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LA DEONTOLOGIA DEL MEDICO ESPERTO NELLA VALUTAZIONE DEL DANNO ALLA PERSONA

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LA DEONTOLOGIA DEL MEDICO ESPERTO

NELLA VALUTAZIONE DEL DANNO ALLA PERSONA

La situazione attuale in Francia

Che sia nominato come Consulente d’Ufficio da un Tribunale o da un magistrato, sia come Consulente di Parte oppure come medico da un compromesso fra la Previdenza Sociale ed un medico curante, oppure da una compagnia d’assicurazione, il medico legale si trova in tutti questi casi in una situazione molto diversa da quella del medico curante scelto da un malato per farsi curare. E il suo atteggiamento sarà necessariamente diverso da quello del medico curante. Eppure è sempre un medico, vicino al malato che soffre o che ha sofferto, e dovrà avvisare quest’ultimo della situazione particolare che è una perizia ed applicare le regole stabilite dal Codice Deontologico per queste funzioni.

Il medico esperto è innanzitutto un medico

Nonostante non gli sia permesso essere il medico curante di un malato o di un soggetto leso per il quale effettua una perizia (Art. 105 del Codice di Deontologia medica), in caso d’urgenza o di necessità non rifiuterà le sue cure ad un periziando (Art. 9 del Codice di Deontologia e Art. 223-6 del Codice Penale). Gli altri articoli dei capitoli 4 e 5 del Codice di Deontologia Medica sono in particolar modo destinati a regolamentare la medicina di controllo e le perizie mediche (Art. 100- 101-102-103-104-105-106-107-108).

L’atteggiamento del medico esperto

La prima preoccupazione del medico esperto riguarda il rispetto della vittima. Questo rispetto, la disposizione mentale, si riflette già prima della perizia nella corrispondenza che il medico legale indirizza alla vittima: questa corrispondenza incomincia con l’avvisare della vittima per quanto riguarda la designazione del medico per una perizia oppure un controllo, dello scopo della perizia, del modo in cui il medico legale dovrà compiere le sue funzioni, dell’identità del mandante e delle conseguenze della perizia, vale a dire del rapporto e della sua destinazione.

In seguito, è importante l’accoglienza del soggetto leso. Il medico legale deve presentarsi, informare nuovamente la persona da esaminare del perché l’esamina e precisare che pur essendo un medico, il medico legale non è tenuto allo stesso segreto del medico curante. Deve pure aggiungere che, tutt’al contrario, è tenuto al segreto professionale del perito e non potrà comunicare le sue conclusioni che al suo mandante.

C’è dunque prima della perizia stessa tutt’una preparazione alla perizia ed il medico legale deve prendersi il tempo necessario. Questo tempo, inoltre, non è perduto, ma permette di prendere contatto con il soggetto e fare in qualche maniera la sua conoscenza. Sta in questo scambio di parole prima della visita che il perito potrà dare la parola al soggetto leso chiedendogli di raccontare la maniera in cui è stato ferito e quali sono state le conseguenze immediate delle sue ferite. Il

soggetto leso, inoltre, sarà spesso prolisso nel suo raccontare, ma esprime in questo momento le sue sofferenze passate e questa spiegazione è importantissima. L’ascolto attento e rispettoso gli mostra che il medico legale tiene conto di tutti questi elementi. Nel corso di questi primi momenti di conversazione il perito dimostra di non essere un poliziotto, un giudice o un controllore, ma un semplice medico incaricato di un esame.

Passando poi dalle lagnanze del soggetto all’esame, il perito mantiene lo stesso atteggiamento.

L’esame sarà praticato in tappe senza alcuna precipitazione né ruvidezza, rimanendo rispettoso del pudore del soggetto leso. L’esame non potrà essere effettuato che con l’accordo del soggetto leso, in presenza di persone che egli richiede o accetta, e con la massima serietà e meticolosità. Molti

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pazienti si lamentano che la visita non sia stato effettuato abbastanza seriamente. Una “perizia” per loro è un atto che valuta le menomazioni, vale a dire le misura.

La perizia è per definizione un atto personale e il perito attesterà nel suo rapporto di aver compiuto personalmente la missione. Ciò non è una figura retorica. Un sostituto, sia interno che primario, non può effettuare un esame, una perizia affidata ad un capo di servizio oppure ad un medico sostituito.

E’ frequente che nel corso di questo esame oppure immediatamente dopo il perito detti un resoconto. Quest’ultimo è un atto difficile, sia che il resoconto venga registrato su nastro o dettato ad una segretaria, il perito deve sapere che il periziando ci è spesso molto attento. Ed il perito deve rimanere prudente. Il dettato pubblico, al limite possibile, si ferma necessariamente dopo i dati anamnestici, alle constatazioni oggettive. Questo resoconto non può contenere i punti di vista del perito che interpreta ciò che ha visto e che risponde alle questioni della missione: la “discussione”

del rapporto va necessariamente dettata o redatta dal perito quando questi sarà solo. La redazione del rapporto definitivo è del resto ancora più difficile della perizia stessa. Questa redazione è, ben intesa, libera e il medico legale è completamente indipendente. Deve, però, rispettare certe forme e qualunque siano le conclusioni alle quali perviene, deve sapere ciò che può dire, ciò che deve dire e come dirlo. Qualche volta è necessario criticare un collega, ma le frasi utilizzate non devono

offendere. Non è, per esempio, compito del perito pronunciarsi sulla competenza o la dedizione del medico curante. Può, al contrario, dare il suo avviso su ciò che è stato fatto facendo attenzione alla forma di questa dichiarazione e dando un avviso unicamente tecnico: “un’altra tecnica, altre cure avrebbero forse permesso in questo caso dei risultati migliori, nonostante le difficoltà incontrate ...”

oppure “paragonato il caso particolare, bisognava ... ciò che non è stato fatto”. I RMO possono ora aiutarci apportando riferimenti ufficialmente ammessi che possono servire di base ad una

discussione.

A Lille il consiglio regionale dell’Ordine dei Medici ha dovuto giudicare un medico legale che aveva parlato di “certificati di comodo” perché la data di saldatura proposta dal medico curante era tardiva. Più recentemente lo stesso consiglio ha dovuto pronunciarsi su una perizia nella quale un medico legale stimava che il chirurgo avesse “oltrepassato la sua competenza, ciò che costituiva un errore”. A mio avviso quest’ultima parola non sta mai al medico legale, ma è di sola competenza del giudice.

Un altro elemento fa ugualmente parte della deontologia del medico legale. Vale a dire la sua diligenza. Questa diligenza implica nessuna precipitazione, ma vieta al perito di lasciare in attesa una perizia senza un motivo. Le scadenze imposte dal magistrato o dal committente non possono essere oltrepassate, salvo in casi particolari che devono sempre essere giustificati da motivi tecnici.

Un oltrepassare della scadenza deve necessariamente comportare una corrispondenza con il mandante.

Abbiamo visto che il medico legale non può essere medico curante. Nonostante ciò in caso di urgenza medica oppure in presenza di una ferita recente che abbia bisogno di cure, il medico legale che a volte è pure lontano ormai della medicina pratica, deve rispondere all’urgenza o preoccuparsi che le cure adatte siano date in tempi utili (ex Art. 63 paragrafo 2 del vecchio Codice Penale, Art.

223-6 dell’attuale Codice, Art. 9 del Codice di Deontologia medica).

Rimane un punto spesso mal spiegato e perciò motivo di discussioni a proposito della perizia, vale a dire il rapporto fra il segreto del medico curante ed il segreto del medico legale.

La questione riguardante il perito è relativamente semplice nella sua regola generale. Il perito è tenuto al segreto e può dare le sue conclusioni, vale a dire il suo rapporto, unicamente al suo mandante, che si tratti di un tribunale, un magistrato, una compagnia di assicurazione oppure le parti committenti. Non può dare spiegazioni sulla perizia a nessun altra persona ed è tenuto al rispetto della documentazione e al diritto penale in particolare così che al rispetto del segreto

d’istruzione. A Lille è stato condannato un medico legale per aver comunicato conclusioni della sua perizia (o magari addirittura del rapporto medico legale) alla polizia.

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Il Consiglio Regionale dell’Ordine dei Medici a ugualmente condannato severamente un medico legale che aveva, fra l’altro, dato una pratica istruttoria alla stampa: “La procedura penale è severa.

Ogni persona che concorre a questa procedura è tenuta al segreto professionale” (Art. 11 del Codice di Procedura Penale). Si applicano ugualmente Art. 226-13 e 14 del Codice Penale.

Ma il segreto professionale del perito, anche se medico, non ha alcun rapporto, almeno nei casi semplici, con il segreto del medico curante o del personale ospedaliero. Si potrebbe ricordare che questo segreto, attualmente considerato sostanzialmente fondato sul contratto medico, oltrepassa in effetti questo e condiziona la fiducia che permette sempre ad un soggetto di fidarsi per le sue cure ad un medico di sua scelta, sapendo che non sarà “denunciato” (Art. 378 del vecchio Codice Penale). Sappiamo ugualmente che questo segreto dei medici ospedalieri non si può opporre al soggetto malato, che il medico non può rifiutare di dare a questi le informazioni che chiede. Il medico deve ugualmente dargli le precisazioni utili nei certificati che redatta e che gli rilascia. Sono questi certificati in possesso della vittima che serviranno al medico legale per stabilire la sua

perizia, ma il perito non può chiedere al medico ospedaliero di dargli direttamente degli elementi riguardanti il soggetto malato: Se il segreto non è opponibile al soggetto malato, non è neanche possibile la comunicazione fra il medico ospedaliero e il medico legale. Se questa comunicazione fosse possibile, l’analisi richiederebbe di ammettere che non esiste più allora un segreto medico.

Molto tempo fa fu condannato a Lille un medico fiduciario che aveva chiesto e ottenuto dal medico ospedaliero delle informazioni su una patologia anteriore all’incidente del soggetto leso. Tutti i due sono stati condannati, uno per violazione del segreto (il medico curante), l’altro per complicità (il medico fiduciario).

In seguito a queste idee siamo a mio avviso obbligati a non seguire la Commissione Disciplinare del Consiglio Nazionale che nella sua decisione del 19 ottobre 1994 a condannato un medico

“esperto” (in effetti un medico fiduciario) per aver esposto nel suo rapporto i risultati degli esami clinici e non semplicemente le sue conclusioni. E’ evidentemente difficile leggendo una decisione della giustizia di rendersi conto esattamente dei fatti che non appaiono sempre in maniera molto chiara dalla decisione. Tanto questa decisione non può spiegarsi nello stato attuale della questione.

Rimane infine l’ultima, più difficile, ma molto meno frequente questione dei rapporti fra certe patologie presentate dalla vittima e la missione affidata al perito.

Nel corso dell’esame o dell’interrogazione questi può rendersi conto (perché egli è nonostante tutto non solo perito, ma anche medico, perché ha l’abitudine di interrogare pazienti, perché si stabilisce fra la vittima e il medico una certa confidenza), di fatti patologici senza alcun rapporto, senza alcuna influenza sull’incidente e le sue conseguenze, sulle questioni che gli sono poste nella sua missione di perizia. In tali casi estremi, poco frequenti, il perito ridiventa medico curante e si ritrova costretto al segreto come fosse il medico curante et non deve menzionare queste patologie.

Ciò esprime il Codice Deontologico nel suo articolo 108 quando dice che il medico legale non deve rivelare che gli elementi di natura da apportare risposta alle questioni sollevate e che al di fuori da questi limiti deve tacere tutto ciò che può conoscere all’occasione della perizia effettuata.

Prof. Pierre H. Muller Professore emeritato Medicina Legale, Università Lille

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