biblioteca, che conserva per tradizionee in modo tradizionale ■—• le fonti di un patrimonio culturale, per esercitare una funzione attuale deve per quanto è possibile farsi strumento di diffusione della cultura. E ’ stato quindi importante che una persona qualificata abbia messo a disposizione di un gruppo di assistenti sociali la propria esperienza di una tecnica quale il « montaggio », che deriva dal libro e al libro si associa. Strumento che poi l’assistente sociale saprà considerare nella sua funzione culturale e sociale, ed anche nei suoi limiti.

Il seminario di cui qui si tratta ha offerto l’occasione a un gruppo di allievi diplomandi di frequentare le sale di una biblioteca, suscitando in loro il gusto della ricerca bibliografica, per cui ancora una volta hanno sentito l’importanza del libro nel loro lavoro e l’importanza di estendere i loro interessi al campo letterario, artistico, iconografico. Ma il seminario aveva, ci appare evidente, scopi più larghi. Se nel docente l’ipotesi di lavoro era, secondo noi, più chiara, gli allievi hanno avuto modo di risolvere problemi che avvertivano, ma soprattutto altri dì cui non erano consapevoli o di cui sentivano solo vagamente l’esigenza.

Non ci sembra quindi deformazione professionale considerare questo incontro come il riuscito esperimento di un educatore degli adulti particolarmente adatto a sviluppare la personalità dei soggetti.

Infine, si è avuto modo di capire come, lavorando in gruppo, si può arrivare a creare ed a presentare un « montaggio », malgrado che questo strumento com­ porti un determinato stile, una unità, un ritmo.

Per quel che riguarda il nostro lavoro, teniamo a precisare che è stata un’eser­ citazione, e quindi solo un tentativo di usare in modo concreto delle indicazioni teoriche, e di comporre qualcosa di personale partendo da un modello offertoci.

Si capisce che il lavoro risente della sua origine, e che gli fanno difetto una maggiore autonomia e proprio lo « stile » definito, che si può considerare essen­ ziale in un montaggio. A parte la poca preparazione e la scarsità del tempo di cui disponeva, il gruppo non aveva ben chiaro a quale tipo di pubblico desti­ nava il suo lavoro. E non si può negare che, trattandosi di un’esercitazione da presentare al docente, questi diventava in cej'to senso il pubblico determinante, mentre quello ipotetico di necessità passava in secondo piano. S’intende che l’assistente sociale pensa molto spesso, come « pubblico », a quello di un centro sociale, ma anche un centro sociale ha molti aspetti, a seconda del luogo dove sorge e dei gruppi che lo frequentano.

Del resto questo problema a cui si fa cenno, rientra in un altro, ben più vasto, di come il montaggioessendo una tecnicanon sia opera statica e determinata, ma sempre suscettibile della revisione della persona che lo adopera e che deve saperlo adattare ad una determinata realtà.

Se il montaggio prende la forma di cultura in pillole tradisce il suo signi­ ficato e il suo fine ultimo, che è quello di creare un rapporto, di suscitare un’emo­ zione, di far nascere degli interessi.

Non a caso, come titolo del nostro lavoro, abbiamo scritto « Guida per un montaggio ».

Il docente non è partito dall’arida descrizione di tecniche in quanto tali, ma dalla presentazione di un montaggio dal titolo « L’emigrazione » che egli stesso ha eseguito per il terzo programma della R.A.I., per il ciclo « Storia del­ l’umile Italia ».

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Dopo una discussione preliminare sull’argomento e sui riflessi che esso ha avuto ed ha nella cultura italiana, il docente ha descritto al gruppo il suo lavoro nei seguenti termini :

1) Trattazione retrospettiva dei problemi dell’ emigrazione sul piano sto­

rico, culturale, economico.

2) Elaborazione dei testi raccolti per eseguirne un montaggio, da presen­

tarsi ad un pubblico superficialmente informato sull’argomento per metterlo a contatto del problema in modo vivo e drammatico, e dargli la possibilità di approfondirlo.

Nel corso della discussione sul problema dell’emigrazione, con riferim ento anche ai vari modi ancora attuali di considerarlo {Vemigrazione e un fenomeno n egativo? è un fenomeno positivo!), da parte del docente sono state date le prime indicazioni per una ricerca bibliografica sul piano storico e politico, limitata al periodo che va dal 1880 al 1910.

È sembrato poi naturale e indispensabile esplorare nell’ opinione pubblica e nell’opera d’arte l’eco e l’incidenza del problema, tanto più che con questo periodo concide la letteratura verista, che rispecchia, da vicino i fenomeni sociali.

Mediante questa libera ricerca a loro affidata dopo i cenni sommari indicasti dal docente, gli allievi dovevano arrivare a raccogliere a loro volta il materiale da impiegarsi per un montaggio. Montaggio non radiofonico, da considerarsi

piuttosto come « guida al montaggio », che presupponesse un pubblico di media

cultura e che fosse suscettibile di perfezionam ento nelle mani di chi l’adoperasse, a seconda dell’ambiente e degli strumenti a disposizione.

Si è fatta una divisione, a grandi linee, delle letture dei testi tra gli allievi, a seconda degli interessi; poi si è proceduto alla presentazione dei testi consultati, con le indicazioni bibliografiche, alla, relazione sui testi scelti, con la motivazione della scelta, e infine alla discussione generale e alla critica dei testi proposti.

È necessario sottolineare che il programma del seminarioil cui sviluppo

era del tutto affidato alle possibilità e agli interessi degli allievinon prevedeva all’inizio altro che una ricerca e scelta di testi, dalla quale eventualmente, con l’appoggio del docente, si potesse passare a un montaggio di testi.

A questo punto un gruppo di allievi, maggiormente liberi da impegni rispetto ai colleghi, ha preso l’iniziativa di tentare un primo ordinamento del materiale raccolto da fon ti storico-politiche e letterarie e di delinéame un’organica fusione, e si è quindi riunito a itale scopo. Nella riunione è emersa, sentita da tutti, l’ esi­ genza di agganciare l’argomento alla realtà attuale, con la testimonianza di autori contemporanei che presentassero il problema come oggi è sentito.

Ma il punto centrale e r a : come presentare il materiale raccolto?

Quasi senza rendersene conto, il gruppo ha tentato urna presentazione vivace ed evidente di un materiale statico, quasi che ognuno volesse dar vita al risultato della ricerca personale. Si è avuta una prova spontanea di lettura espressiva, alla quale è seguita la scelta delle voci più adatte. Quasi senza rendersene conto, si stava procedendo al montaggio.

Si delineavano così « le voci » e « il presentatore », e insieme la necessità di arricchire la lettura con elementi capaci di suscitare una più fo rte partecipazione emotiva. Perciò tutto il gruppo ha discusso e ha deciso che era utile accompagnare la lettura con la proiezione di immagini e l’audizione di motivi musicali appropr-iati.

A questo punto si è sentita di nuovo la necessità di una divisione di compiti, da affidare a singoli o a sottogruppi; la divisione è stata così definita:

a) Raccolta del materiale definitivo.

b) Stesura del montaggio con aggiunta di parole o brevi commenti che

servissero da filo conduttore. _

c) Scelta delle immagini.

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Vi è stata poi una riunione collettiva di tutti gli allievi in cui si è discusso

sull’opportunità di non presewtaì'e al docentecome in precedenza si era sta­

bilitotesti separati ulteriormente selezionati, per poi procedere con la sua

assistenza al montaggio di essi, ma piuttosto già il montaggio che il gruppo andava tentando, anche se in stato di abbozzo.

Prevalsa l’opinione di tentare la presentazione del montaggio condotto senza l’aiuto del dott. Mazzocchi, tutto il gruppo degli allievi si è diviso per così dire in due parti: pubblico e lettori. Pubblico particolarmente attivo ed interessato e quindi molto adatto a critiche ed a suggerimenti.

Prima dell’esecuzione del montaggio, nella stesura qui presentata, vi è stata

una seconda riunione collettiva che può considerarsi una specie di « prova

generale ».

Fonti del montaggio

Ad d a r io M. e Ca n i n o R., Che cosa è l’emigrazione, in « Centro Sociale », Roma, 1955, a. II, n. 4.

Br e n n a P., Storia dell’emigrazione italiana, Roma, Mantegazza, 1928. Ca p u a n a L., Gli « americani » di Rabbuio, Palermo, Sandron, 1912.

Ce l l i A ., Discorso in « A tti Parlamentari della Camera dei Deputati », 13 gen­ naio 1901.

Cic c o t t i E ., Discorso in « A tti Parlamentari della Camera dei Deputati », sessione

1900-1902, Leg. XXI.

De Am ic is E ., Sull’Oceano, Milano, Treves, 1890.

Dì Ru d inÌ A ., Relazione presentata alla Camera, 13 aprile 1897. Le v i C., Cristo si è ferm ato a Eboli, Torino, Einaudi, 1947.

Pa s c o l i G., Italy - Sacro all’Italia raminga, in « Primi poemetti ». Pe r r i F., Emigranti, Milano, Mondadori, 1928.

Rea S., Esperienze della politica emigratoria, in « Nord e Sud », 1955 a. II, n. 4.

Sc o t e l l a r o R., Contadini del Sud, Bari, Laterza, 1954.

Sc o t e l l a r o R., C’era l’America, in « E ’ fatto giorno », Milano, Mondadori, 1954.

Materiale fotografico utilizzato per le proiezioni:

riproduz. del quadro di A . Tommasi Emigrazione (Gali. Naz. A rte Moderna, Roma) ;

riproduz. di illustrazioni da Sull’Oceano (pagg. 15, 49, 91, 237, 359) ; riproduz. di fotografie da « C o m u n ità » , a. V i l i , n. 27 (pag. 3 5 ); varie fotografie di zone depresse.

Com m ento musicale :

V itti ’na crozza, disco Cetra DC 54119 (canto popolare siciliano, utilizzato

nel film di Germi « Il cammino della speranza »).

Voci :

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Guida per un montaggio su tema

Soggetto: L ’emigrazione

N el trascrivere il montaggio si indica in cifre romane progressive l’ordine di « entrata » delle varie voci. I passi in corsivo corrispondono ai testi di collega­ mento concordati dal gruppo. La lettura del montaggio dura circa 50 minuti.

presentatore

(mentre si proiettano una o pili immagini di zone depresse).

I - Ognuno di voi ha certamente visto un fam iliare o un parente o almeno un conoscente partire per l’estero alla ricerca di un posto di lavoro'. N ell’assoluta maggioranza dei casi una tale decisione, che comporta quasi sempre un sacri­ ficio sentimentale non lieve, è stata presa dopo vane e spesso lunghe ricerche di una occupazione che nel paese natio o nel capoluogo o in altri centri vicini non è stato possibile trovare.

(adattamento da »Che cosa è. l’ emigrazione», pag. 1).

Quello che è certo è che ogni lavoratore ha il diritto di cercare la soluzione del proprio problema anche all’ estero, diritto che del resto gli è riconosciuto dalla Costituzione.

prima voce maschile II - A rt. 16 della Costituzione : Ogni cittadino può circo­

lare o soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repub­ blica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge.

presentatore I l i - Il movimento emigratorio verso l’estero di conta­

dini e di lavoratori, in Italia, data quasi dal 1861, epoca della sua unità. L ’emigrazione è dunque, per gli Italiani, fenomeno antico.

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proiezione

(riproduzione del quadro

« Emigrazione > di A . Tom-

m asi; illustrazione da

«Sull’ Oceano», pagr. 559).

prima voce femminile proiezione (illustrazione da «Sull’Oceano», pag. 49). presentatore seconda voce maschile 1884

IV - Verso sera, l’imbarco degli emigranti era già comin­ ciato da un’o r a .. . Operai, contadini, donne con bambini alla mammella, ragazzetti che avevano ancora attaccata al petto la piastrina di latta dell’asilo infantile passavano, portando quasi tutti una seggiola pieghevole sotto il braccio, sacche e valigie di ogni forma alla mano o sul capo, bracciate di materasse e di coperte, e il biglietto col numero della cuccetta stretto fra le labbra.

V isi e vestiti d’ogni parte d’Italia, robusti lavoratori dagli occhi tristi, vecchi cenciosi e sporchi, donne gravide, ragazze allegre, giovanotti brilli, villani in maniche di camicia, e ragazzi dietro ragazzi, che, messo appena il piede in coperta, in mezzo a quella confusione di passeggieri, di camerieri, d’ufficiali, di impiegati della Società e di guardie di dogana, rimanevano attoniti, o si smarrivano come in una piazza affollata.

Poi le fam iglie si separavano: gli uomini da una parte, dall’altra le donne e i ragazzi erano condotti ai loro dormitori. E d era una pietà vedere quelle donne scendere stentatamente per le scalette ripide, e avanzarsi tentoni per quei dormitori vasti e bassi, tra quelle innumerevoli cuccette disposte a piani come i palchi delle bigattiere.

Delle donne, le più rimanevano sotto ; gli uomini, invece, deposte le loro robe, risalivano, e si appoggiavano ai para­ petti. Curioso ! Quasi tutti si trovavano per la prima volta sopra un grande piroscafo che avrebbe dovuto essere per loro come un nuovo mondo, pieno di meraviglie e di misteri ; e non uno guardava intorno o in alto o s’arrestava a considerare una sola delle cento cose mirabili che non aveva mai viste. Alcuni guardavano con molta attenzione un oggetto qualun­ que, come la valigia o la seggiola d’un vicino, o un numero scritto sopra una cassa; altri rosicchiavano una mela o sbocconcellavano una pagnotta, esaminandola a ogni morso, placidissimamente, come avrebbero fatto davanti all’uscio della loro stalla.

(da « Sull’ Oceano», vagg. 1-6).

V - Voce di un deputato alla Camera.

V I - Tra il dissidio di Compagnie di Navigazione e di agenti di emigrazione, di speculatori e di filantropi, c’è una voce, non invocata, che non si sente, ed è quella degli

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emi-proiezione (illustrazione da «Sull’Oceano» pag. 237). prima voce fem minile proiezione (illustrazione da « Sull’Oceano* pag. 15). presentatore

prima voce maschile

prima voce femminile

presentatore

granti. Purtroppo essi sono i minorenni della società. Essi non possono fa r sentire direttamente i loro desideri e le loro aspirazioni, e il non poter essere artefici del loro destino, siano dei beneficiati o dei malmenati, è la misura, è l’indice, è la causa, è il danno della loro inferiorità di vita.

Se essi potessero essere interrogati per dare il loro parere su questa legge, io credo che, con quella loro aria stupefatta, su cui erra un sorriso indefinibile, gli emigranti rispondereb­ bero: «A n c h e questo mobile mondo, su cui attraversiamo l’Oceano, assom iglia a queU’altro della terraferma, che ab­ biamo lasciato ; anche qui vi è una prim a classe dove avvi aria e luce e, se degenerazione avviene, avviene in grazia del superfluo ; anche qui vi è una seconda classe, in cui alcuni non hanno altra aspirazione, altro tormento, se non di elevarsi alla prima, e nessun’altra paura che di cadere nella terza ; anche qui vi è una terza classe pel brulicame umano, al quale, sui vascelli, non è dato nemmeno il posto che dovrebbe esser dato ad un cane!

( dagli « A tti P arlam entari», discorso di d ecotti, pag. 657).

V II - M a lo spettacolo erano le terze classi, dove la m ag­ gior parte degli emigranti, presi dal mal di mare, giacevano alla rinfusa, buttati a traverso alle panche, in atteggiamenti di malati o di m orti, coi visi sudici e i capelli rabbuffati, in mezzo a un grande arruffio di coperte e di stracci. _

(da « Sull’Oceano», pag. 15).

V i l i - Voce di un altro deputato alla Camera.

IX - Purtroppo la storia sanitaria della nostra marina mercantile è piena di pagine molto nere. Negli ultimi anni le più terribili epidemie navali di colera del 1884 e nel 1893 hanno infierito sui nostri piroscafi.

Ma questi, si può dire, sono fa tti straordinari ; ebbene, per sapere cosa avviene quotidianamente e per convincersene, basta leggere le relazioni dei medici che hanno fatto viaggi sui piroscafi degli emigranti.

(dagli « A tti Parlam entari», discorso di Celli, pag. 620).

X - Quasi tutti avevan per mèta l’Argentina, un piccolo numero l’Uruguay, pochissimi le repubbliche della costa del Pacifico. Qualcuno, anche, non sapeva bene dove sarebbe • andato : nel continente americano senz’altro : arrivato là,

avrebbe visto.

(da « Sull’ Oceano», pag. 34).

XI - 1901: prima legge sull’emigrazione. Si cerca di sot­ trarre l’ emigrante alle più sfacciate speculazioni e in partico­ lare agli arruolatori e agli agenti, più o meno clandestini, dei

(14)

banditeschi armatori di trasporto. Si crea contemporanea­ mente un organo competente in m ateria: il Commissariato per l’emigrazione.

Perché partono?

Opinioni di storici e di economisti dell’epoca.

seconda voce femminile

presentatore

terza voce femminile

X II - Non è facile dire la causa precisa dell’emigrazione. Si può parlare di miseria, di eccesso di popolazione e di nascite, di tasse sproporzionate alla ricchezza, ma si può par­ lare anche di desiderio di vivere meglio per cui nascono nuovi bisogni che non si possono soddisfare in parte.

Non solo i poveri emigrano : talvolta i più poveri non

hanno denaro• e si adattano alla loro condizione.

Emigra chi può vendere o ipotecare qualcosa; spesso spinto da fantastiche narrazioni di amici, parenti, paesani che tor­ nano.

X III - Parla un contadino.

X IV - Così arrivammo all’anno 1907 che, come i precedenti, fu malissimo, anzi il male era di più che eravamo caduti in debito finanziario di parecchie centinaia di lir e : era l’anno della disperazione.

Siccome avevamo i terreni vicino con i miei zii, fratelli di mio padre, un giorno di quell’anno, nel mese di settembre, c’incontrammo tutti assieme per bruciare la ristoppia. Quando arrivò l’ora per fare colazione mangiammo tutti assieme e, mediante che si mangiava, ognuno raccontava la sua, di come si viveva male e pieni di debiti. Uno di loro incominciò a dire che per risolvere la faccenda bisognava em igrare e par­ tire in America. In meno di mezz’ora di ragionamento fummo tutti e cinque, con me compreso, della stessa unanimità e, così come venne quella decisione fulminea per la disperazione, ce ne andammo subito al paese, senza più nemmeno bruciare la ristoppia, e nella stessa giornata incominciammo a prepa­ rarci i documenti per poter ottenere il passaporto.

• • • I o . . . ero tanto entusiasmato dai miei zii, che mi dicevano: — Tu vedrai un mondo nuovo: là tu farai un’altra vita, starai bene, non ti mancherà nulla — ed io, udendo tutto ciò, mi animavo da m e stesso, pensando in una vita futura piena di avventure per dimenticarmi il pas­ sato, la vita piena di patimenti e sofferenze che si trascorreva al mio paese.

{da « Contadini del S u d », pagg. 145-146)

(15)

presentatore X V - Da un documento ufficiale del Governo.

seconda voce femminile

X V I - In un documento del Governo si chiama l’ emigra­

zione « fenomeno sociale » e si accenna alle cause ancora

permanenti di tale fenom eno: il malessere profondo che

affligge l’ economia nazionale, la depressione generale del­ l’agricoltura e dell’industria, dovuta a ragioni di concorrenza mondiale e alla mancanza di capitali disponibili a m iti con­ dizioni per l’insufficienza del risparmio nazionale; la miseria dolorosa di alcune popolazioni agricole ; la sovrabbondanza di lavoratori avventizi ognor crescente di fronte all’estendersi dei latifondi e alla soppressione dei grandi lavori pubblici ; l’aumento troppo rapido della popolazione povera.

(dalla relazione délVOn. di Rudinì).

presentatore X V II - L ’arrivo.

prima voce femminile

X V III - Tra la folla fitta e nera si vedevan girare lunghe berrette blù di cafoni, busti verdi di donne calabresi, larghi proiezione

(foto da « Comu­ n ità ►, pad. 35;

da i Sull’ Oceano », pad. 31).

cappelli di feltro di contadini dell’A lta Italia, cuffie di monta­ nare, papaline rosse, italianelle, raggiere di spilli di villanelle della Brianza, e teste bianche di vecchi e nere capigliature selvagge e una varietà mirabile di facce stanche, tristi, ri­ denti, attonite, sin istre; molte delle quali facevan credere vero che l’emigrazione porti via dal paese i germi di molti delitti.

{da «Sull’Oceano», pag. 44)

presentatore X IX - N otizie dall’Am erica.

terza voce maschile XX - Caro nonno, cara Mamma, caro fratello,

Semo arrivati qui in una cità che si chiama Nuova iorca ed è più grande di tutta la Siggilia che fa spavento tanta è la popolazione nelle strate. Uno si perde. M a cci sono molti nostri paesani che pare di essere a Rabato e si fa tanto di cuore sentendo il nostro linguaggio. Abbiamo incontrato Nascarella con la moglie e la figlia che suonano lorganetto. Hanno li cappelli come le signore, che si riconoscono a stento; la figlia canta le canzonette napoletane: la matre raccoglie i soldi col piattino che ci mangiano, ci bevono, pagano la casa e ci ne restano.

Non avemo visto ancora il Salone di Coda pelata che è chiuso, dice, per farlo m eglio: ma Nascarella cià detto che non è vero e sta a picciotto in un altro salone.

N oi ci colloghiamo in una masseria per lavori di campa­ gn a; poi, dice, avremo li terreni. La paga è bona.

(16)

Non stati impensiero per noi. Faremo fortuna. In questi paesi ognuno fa perse, abiamo la testa ntronata dalla gran- gente che va e viene : pare che tutti corrono come savessero gli sbirri alle calcagno e noi dobbiamo fare pure così. Le fattorie le chiamano ferm e come se potessero scappare; e se non vi fossero i nostri paesani non ci capirebbe nessuno perchè parlano una lingua ingresa che pare se la masticano coi denti mentre il linguaggio siggiliano è così spiccio che sarebbi meglio parlassino siggiliano. Figurativi che per dire : bona sera dicono cuttinaite.

Noi stiamo bene e così speriamo sentire di voi. Baciamo la mano alla mamma, al nonno, e salutamo a Menu : la rispo­ sta mandatela come è scritto qui. Salutate li vicini e tutti li amici che domandano di noi.

Vostri cari nipoti

Stefano Lamanna, Santo Lamanna.

(da «Gli “ americani „ di Rabbato » pag. 112).

terza voce maschile

XXI - Caro padre e care sorelle,

V i scrivo questa lettera per farvi sapere l’ottimo stato dela mia buona salute, con l’aiuto di Dio, come anche di mio fratello e di tutti i paesani che siamo tutti « anavia » e ab­ biamo subito trovato lavoro. Dunque, caro padre e care sorelle, noi lavoriamo in una grande « sciarpa », e siamo in una grande campagna a fare una ferrovia, e abbiamo trovato alcuni amici della Calabria. . . .

Dunque caro padre, noi non ci troviamo a Nuovaiorca, chè appena siamo sbarcati alla « botteria » ci hanno presi e ci hanno accompagnati in questa campagna, ch’è lontana due giornate di treno dalla città ; e voi scrivete con la busta che vi mando, perchè le lettere vanno alla Banca Tocci, ch’è una bona banca italiana, e quella, ce la manda per dove siamo col lavoro.

Dunque, caro padre e care sorelle, noi nulla possiamo dire di questo paese, perché siamo in campagna, e la bianche­ ria ce la laviamo noi la domenica, e non possiamo andare in città. Solo vi dico che l’America è un paese grande che voi non potete farvi un’ idea, ed è un paese diverso da nostro, dove ci sono grandi ricchezze, ma quando uno non trova lavoro sono guai. Qui in America, caro padre, non ci sono i fichi o i fichidindia di Bony : qui chi non lavora muore di fame, e l’oro corre come l’acqua al nostro paese, quando piove con lo sci­ rocco. . . E vi dico, caro padre mio, che questi paesi sono assai lontani e noi ci troviamo come sperduti pensando alle nostre case e alle nostre fam iglie e fidanzate, che salutiamo di vero core.

(17)

presentatore

quarta voce femminile

X X II - Un emigrato torna in Italia, con la moglie ame­ ricana e la bimba nata in America, per una breve permanenza. La bimba è ammalata e i genitori sperano che si rimetterà al sole d’Italia.

X X III

-I I)

A Caprona, una sera di febbraio, gente veniva, ed era già per l’erta, veniva su da Cincinnati, Ohio.

La strada, con quel tempo, era deserta. Pioveva, prima adagio, ora a dirotto, tamburellando su l’ombrella aperta. La Ghita e Beppe di Taddeo lì sotto erano, sotto la cerata ombrella

del padre : una ragazza, un giovinotto. E c’era anche una bimba malatella, in collo a Beppe, e di su la sua spalla mesceva giù le bionde lunghe anella.

li)

Salivano, ora tutti dietro il nonno, la scala rotta. Il vecchio Lupo in basso non abbaiò; scodinzolò tra il sonno. E tentennò sotto il lor piede il sasso davanti l’uscio. C’era sempre stato presso- la soglia, per aiuto al passo. E l’uscio, come sempre, era accallato. Lì dentro, buio come a chiuder gli occhi. Ed era buia la cucina allato.

Ili)

Beppe sedè col capo indolenzito tra le due mani. La bambina bionda ora ammiccava qua e là col dito. Parlava ; e la sua nonna, tremebonda, stava a sentire e poi dicea : Non pare un luì quando canta tra la fronda?

iv)

La nonna intanto ripetea : « Stamane fa freddo! » Un bianco borracciol consunto mettea sul desco ed affettava il pane.

(18)

Pane di casa e latte appena munto. Dicea : « Bambina, state al fuoco : nieva ! nieva! » E qui Beppe soggiungea compunto:

P0 0 1■ Molly\ qui non trovi il pai con fleva! »

v)

Venne, sapendo della lor venuta, gente, e qualcosa rispondeva a tutti

Ioe, grave: Oh yes, è fiero. . . vi sa lu ta .. . molti bisini, oh yes. . . No, tiene un fru tti- stendo. . . Oh yes, vende checche, candì, scrima. . Conta m oneta: può campar coi f r u t t i ...

Il baschetto non rende come prima. . .

Yes, un salone, che ci ha tanti bordi. . .

Yes, l’ho rivisto nel pigliar la s t im a .. . »

VII)

Ghita diceva: «M a m m a, a che filate? Nessuno fila in Mèrica. Son usi d’una volta, del tempo delle fate.

Oh yesl filare! A ssai mi ci confusi da bimba. Or c’è la macchina che scocca d’un frullo solo centomila fusi.

vili)

Ghita diceva: «M a d re, a che tessete? Là può comprare, a pochi cents, chi vuole, cambrì, percalli, lustri come sete.

E poi la vita dite che vi duole! C’è dei telari in Mèrica, in cui vanno ogni minuto centomila spole.

E ce n’ha mille ogni città, che fanno ciascuno tanta tela in uno scatto,

quanta voi non ne fate in capo all’anno »

IX)

Molly, ancora ammalata

Tra il rumore dei licci e della cassa tossiva, che la nonna non sentisse. La nonna spesso le dicea: « Ti passa? »

(19)

presentatore

Yes, rispondeva. Un giorno poi le disse: « Non venir qui ! » Ma ella ci veniva, e stava lì con le pupille fisse.

Godeva di guardare la giuliva danza dei licci, e di tenere in mano la navicella lucida d’oliva.

II

IX)

Molly con la famiglia riparte per l’America.

Quando tu sei venuta, o rondinella, t’hanno pur salutata le campane;

ti venne incontro il nonno con l’ombrella, ti s’è strusciato alle gambine il cane. Pioveva; m a tu, bimba, eri coperta; trovasti in casa il latte caldo e il pane. XX)

loe, bona cianza!. . . » « Ghita, state bene!. . . » « Good bye. » « L ’avete presa la ticchetta ? » « Oh yes. » « Che barco? » « Il prinzesin Irene. » L ’un dopo l’altro dava a loe la stretta

lunga di mano. « Salutate il tale. »

« Yes, servirò. » « Come partite in fr e tta ! » Scendean le donne in zoccoli le scale per veder Ghita. Sopra il suo cappello c’era una fifa con aperte l’ale.

« Se vedete il m i’ babbo. . . il mio fra te llo .. . il m i’ co g n a to .. . » « Oh yes » « Un bel passaggio vi tocca, o Ghita. Il tempo è ferm o al bello. » Il nonno, solo, in là volgea la testa

bianca. Sonava intorno mezzodì. Chiedeano i bimbi con vocìo di festa : «T orn erai, M olly? » Rispondeva; — S ì! —

(da « Italy - Sacro all’Italia raminga*).

X X IV - L’emigrazione aumenta notevolmente dagli inizi del secolo al 1913.

Riguardo alla provenienza dell’ emigrazione, m entre in principio la maggiore percentuale media di espatri era data dall’Italia Settentrionale, ora vi è in prima linea l’Italia Meridionale, seguita dalla Settentrionale e dalla Centrale.

Dal N ord dell’Italia preveniva mano d’opera qualificata, diretta per lo più verso territori europei; dal Sud

(20)

proveni-audizione

(disco « Vitti ’na crozza»)

vano addetti all’agricoltura e braccianti diretti, soprattutto, in America : contadini della Calabria, della Sicilia, della Pu­ glia, della Campania,

Lo scoppio della prima guerra mondiale arresta l’emi­ grazione che riprenderà il suo ritm,o alla fine della guerra per rallentare ancora dal 1924.

Nel periodo fascista si ebbe una decisa azione anti-emi- gratoria e si arrivò a sopprimere il Commissariato per l’ emi­ grazione. Si deve però anche ricordare che nello stesso periodo i Paesi che, per tradizione, accoglievano i nostri emigranti, mutarono la politica emigratoria e ridussero il contingente annuo.

Dopo la seconda guerra mondiale permane in Italia la situazione economica che provoca i problemi tradizionali, per cui si sente il bisogno di impostare nuovamente il problema dell’ emigrazione e si interviene con negoziati diplomatici.

E o g g i?

terza voce

femminile che sono : molti vi si fermano, e i loro figli diventano ameri­X X V - I contadini vanno in America e rimangono quelli cani; ma gli altri, quelli che ritornano, dopo venti anni, sono identici a quando erano partiti. . . Gagliano è piena di questi emigranti ritornati. . .

— Laggiù avevo un salone, e quattro lavoranti. Nel ’29 sono venuto per sei mesi, ma ho preso moglie e non sono più partito : e ora son ridotto a questa botteguccia e a com­ battere con la miseria — mi diceva il barbiere, un uomo coi capelli già grigi sulle tempie, con l’aria seria e triste.

. . . La bottega dell’americano, del parrucchiere dei signori, era l’unica delle tre che sembrasse una vera bottega di bar­ biere. C’era uno specchio tutto appannato dalle cacche di mosca, c’era qualche seggiola di paglia e al muro erano attac­ cati ritagli di giornali americani, con fotografie di Roosevelt, di uomini politici, di attrici, e réclames di cosmetici. Era l’unico resto dello splendido salone di non so più quale strada di New York. . .

Questi americani del 1929 si riconoscono tutti all’aria delusa di cani frustati, e ai denti d’oro. I denti d’oro brilla­ vano anacronistici e lussuosi nella larga bocca contadina di Faccialorda, un uomo grosso, robusto, dall’aspetto testardo ed astuto. Faccialorda, chiamato da tutti con questo sopran­ nome forse per il colore della sua pelle, era invece un vinci­ tore nella lotta dell’emigrazione, e viveva nella sua gloria. Era tornato dall’Am erica con un bel gruzzolo, e anche se l’aveva già in gran parte perduto per comprarsi una terra sterile, ci poteva ancora modestamente campare.

. . . La posta porta continuamente qualche cosa che viene di laggiù, che i compaesani fortunati mandano a regalare ai loro parenti; arrivano forbici, coltelli, rasoi, strumenti agricoli.

(21)

presentatore

seconda voce maschile

prima voce maschile

presentatore

(mentre il presentatore p a r­ la lentamente si proiettano due foto di aree depresse).

proiezione

quarta voce femminile

falcetti, martelli, tenaglie, tutte le piccole macchine della vita com une.. .

Le donne, che filano la lana sui vecchi fusi, tagliano il filo con spendidi forbicioni di P ittsbu rg: i rasoi del barbiere sono i più perfezionati. . . e l’acciaio azzurro delle scuri che i contadini portano sempre con sè, è acciaio americano. Essi non sentono alcuna prevenzione contro questi strumenti mo­ derni, né alcuna contraddizione fra di essi e i loro antichi costumi. Prendono volentieri quello che arriva da N ew York, come prenderebbero volentieri quello che arrivasse da Roma.

(da « Cristo si è fermalo ad Eboli», pagg. 114-121).

X X V I - Emigrare : è un bene? E ’ un m ale? Molto si è detto

e scritto da circa un secolo su questo argomento. Alcune

opinioni.

X X V II - Il valore di un emigrante che lascia il proprio paese si può valutare intorno ai 4 milioni, la cifra che spende lo Stato per portarlo all’età produttiva.

(iadattamento da « Esperienze della politica emigratoria »).

X X V III - Ciò che gli oppositori dell’emigrazione non cal­ colano . e non desiderano calcolare è quanto spenderebbe lo Stato per mantenere in Italia l’emigrato.

(idem)

X X IX - Forse si può dire che l’emigrante utile per noi è quello che ha una educazione tecnica. Si moltiplichino in Italia le scuole professionali, si foggino più meccanici valenti, bravi operai, compiuti agricoltori. In una parola si dovrebbe poter arrivare ad eliminare remigrazione del povero bracciante: lo straniero non lo comprende e lo disprezza ; egli è pieno di rancore verso la Patria che non lo ha saputo nutrire, pieno di odio per il Paese che lo accoglie e che non lo comprende.

(adattamento da «Storia dell9emigrazione italiana»).

XXX - C’era l’America, bella, lontana del padre mio che aveva vent’anni. Il padre mio potè spezzarsi il cuore. Am erica qua, America là,

dov’è più l’America del padre m io?

Am erica sarà la terra mia col sole e la luna giganti, aria mite, cielo celeste, a operaio e contadino una notte di festa.

(22)

terza voce maschile

{audizione disco « V itti ’ na crozza » dlVinizio in sordi­ na, che aumenta poi gra­ datamente di volume).

Così parlavano piano: Piroscafo che dici sì e no sull’onda che ti tiene in mano, voglio vedere che sorte avrò. La Serenata apriva le porte e notte e giorno aravo il mare per quella terra che non l’ascoltava. L ’amico morì sparato a quella terra, gli misero la cera in faccia,

una faccia di cera tale e quale. Tornarono con la casa e la vigna per un letto di gramigna

da tanto lontano.

Ora dov’è l’Am erica nostra? La nonna credeva all’altro mondo, i figli leggemmo

le facce di cera dei padri. Non c’è un’Am erica nostra. E ’ venuto il vento,

è caduta la giostra, è morto il vicino di casa, che era stato a quella terra. America qua, America là, dov’è più l’Am erica del padre m io?

E ’ finita per sempre oggi nel mondo l’ illusione paterna che esista ancora un paese chiamato America. E il Venezuela, che ci resta, non vale un bicchier d’acqua del Basento.

(« C'era VAmerica 0.

XXXI - ... Caro padre, vi prego che mi facciate una pronta risposta e mi facciate sapere una di tutto. Ditemi come vanno li seminati, se il pero selvatico che ho innestato io a Bony ha attecchito e se quest’anno avete ancora inten­ zione di potare le viti americane del vivaio, e ditemi anche come sta la nostra vecchia asina...

Dunque, caro padre e care sorelle, noi siamo lasciata la nostra patria per venire a fare fortuna in questo paese, con l’aiuto di Dio, e ci siamo subito messi al lavoro, ma il nostro cuore è sempre al nostro paese, e se Dio ci dà salute, quando avremo guadagnato un poco di denaro, ritorneremo a casa nostra, chè ogni uccello tende al suo nido...

{da « Emigranti », pag. 121).

( Al termine della lettura si proietta una tavola riassuntiva delle fonti scritta a grandi caratteri).

(23)
(24)

Da “ S u ll5 Oceano ” , pag. 49; in basso: A . Tommasi: “ Em i­ g r a z i o n e neZZa pag. precedente: da “ >SW- VOceano ” , pag. 359.

(25)
(26)

Da “ Sull’O ceano” , pag. 15; in basso: da “ Sull’Oceano ” , pag. 91; nella pagina prece­ dente: da “ Sull’ Oceano” , pag. 237.

(27)

Documenti

Discussioni sulla dinamica di gruppo

U na lettera di Maria Calogero : Il gruppo esiste?

«Sono d’accordo con Adria­ no Ossicini (1) circa il peri­ colo che certe tecniche usate e divulgate dagli studiosi della dinamica di gruppo introducano o convalidino la opinione che « il gruppo esiste » o che l’integrazione del gruppo è « qualche cosa di mistico e di ineffabile », che quindi solo gli eletti possono realmente capire e attuare (2). Vorrei tuttavia chiedergli in che senso egli dice che « il gruppo è senza dubbio una realtà: il pro­ blema è di stabilire in che limiti è una realtà auto­ noma ».

Secondo Allport, « colpiti dalla n a t u r a strettamente intrecciata e reciproca del comportamento sociale, al­ cuni scrittori sono stati in­ dotti a postulare una sorta di ” mente collettiva ” , di ” consapevolezza di gruppo ” come entità separate dalle menti degli individui di cui il gruppo è composto.

Nes-(1) I gruppi diagnostici, in « Centro Sociale », a. Ili, n. 10-11, pag. 22 sgg.

(2) Nu m e r o s o N ., Un semina­ rio sulla dinamica di gruppo, in

« Centro Sociale », id. pag. 5 sgg. (3) Al l p o r t F. H., Social Psy­

chology, Boston, Hugton Mifflin

sun errore è più sottile e sbagliato di questo (...). Non c ’è psicologia di gruppo che non sia essenzialmente e in­ teramente una psicologia di individui. La psicologia in tutte le su e b r a n c h e è una scienza dell’individuo. Estendere i suoi principi ad unità più larghe vuol dire distruggere il significato di essi » (3).

E ’ questo che Adriano Ossicini vuol dire?

Oppure il gruppo esiste come una realtà autonoma, sia pure con dei limiti?

La discussione di proble­ mi cosiffatti non è una di­ scussione oziosa e puramente teorica. Soltanto quando sia­ no state ben chiarite tali premesse è possibile inten­ dersi sul significato di inte­ grazione, maturazione, isti­ tuzionalizzazione del gruppo e simili, concezioni che altri­ menti possono rendere d if­ ficile il tener ferma quella

Co., 1924, pag. 4; v. anche Krech

D. and Cr u t c h f ie l d R. S., Theory

and Problems o f Social Psycho- logy, McGraw, Hill Book Co., 1948, pag. 21 : « Dobbiamo sem­ pre aver presente che quando noi consideriamo il gruppo come la nostra unità di analisi e

cer-responsabilità u m a n a , che può essere soltanto respon­ sabilità individuale.

Vorrei qui accennare a una delle molte facce con cui questo problema si pre­ senta.

Nei testi americani di ser­ vizio sociale di gruppo (sono i testi più largamente usati nelle scuole italiane di ser­ vizio sociale) ricorrono assai di frequente frasi di questo tipo: l’assistente sociale di gruppo deve stabilire buoni rapporti con gli individui e con il gruppo come un tutto

(thè group as a whole). Il

gruppo come un tutto: che cosa significa?

E ’ un modo rapido di esprimersi e allora « grup­ po » sta per « la maggior parte dei c o m p o n e n t i il gru p p o» o p p u r e per « i componenti il gruppo, non solo isolatamente, uno per uno, ma anche quando sono in interazione tra loro »? O non è già, piuttosto, un esempio di gergo professio­ nale indicativo di quella mi- sticheggiante immagine del gruppo, esistente per sé, per cui i complessi o le frustra­ zioni sono attribuiti tout

chiamo di scoprire le leggi del comportamento di gruppo, noi non possiamo semplicemente sostituire in leggi psicologiche valide la pa­ rola gruppo alla parola individuo e considerare poi queste leggi come leggi, ugualmente valide, di dinamica di gruppo ».

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