• Non ci sono risultati.

creazione di sequenze percettive

creazione di sequenze percettive

 

Nel cinema su pellicola la pulsazione stroboscopica del dato visivo in forma di luce comporta l'intervento su alcuni parametri fondamentali della materia, agendo sul singolo fotogramma e stabilendo, nel ritmo, l'incontro tra polarità essenziali e antitetiche: luce/buio, bianco/nero, fotogramma impressionato/non impressionato, pieno/vuoto, positivo/negativo. Il flicker prevede quindi l’intervento su una relazione fondamentale del dispositivo cinematografico, quella tra lo spazio modulare del fotogramma e la sua scansione nel tempo. Come ricordato da Malcom Le Grice, l'apparato cinematografico, basato sullo scorrimento dei 24 fotogrammi al secondo si offre come piattaforma ideale per la creazione del movimento illusorio e al tempo stesso per intervenire su tale meccanismo e minare tale consuetudine, spingendo la soglia percettiva verso fenomeni ottici diversi ed esplorare la fenomenologia del flicker come ontologia del visibile altra dalla riproduzione del movimento naturale delle cose; un processo già presente in potenza nel meccanismo cinematografico.41

L’esplorazione dei sintagmi fondamentali di base del cinema - forma, materia, tempo, spazio - è tratto distintivo di pellicole sperimentali definite dagli autori di flicker film, realizzate principalmente da filmmaker attribuibili o affini alla corrente dello structural cinema o structural/material film. Le due definizioni, la prima di provenienza statunitense, inglese la seconda, definiscono la produzione di una costellazione di personalità attive inizialmente in USA negli anni Sessanta, con evoluzioni in Inghilterra, principalmente nel decennio successivo.

La definizione più diffusa è quella di structural film, coniata dal critico statunitense Paul Sitney Adams per identificare alcune produzioni relative alla seconda generazione dell'Avant-Garde nordamericana, vale a dire autori di poco successivi a Kennet Anger, Stan Brakhage e Maya Deren.42 Malgrado gli scritti di questo autore costituiscano un punto di partenza e di confronto imprescindibile in riferimento a tale corrente, il suo sguardo sul fenomeno non riesce ad abbracciarne

                                                                                                               

41 Le Grice M., Tony Conrad. The Flicker, in Gidal P., 1978, p. 135. 42 Sitney Adams P., 1974.

l’eterogeneità e la portata internazionale, focalizzata com’è sull'hic et nunc dell'avanguardia americana. Egli, infatti, individua una serie di regole formali che poco raccontano della specificità di ciascun autore e non permettono, inoltre, a partire da una prospettiva di analisi attuale, di individuare caratteristiche germinali per la riformulazione di parametri importanti dell'esperienza audiovisiva, ereditate e fatte proprie da molti autori di media art contemporanea.43 Scopo di questo excursus nella tendenza strutturalista è rintracciare tale fenomeno oltre la rigida delimitazione tracciata da Sintney Adams – per altro ampiamente condivisa – e individuare, pur nelle dovute specificità e differenze, un percorso condiviso tra alcuni autori strutturalisti. In tal senso, il flicker rappresenta una solida traccia da seguire, un minimo comune denominatore grazie al quale instaurare confronti e differenze che partono dalla fenomenologia della visione e fanno emergere questioni di rilievo sulla natura del dispositivo cinematografico, le relazioni tra materia sonora e visiva e l'esperienza di fruizione. Infine, l'analisi di Sitney Adams si sofferma molto brevemente sulle opere e sugli autori attribuiti alla cerchia strutturalista, per rintracciare influenze dalla precedente generazione di filmmaker statunitensi, primo fra tutti Andy Warhol.

Al contrario il contributo alla questione offerto da Peter Gidal nella raccolta di saggi intitolata Structural Film Anthology, espande e approfondisce l'analisi del fenomeno al punto da rendere l'antologia, datata 1978, un contributo ancora estremamente attuale, in una prospettiva storiografica, nel confronto cioè con la produzione artistica dei decenni successivi, non solo cinematografica.44

L’autore conia la definizione di structural/materialist film, laddove con 'materialista' intende sintetizzare non solo l'intervento formale sulla materia filmica ma una pratica del cinema che, a partire dalla prassi aptica sulla materia e sui dispositivi, si pone come riflessione teorica sugli elementi cardine del linguaggio cinematografico. Pratica che si fa teoria o teoria imprescindibile dalla pratica, la sua è una riflessione sugli elementi minimali e fondamentali del cinema su pellicola quali: lo spazio modulare dei fotogrammi, il loro concatenarsi sulla

                                                                                                               

43 Le caratteristiche individuate sono: l'uso della camera fissa, l'effetto flicker, il loop, la ripresa d’immagini proiettate.

pellicola, la luce come sorgente primaria, il ritmo di proiezione come battito fisiologico. I filmmaker considerati dall’autore si rapportano a questi elementi e, ri-progettandone il funzionamento, formulano una concezione nuova di cinema e di esperienza dell'audiovisione. Un lavoro artigianale che, come affermato da Kubelka, padre putativo di questa 'corrente', si basa sul corpo e produce un sapere del corpo,45 una conoscenza indistricabilmente legata alla fisicità delle materie del film – non solo come pellicola ma anche in forma di luce e tempo, elementi apparentemente immateriali resi oggetti plasmabili dal meccanismo cinematografico.

Pur essendo il flicker diffusamente in uso nella pratica strutturalista, ampiamente utilizzato come modo di scomposizione della fluidità dell'immagine in movimento, ci concentreremo su alcuni specifici autori e sui loro lavori, nei quali il flicker coincide con il contenuto stesso del film, reso attraverso un processo di sottrazione radicale di elementi. Come evidenziato da Gidal46un denominatore comune in tutta la produzione dello structural/materialist film è la rottura dell'illusione determinata dal dispositivo cinematografico, del 'meccanismo mistificatorio dell'immagine' e del suo valore intrinseco, represso a favore dell'illusione e dell'asservimento alla rappresentazione e al racconto. L'annullamento di ogni istanza rappresentativa o narrativa permette, afferma Gidal, di assimilare i due concetti di forma e contenuto e di rendere il concetto di forma non espressione di una composizione bensì di operazione, processo morfologico.47 L’opera filmica strutturalista si basa sulla genesi della forma visibile, di un’immagine che è prodotta e non ri-prodotta: per rendere visibile la materializzazione dell’immagine, le sue trasformazioni e i suoi sviluppi nel tempo, l'aspetto formale è ridotto al più radicale minimalismo, la rappresentazione è sottratta in favore della solidità spaziale del fotogramma, fino a raggiungere, in particolare nei flicker film, l’assoluta corrispondenza tra forma e contenuto.48 La prassi artistica di questi autori passa attraverso lo studio della materia primaria del cinema – la pellicola – e del funzionamento della tecnica cinematografica, analisi

                                                                                                               

45 Lebrat C., Entretien avec Peter Kubelka, in Lebrat C., (a cura di),1992, p. 33. 46 Gidal P., (a cura di), 1978, p. 2.

47 Ibid., p. 2.

dei meccanismi di creazione della forma visiva che permette di isolare le unità di base del cinema. Tra queste, primariamente la luce, intesa come materia plasmabile, in relazione al tempo. Gidal suddivide le esperienze dello structural materialistic film secondo due tendenze principali: una prima legata alla dimensione materica e strutturale e alla ricerca di corrispondenza tra forma e contenuto, accanto ad un’altra più indirizzata ai risvolti percettivi e sensoriali, che vede la creazione del film come progettazione di sequenze percettive. In questa seconda tendenza, l’attenzione dell’autore e la prassi di creazione non si esaurisce alla sola progettazione del film ma considera anche il momento e la condizione di fruizione in esso determinata, principalmente, nei termini di esperienza percettiva e

meditativa. 49

I film di flicker sono esemplari del progressivo passaggio dalla prima alla seconda tendenza, dal cinema aptico a quello meditativo, un percorso reso particolarmente evidente dal confronto tra alcuni lavori di Peter Kubelka, Tony Conrad e Paul Sharits.50

In Arnulf Rainer (1960)51 di Peter Kubelka, capostipite dei film di flicker, l’autore non si occupa delle conseguenze visive e visionarie dell’intermittenza,52 esso è piuttosto conseguenza corollaria di una partitura ritmica della pellicola, basata su relazioni armoniche tra fotogrammi impressionati o non. L’autore, musicista di formazione, si concentra sulla luce, come grado zero del linguaggio filmico, e le sue possibili interazioni con il tempo, indagando la natura stessa del cinema a partire dalla pellicola, sperimentando i margini di malleabilità e riconversione del meccanismo cinematografico. 53 Prende quindi a lavorare sulla natura temporale della pellicola misurando e scomponendo la cadenza dei 24 fotogrammi al secondo in combinazioni metriche di bianchi e neri e generando quella che lui definisce 'musica per gli occhi'.54

                                                                                                               

49 Gidal P. in A.L. Rees, White D., Ball S., Curtis I. (a cura di), 2011, p. 166. 50 Gidal P., 1978, pp. 135-136.

51 Peter Kubelka, Arnulf Rainer,1960, 35 mm, 6’, b/n, suono. Presentato per la prima volta nel maggio del 1960 presso Filstudio di Vienna.

52 In realtà primo isolato esperiemento di flicker film è meno noto Color Sequence (1943) dell'americano Dwinell Grant, cit. in Daniels D., Naumann S., (a cura di), 2010, p. 21.

53 Sitney Adams P., 1969.

The Flicker (1965)55 di Tony Conrad, invece, introduce nella progettazione filmica l’attenzione alla risposta percettiva dello spettatore: dopo aver sperimentato una serie di dispositivi luminosi, il filmmaker e musicista mette a punto un sistema che permette di riprodurre, attraverso il dispositivo cinematografico, lo stesso effetto percettivo della luce stroboscopica. Interviene quindi sulla velocità di scorrimento della pellicola nel proiettore e su quella di apertura dell'otturatore. In seguito conduce una serie di ricerche empiriche sulle frequenze della pulsazione, ottenuta individuando una gamma di frequenze percettivamente efficaci e di corrispettivi effetti visivi, in forme e colori.

Mentre per Kubelka il flicker è prassi analitica nella materia del cinema, che lascia emergere qualità intrinseche e inespresse del dispositivo, per Conrad è metodo d’indagine della fenomenologia percettiva audiovisiva.56 The Flicker segna quindi lo slittamento dalla progettazione della struttura in funzione della dimensione materica e aptica della pellicola, verso l'effetto, lo stimolo che dalla pellicola giunge all'occhio e al corpo dello spettatore, mantenendo però ancora il focus su un livello intermedio tra la relazione spazio-temporale interna al dispositivo e quella dello spazio e tempo reali dell'esperienza del fruitore.

Paul Sharits rende la percezione tema centrale della sua ricerca cinematografica. Il suo è cinema meditativo,57 reso principalmente attraverso successioni e variazioni della luce pulsante, portata fino all'aggressione violenta del pubblico. Un percorso inaugurato nella seconda metà degli anni Sessanta, con il film Razor Blades (1965/68),58 Piece Mandala/End War (1966)59 e Ray Gun Virus (1966),60 il già citato N:O:T:H:I:N:G (1968)61 e T,O,U,C,H,I,N,G (1968),62 al quale si aggiunge, a partire dal decennio successivo, la produzione di installazioni

                                                                                                               

55 Tony Conrad, The Flicker, 1965, 16 mm, 30’, b/n, sonoro. 56 Branden W. J., 2008, pp. 284-285.

57 Sharits P., Notes for Film. General Statement: 4th International Film Festival. Knokke Le Zoute, in Gidal P., 1978, p. 91.

58 Paul Sharits, Razor Blades, 1965-1965,16 mm, b/n e col., suono stereo, 25’. 59 Paul Sharits, Piece Mandala/End War, 1966, 16 mm, col., no suono, 5’. 60 Paul Sharits, Ray Gun Virus, 1966, 16 mm, col., sonoro, 14’.

61 Paul Sharits, N:O:T:H:I:N:G, 1968, 16 mm, col., sonoro, 36’. 62 Paul Sharits, T,O,U,C,H,I,N,G, 1968, col., sonoro, 12’.

ambientali, tra le quali Shutter Interface (1975)63 o Epileptic Seizure Comparison (1976)64. Oltre al particolare discorso sulla percezione, il lavoro di Sharits espande in molteplici direzioni le ricerche del flicker film, introducendo importanti elementi: da una parte la progettazione di installazioni ambientali determina una maggiore complessità delle relazioni tra opera e spettatore, sia per quanto concerne la dimensione prettamente spaziale che temporale; tratto distintivo dei suoi lavori è inoltre l'uso del colore, reso materia solida e modulabile, soggetta alla metrica e alle variazioni di frequenza del flicker.65 Sharits fa proprio l'intento demistificatorio e anti-illusorio dello structural/materialist film, interviene sugli elementi basilari e materiali del dispositivo ma espande il focus della ricerca dal film come oggetto al film come processo, condizione percettiva offerta allo spettatore. Un’attenzione che si concentra sugli aspetti fisiologici e sulla dimensione del corpo, inteso sia come materialità del cinema e degli elementi che ne compongono l’anatomia – la celluloide, il frame, i fori e l’emulsione, il funzionamento del proiettore, la superficie dello schermo e la luce e il suo potenziale tridimensionale abbandonando qualsiasi imitazione e illusione - , che come corpo percepiente dello spettatore – la superficie della retina, il nervo ottico, le forme di coscienza soggettiva psico-fisica coinvolte. Attraverso questa forma somatica spuria e diretta tra fisicità filmica e corpo del fruitore Sharits elabora i propri film intorno a strutture tematiche, mai sviluppate fino alla narrazione quanto piuttosto in esperienze visionarie e meditative.66

L’arco che attraversa le ricerche dei tre autori appena citati muove i discorsi sull’ontologia del dispositivo cinematografico dall'analisi formale del linguaggio alla prassi di fruizione, delineando una dimensione della fruizione

                                                                                                               

63 Paul Sharits, Shutter Interface, installazione a 4 schermi e 4 proiettori 16 mm, suono quadrifonico.

64 Paul Sharits, Epileptic Seizure Comparison, 1976, installazione 16 mm a uno o due schermi, col., suono optofonico, 30.’

65 Prima di Sharits, Oskar Fishinger aveva sperimentato la relazione tra cromia e ritmo del flicker in Radio Dynamics (1942), animazione astratta nella quale la combinazione di forme geometriche, colore e ritmo sono orchestrate per riprodurre sensazioni sonore attraverso una pellicola muta. Un altro esperimento in tal senso, citato dallo stesso Paul Sharits in un intervista del 1983, è Archangel (1966) dello statunitense Victor Grauer, cfr. Lebensztejn J.C., Interview with Paul Sharits, in Beauvais Y., (a cura di), 2008, p.78.

sempre più diffusa, dalla visione al corpo e al sistema percettivo nel suo complesso.67 In quest’attenzione allo spettatore, Gidal evidenzia come ciascun film non sia solo strutturale ma anche strutturante: è agente che attiva un sistema generativo relativistico che coinvolge e comprende, fin dalla sua progettazione, lo spettatore esperiente. In questo processo, lo spettatore genera la visione secondo modalità eterogenee, simili o dissimili, in ogni caso espressione di una dimensione soggettiva.68 Ciò è reso anche dall’attenzione riservata, in particolare da Sharits, quello che Gidal definisce tempo relativistico, proprio di questo tipo di pratiche. Lo studioso suddivide, infatti, il tempo del cinema in tre categorie: tempo reale, la dimensione sulla quale interviene il filmmaker nelle fasi di realizzazione - ripresa, montaggio, stampa e proiezione di singole riprese o sequenze; tempo illusorio, creato per suggerire una condizione di tempo irreale, ottenuta principalmente tramite il montaggio che simula linearità, comprimendo sezioni temporali simultanee; infine il tempo relativistico, caratteristico per l'appunto dei flicker film, evento e momento nel quale viene a generarsi in modo immateriale la relazione tra temporalità del film e tempo dello spettatore.69

1.2.3 | Il movimento di Arte Cinetica e Programmata in Italia: le