• Non ci sono risultati.

Cronache Economiche. N.078, 31 Marzo 1950

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Cronache Economiche. N.078, 31 Marzo 1950"

Copied!
52
0
0

Testo completo

(1)

CRONACHE

ECONOMICHE

il CURA DELLA CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA E AGRICOLTURA DI TORINO S

S N.

18 • 31 MARZO 1950 • L. 125

S. p. A.

Tx) ri

h o

(Vìa Ojuettói c4ìrcs

(2)

CARRARA a MATTA • TORINO

SEDILE BREVETTATO IN MATERIA PLASTICA

p e r / ' i g i e n e p e r f e t t a

INTERAMENTE IN MATERIA PLASTICA. IL SEDILE PER W. C. « CM » IDEATO E BREVETTATO

DALLA CARRARA & MATTA - RISOLVE NEL CAMPO DELL'IDRAULICA SANITARIA IL GRANDE

PROBLEMA DELL'IGIENE. * CREATO SU CONCEZIONI TECNICHE COMPLETAMENTE NUOVE,

E' FABBRICATO IN MODO DA RENDERLO APPLICABILE SU OGNI TIPO DI VASO. * LA SUA

FORMA E' PERFETTAMENTE STABILE, E

-

SOLIDO CON COLORI RESISTENTI ALL'UMIDITÀ ED

AL TEMPO. * CON QUESTI REQUISITI SI E' COMPLETAMENTE AFFERMATO PRESSO I MIGLIORI

IDRAULICI DI TUTTI I PAESI ED E' PRIMO FRA I PRODOTTI PER L'IGIENE MODERNA.

CARRARA « MATTA - FABBRICA STAMPATI MATERIE PLASTICHE S. a r. I.

(3)

DIBEIiOME GENERALE; TORINO CORSO VITT.EMAN.8 - STABILIMENTI: POBTO MARGHERfl - (VENEZIA) Code per industria e riscaldamento . B e n z o l o ed o m o l o g h i . C a t r a m e e derivali . Prodotti azotati per agricoltura e industria . Materie plastiche . Vetri in lastra . Prodotti isolanti "Vitrosa"

Só-e. fu* cAz.

I M G . M J D O E I & B E R T O M

(¿otso rOMorir) ¿inaiuifle 66 . 'Tjoiino

P O M P E C E N T R I F U G H E

E L E T T B 0 F 0 9 P E E M O T O P O M P E P O M P E V E R T I C A L I P E R P O Z Z I PROFONDI E P E R POZZI TCBOEARI

(4)

s ( D ®

a

a s

i c

T Í ( D a i m o

S o c i e t à Italiana L a v o r a z i o n i e S p e c i a l i t à Industriali Arsenicali

Prodotti chimici ed esche preparate per UFFICIO

V E N D I T A

la lotta antiparassitaria in agricoltura e U I fi I T ì O n T G C U C C O L I l ì . 1

per la disinfestazione a carattere sanitario. T e L e F O n O 5 1 . 3 8 2

Prodotti arsenicali per pitture sottomarine antivegetative. — Arseniati e Arseniti per Industria.

Controllate II marchio R E G I N A

C a t e l l o X u A w z i a

F A B B R I C A I T A L I A N A DI V A L V O L E PER P N E U M A T I C I

T O R I N O - VIA C O A Z Z E N. 18 - T E L E F O N O 70.187

SOCIETÀ NAZIONALE DELLE OFFICINE DI

A V I G L I A

C A R R O Z Z E R I E » 1 L U S S O

ALFREDO VIGNALE & C.

... t'itatico. buon gusto ihUtyietafo mh t'ete$an*a più squisita

TORINO

VIA CIGLIANO 29/31 - TELEF. 82.814

«

H l l l l C A P I S C O P E R C H È

»

Pubblica esclusivamente i quesiti posti dal pubblico, suo unico collabora-tore, a qualunque campo si riferiscano e le risposte date da coloro che sono in grado di darle.

JO.OOO copie sono ogni mese inviale in omaggio a tutte le Autorità, Enti, Industriet Banche, Organizzazioni, ecc.

Le segnalazioni sono pubblicate anonime e le migliori premiate.

P E M O D I C O APOLITICO IIF.I PERCHÈ, OEI

Militili, DELLE IDEE, DELLE P R O P O S T E E

DELLE P R O T E S T E

R E D A Z I O N E : VIA SACCHI 14 - T E L E F . 35.808

Non tacete,

dite tutto quanto vi sta a cuore

(5)

( j ó m i x i

SO C. PER AZIONI

VIA SAGRA S. MICHELE 14

LAVORAZIONE DELL'AMIANTO, GOMMA E AFFINI

et

GROUPE COMMERCIAL POUR LE COMMERCE INTERIEUR

L'EXPORTATION ET L'IMPORTATION

P A T R U C C O & T A V A N O S. R. L

COMPEX-COMPAGNIE D'EXPORTATION

T O R I N O - V I A C A V O U R 4 8 - T E L . 8 6

Adresses télégraphiques: PATAVAN - TORIKO * l'IALCOMPEX - TORINO

1 9 1

Représentants exclusifs de Maisons italiennes et

étrangères productrices des articles suivants: Quincailleries en métal de tout genre et pour tous les usages (aiguilles à tricoter et à laine;

en acier nickelé et en aluminium aloxidé; crochets pour dentelles en acier nickelé et en aluminium aloxidé; agrafes, boucles, pe-tits crochets et tous autres articles' pour tailleurs; frisoirs, fermoirs, bigoudis, épin-gles invisibles, pinces en aluminium, etc. pour la coiffure; anneaux pour bourses et ri-deaux; agrafes pour jarrettières tvelvet]- épin-gles de sûreté et épinépin-gles pour tailleurs et bureaux; presse papiers; dés de toutes sortes pour tailleurs; peignes métalliques- boutons pour manchettes; petites chaînes; petites mé-dailles de toutes sortes; boîtes métalliques pour tabac; rasoir de sûreté; ciseaux).

Quincailleries et merceries en genre (peignes en corne, rhodoide et celluloide; miroirs à lentille et normaux de toutes sortes; filets de toutes

sortes pour la coiffure; lacets en coton et rayon pour chaussures; fermetures éclair de toutes sortes; harmoniques à bouche; centimètres pour tailleurs, conteries, boutons, colliers, clips, per-les imitées de Venise; cravates pour homme et foulards en soie naturelle et rayon, cotonna-des; pinceaux pour barbe).

Miscellances (machines pour la production de quincailleries métalliques [épingles de sûreté aiguilles, épingles, fermoirs, anneaux, presse papiers, chaînettes, etc.]; produits typiques de l'artisanat italien, etc.).

(6)

r

C R O N A C H E

ECONOMICHE

Q U I N D I C I N A L E A C U R A D E L L A C A M E R A DI C O M -M E R C I O I N D U S T R I A E A G R I C O L T U R A DI T O R I N O

C O M I T A T O DI R E D A Z I O N E

D o t t . A U G U S T O B A R G O N I

P r o f . D o t t . A R R I G O B O R D I N

Prof. Avv. A N T O N I O C A L A N D R A

Dott. C L E M E N T E C E L I D O N I O

P r o f . D o t t . S I L V I O G O L Z I O

P r o f . D o t t . F R A N C E S C O

P A L A Z Z I - T R I V E L L I

D o t t . G I A C O M O F R I S E T T I D i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e

S O M M A R I O

Panorama dei mercati . . .

L'état et la formation de

l'épar-gne {H. Laufenburger) . .

Praticoltura piemontese (£.

pag. 4

Battistelli)

Il dissidio fra strada e rotaia

{E. Ehrenfreund)

L'economia montana sotto una

grave minaccia: malattia del

castagno (A. Cotta) . . .

Notiziario estero

Brasile terra dell'avvenire (P.

Carrara Lombroso)....

Borsa compensazioni . . . .

Il mondo offre e chiede . .

Breve storia della seta: il

ri-nascimento (A. Pacchioni)

Catalogoteca : Note di tecnica

ferroviaria (E. Colla) . . .

Produttori italiani

Movimento anagrafico . . . .

» 11

» 16

» 17

» 20

» 21

» 23

» 27

» 35

» 45

V .

_ J

ITALIA. — Al solito il settore dei prodotti

agricolo-alimentari è il più movimentato. I cereali hanno

esaurito la loro tendenza sostenuta ed il mercato

relativo si è stabilizzato. I risi, che invece hanno

sempre registrato delle flessioni di prezzo, persistono

nel tono depresso: l'esportazione non compensa il

ridotto consumo interno. Per motivi stagionali si

assiste alla cedenza delle quotazioni per: legumi,

ortaggi, frutta, uova, íatte e formaggi. L'andamento

del burro si discosta da quello degli altri caseari

perchè, in occasione delle feste pasquali, la domanda

tende a crescere. La crisi vinicola non accenna a

dileguare. Stazionario il mercato oleario.

I mercati del bestiane sono divenuti piuttosto

so-stenuti: i rincari dei suini, in particolare, hanno

trascinato dietro quelli del lardo, dello strutto, delle

carni insaccate, ecc.

Per il noto decreto catenaccio che ha inasprito la

pressione fiscale su alcuni beni di consumo, sono

aumentati i prezzi dello zucchero e dei coloniali.

Nel settore tessile si delinea un attenuarsi della

•sostenutezza dei principali mercati delle materie

prime. Il comportamento mercantile dei cotoni

per-mane incerto e variabile a seconda delle

prove-nienze. Le lane hanno invece segnato alcuni ribassi

modesti.

Nuovamente in generale depressione il mercato

delle pelli gregge e conciate. Nel settore dei

me-talli. l'unica eccezione al tono fiacco è

rappresen-tata dallo stagno e dalla banda stagnata. Nel

set-tore dei combustibili e carburanti, da un lato si

assiste al netto cedimento delle quotazioni dei

car-boni, dall'altro al rincaro della benzina, del

petro-lio e del gasopetro-lio, anche per motivi fiscali.

ESTERO. — Il ritorno alla normalità dei mercati

mondiali delle principali materie prime sembra

porre nuovamente sul tappeto la questione della

loro regolamentazione con interventi artificiali sulle

libere forze economiche.

Attualmente sono in funzione o in discussione

cin-que accordi di regolamentazione: l'accordo sul

grano, che ne stabilizza direttamente il prezzo

en-tro certi limiti; gli accordi proposti sullo stagno e

le lane, che agirebbero indirettamente sui prezzi

relativi con acquisti e vendite apposite; gli accordi

sul tè e sullo zucchero, in esistenza formale ma non

pratica, basati sulla restrizione della produzione e

dell'esportazione. Per la gomma ed il cotone,

ap-positi comitati sono pronti all'intervento qualora

la congiuntura lo richieda. Inoltre, la politica dei

prezzi di sostegno perseguita dagli Stati Uniti —

il massimo mercato mondiale — costituisce un'altra

fonte importante di inframmittenze nel gioco della

legge di domanda e di offerta.

(7)

L ' E T A T

ET LA FORMATION DE L'EPARGNE

Prima di partire per il Messico, ove si r e c a per

un corso di lezioni e conferenze in scuole di eco-nomia e di diritto, il nostro collaboratore prof. Laufenburger ha consegnato a Cronache

Economi-che uno dei suoi compendiosi panorami della

si-tuazione finanziaria europea, trattando i! tema dell'azione statale in rapporto al problema del risparmio.

Le necessità della ricostruzione e degli investi-menti sono strettamente connesse con i problemi del consumo e del risparmio, della privata inizia-tiva e del dirigismo statale. Queste interferenze vengono sintetizzate e chiarite in cenni che sem-plificano ed esemsem-plificano la situazione; la quale, se può forse a p p a r i r e complessa nelle sue mani-festazioni, è di fatto imperniata sull'assiomatica definizione del capitale e della sua formazione. Non si può c o m p o r r e il primo se non con la r i -nuncia individuale ad una p a r t e dei redditi.

L'illusorietà del risparmio pubblico è dovuta unicamente al misconoscimento della evidente con-siderazione che il risparmio collettivo non è che la somma delle contrazioni del consumo da p a r t e dei singoli.

L'azione statale può r e g o l a r e il ritmo dell'acco-mulazione d ; i redditi non consumati, oun in tutto o in p a r t e pianificare gli investimenti, può dispor-re per il finanziamento delle ricostruzioni, può li-m i t a r e le riserve della capitalizzazione privata e aziendale con le tassazioni che deviano le correnti dell'autofinanziamento e le regolano con u n i tec-nica di impieghi nel settore pubblico; p e r m a n e però il fondamentale canone dell'impossibilita di c r e a r e il risparmio senza il sacrificio individuale. Vi è soltanto la possibilità di r i c o r r e r e ai suc-cedanei del risparmio, all'espansione del credito bancario, all'emissione di moneta per c o p e r t u r a di situazioni deficitarie, all'accensione di prestiti vo-lontari o imposti.

Queste misure hanno differenti risultati e corrispondono a specifici scopi e così rendono i m m e -diatamente liquida l'anticipazione di una auspi-cata ripresa di affari; scontano, con l'aumento dei prezzi e con la distorsione del risparmio dagli im-pieghi a reddito fisso, l'emergenza dell'inflazione; tanno convergere, con la libera adesione, che di-scrimina le convenienze o còn la forzosa coatti-vità, le r i s e r v e verso determinati utilizzi.

S o l t a n t o l ' i n i z i a t i v a può essere, ad ogni modo 1 a r b i t r a della p r o d u z i o n e di capitali. D a l l ' e s a m e d e i p r o g r a m m i e d e i m e t o d i adottati d a i v a r i S t a t i d e l l ' o c c i d e n t e e dell'oriente, liberisti i n t e r v e n t i s t i e t o t a l i t a r i , l ' a u t o r e t r a e le sue con-clusioni. V i sono d i f f i c o l t à a finanziare le a t t r e z z a t u r e delle singole e c o n o m i e p e r la deficenza delle d i -sponibilità del r i s p a r m i o . P e r p o r r e r i m e d i o a tale s q u i l i b r i o t r a le necessita e le p o s s i b i l i t à o c c o r r e p r e s t a b i l i r e le c o n -d i z i o n i in cui l'azione i n -d i v i -d u a l e s i a in g r a -d o 01 e s p l i c a r s i e f f i c a c e m e n t e e sia t r a t t a ad o f f r i r e ali-q u o t e di r i s p a r m i o . P e r c h è ciò a v v e n g a è n e c e s s a r i o un p e r i o d o di pace, di stabilità m o n e t a r i a e di r i c o s t r u z i o n e e c o -nomica.

par HENR Y LA UFEi\ lì URGER

De J. B. Say à J. M. Keynes, la définition de

l'épargne n'a pas varié. « C'est l'accumulation des

épargnes qui forme les capitaux», dit le premier.

' Autant que nous sachions, — réplique le second

personne ne conteste que l'épargne signifie l'excès

du revenu sur la dépense pour la consommation».

Le prodigieux équipement de l'industrie, du

com-merce, des transports a été assuré par l'initiative

individuelle. Dans une première phase, les

parti-culiers ont affecté leur revenu excédentaire soit

directement aux émissions d'actions et d'obligations,

soit indirectement aux mêmes opérations à travers

les comptes en banque. Les dividendes et intérêts

des placements ont assuré, en seconde phase, la

continuité de ce processus d'investissement.

L'auto-financement des entreprises qui assure le maintien

en état, la modernisation et l'extension de

l'outil-lage, ne déroge pas à la règle. Car les fonds

affectés à l'équipement sont constitués grâce à une

renonciation des actionnaires à la distribution d'une

partie des dividendes.

De nos jours, l'Etat a la prétention de se

sub-stituer à l'initiative individuelle pour " diriger " les

investissements dans le cadre de plans de longue

haleine ou pour "financer" la reconstruction. Mais

est-ce lui qui forme les capitaux, est-ce l'épargne

publique qui se substitue à l'épargne privée?

Pour répondre à cette question, une distinction

s'impose entre les régimes simplement

intervention-nistes et les régimes totalitaires.

(8)

taxe spéciale la part des bénéfices non distribués.

Visiblement la France tend à réagir contre le

ra-lentissement de l'activité en encourageant la

distri-bution de revenus disponibles individuellement. Dans

les deux cas. l'intervention de l'Etat ne peut avoir

que des effets limités. Toute l'attention se concentre

donc sur la technique du financement du secteur

public. Sur ce terrain, il convient d'exclure les

res-sources monétaires provenant du plan Marshall qui

n'ont aucun rapport avec l'épargne. Les

importa-teurs versent au Trésor la contrepartie en

mon-naie nationale des dons et prêts américains; l'Etat

l'affecte soit à l'équipement soit à la reconstruction,

à moins qu'il ne l'utilise

— à titre tout à fait

exceptionnel — pour amortir la dette envers la

Banque d'émission et pour réduire l'inflation qui,

par ailleurs, est neutralisée per l'accroissement de

la capacité de production.

Les ressources nationales de l'équipement des

industries publiques et de la reconstruction se

ré-partissent sur l'emprunt et sur l'impôt. Le budget

français de 1950 prévoit l'émission d'emprunts

pu-blics jusqu'à concurrence de 130 milliards. Pour

commencer, l'Etat dont le crédit est singulièrement

contesté, n'osant pas paraître sur le marché, c'est

le Crédit national, établissement de crédit

semi-public, qui fait appel à l'épargne par un emprunt

comportant l'attrait de lots. Parallèlement les

grou-pements privés de sinistrés mobilisent des capitaux

pour accélérer la reconstruction régionale. Dans les

deux cas, c'est l'initiative privée qui décide si et

dans quelle mesure il faut faire confiance aux

pouvoirs publics pour procéder à des

investisse-ments.

En France, qualque deux cents milliards

sup-plémentaires sont demandés soit à des impôts

nou-veaux (bénéfices non distribués des sociétés,

trans-porteurs routiers), soit à des majorations d'impôts

anciens (décimes de la taxe à la production et des

droits d'enregistrement). S'agit-il dans la dernière

hypothèse d'épargne publique? Certainement pas.

Au lieu d'affecter à la formation de capitaux leurs

revenus excédentaires, les Français soumis aux

im-pôts supplémentaires renoncent, par la force des

choses et non plus volontairement, à certaines

dé-penses de consommation pour autant que ces

im-pôts majorent les prix.

Même dans le régime totalitaire de la Russie

soviétique, le financement du plan quinquennal

re-pose, pour une partie importante, sur l'épargne

privée.

Sans doute le budget qui assume toute la charge

des investissements dans l'industrie, dans

l'agricul-ture et dans les transports, puise une partie des

ressources, assez réduite il est vrai, dans les

" trusts ", mais il s'agit là de « bénéfices non

distri-bués». En second lieu, l'impôt sur le chiffre

d'af-faires qui se traduit par une restriction obligatoire

de certaines consommations de luxe et de confort,

pourvoit, dans une certaine mesure, aux dépenses

d'équipement. Mais l'U.R.S.S. fait une place de plus

en plus large aux emprunts et ceux-ci sont

souscrits, comme dans les pays occidentaux, par

l'excédent des revenus sur la consommation. La

hiérarchie très distendue des traitements, d'une

part, les bénéfices des exploitations individuelles

des kolkhoziens et les ressources du marché

paral-lèle d'autre part, constituent les éléments

essen-tiels de cette épargne privée, dont les " vertus"

sont récompensées par l'attribution des lots

atta-chés à la plupart des emprunts de l'Etat.

L'épargne continue donc à être l'une des

préro-gatives essentielles de l'individualisme et de la

per-sonnalité humaine. Si les collectivités peuvent

s'ap-proprier d'autorité d'une fraction du pouvoir d'achat

normalement destiné à la consommation des

parti-culiers, elles n'ont pas encore trouvé le moyen de

"fabriquer" l'épargne. Sur ce terrain, l'initiative

privée reste, en dépit des contraintes, l'arbitre de

la formation des capitaux.

Ce que l'Etat peut faire et ce qu'il fait souvent,

c'est de recourir a un succédané de l'épargne.

Comme les banques procèdent périodiquement à

une expansion de crédit qui se réflète dans

l'aug-mentation des dépôts, le Trésor peut demander à

la Banque d'émission des moyens de payement

comme suite à une ouverture de crédit, à moins

qu'il n'ait la faculté directe de créer de la monnaie.

Il existe entre les deux procédés une différence

fondamentale. L'expansion du crédit bancaire est

presque toujours anticipative, elle est faite dans

l'attente d'une reprise des affaires qui assure le

remboursement des avances, le processus est limité

par la préoccupation de sauvegarder la liquidité.

Lorsque l'Etat recourt à la Banque d'émission,

cela peut être pour faire face à des dépenses

pro-ductives. Mais même dans ce cas l'équilibre risque

de se rompre pour autant que la productivité (en

services) ne s'accompagne pas toujours, et

s'ac-compagne de plus en plus rarement, d'une

renta-bilité assurant directement le remboursement des

avances. Le plus souvent le concours de la Banque

d'émission sert à faire face à une augmentation

des dépenses courantes ou à couvrir un déficit

budgétaire. Dans ce cas, l'inflation qui apparaît

comme succédané de l'épargne va à l'encontre de

celle-ci en ce sens que la hausse des prix augmente

les besoins nominaux de capitaux et qu'elle

décou-rage certains placements notamment ceux en

va-leurs à revenu fixe.

Les difficultés qu'éprouvent aujourd'hui les Etats

à financer leur programme d'équipement et de

restauration s'expliquent par le rétrécissement de

la formation et par la réticence de l'offre de

l'épar-gne privée à la suite de la seconde vague d'inflation

qui a occasionné dans la plupart des pays une perte

de substance dont il faudra, pour se remettre, une

longue période de paix, de stabilité monétaire et

de reconstruction.

(9)

P R A T I C O L T U R A

PIEMONTESE

Il prato è la più indispensabile delle colture e

l'al-levamento zootecnico la più preziosa delle imprese,

nell'ampio quadro dell'agricoltura. L'efficienza

eco-nomica della quale normalmente si misura sul

bi-nomio foraggio-bestiame e sono perciò

maggior-mente vitali le aziende, e progredite le plaghe, che

destinano alle piante prative la maggiore possibile

superficie coltivata e la maggiore possibile

assi-stenza colturale.

Un appezzamento abbandonato a sè stesso si

ri-veste di una cotica erbosa ed in questa spontanea

alterno. L'ideale non è evidentemente in queste due

posizioni estreme di insediamento.

Non lo può essere nel prato stabilmente fuori

rotazione, perchè un appezzamento sposato ad una

medesima coltura subisce una autointossicazione

di accumulo che si rivela nel declino produttivo

e, nel caso specifico, nella scomparsa delle più

esi-genti erbe foraggere della grande famiglia delle

leguminose. La stessa invincibile riluttanza delle

erbe prative a ritornare a distanza brevissima di

tempo sullo stesso terreno ne costituisce la

con-Abbondante caociata maggenga di un medicina di due anni.

tendenza del suolo all'inerbimento risiede l'origine

e la natura del prato stabile. L'opposto del quale

è il prato temporaneo, detto anche alterno, perchè

appunto la sua durata è limitata nel tempo e si

in-quadra, con altre colture, nello spazio.

La praticoltura piemontese è rappresentata da

prati stabili e prati alterni. Quelli superano

note-volmente questi, in entità complessiva di territorio,

ad onta della constatata inferiorità produttiva.

Evi-dentemente ci deve essere una ragione fisica e

psi-cologica, l'una legata all'ambiente e l'altra alla

tradizione, a determinarne la prevalenza e la

per-sistenza.

1 primi hanno, da un lato, il vantaggio di liberare

l'agricoltore dell'annuale e periodica necessità

del-l'impianto, ma, dall'altro, hanno il torto di dare una

massa foraggera più o meno mediocre ad onta delle

circostanze di irrigabilità del suolo e di piovosità

del cielo.

I secondi quando sono inquadrati nella rotazione

quadriennale sono troppo effimeri per poter

con-sentire lo sfruttamento della fertilità del terreno e

della vitalità delle erbe. Nella pianura risariva la

loro vita non supera di solito i 12 mesi e la loro

funzione è limitata al taglio di maggio, per la

pra-tica impossibilità di conciliare la praticoltura col

sistema tipico di irrigazione della risaia.

La praticoltura piemontese oscilla dunque fra la

senilità del prato stabile e la precarietà del prato

ferma inequivocabile. Gli insuccessi della ricostitu

zione dei prati sono imputabili appunto a questa

clamorosa ripugnanza delle erbe foraggere alla

pro-pria stanza, cui si pone tuttavia rimedio

interca-lando una lunga successione di coltivazioni

cerea-licole e liquidatici, tra lo squarcio del prato

vecchio e la semina del prato nuovo.

Pure un'altra considerazione depone contro

que-sta anacronistica qualità di coltura ed è la

pro-duzione curvilinea delle essenze prative a ciclo

poliennale che costituiscono normalmente la sua

cotica erbosa. In qualunque curva di produzione

si distìnguono, come ad es. nelle colture arboree,

fasi di incremento, di maturità e di decremento.

Ora. mentre nessuna coltura arborea è lasciata

sopravvivere alla sua senilità economica, il prato

stabile viene invece fatto durare all'infinito nella

illusione che il rinnovamento possa effettuarsi da

sè. tramite la disseminazione spontanea delle erbe.

Effettivamente ciò avverrebbe se si riuscisse con le

scarificature, le calcitazioni e le concimazioni

orga-nico-minerali, a ripristinare nel terreno le migliori

condizioni di abitabilità. Purtroppo però l'apertura

della cotica erbosa agli atmosferili, ai correttivi, e

ai concimi è meno di un pannicello caldo, il quale

potrà se mai prolungare la vita del prato, non

certo ridargli il dono della giovinezza e della

supe-riorità.

(10)

comun-que effimero, perchè se la stabilità è una rovina,

l'instabilità non è da meno.

Le essenze prative a ciclo breve, capitanate dal

trifoglio pratense, nella serie delle leguminose, e dal

lolium italico, in quella delle graminacee,

parteci-pano necessariamente alla formazione del prato

annuo, dal quale l'agricoltura trae due-ire sfalci

all'anno, compatìbilmente con le condizioni

igro-termiche dell'ambiente. Senonchè l'annuale

neces-sità della semina congiura — allo stato attuale dei

prezzi dei semi prativi — contro la convenienza

economica della coltura, specialmente nei casi in

cui la sua produzione si limita al pascolo nell'anno

dell'impianto e al taglio maggengo nell'anno

suc-cessivo.

Depone poi a suo sfavore la necessità di

trasemi-nare i semi nel grano allo scopo di guadagtrasemi-nare

tempo e di proteggere l'infanzia delle erbe, perchè

la consociazione con il grano, invariabilmente

af-follato, porta al soffocamento e quindi alla

morta-lità delle più tenere piantine. Quando la coltura

prativa non è fitta non è nemmeno abbondante e

pregiata la sua produttività.

Il meglio sta perciò in mezzo: nel prato

polien-nale in rotazione, riunendo in sè le prerogative

na-turali dell'uno e la natura artificiale dell'altro.

Po-liennale però di quel tanto che non allunghi

ecces-sivamente il turno della rotazione e non oltrepassi

l'età del tornaconto che di solito è limitata a 3-4

anni.

Da un prato siffatto — notevolmente produttivo

e pregiato — l'agricoltura sì assicura vantaggi

d'ordine agronomico ed economico, innegabilmente

imponenti. Basterebbe pensare all'apporto di

ferti-lità ch'esso reca al terreno, con la piccola

circola-zione della materia organica — residui radicali e

fogliari — e con la grande circolazione del letame

— - conseguenza dell'incremento del bestiame — per

giudicarne la superiore utilità e l'importa?iza.

E' ben vero che al foraggio elementare — erba,

silos, fieno, l'allevatore accoppia i mangimi

ecmcen-trati — residui della grande industria degli olii

commestibili, delle industrie alimentari, ecc., ma è

altrettanto vero che non c'è felice utilizzazione di

companatico in assenza o in scarsità di pane. E il

pane, nel caso specifico dell'alimentazione

zootec-nica, è rappresentato dal foraggio prativo,

qua-lunque sia il suo stato fisico, comunque sia la sua

natura.

Se ciò malgrado la praticoltura piemontese è

cri-stallizzata nella sua plurisecolare impostazione, se

gli agricoltori hanno per il prato stabile e per

quello annuale una venerazione che si trasmette

da padre in figlio, la colpa è attribuibile alla

tradi-zione e all'ignoranza. L'una non libera l'individuo

dalla sua forma mentis, l'altra lo racchiude

addi-rittura nel bozzolo della rinuncia. Eppure

baste-rebbe che spingesse altrove lo sguardo per

capaci-tarsi del miracolo compiuto dalla praticoltura

po-liennale, da quella cioè inquadrata negli

avvicen-damenti a lungo turno. L'erba medica che si

affer-ma nelle terre asciutte, il trifoglio ladino, in

con-sociazione con graminacee, che trionfa nelle terre

irrigue, ne so?io due fra i molti esempi appariscenti

e suggestivi.

Tenuto perciò conto delle condizioni

agronomi-che e climatiagronomi-che, specialmente del territorio più

addossato alla cerchia alpina, che farebbero del

Piemonte la Svizzera d'Italia, la praticoltura deve

abbandonare U carattere di relegazione e dì

pre-carietà che la contraddistingue e le conferisce un

complesso di debolezza. Alternandosi con le altre

colture, dì grano, di mais, non stancherebbe il

ter-reno, e si renderebbe anche meglio partecipe della

vitalità biologica dell'azienda e della sua economia.

Chi ha foraggio ha bestiame, chi ha bestiame ha

letame, chi ha letame ha grano. Nessuna più alta

sentenza di questa darà mai alla praticoltura

po-liennale il crisma della preminenza e della

indi-spensabilità. L'una e l'altra insieme, fino a tanto

che la terra sarà considerata una entità vivente e

non una risorsa inanimata come può esserlo una

cava od una miniera.

E M A N U E L E B A T T I S T E R I

« S a u r a y & t n e r i c u e b 3 ì u t i n

SOCIETÀ PER AZIONI - Capitale versato e riserve Lit 500 000 000

S E D E C E N T R A L E - M I L A N O

Fondata da

A . P . G I A N N I N I

Fondatore della

I B m t l t

xxì ^mtvxtn

N A T I O N A L A S S O C I A T I O N SAN F R A N C I S C O , C A L I F O R N I A T U T T T J E JLi E O I P J E K A X I O H I » 1 n B J ^ W C ^ Sede:

V i a A r c i v e s c o v a d o n. 2

In Torino: ^

enzja fl

.

v i a

G a r i b a l d i

n

. 52 a n g . C o r s o P a l e s t r o

V E R M U T L I Q U O R ] u

t o r i n o l ^ - . { ^ k d z a l e t l e à $5

(^Lazaletteà

REGINA MARGHERITA • Tel. 79.034

(11)

IL DISSIDIO FRA STRADA E ROTAIA

Uno dei problemi più assillanti e discussi di

questo dopoguerra in tutte le nazioni, è

l'anta-gonismo tra ferrovie ed automezzi che,

svolgen-do insieme i loro sei vizi nel settore dei

tra-sporti terrestri, sono spinti a soverchiarsi a

vi-cenda con danno dell'economia generale della

collettività.

11 dissidio sorse fino da quando, trenta anni or

sano, le ferrovie compresero l'importanza che

col perfezionamento del motore a scoppio

an-davano assumendo i trasporti su strada e da

allora l'argomento è slato dibattuto in una

infi-nita di conferenze, di congressi, di pubblicazioni

Se ne preoccupano i Governi, ne discutono i

Parlamenti, si fanno proposte di

coordinamento-ma mentre un accordo sorge spontaneo fra mezzi

terrestri e mezzi aerei o navali, è invece assai

difficile da raggiungere fra strada e rotaia tra le

quali la concorrenza è naturalmente assai più

viva. Un nuovo elemento è venuto anche ad

inasprire la lotta per il fatto che 1 ilrasporti

auto-mobilistici, enormemente sviluppatisi durante /a

guerra e nel primo dopoguerra per sopperire

alla-forzata stasi dei servizi ferroviari, si trovano

ora di fronte le ferrovie in gran parte ristabilite

ed ansiose di riprendere i traffici perduti

Le ferrovie accusano la concorrenza

dell'auto-mobile come principale causa dei loro malanni

che si assommano nei gravi disavanzi dei laro

bilanci e chiedono misure restrittive a carico

dell automobihsmo per impedire che la

concor-renza abbia a compromettere l'integrità e

l'effi-cienza del patrimonio ferroviario nazionale Gli

autotrasportatori, per parte loro, affermano il

di-ritto alla Ubera espansione dell'automezzo che

in confronto alla rigidezza delle ferrovie offre

un sistema elastico mutevole adattabile ad oqnl

esigenza e contingenza del moderno vivere civile

_ Neil'esaminare serenamente il problema si

aeve considerare che il valore dei 173 000

chi-lometri di strade ordinarie, statali provinciali e

comunali, calcolato (al livello attuale della

mo-netai m oltre duemila miliardi, equivale a quello

delle ferrovie di Stato e private, ed anche il

valore dei 500.000 autoveicoli in circolazione in

Italia (di cui 270.000 autovetture, 10.000 autobus

220.000 autocarri) pareggia quello del materiale

feiroviano. Il movimento dei viaggiatori sulle

autolinee corrisponde al 60 % del traffico delle

lerrovie; i trasporti merci sono pressoché

ugual-mente ripartiti tra strada e rotaia; negli

auto-trasporti sono impiegati 350.000 lavoratori, di

cui 250.000 autisti e 100.000 addetti alla

manu-tenzione e riparazione degli autoveicoli, oltre a

quelli occupati nei servizi stradali.

L'automobilismo ha dunque oggi

un'impow-tanza economica politica e sociale non inferiore

a quella delle ferrovie, e non è sostenibile la

pretesa di artificiose restrizioni che dovrebbero

ostacolare Io sviluppo dei tmsporti su strada a

favore di quelli su rotaia. Un'efficace ed utile

collaborazione tra i due sistemi (astrazion latta

dalle inceppanti sovrastrutture di guerra che sono

destinate a sparire) dovrà discendere da una

ri-partizione di compiti dei vari mezzi del traffico

conforme alla loro natura ed alle loro possibilità,

lasciando che siano gli utenti a determinarne gl'i

sviluppi più convenienti.

Le ferrovie hanno grandi possibilità, compiti

importanti da svolgere, servizi utili da prestare

e possono e debbono progredire adeguandosi alle

moderne esigenze della vita; devono però

risa-nare i loro bilanci riducendo le spese

d'eserci-zio, perfezionando i loro ordinamenti tecnici ed

amministrativi ed alleggerendosi di tutti quei

ser-vizi onerosi che possono essere meglio e più

economicamente disimpegnati dagli automezzi.

Nell'organizzazione degli autotrasporti si sono

raggiunti enormi progressi per quanto riguarda

la costruzione del materiale rotabile (autovetture

autobus autocarri) ma si è trascurato il problema

dei posteggi e delle autostazioni per evitare gli

ingombri delle strade e piazze dei centri

mag-giori, e ben poco si

è fatto per adattare le strade

esistenti alle cresciute possibilità della

motoriz-zazione, per creare una rete autostradale su cui

i veicoli più potenti possano sicuramente

circo-lare, per migliorare le segnalazioni e la

sorve-glianza stradale in modo da evitane i frequenti

sinistri che oggi si lamentano.

Il carattere tipicamente libero dell'automezzo,

non vincolato ad alcuna sede prestabilita nè ad

impiunti fissi ed esercitabile da chiunque sia in

possesso della patente di guida, non -deve però

generare nell'animo degli autotiasportatori l'idea

di poter lare a loro piacimento tutto quello che

credono, giacché tanto se esercenti di pubblico

servizio quanto se trasportatori privati,

percor-rono strade ordinarie di cui non sono i soli utenti

e debbono assoggettarsi a speciali norme a

sal-vaguardia della sicurezza e della regolarità della

circolazione.

Quando l'autoveicolo disimpegna un pubblico

servizio (analogo a quello delle ferrovie) deve

esservi autorizzato dallo Stato dando garanzia

dei requisiti di sicurezza, continuità, imparzialità

di trattamento, rispetto dell'orario

e dei prezzi,

ecc. che si richiedono nell'interesse della

col-lettività. Perciò i pubblici autoservizi devono

essere sottoposti a « regime di concessione » ed

in questo concetto (già adottato in Italia)

con-cordano oggi tutti i paesi, compresi gli Stati

Uniti d'America che in passato erano tenaci

fau-tori del principio liberistico.

I trasporti privati, eseguiti dai proprietari degli

automezzi per conto proprio o per conto terzi,

devono invece restare liberi, pur con la

sorve-glianza dello Stato, che a mezzo degli

¡spetto-rali della motorizzazione garantisca la capacità

di guida del conducenti e la loro sicura

cono-scenza delle norme di circolazione, e st-ibilisca

1 massimi e minimi entro i quali debbono essere

contenute le tariffe. Con queste cautele le

ini-ziative private potranno esplicarsi liberamente,

esercitando la concorrenza che stimola al

pro-gresso tecnico ed al conseguimento di costi

economici. Senza la concorrenza si ricadrebbe

nel monopolio dei trasporti, con tutti gli

incon-venienti che il pubblico conobbe durante il

do-minio incontrastato delle ferrovie, le quali

sol-tanto col sorgere dell'automobilismo furono

spinte a perfezionare i loro mezzi ed ì loro

siste-mi di esercizio.

J Ì B I U O I I I K I ; M III:I \ [ I

Torino, marzo 1950.

(12)

A d d i z i o n a t r i c e e C a l c o l a t r i c e elettrica scrivente. E s e g u i s c e l a d i v i s i o n e c o n s c r i t t u r a automatica del dividendo, del

t e quattro orazioni scritte e i, s a l d o negativo

(13)

L'ECONOMIA MONTANA

S O T T O UNA N U O V A

G R A V E M I N A C C I A :

Maíatüa

d e l

c

a

t

t

a

l

a

Dopo i danni della guerra, che

tanto ha infierito sulla

monta-gna; dopo i periodi di pioggie

violente degli scorsi anni, che con

le numerose frane, assolcamenti

ed erosioni del suolo sono venute

ad aumentare ancora più la

po-vertà di quei terreni per se stessi

miserissimi, ecco profilarsi ora la

minaccia della scomparsa dei

ca-stagneti a più o meno breve di-i

stanza.

Il castagno, l'albero del pane,

la provvidenza del montanaro,

ve-de da un po' di tempo

accentuar-si sempre più contro di esso

l'at-tacco di malattie particolarmente

gravi. A parte la carie del fusto,

male ormai cronico, una

trenti-na di anni or sono si è avuto la

accentuazione della ticchiolatura

delle foglie, causa di una minore

produzione di frutti, frutti più

piccoli e meno saporiti. A breve

distanza di tempo ecco entrare in

campo il male dell 'inchiostro, che

porta a morte la pianta e si

dif-fonde rapidamente a macchie di

olio.

Ed ora è la volta del cancro

della corteccia,

il quale

compar-so la prima volta negli S.U.A.,

al principio di questo secolo, in

brevissimo periodo ha fatto

scom-parire totalmente il castagno da

intere zone di quel paese.

Fin dal 1920 P. J . Moon,

deca-no della facoltà forestale di

Sy-racuse <N. Y.), scriveva a suo

riguardo: « On account of the

bark disease chestnut seems to

be a doomed tree ali through

New York State ».

Una specie di condanna! Se

una simile condanna si

esten-desse anche ai nostri

castagne-ti, quali non ne sarebbero le

con-seguenze?

E non si tratta di .una

minac-cia platonica, giacché rilevata la

prima volta tale malattia nel

1935. già oggi ne sono infette

auasi tutte le zone castanili del

Paese.

I danni se ne prospettano poi

tanto più gravi per il Piemonte

e la Liguria, in quanto sono

que-ste le due Regioni dove il

ca-stagno da frutto ha trovato la

massima diffusione, sia in

misu-ra effettiva (150.000 ettari) sia

proporzionale al resto del

terri-torio. Questa sua maggiore

dif-fusione è dovuta al fatto che,

sia in Liguria che in Piemonte,

la coltura del grano si spinge

molto meno in alto che nel

Cen-tro e Mezzogiorno d'Italia,

per-ciò la produzione dei cereali ne

risulta più limitata ed è il

frut-to del castagno che provvede a

tale carenza, come soprattutto vi

provvedeva in passato, e ancora

oggi nei periodi di guerra.

Si aggiunga che in Piemonte

e Liguria è concentrato il

mag-gior numero di fabbriche di

estratti tannici '(70 %), le quali

non solo forniscono tale materia

alle industrie del Paese, ma ne

esportano quantitativi

considere-voli, dando lavoro stabile ad un

numero tutt'altro ohe

indifferen-te di operai.

E' allora fuori di luogo il

pre-occuparsi seriamente di tali

ma-lattie?

Alla ricerca delle cause.

— In

generale, quando si parla di

ma-lattie epidemiche, si pensa al

rassita che la determina. I

pa-rassiti delle malattie del

casta-gno sono conosciuti da tempo,

giacché la scienza in questo

cam-po ha fatto progressi

notevolis-simi. Tali parassiti però

esiste-vano anche prima; i loro

attac-chi non avevano l'intensità che

hanno raggiunto ora, tanto che

prima passavano inavvertiti.

Qua-li circostanze Qua-li hanno portati

ad assumere la rilevanza

attua-le? Sono queste le vere cause da

individuare, per vedere di

al-lontanarle.

Nell'ultimo quarto di secolo si

sono ricercati e rintracciati,

nel-le parti più selvaggie d'Europa,

avanzi di boschi ancora allo

sta-to naturale. Fatti oggetsta-to di

stu-dio, ne è risultato, fra l'altro,

che in essi vivono tutti quei

pa-rassiti vegetali e animali che

tanti disastri (disastri di migliaia

di ettari; hanno causato e

stan-no causando nei boschi creati

ar-tificialmente. Nei boschi naturali

nessuna traccia di epidemia, nè

presenti nè passate!

Come spiegare questo fatto? Si

spiega, in quanto nei boschi

na-turali i parassiti preferiscono

at-taccare gli individui deboli, in

condizioni di vegetazione

mino-rate: rispettano invece quelli in

stato rigoglioso, anche perchè

op-porrebbero una più energica

re-sistenza.

Corpi fruttiferi del fungo ingranditi

Tale fatto va ricollegato ad

un altro. Nel bosco naturale,

ge-neralmente disetaneo, quando

muore una pianta, nello spazio

lasciato libero, si sviluppano

im-mediatamente una quantità di

semenzali: a centinaia. Il piccolo

vuoto, che in un primo tempo

poteva contenerli tutti,

crescen-do essi, diventa insufficiente, ed

allora se ne ingenera una lotta,

che porta a sceverare i più

ro-busti, i più sani, i meglio

costi-tuiti dagli altri, i più deboli o

in qualche modo difettosi. I

pri-mi presto emergono sui

secon-di, che, adugiati, prendono a

re-stare indietro e intristire.

E' su questi individui che si

riversano i parassiti,

facilitando-ne la morte, con che favoriscono

ancora più lo sviluppo dei primi,

i quali senza tale intervento

(14)

Manifestazione tipica di

lunque, figlia del caso, ma un

in-dividuo passato al vaglio di una

lunga selezione; cresciuto senza il

contrasto della lotta, che gli

sa-rà stata, in notevole parte,

ri-sparmiata dai parassiti.

Il parassitismo non va quindi

considerato un male, bensì quale

un fattore di perfezionamento

della vegetazione. Si deve ad

es-so se nell'esistenza millenaria del

bosco, con una rinnovazione

ses-suale circoscritta alla sua zona,

non si riscontra traccia di

in-debolimenti, bensì di una

cre-scente vigoria e di un sempre più

stretto adattamento all'ambiente.

Se i parassiti stanno

costituen-do ora una grave minaccia per

i coltivi, non è perchè

riversan-dosi su questi cambino natura,

bensì perchè colle colture

artifi-ciali noi non siamo in grado di

ia parassitica del castagno

scomparire tutto ciò che non

rr-sponde in pieno alle sue leggi.

Ambiente naturale e ambiente

artificiale.

— E' credenza comune

ohe con le lavorazioni e

conci-mazioni si sia in grado di

pre-parare alle piante un ambiente

migliore di quello di cui è capace

la natura: la lotta che si svolge

nelle formazioni spontanee fra

una specie e l'altra sarebbe

so-prattutto causa di minore

svi-luppo.

Effettivamente nei boschi,

nel-le macchie, nei pascoli si trovano

a convivere una quantità di

spe-cie diverse, ognuna delle quali

cer-ca di appropriarsi la maggiore

quantità di spazio e di sostanze

nutritive; ciò non significa però

che debbano danneggiarsi

reci-procamente. Nel combinare le

suoio.

A questa azione della parte

aerea della vegetazione

corri-sponde quella delle parti ipogee.

Come i fusti delle diverse specie

assumono dimensioni diverse, lo

stesso si verifica per il loro

si-stema radicale. Mentre i grandi

alberi, anche per meglio

resiste-re ai venti, estendono le loro

ra-dici fino alla profondità di 2 - 3

metri e anche più, i mezzi

al-beri e gli arbusti si

accontenta-no di sfruttare lo strato di 1 m.

circa dalla superficie; mentre il

sistema radicale delle erbe non

va oltre i 20 - 30 cm., i muschi

e licheni si accontentano dello

strato di materia morta che

ri-copre il suolo. Così anche per

la espansione delle radici e per

la ricerca del nutrimento si

com-binano le diverse specie, in modo

da vivere tutte senza dover l'una

danneggiare l'altra. E poiché la

natura suole abbinare più scopi,

ecco che questa diversa

distribu-zione delle radici, in quanto

con-tinuamente si distendono e si

ri-tirano in conformità agli

ondeg-giamenti provocati dai venti,

ser-ve a tenere costantemente

smos-so il terreno, facilitandone la

pe-netrazione dell'aria e dell'acqua

fino a grandi profondità. Si

ag-giunga che le radici vanno

sog-gette a perire e ohe

decomponen-dosi lasciano aperti nel terreno

canali e canaletti, che ne

costi-tituiscono il miglior drenaggio.

Con ciò si facilita lo

immagaz-zinamento dell'acqua piovana,

mentre se ne diminuisce la

eva-porazione, oltre che con

l'ombreg-vrebbero consumare parte delle

loro energie per liberarsene.

I parassiti concorrono

pertan-to alla selezione e progressivo

mi-glioramento delle specie; la

pian-ta che verrà un giorno a

sosti-tuire quella seccata tanti anni

prima, non sarà un pianta

qua-prowedere a tutte le esigenze

delle piante, e queste, anche

quando apparentemente ci

appa-iono rigogliose, soffrono

deficien-ze ambientali da noi non

avver-tite. I parassiti continuano

per-tanto nel lavoro loro assegnato

dalla natura, che è quello di fare

specie ohe vengono a convivere

mella stessa comunità, la natura

ha provveduto perchè abbia ogni

ima caratteri propri ed esigenze

diverse da quelle delle altre.

Così nei ibosohi si riuniscono

grandi alberi, mezzi alberi,

arbu-sti, cespugli, erbe, muschi,

liche-ni ed una infiliche-nità di microorgaliche-ni-

microorgani-smi; ora è facile comprendere

come i mezzi alberi possano

vive-re nello spazio lasciato libero, tra

una chioma e l'altra, dai colossi

della vegetazione; gli arbusti al

disotto dei mezzi alberi, e così

via via le altre specie,

gradata-mente decrescenti in dimensioni.

Ciò riesce tanto più facile, in

quanto gli individui appartenenti

ad una stessa specie, non sono

tutti della stessa età, bensì vi si

trovano piccoli, medi, grandi. E

soprattutto in quanto, sia le

spe-cie che gli individui più piccoli

sopportano una riduzione della

luce molto più dei grandi; per

cui riescono a vivere benissimo

all'ombra di questi ultimi.

Com-binandosi in rapporto ai propri

bisogni, non solo le diverse

spe-cie riescono a trovare le

condi-zioni indispensabili alla loro

esi-stenza, ma vengono a formare

una massa di vegetazione più

fol-ta e compatfol-ta; maggiore

com-pattezza che giova ad opporre più

energica resistenza ai venti, e a

diminuire il disseccamento del

(15)

giamento delle chiome, con lo

strato di terriccio, con cui il

bo-sco ricopre il suolo.

Vi è poi una circostanza della

quale conviene tenere il massimo

conto, ed è ohe mentre nei

colti-vi si provvede alla

alimentazio-ne delle piante con periodiche

concimazioni artificiali, la

vegeta-zione spontanea vi supplisce in

parte con sostanze minerali che

sottrae al suolo, e più ancora con

la materia morta, con le spoglie

delle piante che cadono al suolo

e che questo rielabora. Ora se

fra i vegetali vi è un piccolo

nu-mero di sostanze minerali

asso-lutamente indispensabili a tutti,

la quantità non è uguale; inoltre

vengono assorbite altre sostanze,

non tutte le stesse, bensì

diffe-renti da una specie all'altra;

so-stanze che pure hanno una

in-dubbia influenza, in quanto colle

spoglie ritornano al terreno. La

concimazione naturale ne

risul-ta perrisul-tanto più complerisul-ta di

quel-la artificiale. La diversità delquel-la

materia organica ne facilità poi

la decomposizione, mentre si

ori-ginano speciali sostanze

biochi-miche, la cui importanza

appa-re ogni giorno più grande.

Non è quindi esatto che la

fer-tilità del bosco, e in genere di

tutte le formazioni naturali, sia

inferiore a quella che possiamo

noi procurare artificialmente ai

coltivi. La prova ne è che:

quer-cia e castagno, i quali nei

boschi naturali riescono a

rag-giungere altezze di 40 - 50 m. e

diametri alla base di m. 1 - 1,20 e

vivono secoli e secoli, cresciuti in

mezzo ai campi, dove vengono a

godere delle lavorazioni e

conci-mazioni che si praticano alle

col-ture, possono raggiungere sì

gran-di gran-dimensioni gran-di gran-diametro e

mol-ta chioma, ma mai altezze

supe-riori ai 15 20 m.; meno della

metà che nei Ibosohi! L'altezza è

il migliore indice della

prosperi-tà delle piante!

Irrazionale trattamento dei

ca-stagneti da frutto.

— Si usa

in-dicare i castagneti da frutto

quali boschi di castagno; si

trat-ta di una designazione del tutto

impropria. In natura il castagno

si trova unito alla quercia,

mol-tre si accompagnano ad esso :

aceri, frassini, olmi, tigli, carpini

e, più rari, ciliegi, sorbi, peri, meli

selvatici, nonché una quantità di

arbusti, cespugli, erbe che

fun-gono da sottobosco. Questo è il

vero castagneto, dove i suoi

com-ponenti principali riescono a

rag-giungere i 40-45 mt. di altezza ed

età plurisecolare, come si è detto

sopra.

I castagneti da frutto,

allonta-nata ogni traccia di vegetazione

spontanea, vengono costituiti con

un centinaio di robusti piantoni,

di 2-3 mt. d'altezza, posti a

di-stanza di 10 mt. uno dall'altro.

Appena attecchiti vengono poi

in-nestati. La pianta trovandosi a

crescere così isolata, non riesce

a svilupparsi in altezza perchè ne

verrebbe facilmente rovesciata

dal vento; è spinta al contrario a

sviluppare un'ampia chioma, per

proteggere il terreno da

un'ec-cessiva traspirazione. Si hanno

così quelle forme basse, ramose

che in confronto a quelle del

bo-Endothia

sco naturale si potrebbero

con-siderare come rachitiche.

Malgrado un simile

adatta-mento, la pianta non riesce a

provvedere adeguatamente ai suoi

bisogni. Per la mancanza di un

sottobosco protettore, il terreno a

poco a poco si assoda; le piogge,

anziché infiltrarsi, scorrono su di

esso, asportandone le particelle

più fertili; un periodo un po'

lun-go di siccità e se ne hanno le

conseguenze più gravi. Per altra

parte l'humus derivante dalle sole

foglie del castagno, non è

suffi-ciente a riparare all'ordinario

consumo di sostanze nutritive:

ricche di acidi tannici le foglie

si decompongono male, il vento

facilmente le porta via.

Il castagneto da frutto non è

un bosco: è un frutteto del tutto

simile a quelli ohe l'agricoltore

dei piano e del colle costituisce

con peri, meli, susini, albicocchi,

peschi, ecc. La differenza ne è

che il proprietario presta a questi

ultimi speciali cure; tutti gli

an-ni ne lavora il terreno, lo

con-cima, e con grande diligenza cerca

di tenere lontani i parassiti, che

parassitica

su di essi si riversano. Il

casta-gno invece appena innestato è

abbandonato a se stesso, come se

si trattasse di un vero bosco.

In qualche caso, all'atto

del-l'impianto, si lavora e si concima

il terreno, ma non per il

casta-gno, bensì per le altre colture

agrarie, che gli si associano per

un limitato periodo di tempo,

dopo il quale ugualmente lo si

lascia a se stesso. Peggio il

trat-tamento che gli viene usato in

seguito. Tutti gli anni se ne

esportano dagli 8, 12 e fino a 20

quintali di frutti, i quali

conten-gono notevoli quantità di

so-stanze minerali; questè non

ven-gono in nessun modo restituite.

(16)

par-te la paglia, questa viene a

man-care per la lettiera, ed è allora

che per provvedervi si ricorre al

rastrellamento delle foglie.

Nem-meno le foglie sono poi sempre

sufficienti per cui si passa al

ce-spugliame, che tenta di nascere

sotto il castagneto, facendone

tabula rasa;

ciò anche per

faci-litare la raccolta del frutto. Se

nei luoghi più freschi si ha lo

sviluppo di un po' d'erba,

senz'al-tro viene sfruttata col pascolo;

e così non solo si ha un'altra

asportazione di sostanze minerali,

ma, a seguito del calpestìo, un

ulteriore assodamento del suolo.

In qualche località si praticano

anche potature, ma la si fa a

fo-glia verde, per avere la frasca per

il bestiame durante l'inverno.

Vi è da meravigliarsi se i

paras-siti, che nel bosco naturale

at-taccano soltanto gli individui in

eccesso, prescelti fra quelli in

cat-tive condizioni, a seguito della

lotta per lo spazio, nei castagneti

da frutto assumono uno sviluppo

epidemico? Qui non vi è lotta per

lo spazio, vi è il trattamento che

porta al debilitamento della

pian-ta. Se una meraviglia ci può

col-pire è come tali castagneti

ab-biano potuto resistere tanti anni,

senza venire distrutti dalle

ma-lattie!

Alla ricerca dei rimedi.

— Da

un'inchiesta fatta eseguire

dal-l'Ispettorato Regionale di Torino

a mezzo del dr. Del Guerra, è

risultato che i castagneti, primi

ad essere colpiti e più

grave-mente, sono quelli 5n peggiori

condizioni. Ciò sta in perfetta

corrispondenza col compito

affi-dato dalla natura ai parassiti:

liberare il terreno da formazioni

artificiali contrarie alle sue leggi ;

dare il colpo di grazia agli

indi-vidui in qualsiasi modo minorati.

Appare quindi che il primo

ri-medio da adottarsi è quello di

coltivare meglio i castagneti e

soprattutto abbandonare gli

ec-cessivi irrazionali sfruttamenti

cui vengono sottoposti.

Se non che la questione non è

così semplice come potrebbe

ap-parire a prima vista.

L'impor-tanza economica del castagno da

frutto è in forte declino. Il

mon-tanaro, venuto a contatto della

vita più comoda della città, non

vuole più sapere della pattona di

castagne, della minestra di

ca-stagne; vuole anche lui pane

bianco e minestra di riso o di

pasta. Il consumo delle castagne

è quindi in riduzione, e con esso

il prezzo, e di conseguenza il

reddito del castagneto. Si

com-prende pertanto come il

proprie-tario non abbia voglia di

impie-gare tempo e fatica in una

pro-duzione a introiti decrescenti.

Come naturale rimedio si è

per-tanto pensato alla riduzione

del-l'attuale superficie dei castagneti

da frutto, con la trasformazione

di quelli in più tristi condizioni

da alto fusto a cedui. Senonchè

una tale trasformazione, se ci può

illudere in un primo tempo col

rigoglioso ricaccio delle ceppaie.

non rimedierà al progressivo

im-poverimento del suolo, in quanto

il ceduo è più spossante dell'alto

fusto. Più opportuno appare

in-vece il ritorno al bosco naturale,

proprio della regione in cui si

trovano i castagneti da frutto.

Questi boschi di quercia misti

con castagno e accompagnati da

aceri, olmi, frassini, tigli, ciliegi,

ecc., una volta diffusissimi sulle

nostre regioni collinari e

pede-montane, vanno scomparendo a

poco a poco, mentre i loro

pro-dotti acquistano sempre maggior

valore per la industria dei mobili.

Una tale trasformazione non

è difficile: basterà seguire lo

svi-luppo della malattia. Mano a

mano ohe una pianta è

attac-cata, abbatterla subito, senza

so-stituirla; lasciare che si sviluppi

un'abbondante macchia, che

ser-va a proteggere il terreno e a

migliorarlo. A momento

oppor-tuno introdurvi, per semina, la

quercia, e quando qussta avrà

raggiunto un certo sviluppo

ag-giungervi aceri, olmi, tigli,

fras-sini, ecc. sempre per semina, ove

già non si siano introdotti

spon-taneamente.

Il frutto dei castagni che

ri-mangono in piedi, e i ricacci

del-le ceppaie, potranno fornire un

qualche prodotto, prima che

en-tri in produzione il nuovo bosco;

ad ogni modo è certo che si

tratta di un'operazione in

prin-cipio passiva, per cui per

spin-gere i proprietari ad attuarlo,

converrà venire loro incontro.

Spetterà ai tecnici forestali dello

Stato di proporre innanzi tutto

un piano che specifichi i

Riferimenti

Documenti correlati

te'lziale umano addetto alla lavorazione. CUllato In pIeno dagli espel'tl del Mll1Istero dell'Agri- coltura, con l'adozJOnE' dI nuovi sIstemi di colture InteSI a

Se la situazione prospettata riuscirà a convincere della necessità di rivedere tutta la questione del- l'imposta patrimoniale, per adeguarla alle esigenze di oggi, le Camere

risulta superiore del 210 % ; l'esportazione dei tessuti di lana cardata superiore del 75 %. Per la Francia è stato accertato che la esportazione italiana di tes- suti di cotone

(1) Discorso del 27 aprile 1852, nei Discorsi parlamentari del Conte di Cavour, raccolti e pubblicati per ordine della Camera dei Deputati, voi.. ?ia Boicheron, 4-Tel..

L'economista non deve limi- tarsi a teorizzare i rapporti intercorrenti fra due fenomeni (prezzi e quantità scam/biate) come se si svolgessero in vitro, isolati nel vuoto pneumatico,

di tracciare una direttissima Torino-Ivrea sul p r o - lungamento della quale è progettato inoltre un tra- foro della Serra. sima allo sviluppo dell'attività manifatturiera

Se prima della guerra l'Europa fórniva la grande maggioranza di queste richieste (ad es. 1*88 % nel 1935), nel 1948 la per- centuale europea era scesa al 53 %, si spera che si

La maggior parte di questi apporti rappresenta tut- tavia i principi fondamentali a cui il Garino Canina ispirò il suo « Corso di scienza delle finanze », il quale ha — oltre ad