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2.3.1 | Definire l’esperienza

Un'interessante panoramica sul dibattito in atto di recente sul tema dell’esperienza, declinato in differenti ambiti del sapere contemporaneo, è presentata da Ruggero Eugeni, che definisce la ricorrenza sul tema come experiential turn, in atto negli ultimi vent'anni nelle sfere dell'arte e delle discipline umane ma anche nelle hard sciences, tanto da rendere tale oggetto di studio uno dei potenziali e più fecondi punti di contatto tra le diverse aree del sapere contemporaneo. In particolare, lo studioso individua principalmente quattro aree disciplinari entro le quali si rende particolarmente evidente l’interesse per tale soggetto: nelle discipline che si occupano di mente e percezione, quali neuroscienze e filosofia della mente, nelle scienze sociali, quali principalmente antropologia e sociologia, nella linguistica e nella semiotica, infine, nei film studies, ai quali aggiungeremmo le teorie dell’arte, in particolare in quella di matrice mediale.

L'esperienza è definita da Eugeni come iterazione soggettiva e cosciente tra soggetto e mondo:

Ci sono tre elementi che definiscono l’esperienza e il suo soggetto. Il primo è che il soggetto dell’esperienza sia incorporato, ben collocato e integrato culturalmente, quindi l’esperienza è trasmessa da un organismo (ad esempio, un complesso intricato di mente e corpo) situato in una situazione contingente e che è il risultato di un complesso training culturale. Il secondo è che il soggetto dell’esperienza sia coinvolto in una costante e continua attività di interpretazione: lui / lei adatta costantemente le sue risorse disponibili (sia percettive che memoniche) in configurazioni significative, per poterle poi riutilizzare in ulteriori interpretazioni. Di conseguenza, l’attività di interpretazione assume la forma di una spirale in cui il soggetto è sempre in grado di utilizzare le configurazioni precedenti per modificarle e connetterle allo scopo di produrne di nuove. Il terzo è che il soggetto dell’esperienza è complesso e dinamico, immerso in un flusso simultaneo di risorse che lui / lei deve maneggiare attraverso la sua attività interpretativa. La stessa identità del soggetto non è concepibile né come un’unità organizzata centralmente che esiste a priori, né come elemento statistico, ma piuttosto come produzione dinamica che emerge da una possibile gestione del processo interpretativo.93

Rispetto a questa definizione complessiva e trasversale del concetto di esperienza è interessante evidenziare come torni ancora una volata la centralità del corpo e della simultaneità del meccanismo di feedback tra soggetto, inteso come totalità di corpo e cognizione, e ambiente, in linea con quanto delineato nel paragrafo precedente in riferimento alla percezione come sistema embodied e immersività.

Nel campo delle hard sciences, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, si evidenzia un avvicinamento tra i percorsi delle neuroscienze e quelli della filosofia della mente: l'adozione di un approccio fenomenologico

                                                                                                               

93 “There are three features that define the experience and its subject. First, the subject of experience is embodied, situated and culturally embedded: the experience is carried out by an organism (i.e. an intricate complex of mind and body) placed in a contingent situation and resulting from a complex cultural training. Second, the subject of experience is engaged in an ongoing, unfolding activity of interpretation: he / she constantly arranges his / her available resources (both perceptual and memorials) into meaningful configurations, and re-uses such configurations as resources for further interpretations. As a consequence, the activity of interpretation takes the form of a spiral: the subject always recovers previous configurations to modify and to connect them to each other in order to produce further configurations. Third, the subject of experience is a complex and dynamic one, dipped into multiple and simultaneous streams of resources that he / she has to manage through its interpretive activity. The subject’s identity itself is not conceivable neither as a central organizing unit existing a priori, nor as a static role, but rather as a dynamic production emerging from the management of the interpretive processes.” Eugeni R., 2011. Cfr. anche R. Eugeni, 2010.

all'esperienza, instaura infatti un fertile dialogo tra neuroscienziati, filosofi e cognitivisti su concetti quali consapevolezza, empatia e percezione.94 Tra le molteplici analisi del concetto di esperienza tre aspetti sono individuati da Eugeni come condivisi dalla maggioranza degli autori: l'esperienza è plurale, complessa e dinamica, basata su un flusso simultaneo di ‘informazioni’ sensorie non condizionato da un nucleo centrale ma auto-organizzato in differenti reti in sincronia tra loro, infine embodied, ad indicare, come visto nei precedenti paragrafi rispetto alla percezione, un soggetto dell'esperienza che è considerato come soggetto organico e complesso, concezione mutuata dalla teorica ecologica della percezione di James Gibson.95 Una tale idea di individuo esperiente permette di oltrepassare la dicotomia tra corpo e mente, tra momento percettivo e rielaborazione cognitiva dell'esperienza stessa, che ha per decenni determinato una frattura tra i percorsi delle neuroscienze e quelli della fenomenologia, accanto ad una seconda scissione interna all'ambito filosofico, tra l'approccio fenomenologico e quello cognitivista96.

L’insistenza sul corpo, inteso non solo nella sua configurazione anatomica quanto come sistema complesso che ridefinisce i modi della spettatorialità e della relazione tra opera e pubblico, caratterizza anche i discorsi sul tema dell’esperienza nell’ambito dei film studies, quarta tra le aree disciplinari delineate da Eugeni, il quale, indicati come precursori di questa tendenza principalmente Henri-Louis Bergson e Gilles Deleuze,97 per aver inaugurato una concezione del dato audiovisivo come entità dotata di una sua fisicità concreta e complessa, e insieme la fenomenologia di Merleau-Ponty, in particolare attraverso la riscoperta della sua idea di soggetto percepiente in atto nelle neuroscienze. Il ritorno sul corpo, specialmente in ricerche in area anglosassone, ha permesso di ripensare la dimensione fisica del fruitore come elemento creatore di senso, in grado non solo

                                                                                                               

94 Ibid., p. 3.

95 Cfr. Gibson J., 1999.

96 Per una ricognizione storica dei punti di contatto e divergenze dei principali percorsi in seno alla filosofia della mente, psicologia, neuroscienze e fenomenologia in merito alla percezione Cfr. Gallagher S., Zahavi D., 2009.

di percepire ma di elaborare l'esperienza in modo 'immanente’, situato cioè nel momento e nella presenza.98

Il primo e probabilmente più noto contributo sul tema dell'esperienza nell'arte è Arte come esperienza di John Dewey, attraverso il quale l’autore tenta di ricollocare l'opera d'arte nel quadro più ampio dell'esperienza quotidiana. Seppur datato, il suo resta un riferimento attraverso il quale rimodellare lo statuto dell’arte come processo esperienziale non solo per aver introdotto l’oggetto di studio nelle teorie dell’arte ma anche per aver fissato alcuni aspetti che rivelano ad oggi la loro portata pioneristica, in particolare alla luce del proliferare di pratiche artistiche che delineano l’opera come spazio di un vissuto, inteso sia in senso culturale e relazionale che percettivo. A guidare il suo discorso è, infatti, l’intento di slegare il concetto di opera dalla sua accezione di oggetto e di cercare una relazione significativa tra atto artistico e corso dell’esperienza quotidiana. L'opera d'arte per Dewey è un vettore che ridefinisce il corso dell'esperienza quotidiana e la qualifica in modo specifico.99

Se il concetto di opera come, esperienza appare fin dal suo nascere come legato al quotidiano, tale accezione potrebbe apparire antitetica alle condizioni di fruizione proprie a gran parte del corpus di opere proposto nella ricerca e alla serie di esempi individuati come rappresentativi delle pratiche di flicker, in quanto essi sembrerebbero aprire una serie di scenari difficilmente riconducibili al vissuto comune. Ad esempio, nell’installazione FEED, dell’artista Kurt Hentschläger, uno dei lavori al centro del case study dedicato all’autore. In essa, il pubblico viene a trovarsi improvvisamente in uno spazio invaso di fumo bianco e saturato dalla pulsazione della luce stroboscopica. Ad una prima lettura, il tipo di scenario proposto non sembra avere alcun legame con l’esperienza percettiva quotidiana, creando piuttosto un senso di alienità, di completa differenza da ciò che definiamo realtà e con la quale quotidianamente i nostri sensi si trovano a confrontarsi. Apparentemente, perché in realtà un primo livello di ‘connessione’, come spesso accade, viene rintracciato nella descrizione dell’artista che racconta come una delle idee iniziali per la progettazione di FEED sia nata dopo essersi imbattuto

                                                                                                               

98 Si rimanda anche agli studi sulla condizione somatica della fruizione individuati nel paragrafo 1.1 del capitolo.

in montagna in una insolita situazione metereologica data dalla compresenza di una fitta nebbia e di intensi bagliori di sole in un bosco. Trovarsi immerso in un fenomeno naturale, per quanto difficilmente sperimentabile, ha portato l’autore ad interrogarsi sul potere materico della luce nel delineare in modo solido una diversa configurazione dello spazio. Un secondo aspetto è rappresentato dalla sua personale reazione: un repentino rimescolamento del senso dello spazio e della percezione del proprio corpo nello spazio.

Al di là delle differenze specifiche, il lavoro di Kurt Hentschläger può essere considerato rappresentativo della gran parte dei lavori presi in considerazione per rappresentare le pratiche audiovisive basate sul flicker ed estendibile anche ad altre tipologie di opere, non necessariamente basate su questo fenomeno ma accomunate dalla messa in atto di détournement percettivi. Se si guarda ad esempio a FEED, in particolare al racconto dell’esperienza dal quale l’opera ha origine, si può comprendere come essa rappresenti non la traduzione di un vissuto soggettivo quanto piuttosto un campo possibile e potenziale di sensazioni e percezioni il cui meccanismo e la cui presenza restano in genere celati o difficilmente percettibili. L’autore tenta di trasferire nell’opera il suo vissuto individuale, un reame del reale che gli è apparso momentaneamente o che gli è sembrato di intravedere. Ma non è il racconto né la traccia della sua esperienza quella offerta al fruitore, quanto piuttosto la possibilità di accedere, attraverso l’opera, a quello che lo studioso, filosofo e media artist Fred Forest definisce infrapercezione: nell’opera cioè si rendono percettibili dei sistemi di energie o flussi che appartengono al reale ma ne costituiscono un matrice invisibile, determinando le nostre funzioni biologiche o il modo in cui ci muoviamo od orientiamo in uno spazio in modo inconsapevole.100 Quest’ordine, definito da Forest ‘invisibile’ è tutto ciò che eccede al livello oggettuale del reale, non collocandosi in alcun supporto materiale o fisico: flussi di frequenze elettromagnetiche, di ritmi vitali dell’anatomia umana, flussi di dati e d’informazioni, relazioni tra sistemi culturali, sociali o di comunicazione, flussi di tempo e spazio, onde sonore. Il momento dell’opera è quindi un campo fenomenico entro il quale è offerta al fruitore la possibilità di dare forma – esperire – anche

                                                                                                               

100 Forest F., 2006, p. 73.

solo transitoriamente il flusso di energie che appartengono all’ordine dell’invisibile, cioè di quanto comunemente, dal livello oggettuale dell’esperienza, resta celato alla consapevolezza, al piano cognitivo che, come sottolineato da Eugeni, è uno dei ‘momenti’ caratterizzanti dell’esperienza.101

Le sperimentazioni di flicker e, più in generale, i progetti che si offrono alla fruizione come ‘situazioni percettive’ rendono necessario, sottolinea Forest, un rinnovamento basato sull’estetica del flusso, la tensione verso nuovi paradigmi, principalmente nel delineare l’oggetto di studio: occorre riconcepire I’opera da oggetto concluso dalla e nella materialità del supporto a sistema invisibile, vale a dire un aggregato dinamico e complesso di eventi che condensano in esperienza quanto sfuggirebbe altrimenti alla nostra percezione, in particolare a quella visiva.

Nel caso delle opere di flicker, in particolare, l’opera sistema invisibile manifesta come ciò che definiamo reale non sia altro che uno spazio di ‘frequenze’ che il nostro cervello trasforma in immagini, instaurando altri possibili meccanismi di codifica nell’esperienza dell’opera stessa. La definizione sistema invisibile contiene in sé i due termini fondamentali di questo differente statuto di opera:

- invisibilità: si intende qui non solo l’immaterialità che si contrappone all’estetica dell’oggetto, quanto l’attivazione di un processo che condensa e rende afferrabile, mette in forma anche solo transitoriamente, ciò che sfugge alla percezione cosciente. L’opera rende quindi l’esperienza diretta dei sensi un processo di conoscenza im-mediata.

- sistema: si intende qui il porsi dell’opera come insieme di eventi possibili e potenziali, attivati dal fruitore. La singolarità e particolarità di ciascun evento non è però in alcun caso un evento isolato, autosignificante – verrebbe allora a mancare l’unità identitaria dell’opera, la sua identificabilità come progetto. Ciascun processo esperienziale ma è parte di un insieme, di un sistema di relazioni che rende coerente la relazione tra l’uno che l’opera rappresenta e le eventualità molteplici di realizzazioni, la

                                                                                                               

101 Un livello della realtà definito dall’artista e teorico Roy Ascott nanodominio, ‘rivelato’ sia all’arte che alla scienza dall’evoluzione tecnologica, consentendo di approcciare nuove dimensioni della materia sensibile integrando l’immateriale e il subatomico. Cfr. R. Ascott, Moistmedia et esprit métiatisé: vers une connectivité biophotonique, in Poissant L., Daubner E., 2005, pp. 43-45.

moltitudine di momenti attraverso le quali il sistema invisibile si manifesta, prende forma momentanea nella singola esperienza del fruitore.102

Le origini dell’opera come sistema invisibile possono essere individuate nel movimento Dada, in Fluxus o nelle esperienze dell’happening, per il comune intento di porre il progetto come ‘situazione’ e sistema di senso ‘potenziale’ messo in forma del vissuto diretto del pubblico, riferimenti questi utili a delineare un percorso di continuità tra la media art contemporanea e momenti precedenti nella storia dell’arte del Novecento. Ciononostante, l’esempio più efficace citato da Forest è riferito all’ambito scientifico: secondo l’autore è in atto nel campo dell’arte un processo non dissimile da quanto le tecnologie hanno attuato nel campo della fisica quantistica, l’accesso alla dimensione infinitesimale della realtà. Emerge quindi il ruolo del dispositivo tecnologico come catalizzatore del processo messo in atto dall’opera: è, infatti, attraverso il dispositivo che il sistema opera prende forma – ma non oggettivizza - e rende esperibili fenomeni presenti in filigrana nella realtà oggettiva ma ‘diversamente’ o scarsamente avvertiti, raramente captati e quindi vissuti abitualmente. Le tecnologie sono quindi piuttosto le interfacce dell’esperienza, rappresentano lo strato più manifesto del dispositivo progettato dall’autore e con il quale egli compone un campo di comportamenti possibili e attraverso il quale il fruitore entra in relazione con fenomeni invisibili.103 Il livello ‘tangibile’ dello strumento tecnologico, come ad esempio il supporto, non coincide in alcun modo con l’opera, così come essa non corrisponde all’ambiente nel quale è collocata, o con i dati audiovisivi. Essi sono piuttosto la parte manifesta dell’interfaccia che è invece rappresentata dal dispositivo, inteso come insieme di funzioni che determinano il design dell’esperienza.104 Si tratta di una progettazione non dissimile da quanto avviene nel caso di un esperimento scientifico: l’elemento tecnologico permette di isolare, ponderare e osservare un determinato fenomeno, di renderlo osservabile e quindi

                                                                                                               

102 Forest F., 2006, p. 72.

103 Ibid., pp. 32-34.

104 Come già ricordato nel paragrafo dedicato ai processi percettivi, le tecnologie giocano un ruolo determinante nell’emersione di nuove forme di relazione tra soggetto e reale. Esso permette, inoltre, di riattualizzarne altre cadute in oblio in precedenti fasi dello sviluppo tecnologico.

presente sul piano dell’esperienza, in forma spesso solo transitoria, all’interno di condizioni sperimentali.

Questo conduce ad un altro punto di contatto tra l’opera sistema invisibile e l’ambito scientifico. L’opera si pone, infatti, come situazione sperimentale in vivo nella quale l’esperienza è parte determinante ed empirica in un processo di costruzione di conoscenza, di passaggio da un piano fenomenico ad uno culturale, intercetta, isola e trasporta ad un livello di esperienza cosciente, fenomeni legati alla natura stessa delle cose ma appartenenti ad un livello di infrapercezione e spesso relegati negli studi sull’arte all’aspetto formale del progetto estetico. Se nella percezione e nell’attenzione legata ai modi del sensibile si rintraccia una coincidenza significativa tra scienza e arte, è rispetto alla costruzione del sapere al quale l’esperienza sensibile conduce, che diventa possibile evidenziare le principali differenze tra i due ambiti disciplinari. Nella costruzione delle forme di sapere sensoriale, infatti, il metodo scientifico considera i modi dell’esperienza alla luce di una costante tensione verso l’oggettivo, per cui l’esperienza del singolo assume senso solo se considerata nel quadro di un sistema verificabile – o inficiabile, secondo il metodo deduttivo di Frank Popper - finalizzato alla stabilizzazione di un modello interpretativo e condizioni dell’esperienza codificate e controllate, progettando il vissuto empirico di ciascun individuo come un campo di condizioni il più possibile invariabili; nell’arte, al contrario, la relazione tra soggettività e oggettività del sapere sulla percezione e sul sensibile generano una gamma estremamente ampia di gradazioni: se, infatti, alcuni degli esempi citati nella ricerca ricalcano maggiormente i modi della scienza, nel proporre al fruitore un sapere e una consapevolezza sulla percezione di tipo ‘educativo’, nel quale il processo esperienziale del singolo si realizza all’interno di un setting di condizioni e comportamenti estremamente definito e controllato, in altri casi il design dell’esperienza lascia il fruitore come destinatario potenziale di possibili e molteplici configurazioni, di uno o più sistemi fenomenici stratificati rispetto ai quali la conoscenza del processo percettivo non è necessariamente afferrabile o univoca.