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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.18 (1891) n.870, 4 gennaio

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, .FINANZA, COMMERCIO, BANCH I, F E R R O V IE , IN T E R E S S I P R IV A T I

Anno XVIII - Voi. XXII

Domenica 4 Gennaio 1891

N. 870

LA SITUAZIONE DEL MERCATO ITALIANO

L ’ anno 1890 è stato una riprova di quanto repli- catamente venne affermato da molti, che cioè la s i­ tuazione del mercato italiano non è il prodotto di una crise finanziaria, nel senso ordinario della parola.

Ma se a questo concetto negativo vogliamo sosti­ tuirne uno positivo, ed analizzare questa situazione in ­ dicandone, per quanto è possibile, il carattere, allora si può affermare che il 1890 fu un anno di asse­ stamento nella crise; e spieghiamo il nostro concetto, dal quale possiamo ricavare conclusioni che crediamo utili.

È avvenuto in Italia che ad un periodo di pro­ sperità relativa, così pubblica che privata, succedesse un movimento abbastanza rapido, una discesa note­ vole nelle condizioni del bilancio dello Stato, in quelle delle aziende industriali, commerciali e bancarie, e nel movimento generale dei prezzi dei titoli.

Due diversi aspetti poteva presentare questo^cam- b ia m e n to ;-o per cause violenti e transitorie l ’ ap­ prezzamento del pubblico diminuiva e quindi il valore delle aziende e dei titoli che lo rappresentavano man­ cava, ed in tal caso, il movimento discendente sa­ rebbe stato di breve durata ed alla prevalenza mo­ mentanea del ribasso doveva succedere presto o poi la reazione di una corrente che, vinto il panico, desse alle cose il loro vero valore ; - ovvero trattavasi di una generale resipiscenza del pubblico che si accor­ geva ad un tratto di aver apprezzato male cose e titoli, dando ad essi un valore maggiore di quanto ragio­ nevolmente potevano meritare, ed in tal caso il mo­ vimento discendente, sebbene negli effetti somigli ad una crise che si svolge lentamente, sarebbe invece la conseguenza di una crise precedentemente determina­ tasi con un erroneo alto apprezzamento delle cose e dei valori.

L ’anno 1890, che succedeva alle convulsioni del 1889, poteva e doveva essere la pietra di paragone per determinare la qualità ed il carattere della situa­ zione attuale.

Non esitiamo a dichiarare, esaminando i fatti senza alcun preconcetto, che ci par di vedere prevalenti i motivi da cui dedurre : - che la vera crise è avve­ nuta quando con sufficiente rapidità, per una serie di erronei apprezzamenti, si sono spinti ad alti prezzi i valori di molti titoli, il cui avvenire non poteva es- j sere che incerto, perchè si fondava su fatti che poi non si sono verificati; e che dal 1888, quando co­ minciò la resipiscenza ed il recide rationem, assi­ stiamo a due periodi diversi; l’ uno, i! 1889 che fu un ritorno a condizioni normali ed un rimedio alla

crise; l’ altro il 1890 che fu il principio dell’ asse­ stamento in questa nuova situazione.

Se i nostri principali Istituti di credito non seguis­ sero il sistema che VEconomista ha ripetutamente biasimato, di mantenere più che sia possibile il se­ creto intorno alla loro situazione, anche quando l’ap­ prossimarsi della chiusura dell’ anno permetterebbe di renderne pubblici i risultati, noi potremmo ora discutere con maggior conoscenza di causa. Ma ad ogni modo, esaminando colla massima scrupolosità le cifre che gli amministratori si compiacciono nella alta loro bontà di far conoscere agli azionisti, che sono i padroni, crediamo di poter concludere che l’ anno 1890 fu molto magro per tutti e che i risul­ tati sono tali da non permettere per molti istituti nemmeno la distribuzione degli interessi. Nè il fatto che questi interessi si sono distribuiti o si distribui­ ranno varrà a smentire la nostra affermazione, in- quantochè ci occuperemo a suo tempo a dimostrare come, quando, e quanto questi interessi fossero ille­ gittim i, cioè non consentiti nè dal Codice di Com­ mercio, nè dagli statuti, e meno ancora dalla pru­ denza amministrativa.

Ora da questa ipotesi, che quelli dei nostri lettori i quali seguono l ’ andamento delle cose finanziarie non troveranno affatto arrischiata, da questa ipotesi è logico ricavare una conclusione interrogativa: — Si possono chiamare aziende ordinate ed altamente ap­ prezzabili quelle le quali possono in due o tre anni di crise generale del paese essere ridotte a non poter rimunerare il capitale ad esse affidato, mentre negli anni precedenti si sono compiaciute a distribuire ai loro ' azionisti, oltre agli interessi, lauti dividendi, implicitamente dimostrando così che l’ interesse do­ veva ritenersi assicurato ?

Non è strano pertanto che il pubblico abbia aperti gli occhi, ed esaminando con più cura i propri af­ fari si sia domandato se meritavano veramente un

così alto apprezzamento i titoli di vecchie aziende, che in così breve periodo e senza avvenimenti estremi, quali potrebbero essere una guerra, o le gravi miuaccie di una guerra, esaurivano ogni loro attività e si trovavano nella urgenza di intaccare la riserva, in alcuni casi di assorbirla tutta, per gli ordi­ nari servizi del capitale.

Un nuovo crite rio si è quindi formato tra il pub­ blico, quello della diffidenza, tanto più profonda quanto maggiore vedeva scorrere il tempo senza che l’alta finanza si muovesse, agisse, si organizzasse. Non diremo cose peregrine notando che durante quest’ ultimo periodo, che noi chiamiamo di assesta­ mento nella crise, molti erano ancora illu s i; e leg­ gendo sui g io rn a li, meno autorevoli è vero, ma

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L ’ E C O N O M I S T A 4 gennaio 1891 6

più diffusi e più creduti, che le cause del male erano le manovre di bande ribassiste, attendevano il momento nel quale sarebbe avveuuta la reazione condotta e guidata dagli uomini esperti, i quali avrebbero portato le cose al loro posto. E le voe- di sindacati, di viaggi a Roma di autorevoli perso­ naggi dell’ alta finanza, di studi concreti sulla situa­ zione di alcuni stabilimenti, rinfocolavano qua e là coloro che, non completamente sfiduciati, avevano bisogno di argomenti e magari di pretesti per spe­ rare bene dell’ avvenire. Ma ben presto queste illu ­ sioni caddero tutte e fu pur troppo palese che la azione, sebbene disorganizzata e fugace, di alcuno poteva appena servire a galvanizzare per un mo­ mento il mercato, il quale era abbandonato in mano ai ribassisti, che avevano avuto l’ oculatezza o la fortuna di indovinare meglio la situazione e ne avevano approfittato.

Qualche tempo fa, quando la fiducia non era an­ cora tanto scossa e quindi lo stock dei titoli flu t­ tuanti sul mercato non era enorme come lo è ora, sarebbe stato possibile, con I’ azione energica, con­ corde e pronta, di tut;e le alte forze finanziarie del paese, reggere il mercati fino a che il periodo grave fosse passato e nuove risorse fossero intervenute a risanguarci. Ma oggi l'opera dei sindacati, anche se avessero le qualità che per ora invano si cer­ cano nei nostri maggiori uomini di finanza, oggi quest’ opera sarebbe temeraria ed inefficace, perchè, la ripresa non può derivare se non da un lento lavorìo di ricostruzione che ripari al mal fatto, epuri il mercato dai cattivi strumenti, i quali impacciano il movimento generale, ed a poco a poco riedifichi la situazione sopra basi solide e nuove.

Il 1890 colla sua lunga monotonia fdi sterile aspettazione, ha dimostrato che ogni attesa è vana, e che bisogna che ci assestiamo sullo stato presente per ricostruire meglio l’edificio.

E per quanto possa parer dura questa verità, che costa al paese parecchie centinaia di milioni, è bene che si dica altamente e si tarpino le ali alle illusioni ; ciò che è perduto è perduto definitivamente, ed ora ci conviene profittare delle rovine, per ricavare il maggior utile possibile da quanto di buono o di meno scosso è ancora rimasto in piedi.

Gli uomini di buona volontà che sono rimasti fin qui inoperosi ad attendere che passasse la bufera, si convincano che aspetterebbero invano il soffio di una fata che rimettesse le cose in pristino; dieno opera invece e concorde a sgomberare il terreno dalle macerie ed a ricominciare la riedificazione.

Un rapido sguardo sui prezzi alla fine del 1889 ed alla fine del 1890 proverà quanto abbiamo as­ serito ; ecco un quadro per alcuni valori :

1889 1890 Differenza

Rendita italiana... 9G. 75 95.80 ___ 0.95

Id. id. a Parigi 95. 70 94.10 — 1.60

Banca Nazion. d’Italia 1815 1710 — 105

Id. id. Toscana 970 1080 + 1 1 0

Credito Mobiliare... 592 540 52

Credito Immobiliare .. 565 440 — 125

Banca Generale... 525 434 ___ 81

Meridionali... 715 699 ___ 16

Mediterranee... 585 557 — 28

Questi pochi che sono però i principali valori del paese hanno tutti subito un ribasso notevolmente inferiore a quello dell’anno precedente tranne la

Banca Nazionale Toscana che in quest’ ultimo tempo ha visto aumentare il valore delle sue azioni, non per altro che per la voce corsa nei circoli finan­ ziari che fossero intavolate trattative .colla Banca Nazionale d’ Italia per la fusione dei due Istituti *). Dei ribassi più notevoli si può trovare la spiegazione in fatti speciali che hanno colpito questi o quelli sta­ bilimenti ; la Banca Nazionale d’ Italia da un anno aumenta quasi ogni decade la cifra delle sue sofferenze e lo ha già spinte ad una somma che non può a meno di impressionare ; per di più il pubblico com­ menta variamente una specie di fiacchezza della ammi­ nistrazione di quell’ istituto ad approfittare della attuale situazione dello Stato e del paese per venire ad una giusta organizzazione del credito ; — in quanto alla Società Immobiliare certamente le ha nociuto la ine­ splicabile lungaggine per la costituzione dell’ Istituto di credito fondiario, il quale avrebbe dovuto lenire la orise edilizia di Roma , ed invece ritardando senza ragione palese, ma per molti motivi che si affer­ mano e che non saranno veri, sebbene egualmente influiscano sulla opinione pubblica, mantiene uno stato di cose imbarazzante ed imbarazzato al quale sarebbe preferibile una soluzione anche violenta; la Banca Generale ha in sè stessa cause sufficienti che giustificano il suo minor valore, e sopratutto si afferma che sia impegnata in affari di mole molto maggiore che non le permetta la sua potenzialità. - Ma invece i valori che souo venuti formandosi una clien­ tela per mezzo della prudenza e della amministra­ zione molto schiva di grandiosi risultati, come sono le Meridionali, perchè è nella convinzione di quasi tutti che gli u tili non saranno distribuiti secondo le fluttuazioni inevitabili delle annate buone e cattive, ma ripartiti in modo da renderne lentamente ma progressivamente costante l ’aumento quando, nei li­ m iti del possibile, ciò sia assicurato, le Meridionali hanno sostenuto vigorosamente gli urti della crise, e malgrado la infedeltà di qualche grosso cliente che non le ha sempre sorrette, tennero e tengono un buon contegno.

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4 gennaio 1891 L ’ E C O N O M I S T A 7 dare le perdite subite in questi ultim i anni, perdite

in parte palesi e in parte nascoste, ooeorre il pru­ dente ed assiduo lavorio di molti anni, durante i quali bisogna conseguire due importanti scopi : — il primo, di rialzare il prestigio di amministrazioni che si sono mostrate inferiori al compito loro, lascian­ dosi sopraffare da avvenimenti che si potevano e si dovevano prevedere e contro i quali si doveva es­ sere pronti: — il secondo, di ridare al pubblico ab­ biente la fiducia affinchè si ripristini quell’ impiego in titoli nazionali che con proporzioni notevoli è stato abbandonato e possa così essere alleggerito lo stock fluttuante. Si comprende facilmente che tutto questo esige il lavoro di molto tempo e di non comuni ca­ pacità.

L ’ azione di sindacati sarebbe utile soltanto quando una parte dell’ alta finanza, convinta che questa o quella azienda ha delle grandi probabilità di suc­ cesso in un avvenire più o meno lontano, sapesse e Volesse acquistare una parte notevole dello stock fluttuante per tenerlo lungamente fuori della circo­ lazione aspettando tempi m igliori. Ma una azione che si esplicasse, come è già avvenuto, e come si tentò anche recentemente per qualche settimana o per qualche mese, e tendesse a produrre un artificiale rialzo, per poi lasciar precipitare ancora i prezzi, noi la riterremmo dannosa, specialmente perchè accre­ scerebbe ancora la diffidenza del pubblico. Ed è per questo che noi non abbiamo raccolta la voce, che pur correva qui ed altrove, che alla fine d’ anno si volesse provocare per qualche settimana degli au­ menti onde dar modo agli Istituti di chiudere meno male i loro bilanci. Ci pareva progetto assurdo e forse anche colpevole, e per quanto molte e strane cose si possano attendere dopo quelle a cui abbiamo assistito negli ultim i anni, a tanto non ci pareva si potesse giungere.

Non cessiamo pertanto dal predicare, sebbene la nostra sia voce che parla al deserto: organizzazione ed organizzazione. Che il pubblico sappia che gli inetti sono lasciati a casa, che il posto di ammini­ stratori degli Istituti non è concesso nè alla paren­ tela, nè alla amicizia, solo perchè parentela od ami­ cizia , ma perchè vi è veramente implicato l’ inte­ resse di chi deve amministrare e vi si aggiunge la capacità sufficiente; così un passo non lieve sarà fatto per cominciare I’ opera di riedificazione del nostro credito.

LA PARTECIPAZIONE AGLI UTILI

N E L L E A Z IE N D E G O V E R N A T IV E

Negli ultim i giorni del novembre scorso, discu­ tendosi i bilanci’ dalla Camera francese dei deputati, sorse, a proposito del servizio delle poste e dei te­ legrafi una questione che ebbe un abbastanza largo dibattimento : quella delia partecipazione degli im ­ piegati negli utili del ramo di servizio pubblico a cui sono addetti.

Vennero presentate varie mozioni, le quali non furono propriamente approvate, ma ebbero numerose adesioni, tra cui quella di cointeressare gli impiegati postali e telegrafici, in una misura e con certe mo­ dalità da determinarsi, nelle entrate delle poste e dei

telegrafi. E il risultato complessivo della discussione è che la questione stessa non sarà lasciata morire, ma verrà risollevata in altra circostanza.

Analizzando il dibattito che ha avuto luogo, vien fatto di rilevare le diverse correnti d’ idee, come più nuova e caratteristica, questa. Lo Stato in fondo non è fuorché un intraprenditore di servizi che l’ inizia­ tiva privata non sa prestare. Cotesti servizi essendo molteplici, è opportuno abbiano altrettanti bilanci speciali, che vengono poi recapitati nel bilancio ge­ nerale. Taluni presentano un vero carattere indu­ striale, e dovendo perciò mirare a conseguire, anche dal lato finanziario, il migliore risultato possibile, conviene disporre all’ uopo i mezzi più acconci, tra i quali l’ incentivo del cointeresse a quei funzionari che coll’ opera loro intelligente e zelante determinano il conseguimento di siffatto scopo o per lo meno ne sono un valido coefficiente.

In tutte queste affermazioni, disordinato e discu­ tibile, il contenuto è molto abbondante. Guardando bene, frattanto, si vede che le questioni, così intrec­ ciate fra loro, sono due, non già una sola : quella della separazione dei bilanci quando una azienda si suddivide in parecchi rami, e quella del carattere industriale che possano, o non possano, debbano o non debbano, avere i servizi pubblici esercitati dallo Stato.

Sulla prima non ci pare che possa esservi dis­ senso. Finché i bilanci dei diversi servizi speciali cui lo Stato esercita non sono messi in contrasto fra loro come quelli di due imprese private che si facciano concorrenza, non si disputino certe sor­ genti d’ entrata e non si respingano a vicenda certe partite di spesa: finché essi continuino a far parte tutti assieme del bilancio generale a formarne ciascuno nient’altro che un capitolo compiutamente particolareggiato a scopo di chiarezza e nell’ intento di suggerire, colla eloquenza dei rispettivi risultati, le migliorie che è opportuno introdurre nel pub­ blico servizio a cui si riferisce, niente di male in siffatta momentanea separazione. Ma l’ autonomia d i­ venterebbe soverchia, quando si estendesse ad appli­ cazioni e conseguenze di là dallo scopo anzidetto che solo la determina e la giustifica ; diventerebbe soverchia quando l’ unica o troppa prevalente preoc­ cupazione del buon risultato finanziario d’ un dato servizio pùbblico, come azienda di per sè stante, fa­ cesse dimenticare appunto cotesto carattere di ser­ vizio pubblico.

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L’ E C O N O M I S T A 4 gennaio 1891 tassa proporzionata alla misura dell’ utilità che ogni

singolo individuo volta per volta ne ritrae, possano per avventura bastare a sè stessi colle proprie r i ­ spettive entrate, e magari eventualmente alle loro amministrazioni, considerate sotto un certo aspetto momentaneo e convenzionale, come enti autonomi, accade di conseguire un guadagno netto ; che per altro, sempre in forza del principio anzidetto, tale guadagno non può avere altra erogazione se non il provvedere a sempre ulteriori miglioramenti del pubblico servizio che gli dà luogo, in guisa che i cittadini ne profittino in più larga misura, senza venire per ciò maggiormente gravati, essi per fatto dei quali il guadagno si verifica, ed anzi venendo alleviati i loro carichi, sia sotto forma di mitiga­ zione delle tasse speciali che di quel dato servizio producano l’introito, sia sotto forma di mitigazione generale d’ imposte.

Se così è, il carattere industriale di alcune aziende amministrative dello Stato permane bensì da ceni lati (e quale è tra le cose umane che de’ lati non ne presenti parecchi ?....) ma resta ben determinato e anzitutto molto limitato. Ed allora apparisce evi­ dente che l ’ analogia colle aziende industriali dei privati non si può, non si deve estendere oltre con­ fini assai ristretti. Figuriamoci, se potrà giungere a quella specialissima, nuova e tutt’altro che generale applicazione, che è la partecipazione agli u tili ! Biso­ gna infatti considerare che se la partecipazione agli u tili potrà forse in avvenire essere la regola in ogni privata impresa, oggi non solo non è, ma anzi è una eccezione dal lento e difficile sviluppo, che, come tale, si addimostra non propriamente indispensabile neppure in quelle imprese nelle quali, perchè pri­ vate, il carattere industriale nonché prevalente è sovrano.

E questo basterebbe ; ma 1’ argomento ci spinge anche a considerazioni di altra natuia. Partecipazione agli u tili in una amministrazione governativa? A l­ tri forse non pensa dove si andrebbe a finire, e la fine, per verità, non la scorgiamo neanche noi. Te­ diamo però in fantasia il rimescolio che avverrebbe nel personale burocratico d’ uno Stato, qualunque fosse, in cui un tal sistema avesse anche solo un principio di esperimento; l’ armeggiare di avidità fameliche, il brigare, il raccomandarsi, l ’ arrampi­ carsi : tendenze e fatti che si vedono e si lamentano anche oggi, ma che verrebbero ad essere centupli­ cati. Eppure questo pericolo, benché grave, non sarebbe il più grave di tutti. Vogliamo ammettere che per un principio ritenuto buono si saprebbero a un po’ alla volta trovare modalità opportune ed efficaci. Il peggior male starebbe in ciò, ehe con passi o rapidi o lenti entrerebbero successivamente nel novero di quelli considerati in parte industriali, parecchi servizi pubblici che tale indole non hanno nè punto nè poco. Dov’ è, a questo mondo, la pro­ fonda, netta, visibile linea di separazione tra cose che hanno qualche dato comune od affine ? Epperò te­ miamo che il cerchio finirebbe per estendersi a di­ smisura cercando di comprendere tutto nel proprio sempre più indistinto perimetro. Ed invero — qui starebbe il colmo del pericolo — la funesta tendenza degli Stati moderni di assorbire un numero sempre maggiore di funzioni, pur troppo già oltremodo spie­ gata, non riceverebbe altro che un nuovo e fatal­ mente valido impulso da quel maggiore tornaconto che sempre nuove falangi d’ individui fossero per

scorgere nel collocarsi in quello immane e ospitale edilìzio, diciamo così, ove lo Stato, per compiere la metafora, è padrone di casa.

Già esso pecca nell’ usurpare agli individui, senza necessità e senza buon successo, le loro attribuzioni. Che cosa sarebbe quando si appropriasse, pur senza acquistarne l ’ attitudine, anche i loro più speciali procedimenti ?

Questo solo timore, se non vi fosse tutto il resto, sarebbe già abbastanza giustificato.

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Quando, nel fascicolo del 1° dicembre scorso del­ l’ottima Rassegna Nazionale, mi venne fatto di vedere il lungo articolo dell’on. Alessandro Rossi sul Pareg­ gio economico e finanziario, non è a dirsi con quanta avidità m’ accinsi a leggerlo, sperando d’ addomesti­ carmi almeno, se non del tutto conciliarmi, col nuovo verbo dell’ economia protezionista, di cui il nome deil’ A. m’ affidava che quello scritto dovesse essere la genuina espressione. E non mi sono punto ingannato. In esso, infatti, l’illustre senatore (non lo chiamo economista per non affibbiargli un titolo che egli sembra reputare infamante) non combatte già per la sua causa, ma trionfa addirittura e tripudia nell’ ebbrezza della vittoria, ch’ egli afferma assicurata indiscutibilmente al protezionismo e, canzonando a più riprese i vinti e fiochi e morti libero-scambisti, delta al governo la nuova linea di condotta di fronte alle imminenti scadenze dei trattati di commercio, innalza la bandiera del lavoro nazionale in cima alla piramide sociale e staggisce tutto per lui e per la sua scuola il patriottismo, che deve affrancare l’ Italia dalla obbrobriosa servitù economica, cui I’ ha condannata il regime del libero scambio. Tutto l’ar­ ticolo può infatti riassumersi, colle sue stesse parole, in questi tre capi, che si leggono a pag. 620.

a) Denunciare entro l’ anno 1890 immancabil­ mente il trattato coll’ Austria-U ngheria, ed entro gennaio 1891 al più tardi i trattati colla Germania, colla Svizzera, colla Spagna.

b) Aumentare per Decreto reale, da sottomet­ tere alla nuova Camera, tutti i dazi, agricoli er in ­ dustriali, non convenzionati, del 20 per 0|0, a tutto dicembre 1891.

c) Ripigliare e completare la nuova tariffa ge­ nerale delle dogane in modo che resti approvata dalle due Camere entro dicembre 1891.

E ancora più brevemente possono riassumersi questi stessi tre capi in quest’ altra proposizione che fu, è e sarà sempre la più completa espressione del più genuino protezionismo antico e moderno. Abo­ lire i trattati che, dal più al meuo, avviavano al libero scambio, sostituendovi, per via di tariffe ge­ nerali, o anche di semplici Decreti reali, un sistema di dazi assai più forti dei convenzionali, a tutela di tutte le industrie, ma specialmente dell’ agricol­ tura e delle manifatture.

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4 gennaio 1891 L ’ E C O N O M I S T A 9 sofistiche e quasi quasi colpevoli della vecchia eco­

nomia, quando oggi ancora potrebbersi combattere i nuovissimi argomenti del nostro illustre senatore colle pagine di quei poveri economisti che furono 10 Smith, il Say, il Dunoyer, il Bastiat, lo Cheva- lier, per dir solo dei sommi. Ma quei poveri uto­ pisti, quegl’ ideologi, com’ è vezzo chiamarli colla scorta di quel grande economista praticone, che fu l’autore del Blocco 'Continentale, sono ormai morti da un pezzo e la scienza con loro, se si dee credere all’on. Rossi, ond’è che a ripeterne gli argomenti si arrischierebbe di passare per un sacrilego violator di sepolcri e un brutale espositor di cadaveri, che mira solo a turbare con sue orride gesta la serena allegrezza de’ nuovi sapientissimi maestri. Oltre di che una critica completa ed efficace di queirimmenso cumulo di errori e contraddizioni, che seco involge 11 protezionismo, richiederebbe assai maggior tempo e spazio che non sian quelli di cui presentemente io dispongo e dispone questo periodico, che non può per sua natura consacrarsi interamente alle questioni scientifiche. Ma quello che mi pare egualmente con­ forme alle esigenze del giornale e non del tutto in ­ differente pel pubblico si è il rilevare le cospicue contraddizioni, più o meno palesi, in cui cade il nostro A., non già colla vecchia scienza economica, che il meravigliarsi di ciò sarebbe da stolti, ma con sè medesimo e colla logica più elementare : ciò che in un caposcuola non può pon destare un qualche stupore. Nell’ interesse, adunque, o quanto meno, pel decoro del nuovo evangelio, rilevo siffatte inezie, affinchè i dubbiosi che già inclinano a credere morta l’antica fede e stanno per abbracciare la nuova, non credano morta insieme anche la logica e perdano ogni incentivo alla conversione.

Dalle stesse conclusioni dell’A. surriferite emerge chiaro ch’ egli vuole da buon protezionista difficultata eoi dazi al più possibile l ’ importazione delle merci estere. Gli si potrebbe opporre : perchè allora non proibirla del tutto ? Ma questa è contraddizione del sistema, eh’ egli prudentemente evita di porre in campo e su cui pertanto noi non possiamo insistere. D’altronde egli non manca di fornircene una ben più saporita su questo argomento, deplorando ardi­ tamente a pag. 590 la politica d'esportazione degli uomini di Stato italiani e a pag. 600 il dazio di uscita di L. 58,SO al quintale, tuttora esistente sulle sete greggie, mentre poi a pag. 606 chiama perdite effettive le maggiori importazioni e ribadisce 1’ as­ serto a pag. 607 e segg. là dove istituisce un me­ raviglioso confronto, di cui diremo più innanzi, tra il dazio convenzionale e quello della tariffa generale, per reclamare, al solito, un aumento di esso all’ unieo intento di affievolire le importazioni dall’estero.

E non basta. Reclamata la protezione, che ha per unico scopo di alzare il prezzo dei prodotti protetti, ognuno s’ aspetterebbe di udire da un protezionista una difesa qualunque di quell’ aumento, magari un tentativo di farlo apparire utile alla causa del lavoro; ma signor no. Il nostro Autore preferisce lagnarsi del governo che colle enormi spese per la difesa del paese, la politica coloniale ecc.... ha fatto cre­ scere i prezzi di costo delle merci (pag. 588) e subito dopo (pag. 589) deplora che malgrado il da­ zio il prezzo del frumento d’ America sia tuttora tanto basso da far concorrenza al nostrale, ragion per cui bisognerà aumentarlo almeno d’ un 20 0|0- Ma se chiedete esacerbazione del dazio, non è come

se chiedeste che i prezzi della merce colpita aumen­ tassero? La logica direbbe di sì, ma l’on. Rossi dice di no, per la peregrina ragione che i dazi d’ impor­ tazione li pagano gli stranieri (pag. 616).

Potenz’ in terra ! ! Chi potrebbe crederlo, che un venditore pagasse un dazio e non se ne rivalesse sul prezzo della merce che fa pagare al compratore? Dov’ è mai quest’ araba fenice cui erigere uno dei tanti monumenti che - si prodigano così pazza­ mente in Italia a chi ha tanto meno meriti? Eppure l’on. Rossi dice, o viene a dire, che tali arabe fe­ nici si contano a migliaia fra i nostri buoni vicini d’oltre Frójus, e d’ oltre Judri, e quel che è meglio non si sente punto commosso da tanta generosità, chè anzi vorrebbe si continuasse a infligger loro questa perdita, benché da essa le industrie nazionali non ricavino alcun profitto. 0 non vede, infatti, l’ on. Rossi, che se quel eh’ egli dice fosse vero e le merci estere gravate del dazio fossero pagate dagl’ italiani pel loro prezzo naturale, tutto l’ arma­ mento della protezione andrebbe sfasciato? Se la merce estera vale meno della nazionale chi sarà così pazzo da non preferirla e chi sarà così ingenuo fra i produttori nazionali, cui costa di più, da dichia­ rarsi protetto in quel modo ?

Senonchè in fatto d'ingenuità il nostro autore me­ rita davvero il titolo di capo-scuola, che certo non saprei qualificare altrimenti che per ingenuo il con­ fronto meraviglioso eh’ egli istituisce fra i proventi reali dei dazi convenzionali coll’ Austro-Ungheria e quelli ipotetici, che si sarebbero avuti applicando la tariffa generale tanto più alta (pag. 605) e l’ altro parallelo, non meno sbalorditolo, fra i proventi avuti nel 1889 dai dazi d’ importazione dalla Francia cal­ colati sulla base della nostra tariffa generale e quelli maggiori che si sarebbero avuti applicando una ta­ riffa eguale a quella francese (pag. 6 0 7 -6 1 0 ). Egli chiama francamente perdita i 10 3/é m ilioni che l’ Italia avrebbe guadagnato nel primo caso e i 28 / t m ilioni che avrebbe guadagnato nel secondo, se avesse voluto adottare in ambidue una misura di dazi più elevata. Or, non è ingenuo davvero un tale calcolo ? Non somiglia, come due goccie d’ acqua tra loro, al calcolo d’ un negoziante che, dopo aver ven­ duto per 25 lire la sua merce, pensasse d’avere per­ duto nell’ affare 75 lire, perchè avrebbe potuto chie­ derne 100 al compratore? Senonchè al negoziante è molto probabile che il buon senso, prendendo la rivincita, suggerirebbe subito dopo questa semplicis­ sima considerazione : ma avrei poi trovato un com­ pratore che mi desse le 100 lire ? Invece il nostro Autore non intese o disprezzo, a quanto pare, tali suggerimenti, perchè imperterrito afferma e riafferma quella perdita e si gloria del paziente studio con cui egli seppe escogitarla dal confronto dei dati ufficiali delle dogane : studio che i libero-scambisti, egli dice a pag. 6<0, si sentono troppo felici di non aver fatto. E in verità ha ragione ! ...

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10 L’ E C O N O M I S T A 4 gennaio 1891 E d’ altronde, non s’ accorge egli che ad infliggere

questa perdita, anzi una maggiore, anzi una perdita di tutto il dazio protettivo e tiscale insieme, mira appunto il protezionismo, se vuol essere logico? Non reclama esso, infatti, l'autonomia economica della na­ zione? Non vuole che la produzione nazionale venga fatta bastare al consumo interno? Non vuole, in­ somma, per quanto è possibile, cercare di escludere ogni importazione dall’ estero ? Finché, infatti, può esserci tornaconto per qualcheduno a comperare al­ l’estero anziché in patria, vuol dire che la protezione non è sufficiente, vuol dire che i dazi non sono ab­ bastanza alti ed efficaci e per renderli tali bisogna appunto che l’erario rinunzi a percepirli del tutto. Il protezionismo è un novello Saturno che divora i propri figliuoli. Non è dunque un’altra amena con­ traddizione questa d’ un protezionista che si fa pala­ dino degl’ interessi del fisco?

Non credo, infatti, che l’ on. Rossi vorrà sostenere che quella diminuzione sia perdita per i consuma­ tori dei prodotti esteri, i q u a li, dal pagarli più a buon mercato, non possono risentirne che vantaggio. È vero che il vantaggio dei consumatori, secondo lui, è un danno per i produttori e i libero-scam­ bisti hanno il torto di non accorgersi che non si può dare consumo senza produzione e che in fin dei conti l’ interesse degli uni s’ accorda coll’ interesse degli altri (pag. 593: o94). E qui finalmente siamo in per­ fetto accordo. È proprio vero che troppo spesso gli economisti fanno una distinzione inopportuna fra quei due fatti economici, che non sono già diversi e op­ posti, come può apparire di primo acchito, ma iden­ tici, unificabili sotto lo stesso titolo, due aspetti, in­ somma, e non altro d’ un medesimo fatto, che è il fatto economico fondamentale: la trasformazione utile della materia per parte déll'uomo. lo stesso ho avuto occasione di affermarlo in questo stesso pe­ riodico molli anni addietro *).

Ma vedasi destino ! Anche da questo mirabile ac­ cordo sorge una contraddizione a carico dell’ on. Rossi. Quella identificazione dei due fenomeni economici ap­ parisce infatti evidente quando si consideri il fatto economico fondamentale fuori del campo sociale ove subisce tante ingannevoli complicazioni, e cioè nel­ l’economia prettamente individuale, là dove esso si esplica colla massima semplicità. Ma allora apparisce pur evidente un’ altra cosa; che, cioè, l’ unico vero interesse economico dell’ uomo che trasforma u til­ mente la materia è quello di trasformarla col minimo sforzo possibile, eh’ è quanto dire col minimo la­ voro, col minimo costo, e eh’ egli si ritiene egual­ mente felice e come produttore e come consumatore solo allora che abbia ottenuto tale risultato. Sarei curioso di sapere come 1’ on. Rossi sarebbe capace di convincerlo che ha torto !

E qui faccio punto, non già perchè altro non mi resti a mietere nel vasto campo delle contraddi­ zioni dell’ illustre senatore; ma perchè quelle già mietute mi paiono più che sufficienti per concludere contro alla serietà di un sistema che ne impone cotante ad intelligenze pur non comuni, ad uomini sotto altri rapporti tanto eminenti per retto giudizio e per nobili aspirazioni. È uno spettacolo affliggente e consolante ad un tempo : affliggente per gli uomini che si lasciano invescare nell’errore, ma consolante

*) Vedi VEconomista del I o luglio 1883.

per la scienza, che conta appunto le sue vittorie alla stregua delle contraddizioni e dei sofismi dei suoi avversari.

Ed è appunto in nome di questa scienza, degna d’essere conservata e non combattuta, ch’ io, infimo dei gregari in quel partito conservatore, di cui l’on. Rossi è tra i più cospicui e strenui campioni, mi permetto rivolgergli un buon consiglio che, a norma del proverbio, egli non vorrà disprezzare. Conserviamo pure, e in prima linea, la Monarchia colla Casa Sabauda, arra inalterabile della nostra unità e indipendenza e conserviamo ancora quelle libertà statutarie, che minacciano pur troppo nau­ fragio sotto il falso parlamentarismo che ci governa; ma conserviamo altresì, se non Le dispiace, le buone tradizioni liberali della scienza economica, sostenute appunto dalla conservatrice Inghilterra ed osteggiate invece dalle ultra democratiche Francia ed America: conserviamo le buone tradizioni economiche del Ban - d'mi, del Filangeri, del Cavour, del Minghetti, del Ferrara, che son pur tradizioni prettamente italiane: e sopratutto poi conserviamo... la logica !

Prof. Cablo Oddi.

R iv is ta (Economica

/ / lavoro delle donne in Francia.Sulla crise finan­

ziaria di Londra.Risultati della vendemmia in

Italia.

Il lavoro delle donne in Francia. — Fra le ardue e molteplici questioni sociali che sogliono essere agitale in seno ai congressi, alle accademie, alle società scientifiche, alle assemblee politiche, alla stampa, una ve n’ è di oltremodo delicata e alla quale I’ avvenire sembra dover aggiungere, anziché togliere, delle difficoltà; quella cioè del lavoro delle donne.

Non si chiede già che la donna debba volente o nolente romperla eoi lavoro ; si chiede però eh’ essa si lim iti a lavorare in casa. E il moralista si trova in ciò d’ accordo coll’ operaio : imperocché se questi, in non pochi ambienti, deplora la concorrenza fo r ­ midabile che gli vieu fatta dalla donna, concorrenza che è esiziale all’ incremento dei salari, il primo può accampare anche lui delle buone ragioni, e scagliarsi contro il lavoro delle donne nelle officine, in nome degli interessi della famiglia e della pubblica mo­ ralità.

Prima però di formulare un giudizio qualsiasi in ordine alle eventuali riforme da propugnare in pro­ posito, non sarà inutile di studiare la questione dal punto di vista delle cifre, indagando: 1° qual’ è, iu generale, l’ importanza del lavoro fem m inile; 2° cosa rappresenta su per giù la parte eli’ esso preleva, sotto forma di salario, sull’ insieme dei redditi delle na­ zioni.

Una risposta ad entrambe le questioni è stata data in questi giorni, nella parte che concerne la Francia, dalla Società di statistica di Parigi.

Da uno studio assai pregevole pubblicato da detta Società, e relativo appunto al lavoro delle donne in Francia, risulta quanto segue:

(7)

4 gennaio 1891 L’ E C O N O M I S T A 11 Su 601,000 operai parigini, si contano 299,000

donne, con un salario approssimativo di 2o0 milioni

di franchi. „ . . .

Su 3,172,000 operai delle provinole, vi sono 1 030,000 dònne, con un salario di 340 milioni.

’ S u ’ 1,132,000 impiegati e stipendiati in genere, si contano 327,000 donne, con un salario di circa 200 milioni.

Su 1,959,000 domestici, vi sono 1,267,000 donne, con utrsalario totale di 800 m ilioni.

Ossia, in complesso, su 10,353,000 lavoratori, ben 4,415,000 donne, con una paga di 2,460 milioni di franchi.

Così, il lavoro salariato delle donne rappresenta il 30 Ó|0 del totale dei salari , stipendi e onorari guadagnati dalla classe dei lavoratori propriamente detti.

Si dirà che tali somme favolose non sono torse guadagnate per intero fuori del tetto paterno o co­ niugale. Molte sarte, molte stiratrici, molte contadine lavorano in casa propria; ed è questo un elemento di cui bisogna certamente tener conto.

Però, bisogna notare che nelle cifre trascritte più sopra, si tratta di salari e di stipendi, e non già di u tili o profitti. Non è dunque esagerato il dire che le donne, in Francia, guadagnano fuori del loro do­ micilio una somma non inferiore ai due m iliardi.

Supponiamo ora che le leggi o i costumi si de­ cidessero a proibire il lavoro delle donne ; ci tro­ veremmo allora dinanzi un doppio problema : come potrebbe la donna trovare, col suo lavoro casalingo, T equivalente della somma attualmente guadagnata e che, sino a prova contraria, abbiamo il diritto di ritenere necessaria alla sua esistenza ? E in qual modo e da chi sarebbe fatto il lavoro che le donne sarebbero costrette a lasciare ?

Lo studio, dal quale abbiamo tolto le cifre che precedono risponde alla seconda domanda soltanto, e lo fa in questi termini : « Una quantità simile di lavoro non potrebbe essere data, se le donne non la producessero più, che dalle macchine o dagli ani­ mali domestici ». Parere certamente rispettabile, ma che è lungi dall’ essere una soluzione. Perchè anche le macchine e gli animali vogliono esser condotti. Più savio è, a parer nostro, il riconoscere che la quantità di lavoro fatto dalle donne francesi è tale che, se si volesse, non diciamo sopprimerlo, ma ridurlo sensibilmente, bisognerebbe supplirvi, o con degli operai stranieri (ciò che non garba troppo ai francesi), o con un aumento di operai francesi, ciò che, per ragioni demografiche e per un buon pezzo ancora, sarà certamente impossibile. Laonde si può conchiudere essere oltremodo necessario, in Francia sopratutto, P usare la massima prudenza nella re ­ golamentazione del lavoro delle donne.

Sulla crisi finanziaria di Londra. — In un primo articolo sulla recente crisi finanziaria che commosse così fortemente la città di Londra, il Times studia la situazione attuale della piazza di Londra e le cause della crisi.

Esso comincia col combattere l’ opinione general­ mente accettata che la crisi sia stata « una crisi Baring, puramente e semplicemente ». « La situa­ zione che produsse la crisi era il risultalo di cause

generali esistenti da più anni e che presto o tardi dovevano produrre una crisi più o meno seria ». I signori Baring precipitarono la crisi, è vero, ma non ne sono i soli responsabili ; vi sono altre case egual­

mente colpevoli d’ avere incoraggiato gli argentini e il loro Governo ad essere troppo corrivi e a pren­ dere degli impegni al di sopra delle loro forze.

Quanto ai signori Baring, essi, come altri, hanno troppo facilmente dato l’ appoggio del loro nome a imprese d’ogni specie, principalmente per una cu­ riosa apprensione di veder dei finanzieri tedeschi e continentali prendere in mano gli affari argentini, ove essi vedevano la prospettiva di guadagni illi­ mitati.

La casa Baring, godendo di una fiducia esagerata, commise dei gravi errori : in primo luogo, collocò e immobilizzo un troppo grande capitale in valori irrealizzabili in momenti difficili, se non a prezzo di gravi sacrifici ; poi ha imprudentemente accettato delle enormi quantità di carta. Fu questo secondo errore, sebbene il più piccolo dei due, la causa immediata del suo tracollo. Ber far fronte a suoi impegni, la Casa dovette, l’anno scorso, realizzare dei valori, perchè, pur avendo in portafoglio degli effetti di primo ordine per una somma di 7 od 8 milioni di sterline, le scadenze di queste tratte erano troppo lontane per fornire i fondi di cui aveva b i­ sogno. Bisognava o fare riscontare queste tratte o realizzare. È a questo secondo mezzo che ricorse in autunno; ma il momento era poco favorevole e lo Stock Exchange se ne risentì. Vi fu un momento di notevole ribasso.

Altre case si trovavano alla stessa epoca imba­ razzate ; ma, più fortunate dei Baring, esse non furono costrette a realizzare, senza di che era im ­ possibile evitare la crisi.

Un fatto che contribuì a rendere la crisi meno grave di quella che avrebbe potuto essere, è che la gran massa del pubblico, che ha dell’ oro da col­ locare, si astenne dal sottoscrivere alle numerose emissioni offerte da due anni, e che i nuovi titoli rimasero nelle mani dei sindacati che li avevano creati e di speculatori ambiziosi. Questa astensione ebbe due ragioni: I o che il pubblico si è fatto più prudente ; 2° che il commercio dava un interesse

maggiore di quello della speculazione.

Nel settembre la City era stata commossa dalla crisi di un ricco speculatore i cui affari dovettero essere ripresi da un sindacato per impedire un di­ sastro ; l’ inquietudine era generale, e le case in rap­ porto d’affari coll’America del Sud erano riguardate con occhio abbastanza sospettoso. Ne seguì che quando i Baring dovettero domandare l ’ aiuto dei loro confratelli, la situazione finanziaria della città di Londra era lungi dall’essere soddisfacente.

L ’articolista infine mette in guardia i suoi let­ tori contro la teoria di taiuni che, ora che la crisi ò passata trattano con leggerezza il pericolo scon­ giurato e stimano non fosse gravissimo. È un errore. La crisi lasciò delle traccie dietro sè.

« Per chi sa correttamente giudicare i sintomi, è chiaro che gli effetti della catastrofe recente sono profondi e ci vorranno dei mesi prima d’ essere l i ­ berati dalla massa di cattivi affari d’ogni specie che restano ancora da liquidare ».

Questo articolo è un insegnamento che merita attenzione.

Risultato della vendemmia in Italia nel 1890. — Il Ministero della agricoltura ha pubblicato nel Bol­ lettino di notizie agrarie le notizie telegrafiche sul raccolto dell’ uva nel 1890.

(8)

12 L ’ E C O N O M I S T A 4 gennaio ,1891 provincia del Regno, pubblichiamo intanto i risultati

per regioni agrarie, ponendoli in confronto colle cifre del raccolto medio del quinquennio 1879-83 :

REGIONI AGRARIE Piemonte Lombardia Veneto Liguria Emilia Marche ed U m bria. . . T o s c a n a ... L a z i o ... Meridionale adriatica . . Meridionale mediterranea . S ic ilia ... Sardegna ... R A C C O L T O medio del 1890 Ettolitri Ettolitri 3,880,810 3,161,500 1,748,200 1,101,500 1,388,100 330,100 2,490,900 1,515,400 3.068.500 2,152,900 1,917,800 958,900 4.909.300 5,871,500 5,247,400 5,953,600 7.750.500 7,569,400 1.179.300 1,150,800 508,500 404,200 2,570,700 1,877,400 Regno . . . 56,760,000 27,817,200 Risulta altresì, secondo le notizie pubblicate dallo stesso Ministero, che il raccolto della vendemmia ultima è per 12 centesimi di qualità ottima, per 77 buona, per 10 mediocre e per una sola cente­ sima parte di qualità cattiva.

L E M I N I E R E IN I T A L I A

Dal Ministero di agricoltura e commercio è stata recentemente pubblicata la relazione sul servizio m i­ nerario per I’ anno 1888, dalla quale crediamo op­ portuno desumere alcuni dati che valgano a dare un idea dello stato della produzione italiana anche in questo ramo dell’ umana attività.

Il valore della produzione italiana raggiunse nel 1888 la cifra di lire 52,377,908 ottenuto da 654 miniere in esercizio, nelle quali lavoravano 49,111 operai e venne adoprata una forza motrice di 4782 cavalli. Confrontando la produzione mineraria del 1888 con quella dell’ anno precedente, si trova che nel 1888 vi è stato un aumento di 2 milioni e mezzo di lire, il quale aumento riguarda principalmente lo zinco, il rame, i combustibili fossili, lo zolfo, e il sale d’argento, ed è dovuto in parte al miglioramento dei prezzi mercantili, e in parte ad aumento di pro­ duzione.

Passeremo adesso in rassegna le condizioni parti­ colari dei principali gruppi delle nostre miniere nell’annata a cui si riferisce la relazione che stiamo riassumendo.

Miniere di zolfo. — La produzione dello zolfo che forma quasi la metà di tutto il valore della pro­ duzione mineraria italiana fu di tonn. 576,558, che al prezzo medio di L. 66,45 per tonn. danno un valore di L. 25,013,014. Questo prodotto fu ricavato da 362 miniere le quali impiegarono 28,888 operai, e 1179 cavalli di forza motrice.

La produzione mondiale dello zolfo ascende in cifra tonda a 500 mila tonnell. delle quali quattro quinti sono date da miniere italiane, cioè in gran parte della Sicilia e poi dal Napoletano e dalla Ro­ magna, mentre 1’ altro quinto circa 100 mila tono.

è prodotto all’ estero e specialmente nella Spagna, nel Giappone e negli Stati Uniti d’ America.

Da quanto abbiamo detto è facile rilevare che molti Stati esteri ci debbono essere tributari per questo prodotto, del quale nel 1888 se ne esporta­ rono dall’Italia 323,790 tonn. dirette principalmente agli Stati Uniti d’Anierica, in Germania e in Austria.

Miniere di piombo, zinco e argento. — La pro­ duzione complessiva dei minerali di piombo, zinco e argento fu di tonnellate 124,493 per un valore di L. 15,992,918.

Le miniere di piombo attive furono 52 con 2623 operai, e 582 cavalli di forza motrice ; le miniere di zinco 19 con 1322 operai e 88 cavalli di forza e le miniere di piombo e zinco 25 con 5160 operai e una forza motrice di 1957 cavalli. Le miniere di argento 8 con 1417 operai e 80 cavalli di forza, e le miniere di piombo e argento una sola con 14 ope­ rai, e 6 cavalli di forza.

La maggior parte dei minerali di piombo e zinco viene dalla Sardegna, e dalla Sardegna pure viene la totalità del minerale d’argento. Negli altri distretti si tolsero complessivamente 1457 tonn. di minerali piombiferi più o meno argentiferi, e quanto al mi­ nerale di zinco la produzione del continente ammontò a tonn. 10,675, la totalità delle quali proviene dalle miniere situate nella provincia di Bergamo e spe­ cialmente da quelle appartenenti, o affittate alla « Crown Spelter Company. »

Miniere di ferro. — La produzione complessiva dei minerali di ferro ascese soltanto a tonn. 177,157 con una diminuzione sul 1887 per la cifra di ton­ nellate 55,418, la qual diminuzione è dovuta allo scemato lavoro delle miniere dell’ Isola dell’ Elba le quali non produssero che 154,830 tonn. di mine­ rale contro 208,090 nell’esercizia precedente.

L ’ esportazione del minerale elbano fu nel 1888 di tonn. 195,855 contro 175,262 nel 1887 e la maggior parte del minerale, cioè tonn. 115,557 fu esportata nell’ America del Nord, 61,240 in Inghil­ terra, 9924 in Francia, e 9104 nelle officine italiane. Le miniere di ferro in esercizio furono 44 con 1285 operai, e 108 cavalli di forza, e il valore della produzione calcolato alla media di L. 11,28 la tonn. per 177,157 tonn. fu di L. 1,999,351.

Officine siderurgiche. — Nel 1888 furono accesi solo 8 forni che dettero 12,400 tonn. di ghisa, mentre nel 1887 i forni accesi furono 12, dai quali si ebbero soltanto 12,265 tonn. di ghisa. Gli operai addetti a tale lavorazione furono 195 e la forza mo­ trice di 283 cavalli.

Il valore della produzione della ghisa calcolata a L. 114,69 per tonn. fu di L. 1,422,200.

(9)

4 gennaio 1891 L’ E C O N O M I S T A 13 di 50 m ilioni, come fu calcolata per detto anno. Il

valore totale ai prezzi correnti nello Stato sarebbe stato invece di circa 70 milioni di lire.

Combustibili fossili. — La produzione dei c°m - bustibili fossili ammontò nel 1888 a tonn. 39,129 del valore complessivo di L. 169,714, e la produzione com­ plessiva fra ligniti, antraciti, e scisti bituminosi a tonn. 366,794 contro tonn. 327,665 nel 1887. Le miniere attive sommarono a 32 con 2883 operai, 55-4 ca­ valli di forza motrice.

La produzione della torba ascese a tonn. del valore di L. 388,884 e questa produzione fu inferiore di tonn. 30,575 a quella del 1887.

Al contrario notevolissimo fu l’ aumento della pro­ duzione dei combustibili agglomerati, cioè mattonelle o biguettes saliva a tonn. 502,249 del valote di L. 14,357,220 contro tonn. 421,014 del valore di L . 12,276,086.

Nella quantità degli agglomerati prodotti nel 1888 sono comprese tonn. 11,900, del valore di 1,045,950 lire, formate con carbonella vegetale di provenienza interna, mentre il rimanente si compone di carbon fossile minuto di provenienza estera.

Cosicché, tenendo conto di tutto e riassumendo, la produzione di combustibili fossili in Italia nel 1888 si ripartisce come appresso :

Combustibili | Tonn_ 4O8 610 L 4,107,408 d’ origine nazionale!

d’origine estera ( 490,349 » » 13,311,270 Totale Tonnell. 898,968 per L. 17,418,678

iVIercato monetario e Banche di emissione

Il mercato inglese nella decorsa settimana non ha subito sensibili variazioni. C’ è stata una domanda alquanto vivace di danaro in principio di settimana, e il saggio delle anticipazioni è salito fino a 6 0[0! ma lo sconto a tre mesi rimane invariato a 4 e 4 1[2 per cento. Per conto della Germania è stata ritirata dalla Banca di Inghilterra qualche somma d’ oro ; però presentemente tanto il cambio su Berlino come quello su Parigi sono in aumento. In questo mese saranno ricevute dalla London and Weslminster Bank le sottoscrizioni pel nuovo prestito francese.

L ’ultima situazione della Banca d’ Inghilterra al 10 corr. indica l’ incasso di 23,465,000 ster. in au­ mento di 127,000, il portafoglio era aumentato di 4 milioni e mezzo, i depositi privati di 2,739,000, quello dello Stato di quasi 1 milione e mezzo.

La crisi monetaria negli S tati-U niti va sempre più diminuendo d’ intensità ; tuttavia i fallimenti sono stati in questi nltim i due mesi così numerosi, che 11 ritorno ad una sitnazione normale si farà certa­ mente attendere ancora per molto tempo. Intanto il segretario del Tesoro ha dichiarato che il governo • si propone di far precedere a tutte le altre questioni

pendeuti, quella finanziaria, e che è vivo desiderio sia del Presidente, sia della Camera e del Senato, di studiarla e risolverla convenientemente al più presto possibile.

Sul mercato di N ew -Y ork, il danaro è stato poco ricercato, e lo sconto ha oscillato tra 3 e 5 0[0.

I cambi con l ’estero rimangono sempre favorevoli alla piazza di N ew -Y ork, ma non dànno luogo ad

importazioni ; quello su Londra a lnnga scadenza, chiude a 4.79 1|2; quello su P arigi a 5.24 1(2.

- Sul mercato francese la richiesta di danaro è stata considerevole però lo sconto a tre mesi rimane a 3 0|0. Causa la ricorrenza del Capo d’anno in Giovedì man­ ca la situazione ultima della Banca di Francia. In ­ tanto possiamo prendere nota di alcune cifre che indicano le variazioni da un anno all’ altro sui prin­ cipali capitoli del bilancio della Banca.

Incasso m etallico. . . . Portafoglio di Parigi. .

» delle succursali Conti correnti privati .

» del Tesoro Circolazione . . . . 26 dicembre 26 dicem. 1889 1890 m ilioni 2520 2372 » 208 454 » 375 413 » 217 432 )) 315 488 )) 3003 3054 Il cambio su Londra è ora a 25,18 1)2, sull’ Italia a 1 3|8 di perdita.

Quanto al mercato berlinese la liquidazione di fine mese si è Conosciuta regolarmente ; il saggio dello

sconto è però sempre intorno al 5

0[0-La situazione della Banca dell’impero al 23 di­ cembre segna 1’ aumento all’ incasso di 8 m ilioni e mezzo di marchi alla circolazione di 60 m ilioni, ai depositi di 8 milioni.

Sulle piazze italiane lo sconto libero rimane tra 5 e 5 1|2 0|0; i cambi sono in aumento, quello a vista su Parigi è a 101,45 ; su Londra a 25,56, a tre mesi su Berlino a 24,45.

Situazioni d elle Banche di em issione estere

cS ■— Attivo

1 =

£□ J"" Passivi <D ctf g l i C t . r{ Attivo «3 g £ co 2 “ 2 ® Passivo $3 cs p CD Attivo cS CO 1 gennaio

¡

Incasso metallico Steri. 23,465.000 Portafoglio... » 33,179,000

Riserva totale... .. 14,801,000 Circolazione... » 25,114.000

C Conti corr. dello Stato » 6, 824.000

l Conti corr. particolari * 32,990,000

\ Rapp. tra la ris. e le pas. 37 °/# '23 dicembre Incasso Marchi 781,505.000 Portafoglio.. . * 579. 144,000 Anticipazioni » 98,556,000 Circolazione . » 993- 272,000 Conti correnti » 391,303.000 23 dicembre Incasso.. . Fiorini 244,572,000 Portafoglio... » 157> 408,000 Anticipazioni..» 33,790,000 « / Prestiti... » 113,983,000 4 --= 1 Circolazione . . . » 428,577,000 -r er Passivo ]| Conti correnti..» 9-777,000 4

1

( Cartelle in ciré.» 105,639,000 4-22 dicembre _. ® (Incasso metal. Rubli 464,030,000 § « S (Portai e anticipaz. » 66,634,000 C | c o (Biglietti di credito »1,046,295,000 5? 8. = Passivo]Conti corr. del Tes. » 72,404,000 ( » » dei priY. » 139,195,000 24 dicembre CO fa s etf s S . 2 " 3 ' = n Attivo à i " “CQ ( Incasso. Franchi 102,290,000 — ( Portafoglio. . . . » 324,827,000 4- d c o i,,, (Circolazione...» 382,323.000 — Passivo ^ Coati correilti. » 63,172,000 —

tri 03 ec g; 2 ■— e n Attivo « CO C/3 Passivo ett oo 27 dicembre llncasso.. . Pesetas 256,224,000 | Portafoglio... » 1,075,115,000 ’ Circolazione . . . . » 730,936.000

(10)

-t-14 L’ E C O N O M I S T A

4 gennaio 1891

RIVISTA DELLE BORSE

Firenze, 3 Gennaio 1891 L ’ anno è terminato un po’ meglio di quello che si prevedeva, giacché il denaro che fu la gran preoc­ cupazione delle borse durante il 1890, è'stato negli ultim i giorni più abbondante e meno caro di quello che gli altri riporti a cui si era giunti nello scorso mese, di decembre avrebbero fatto presentire A Londra infatti che era la piazza europea maggior­ mente colpita dalla deficienza del denaro stante le molte spedizioni d’ oro agli Stati Uniti, nell’America meridionale, e nell’ Australia, l’ assestamento dei conti della fine dell’anno ha proceduto con straordinaria fa­ cilità giusto appunto per l’ abbondanza dei capitali che si poterono ottenere dal 4 al 5 0|0, e questo fatto che derivava dai forti versamenti fatti alla Banca d’ Inghil­ terra avendo avuto per effetto di far risalire i con­ solidati inglesi, tutte le altre borse d’ Europa quale più, quale meno ne furono favorevolmente impres­ sionate. Anche a Berlino ove l'a lto prezzo del denaro aveva fortemente pesato sull’ andamento del mercato dei fondi pubblici, la liquidazione dell’ anno potè compiersi senza scosse e con capitali relativamente abbondanti, spingendo all’ aumento molti valori, spe­ cialmente il rublo e le obbligazioni delle miniere dei carboni. A Parigi quasi tutu i valori tanto in d i­ geni che internazionali ripresero la via dell’aumento ma i progressi non furono molto sensibili, avendo trovato ostacolo in un certo rincarimento del denaro, cosa che a Parigi si verifica abitualmente tutti gli anni a motivo delle forti incette che si fanno per il pagamento dei tanti cuponi che scadono nel mese di gennaio, resi più diffìcili quest’ anno dai forti accumulamenti di capitali da impiegarsi nella im m i­ nente emissione del nuovo prestito di 700 milioni. Questo nuovo prestito 5 0|0 a cui si preconizza un gran successo, fa già due franchi di premio e pare che verrà emesso al corso relativamente basso di 93 per raggiungere in breve quello del 3 0|0 antico, tanta è 1’ abbondanza dei capitali, che in esso cer­ cano di collocarsi. I mercati italiani occupati nei primi giorni della settimana a regolare la liquida­ zione, non pesantissima, ma laboriosa sia per le condizioni un po’ critiche che attraversarono nel mese di decembre, sia per la carezza dei riporti trascorsero con molta prudenza, ma più tardi in seguito all’ aumento ottenuto dalla nostra rendita a Londra, a Parigi e a Berlino, ripresero animo im ­ primendo così un movimento ascendente alla mag­ gior parte dei valori.

Le quotazioni della settimana furono le seguenti: Rendita italiana 5 0/$. — A ll’ interno saliva da 95,75 in contanti a 96,05 e da 95,80 per fine gen­ naio a 96,20; mercoledì perdeva pochi centesimi, e oggi rimane a 93,75 e 94,19 ex coupon; a Parigi da 94,10 saliva a 94,70 e dopo essere discesa a 94,30 chiude a 94,3; a Londra da 93 1/2 a 93 7|8 e a Berlino da 92,50 a 93,20.

Rendita 3 0/0. — Negoziata a 58 in contanti. Prestiti già pontifici. — Il Blount ebbe qualche operazione da a 94,80 a 94,55 ; il Cattolico 1860-64 da 98,29 a 99,50 e il Rnthschild a 99 ex coupon.

Rendite francesi. — Fino dai prim i giorni della settimana ebbero movimento ascendente salendo il 3 percento da 94,30 a 95,17; il 3 per cento

ammor-tizzabile da 95,75 a 96,50 e il 4 1 [2 per cento da 104,22 a 104,30. Mercoledì ebbero un lieve movi­ mento retrogrado da 5 a 15 centesimi e oggi re­ sta a 95,05, 96,37 e 101,32.

Consolidati inglesi. — Da 95 3/4 salivano a 95 15/16.

Rendite austriache. — La rendita in oro ebbe mer­ cato alquanto debole avendo oscillato da 106,90 a 107. Le altre rendite al contrario ebbero tendenza favorevole essendo salita quella in argento da 89,30 a 90,40 e quella in carta da 89,20 a 90,30.

Consolidati germanici. — Il 4 per cento invariato fra 105 e 105,10 e il 3 1|2 0/o fra 97,90 e 98.

Valori russi. — Il rublo a Berlino da 233,90 sa­ liva a 238,lO e la nuova rendita russa da 98,15 95,35.

Rendita turca. - A Parigi da 18,45 saliva a 18,77 e a Londia da 18 a 18,50. La conversione del debito pubblico demaniale avrà luogo nella prossima pri­ mavera.

4 dori egiziani. - La rendita unificata da 484 11(16 andava verso 486 per ricadere a 482,50.

Valori spagnuoli. — La rendita esteriore da 75 1(4 migliorava fino verso 76.

Canali. — I l Canale di Suez da 2408 saliva fino a 2425 per chiudere a 2420 e il Panama da a38 in- dietreggieva a 37 1|2. I proventi del Suez dal 21 al 29 decembre ascesero a franchi 1,770,000 con­ tro 1,600,000 nel corrispondente periodo del 1889. — I valori bancari e industriali italiani in seguito al sostegno della rendita furono meglio tenuti della settimana decorsa ad eccezione di quelli maggior­ mente trattati dalla speculazione.

V alori bancari. — La Banca Nazionale Italiana contrattata da 1705 a 1720; la Banca Nazionale To­ scana da 1080 a 1090 ; la Banca Toscana di Credito a 5 4 0 ; il Credito Mobiliare da 548 a 535; la Banca Generale da 434 a 4 1 2 ; la Banca Romana da 1045 a 1020 ex; il Banco di Roma da 602 a 606; la Cassa Sovvenzioni da 98 a 9 0 ; la Banca Unione a 475; il Credito Meridionale a 90; la Banca di Torino da 431 a 4 3 0 ; il Banco Sconto da 108 a 1 0 6 ; la Banca I iherina da 47 a 43 e la Banca di Francia da 4375 a 4310. I benefizi della Banca di Francia ascendono per il 2° semestre 1890 a fr, 14,181,342.20.

Valori ferroviari. — Le azioni Meridionali con­ trattate da 609 a 703 e a Parigi da 682 a 685 ; le Mediterranee da 557 a 559 e a Berlino da 108,30 a 106,50 e le Sicule a Torino a 585. Nelle obbliga­ zioni ebbero qualche transazione le Centrali toscane a 525, le Sassuolo-Modena a 295,50; le Meridionali a 307 ; le Nord-Milano a 268,50 e le Sarde da 299 a 305.

Credito fondiario. — Banca Nazionale italiana negoziato a 497 per il 4 1|2 0|o e 478 per il 4 0/0; Sicilia a 468,50 per il 4 per cento e a 504 per il 5 per cento; Napoli a 469; Roma a 459; Siena a 484 per il 5 0(0; Bologna da 101,50 a 101,55; Milano a 502 per il 5 0/0 e a 478,50 per il 4 Om e Torino da 499 a 501.

Prestiti Municipali. — Le obbligazioni 3 0/0 di Firenze negoziate a 5 9 ; l'U nificato di Napoli a 86; l’ Unificato di Milano 4 0[o a 86,50 e il prestito di Roma 5 0|o a 468.

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