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2.2.2 | La musicalità del flicker nelle ricerche di Peter Kubelka, Tony Conrad e Paul Sharits

Proseguiamo quindi soffermandoci sul pensiero e sulla pratica artistica di ciascuno dei tre autori nominati ad inizio paragrafo, guardando le loro ricerche attraverso il tema della musica, intesa, come vedremo, non solo e non tanto nel senso di colonna sonora accostata alla fonte visiva del flicker, quanto piuttosto come linguaggio dal quale mutuare sistemi sintattici, strutture compositive e modalità di fruizione.

In un celebre saggio dal titolo The Theory of Metrical Film, proveniente da un ciclo di lezioni tenute dal regista alla New York University nel 1975, Peter Kubelka evidenzia come il ritmo sia una componente primaria sia del dispositivo che della materia del cinema, una struttura spontanea che organizza e da forma alla luce.81 È a partire dal ritmo che l’autore elabora l’essenza sonora e il trattamento musicale alla base di Arnulf Reiner e più in generale di quella parte della sua produzione definita dallo stesso autore stesso 'cinema metrico'.82 Con questa espressione Kubelka si rifà alla divisione in ottave della metrica musicale occidentale, sistema di misurazione del suono che, spiega l'autore, rappresenta una delle modalità più intuitive, di natura matematica, di ripartizione di un unità elementare, rappresentata dalla progressiva divisione di ogni elemento sonoro, la nota, nel suo mezzo.83

In modo non dissimile, nel cinema metrico Kubelka elabora un sistema nel quale l'unità di base non è l'immagine o il singolo fotogramma, utilizzato come corrispettivo della nota, bensì i gruppi di fotogrammi, blocchi di tempo, sezioni concepite a partire da quello che individua come tempo ritmico 'naturale' del film, i 24 fotogrammi al secondo. Il filmmaker, proveniente da una formazione musicale – la sua è una famiglia di musicisti e lui stesso studia musica classica prima di dedicarsi completamente al cinema – ha appreso le strutture ritmiche del suono e,

                                                                                                               

81 Kubelka P.,The Theory of Metrical Film, in The Avant-Garde Film: a Reader of Theory Criticism, Sitney A., (a cura di), 1978, pp. 139-159.

82 La trilogia è costituita da Adebar, 1957, 16 mm, col., suono, 1’ 09’’; Schwechater, 1958, 35 mm, col., suono, 2’; Arnulf Reiner, 1960, 35 mm, b/n, suono, 6’.

insieme il 'piacere temporale' che la musica è in grado di suscitare.84 Nel cinema, al contrario, l'autore osserva una dimensione temporale senza forma pur avendo una natura intrinsecamente ritmica, a causa dell’omogeneità standardizzata di tale ritmo. L'autore interviene allora manipolando questa natura informe, determinando un 'tempo misurato' per cercare di stimolare lo stesso effetto armonico e ritmico procurato dal suono. Il filmmaker approfondisce, inoltre, la questione del ritmo anche a partire dall’attrazione atavica nell’essere umano per questo fenomeno temporale, ricorrente in varie forme d’arte e in più momenti del vissuto naturale. Tale studio sull'origine del ritmo e delle imitazioni che nella storia dell'umanità hanno condotto alla creazione di strutture metriche basate sulla ripetizione, moltiplicazione o suddivisione di unità di base, è per l’autore il punto di partenza per ideare e progettare la struttura dei suoi film metrici - Adebar (1957), Schwechater, 1958 e Arnulf Reiner (1960). In quest’ultimo Kubelka utilizza unità semplici di luce e suono per condurre il cinema sullo stesso piano della struttura musicale e verificare la possibilità di mescolare, all'interno di una struttura temporale e ritmica, il suono puro e la pura luce e produrre un senso di armonia: generalmente la musica classica permette di percepire, sottolinea il regista, relazioni armoniche a partire dalla ripartizione regolare del tempo. Il dispositivo cinematografico, per sua stessa natura, permette a Kubelka di riprodurre la relazione armonica in termini di tempo e luce, di agire sui valori misurabili di un impulso luminoso per una certa durata, cioè unità di tempo. L’autore procede quindi duplicando o raddoppiando un’unità di tempo, il fotogramma, scelta come tonica della metrica su pellicola, sperimentando in questo modo la possibilità di generare misurazioni armoniche della luce. Malgrado il flusso degli eventi misurabili per ben 24 volte al secondo sia, simultaneamente, sonoro e visivo insieme, Kubelka non cerca alcun effetto di sincronia audiovisiva: considera, infatti, la sincronia di suono ed immagine, la precisa corrispondenza tra eventi visivi e sonori, tema tanto ricorrente in molte teorie e pratiche dell'audiovisione, una proprietà di poco interesse, in quanto presente già in molti eventi e fenomeni naturali, esperita quotidianamente dalla gran parte del mondo animale. La grandezza del cinema, secondo Kubelka, non sta nel produrre la ripetizione di una

                                                                                                               

84 Idem.

luce naturale accompagnata da un suono naturale, quanto piuttosto nella possibilità di separarli o di creare una sensazione sonora agendo sul ritmo visivo.85

Lavorando su The Flicker (1966), Tony Conrad è mosso da un'intuizione non molto diversa: esplorare le possibili relazioni armoniche tra le frequenze della luce. Il film, oltre che frutto di una ricerca delle possibili reazioni percettive e visioni nel fruitore, è quindi in parte una verifica sulle possibili analogie tra le strutture armoniche nel suono e l'ipotesi che esse siano producibili anche nello spettro di frequenze della luce pulsante.

L’esperienza del flicker – quel particolare corto circuito del sistema nervoso centrale, determinato dalla vista – si verifica a un range di frequenze tra i 4 e i 40 lampi al secondo (fps). Io utilizzavo la pellicola (a 24 fps) come una sorta di schema composto da fotogrammi, ben strutturato e “fatto di toni”, che rappresenta una combinazione di frequenze che possono essere mescolate e combinate insieme. Ero interessato a vedere se qualche possibile effetto di combinazione delle frequenze potesse avvenire tramite l’uso del flicker, in modo analogo agli effetti di combinazione dei toni che sono responsabili della consonanza sonora nella musica.86

The Flicker è costituito da frame impressionati e non, suddivisi in sequenze basate sulla rapida accelerazione e decelerazione, mentre il suono, che ricorda quello emesso dal proiettore 16 mm, è prodotto da un sintetizzatore Bucha e ispirato a Kontakte (1960) di Stockhausen e risente di una forte impronta minimalista, corrente musicale della quale Conrad è uno degli esponenti della scena newyorkese. Il film è il risultato di una ricerca sul flicker declinata sia in

                                                                                                               

85 Il suono del fotogramma bianco, della pura luce, corrisponde al noise, evidenziando una corrispondenza anche in termini di frequenze tra i due ‘moduli’ di base dell’audiovisione di Kubelka: a tutto lo spettro di frequenze del visibile (colore bianco), corrisponde tutta la gamma di frequenze dell’udibile, rumore bianco o white noise.

86 “The experience of flicker - its peculiar entrapment of the central nervous system, by ocular driving - occurs over a frequency range of about 4 to 40 flashes per second (fps). I used film (at 24 fps) as a sort of "tonic," and devised patterns of frames which would represent combinations of frequencies - heterodyned, or rather multiplexed together. I was interested to see whether there might be combination-frequency effects that would occur with flicker, analogous to the combination-tone effects that are responsible for consonance in musical sound.” Tony Conrad in Duguid B., 1996. (mia traduzione).

termini di esplorazione della fenomenologia percettiva determinata dalla luce pulsante – aspetto originale e non presente in Kubelka - che di analisi delle caratteristiche basilari del dispositivo cinematografico e delle affinità strutturali con la musica.

Si scoprì che la chiave di tutto era la comprensione del tono musicale in termini di rapporto di frequenze, e l’idea generale di struttura armonica nella musica, che rimanda direttamente ai tempi di Pitagora e che è uno dei principi fondamentali più longevi dell’intero panorama culturale occidentale, è qualcosa di problematico, a volte, per il fatto che la relazione numerica che si ottiene tra il tono e la consonanza non sembra avere alcuna corrispondenza nel campo dell’esperienza. Sembra quindi possibile strutturare la musica secondo una serie di principi aritmetici eventuali. Se si cercano di metodi analoghi di comprensione dell’esperienza sotto forme di strumenti visivi, o tattili o olfattivi sarà molto problematico individuare qualcosa che abbia un senso. Passavo molto tempo su queste ricerche fino a quando compresi che la luce stroboscopica era proprio una di quelle poche frequenze all’interno dell’intero campo sensoriale dell’uomo e la domanda che quindi mi posi fu: ‘potrebbe esistere una struttura armonica da ottenere in quel range di esperienze tipico della luce stroboscopica?’87

Conrad applica strutture complementari tra sonoro e visivo per generare, in modo non dissimile da quanto visto per gli stimoli cross-modali, una 'sincronia fantasma' determinata da fenomeni intrasensoriali. In particolare, gli stati di trance, allucinazione e coinvolgimento percettivo generati dal flicker rientrano tra le ragioni di un progressivo superamento nel complesso delle ricerche di Conrad delle

                                                                                                               

87 “The key to it turned out to be an understanding of musical pitch in terms of frequency ratios, and the whole idea of harmonic structure in music, which goes directly back to the time of Pythagoras, and is thus one of the most enduring principles of the entire western cultural panorama, is somewhat problematic in that this number relationship that obtains between pitch and consonance, doesn't seem to pop up in other fields of experience. It seems that it's possible to structure music according to some kind of arithmetical principles. If you look for a comparable way of understanding experience in visual terms, or in terms of touch, taste or other modalities, you just have a lot of trouble locating anything that makes sense. I was spending a lot of time on this and it occurred to me along the way that flickering light was one of the very few frequency - dependent modalities in the whole human sensorium, and the question occurred to me was whether there might be harmonic structures that would obtain within a range of experiences which are afforded by flickering light.” Tony Conrad, intervista, in Geiger J., 2003.

strutture compositive, a favore di un'esplorazione degli stati percettivi e psicologici. Una summa del suo pensiero sul suono e l'immagine, declinato ed esperito attraverso gli esempi delle sue opere – in forma di composizioni musicali, film, e performance filmiche o sonore – è contenuta nell'articolo INTEGER: Bulldozing a foundation in the culturescape of sound, media, and performance,88 nel quale si concentra sulle possibilità offerte da suoni e immagini come elementi asignifyin, in grado di agire in modo non mediato e somatico, di coinvolgere, in un unico stimolo complesso e organico, una dimensione della corporeità esperiente che riguardi più sensi e, al contempo, emozioni, pulsioni e desideri. Conrad propone quella che Joseph definisce 'bastard semiology'89 indirizzata a fusioni sensorie integranti, precedenti o del tutto estranee al linguaggio e ad ogni altro sistema di significato. In termini musicali, ad esempio, questa sua idea viene realizzata attraverso il superamento di qualsiasi forma di partitura - anche la più indeterminata o aleatoria come quella di Cage - per giungere alla manipolazione acustica diretta e al lavoro sui suoni come materiali acustici dotati di una propria fisicità. Torna ancora una volta nel nostro discorso il tema del corpo come sistema percettivo incarnato e attraversato nella sua totalità dalle frequenze del suono e da quelle della luce.

Come già sottolineato rispetto al ruolo della percezione nel cinema strutturalista, l'ideale percorso che connette le ricerche di Kubelka con quelle di Conrad e poi Sharits, segna un progressivo passaggio dalle ricerche sull'audiovisione come tentativo di individuare comunanze strutturali nella composizione sonora e visiva, ad una sempre maggiore attenzione al corpo come campo all'interno del quale relazioni percettive organiche tra luce pulsante e suono. Il vertice finale di questo spostamento è il lavoro di Paul Sharits. A partire dagli anni Sessanta, l'autore inizia ad interessarsi non solo di cinema e dei suoi aspetti più radicali e meno soggetti alla narrazione e alla rappresentazione della forma, ma anche alle differenze tra l'esperienza del sonoro e quella del visivo. In tal senso il film sonoro rappresenta per Sharits la tecnica migliore per esplorare le relazioni tra le due modalità percettive. Come evidenziato dallo stesso Sharits, in un saggio

                                                                                                               

88 Branden W. J., 2008, p. 326. 89 Idem.

dedicato all'argomento dal titolo Hearing : Seeing, l'autore non è affatto interessato al tema della sinestesia, non propone alcuna corrispondenza diretta tra specifici aspetti del suono e della visione – come note e colore – ma guarda piuttosto alla possibilità di costruire analogie di funzionamento tra modalità di visione e ascolto e talvolta, proprio attraverso la composizione di comunanze strutturali, determinare esperienze percettive che consentano di sentire in maniera ancor più netta le differenze tra i due sistemi.90 Nei lavori prodotti tra il 1965 e il 1968, l'analisi del funzionamento percettivo e degli aspetti psicologici coinvolti nell'esperienza del film sono parte fondamentale del progetto estetico, in particolare il fatto che la rapida alternanza di fotogrammi colorati possa generare nella visione linee di accordi temporali paragonabili alle linee melodiche nella musica.91 In modo non dissimile da quanto visto nel caso di Kubelka e Conrad, Sharits si pone un quesito centrale rispetto al confronto strutturale tra composizione sonora e visiva: è possibile generare un corrispettivo visivo della complessità tonali del suono, individuare cioè ciò che nel suono è l'unità di base, la tonica, e le sue sfumature secondarie, cioè i suoni armonici ad esse legati? Questo tipo di ricerca, a partire dai primi esperimenti di flicker, accompagna tutto il successivo lavoro di Sharits ed è considerato dallo stesso autore un work in progress più o meno esplicito, talvolta quasi un sotto testo, ma in ogni caso costante in tutta la sua opera.

Secondo Sharits è possibile, a seconda dell'ordine e delle frequenze, comporre delle relazioni armoniche utilizzando serie di singoli frame pulsanti di differenti colori, mentre questa relazione decade nel caso di frame monocromi (b/w) e solo nel caso in cui sia generata una frequenza visiva molto densa, siano presenti numerosi elementi visivi 'compressi' in uno stesso spazio. Per ottenere l'effetto percettivo armonico l'autore mette a punto un suo metodo compositivo.

Inizialmente, ipotizza di accrescere la densità visiva del film dividendo

                                                                                                               

90 Sharits P., Hearing: Seeing, in Beuvais Y., 2008, pp. 121-126. Il colore, slegato dalla referenza al sistema tonale, stabilita in molte ‘cromografie’ delle teorie sulla sinestesia, assume valore in quanto accresce la solidità della luce strutturata attraverso la pulsazione temporale. Per una meditazione sul colore, vibrante energia sensoria e, al tempo stesso emotiva, intimistica e mnemonica, si veda anche la personalissima ‘teoria del colore’ espressa da Derek Jarman nel 1993. Il filmmaker traccia traiettorie comuni sul piano dell’emotività e dei sensi tra arti visive e cinema e, insieme, costella il suo discorso di riferimenti alle implicazioni filosofiche del colore nelle pratiche artistiche, dal Medioevo al contemporaneo. Jarman D., 1995.

ciascun frame in più parti, procedimento che avrebbe permesso di accrescere notevolmente la complessità visiva di ciascun fotogramma e di generare facilmente effetti armonici, un processo che implicherebbe una mutazione della solidità del fotogramma: il linea con le convenzioni moderniste sull’integralità inscalfibile del frame, l’autore rinuncia ad intervenire su questo livello della forma visiva, in quanto si pone l’obiettivo di generare la complessità a partire dalle condizioni di base ‘naturali’ del medium cinematografico. Un approccio, quello appena presentato, indicativo di come la ricerca sulle proprietà musicali del flicker su pellicola non sia una finalità primaria del lavoro di Sharits, quanto piuttosto un quesito che deriva da un'osservazione dei potenziali intrinseci del dispositivo cinematografico, preso in considerazione e sperimentato nei suoi elementi fondamentali. A partire da questi ‘limiti’ ontologici, il filmmaker concepisce allora un sistema che moltiplichi la complessità della visione non alterando il modulo elementare del fotogramma: progetta la complessità nello spazio di proiezione e di visione, anziché dividere il fotogramma moltiplica l’unità dello schermo. La complessità, quindi, viene resa al di fuori del fotogramma, nell'ambiente, lasciando al fruitore la possibilità di afferrare percettivamente e sentire l'effetto armonico dei colori in quella che non è più intermittenza di un solo quadro visivo, lo schermo, ma relazione stabilita su più livelli, temporale e musicale tra più fonti visive di flicker.92

Un altro metodo, utilizzato ad esempio in T, O, U, C, H, I, N, G, (1968) è quello di creare una sorta di riverbero nell'immagine attraverso linee perimetrali che incorniciano l'interno del fotogramma e che provocano l’impressione che lo schermo collassi su se stesso. Questo metodo è in seguito ripudiato e quindi rimosso dall'autore, che lo valuta come retaggio delle influenze pittoriche nella propria opera. Partendo da interrogativi e intuizioni non dissimili da quanto visto per Kubelka e Conrad, le ricerche di Sharits spostano il confronto strutturale tra musica e visione del flicker dal piano temporale a quello dello spazio, inteso sia come elaborazione architettonica dell’immagine intorno al fruitore che come dispositivo percettivo audiovisivo.

                                                                                                               

92 Ibid., pp. 124.