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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1422, 4 agosto

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L'ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Alino X X V I I I -V o i . X X X II

Firenze, 4 A p s to 1901

I 1422

Le È rn ie tributarie

Nessuno mai ha affermato o solamente rite­ nuto che una radicale riforma del nostro sistema tributario abbia ad essere una cosa facile a con­ cepirsi, ed a mettere in atto. Se tutti conven­ gono che il sistema tributario italiano è stato co­ stituito empiricamente senza alcuna base scienti­ fica, senza tener conto della giustizia distributiva e quasi senza rendersi ragione degli effetti che le leggi finanziarie mano a mano andavano accumu­ lando sulla paziente schiera dei contribuenti ; se tutti, diciamo, sono in ciò concordi, appunto per questo chi abbia sull’argomento qualche cogni­ zione meno superficiale, comprende facilmente quali difficoltà di varia specie si debbono in­ contrare quando si voglia metter mano ad una riforma, grande o piccola che sia. Un edificio solidamente e razionalmente costruito permette, senza grandi pericoli, la modificazione delle sue parti, mentre un ammasso di pietre, accumulate a caso una sull’altra, non lascia modo di sosti­ tuire una all’altra, senza pericolo di rovina.

Nessuno quindi nega nè può negar© phe grandi difficoltà debba presentare ogni tentativo di una riforma tributaria ; ma sono anni ed anni che si riconoscono queste difficoltà, ed è troppo chiaro che nessun passo vien fatto verso una soluzione su la questione, se si continua soltanto a ripetere che la soluzione presenta molte difficoltà. Questo vogliamo dire ai molti periodici, quasi tutti a dir vero, i quali in quest' ultimo periodo nel quale si è risollevata la questione della riforma tribu­ taria, si sono affaticati a ripetere il ritornello che le difficoltà sono molte, troppe anzi. Davanti il paese questo continuo riconoscimento della urgenza di prendere dei radicali provvedimenti e questo trattenersi da ogni attuazione anche semplicissima, perchè si incontrano delle diffi­ coltà, ha tutta l’aria di una canzonatura che rende scettici anche i meglio disposti ad accet­ tare per vere le più solenni e piu ripetute affer­ mazioni di buona disposizione verso la giustizia, specialmente applicata agli umili.

Così è avvenuto che alle prime proposte presentate dall’on. Wollemborg per fare un primo passo verso una razionale riforma tributaria, molti abbiano obbiettato che non valeva la pena di prendere un provvedimento che avrebbe avuto così scarsi effetti ; ed ora che egli presenta pro­ poste molto più vaste e complete, quegli stessi

ripetono che non vai la pena di esaminarle, per­ chè sono cosi vaste e complesse da non potersi concepire speranza che giungano in porto. Ed ecco che con queste frasi vaghe, o puerili, si for­ ma subito una rumorosa opposizione di incompe­ tenti, che si guardano bene dall’esaminare la so­ stanza dei progetti, e invece ricamano una lunga serie di frasi scarse di senso, ma sufficienti per dare la nota contraria ai progetti presentati.

Non abbiamo nascosto a suo tempo il nostro pensiero, rammaricandoci che l’on. Wollemborg non avesse insistito a mantenere nella loro in­ tegrità le linee generali del suo primo progetto del quale doveva esigere che gli fosse concesso di esporre alla Camera, cioè davanti al paese, il concetto e gli effetti. Egli si è, a torto, spaven­ tato della decisione negativa della Commissione presieduta dall’on. Boselli, senza intuire che, ap­ punto perchè negativa, ne sarebbe stata tanto più debole la difesa, quanto più egli fosse stato tenace nel difendere le linee generali del suo progetto, come un primo passo verso più ampie riforme. Si afferma ohe fon. Wollemborg fu so­ praffatto dalle ragioni di disciplina di partito che lo obbligarono a non dar seguito alle dimissioni presentate dopo il voto della Commissione ; a noi sembra che se le considerazioni di solidarietà ministeriale possono avere il loro peso in molti casi, in altri vanno ad esse contrapposte quelle della dignità personale; e d’ altra parte, come è noto, la parte principale del programma del Mi­ nistero implicava la riforma tributaria e quindi si collegava ai propositi dell’ on. W ollemborg. Ai sagaci lettori però non sarà sfuggito il fatto che, mentre nelle prime settimane della sua vita ministeriale il Ministro del Tesoro, on. Di Broglio, era fatto segno alle più vivaci accuse di incom­ petenza da parte dell’ opposizione, in breve tempo non solo tacquero le accuse, ma si fece palese una certa corrente benevola tra gli av­ versari del Ministero ed il Ministro del Tesoro, diventato competentissimo.

Comunque, diciamo, 1’ on. Wollemborg ebbe torto di non insistere nel suo primo progetto, torto di non illustrarlo cogli studi che aveva compiuti intorno agli effetti che ne sarebbero derivati a ciascuno dei Comuni interessati, torto infine di non aver richiesto, come ne aveva di­ ritto, di esporre alla Camera la sua difesa e il suo programma.

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468 L ’ E C O N O M IS T A 4 agosto 1901 loro un nesso ben chiaro, e tentano di risolvere

molte delle questioni che da tanti anni si pro­ mette di studiare.

I colleghi dell’ on. Wollemborg, molti dei quali non hanno nessuna competenza in questioni di bilancio, non hanno creduto di accettare le sue proposte ; si dice anche che esse siano state combattute da alcuni dei ministri che hanno notoria competenza ; tutto questo vuol dire che il Ministero, il quale per sorgere ha sentito il bi­ sogno di mettere in prima linea del suo pro­ programma una riforma tributaria, ha oggi acqui­ stata la convinzione di poter continuare a vivere senza mantenere le premesse fatte : e l’on. W o l­ lemborg ritirandosi sollecitamente provvederà alla propria dignità ed al proprio avvenire, più di quello che non vi provvedano coloro che vi rimangono.

Nè si creda che questo nostro giudizio sia troppo severo ; a noi pareva che il Ministero attuale non dovrebbe lasciar venire le vacanze parlamentari senza mettere almeno in discussione i progetti di riforma finanziaria, e senza provo­ care un voto esplicito della Camera su tale que­ stione. Il non averlo fatto toglie al Ministero la principale ragione della sua esistenza, in quanto si confonde con tutti gli altri Ministeri prece­ denti, che sono riusciti sempre a far votare le maggiori spese ma, non hanno mai voluto dare ai contribuenti il conforio, se non di sgravi, al­ meno di un po’ di giustizia distributiva.

Intanto è bene tener conto delle proposte che l’on. W ollemborg ha fatte al Consiglio dei Ministri e che il Consiglio dei Ministri non ha accettate.

La base delle proposte era quella di recare un immediato e sensibile sgravio dei consumi più necessari, facendo, anche di quelli di genere su­ periore, scomparire definitivamente da per tutto la molesta ed invisa forma del dazio. Alla abo­ lizione completa per tutto il Regno del dazio di consumo l’on. Wollemborg voleva aggiungere una riforma tributaria, nella quale avessero mag­ giore sviluppo le forme scientificamente supe­ riori del tributo, in sostituzione graduale di quelle più empiriche o addirittura meccaniche, determinate da prevalenti esigenze fiscali ; infine di compiere il voto tante e tante volte ripetuto dalla Camera e promesso dai Ministri, della se­ parazione razionale dei cespiti tra i Comuni e lo Stato, accordando ai Comuni la autonomia tributaria.

Si noti subito che questi tre punti fonda- mentali proposti dall’on. Wollemborg : l.° abo­ lizione del dazio di consumo ; — 2.° graduale can­ cellazione dei sistemi empirici ; 3.° separazione dei cespiti tra Stato e Comuni; — costituiscono tre desiderata ripetutamente richiesti dalla Ca­ mera, dalla stampa e dagli studiosi.

II piano per effettuare questi concetti non ha nulla di complicato, nè di difficile ad essere compreso.

Il dazio consumo è abolito; — sono abolite le tasse comunali di famiglia, sul valore loca­ tivo, e di esercizio e rivendita; — lo Stato cede ai Comuni le imposte dirette sui terreni e fab­ bricati e l’ imposta sui redditi di ricchezza mo­ bile categorie J3, C e D dei privati (cioè escluse

le Società); — i Comuni vengono autorizzati ad imporre una tassa sulla macellazione delle carni ; una sui foraggi da riscuotersi per capi di ani­ mali; una sui materiali da costruzioni, da ri­ scuotersi sulle nuove costruzioni ; una sul gas e sulla energia elettrica; lo Stato applica due nuove imposte, a compensare la abolizione del dazio di consumo ; — una diretta personale sul­ l’entrata generale (globale) ; una generale di con­ sumo sul vino e le bevande vinose.

E siccome tra ciò che vien dato e ciò che vien tolto ai Comuni rimarrebbe una eccedenza di 172 milioni, nel complesso questa somma do­ vrebbe servire, sotto forma di canoni, da elimi­ narsi gradualmente, a mantenere una giusta pe­ requazione.

E il conto generale, cosi per le finanze dello Stato, come per quelle dei comuni, risulterebbe dalle seguenti cifre:

A) I Comuni perderebbero: milioni

per l ’abolizione del dazio consumo. 137 per l’ abolizione tassa di famiglia,

valore locativo, esercizio e riven­ dita ... 29

166 B) I Comuni acquisterebbero:

per imposta terreni e fabbricati. . . 190 per imposta ricchezza mobile, cate­

gorie B C e D ... ... .. . 76 per aumento di imposta di ricchezza

mobile in compenso della aboli­ zione della tassa di esercizio . . 6 per tassa di macellazione... 44

» fo ra g g i... 10

» mater. da costruzione.. 12

338 Quindi dedottala perdita anzidetta di 166

Una eccedenza di 172 la quale eccedenza dovrebbe essere versata allo Stato sotto forma di canoni, che costituirebbero un sistema transitorio di reintegrazioni « essendo destinati a ridursi gradualmente fino al totale loro abbandono, a misura che verranno permet­ tendolo, l’assetto delle nuove imposte dello Stato, e l’ incremento normale delle entrate, aiutato dal maggiore sviluppo dell’ economia nazionale per effetto delle stesse riforme. »

In quanto al bilancio dello Stato gli effetti sarebbero i seguenti.

A Perdite : milioni

dazio consumo governativo... 53 imposte fondiarie... 190 ricchezza mobile categoria B, C e D. 76 tassa sul gas ed elettricità... 5 324 B Acquisterebbe :

canoni annuali... 172 imposta sul v in o ... 90 ritocchi alle tasse sull’alcool, sul re­

gistro e sulle successioni... 14 imposta generale sull’ entrata (glo­ bale)... 48

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La riforma proposta non fa assegnamento nell’eventuale aumento delle entrate dello Stato, e impone 78 milioni di nuovi aggravi in compenso di 78 milioni di effettivi sgravi, e bisogna notare che i 48 milioni di imposta globale costituiscono per 24 milioni la attuale tassa di famiglia e sul valore locativo, che sarebbero abolite.

Certo vi è un punto che dovrebbe essere attentamente studiato, quello della tassa gene­ rale sul vino a cui l’ on. Wollemborg domande­ rebbe ben 90 milioni di entrate ; ed è allo studio di questa parte del suo programma che il Mini­ stro ha rivolte specialmente le sue indagini.

L ’argomento è tanto interessante ed ha una parte così grande nella economia del paese, che vai la pena di darne esteso conto.

Una imposta di Stato a larga base sul vino, la quale, con aliquota bassa ed uniforme sosti­ tuisca negli effetti finanziari il dazio consumo su codesta bevanda, che verrebbe abolito, non si può concepire se non con una organizzazione la quale consenta di tassare tutta la quantità del vino che viene consumata nel Regno, ed in altri termini tutte le quantità prodotte, escluse quelle che vengono esportate all’estero e quelle desti­ nate alla trasformazione in alcool, tenuto pre­ sente, per queste ultime che il prodotto derivato vien colpito dalla tassa interna di fabbrica­ zione.

Così organizzata, l’imposta, oltre a costituire un importante cespite di entrate, sarebbe stru­ mento di perequazione, atto ad eliminare le pa­ tenti ingiustizie che, nella distribuzione del carico fra i consumatori di vino, sono create dall’ attuale regime daziario. Oggi, di 30 mi­ lioni di ettolitri che, nella media, si producono in Italia, dieci milioni di ettolitri soltanto pa­ gano il tributo daziario, che è tributo spere­ quato che varia da L. 5,25 a lire 10,50 per ettolitro, a seconda della classe dei comuni ; onde 17 milioni di ettolitri di vino si consu­ mano in franchigia di tassa, considerato che la cifra complessiva della esportazione e della di- stillazione raggiunge a mala pena i tre milioni di ettolitri.

Quale il processo della tassazione che porti al raggiungimento di questi obbiettivi? 0 si col pisce il vino alla produzione o lo si tassa al mo­ mento della circolazione, considerato questo come momento dell’ effettivo consumo.

Di entrambe le forme abbiamo esempi nelle legislazioni straniere, ma e l’una e l ’altra offrono inconvenienti tali da sconsigliarne la in­ tegrale adozione.

Senza risalire alla tassazione della vite potrebbe pensarsi a colpire di tassa il vino nel momento della produzione, all’ atto cioè dell’ im- bottamento. Ma sono note le avversioni che ha destato siffatto sistema d ’ imposizione del vino, tali che la Francia, la quale sul principio dello scorso secolo ebbe ad attuarlo, dovè dopo bre­ vissima esperienza, rinunziarvi per ricorrere a quell’ altro metodo tuttora colà vigente, che parve più conforme all’ indole ed ai caratteri delle imposte di consumo. Il più grave appunto fatto allo « imbottato » è noto : ” imposta sulla produzione del vino, non dà garanzia di sicura ripercussione sul consumatore, e potrebbe tra­

sformarsi in un nuovo tributo sull’ agricoltura: il momento della produzione è spesse volte troppo lontano da quello del consumo, e non si può costringere il produttore ad anticipare la tassa sul vino che non ha ancora venduto e che non sa di poter vendere. In Francia si è vo­ luto agevolare il produttore ritardando la ri­ scossione della tassa, sulle quantità di vino effettivamente vendute, alla scadenza dell’ anno agricolo: ma è sorto un altro gravissimo in­ conveniente; l’ importo della tassa, riscossa du­ rante l’ anno dal produttore insieme col prezzo di vendita costituiva, accumulandosi, un forte, debito, che, alla verificazione degli esiti (réco- lement) il produttore non era più in grado di pagare; onde il dissesto dei piccoli proprietari ed un enorme arretrato di riscossione, a danno dello Stato.

Tutti gli inconvenienti dei sistemi volti a colpire il vino all’atto della produzione vengono certamente eliminati col sistema di tassarlo in­ vece all’ atto della circolazione. In Francia tale sistema vige da circa un secolo, ed ha dato finanziariamente ottimi risultati: in Italia si è tentato di introdurlo col progetto Minghetti del 1875.

Nessun accertamento all’ atto della produ­ zione, ma per contrario strettissimi vincoli alla circolazione; nessuna quantità di vino può muo­ versi da un punto all’altro senza essere accom­ pagnata da bolletta di legittimazione: ogni ca­ rico di vino può in qualunque momento essere fermato dagli agenti del fisco che hanno il di­ ritto e 1’ obbligo di accertarne la destinazione, di verificarne le quantità allo scopo di consta­ tarne la corrispondenza colle indicazioni del documento di scorta e di provvedere affinché alla destinazione il vino assolva la tassa da chi è tenuto a corrisponderla.

Codesto sistema, è vero, fa si che il pa­ gamento della tassa sia prossimo al momento del consumo, ma il processo è tale da far rivi­ vere, maggiormente aggravati, gli inconvenienti del dazio consumo, per le vessazioni continue cui gli agenti, per ottenere l'applicazione della legge e per impedire le evasioni debbono sotto­ porre i trasportatori ed i destinatari del vino. Ed è nota la viva tendenza che da tempo si è manifestata in Francia per l’ abolizione del si­ stema.

Le premesse consigliano a trovare un pro­ cesso di tassazione il quale, nel mentre avvicini il pagamento del tributo al momento del con­ sumo effettivo, secondo i principi fondamentali delle imposte sui consumi, riduca per quanto è possibile le formalità inerenti alla applicazione della tassa e tolga le vessazioni che ostacolano il libero movimento del vino, creando imbarazzi che in definitiva si ripercuotono sulla produzione.

Il progetto in esame risponde a questi con­ cetti. Lascia libera la produzione del vino, in quanto chè nessuna ingerenza è concessa agli agenti del fisco e sul raccolto dell’ uva e sulla fabbricazione del vino. Gli agenti intervengono soltanto in periodo successivo, cioè a vinifica­ zione compiuta per accertare, con procedimento "'molto rapido, che non può dar luogo a serie con­

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470 L ’ E C O N O M IS T A 4 agosto 1901 Questo accertamento costituisce è vero il

carico iniziale di ciascun produttore, ma egli in effetto non diventa debitore della tassa se non in quanto il consumo sia avvenuto. Di fatto son stabilite delle verificazioni trimestrali allo scopo di accertare il vino passato direttamente in con­ sumo dalle cantine dei produttori, ma anche in questa sede il produttore viene discaricato dalla tassa corrispondente alle quantità passate ai commercianti all’ ingrosso, cosicché in definitiva egli viene realmente a pagare posticipatamente la tassa sulle quantità o consumate direttamente o passate ad altri consumatori.

E qui sta la differenza sostanziale tra il si­ stema proposto e quello cosidetto dell’ imbottato; imperocché, mentre in quest’ultimo il carico ini­ ziale, cioè all’ atto dell’ imbottamento, costitui­ sce un debito diretto, immediato e irrìducibde del produttore, nel proposto sistema invece la tassa viene soddisfatta dal produttore, dopo ed a misura che il vino è entrato in consumo, e sono contemporaneamente ammessi i discarichi dipen­ denti dai passaggi dei vini ad altri magazzini per la vendita.

Cosicché il proposto congegno toglie alla tassa quel carattere diretto che deriva dal si­ stema dell’ imbottato, poiché i produttori e a loro volta i commercianti all’ ingrosso non pa­ gano il dazio se non posticipatamente a consu­ mo avvenuto, il che dà all’ imposta la caratteri­ stica di vera e propria imposta sui consumi, il pregio principale della quale è appunto quello di avvicinare il pagamento dell’ imposta al mo­ mento del consumo.

E come non è vincolata la produzione, così resta completamente libero il commercio ed il movimento del vino ; imperocché niun vincolo fiscale è apposto alla conservazione del vino, alle sue dislocazioni ed alla vendita. Una forma­ lità è prescritta è vero, dal progetto per la spe­ dizione del vino dalle cantine del produttore al magazzino del negoziante all’ ingrosso; ma essa non ha la funzione della bolletta importa dal si­ stema francese nel regime della tassa nSi circo­ lazione, la quale è strettamente connessa al di­ ritto ed all’ obbligo degli agenti del fisco di fermare dovunque durante il viaggio ogni carico di vino, di visitarlo e di accertarne la quantità. La bolletta di spedizione, che viene prescritta dal progetto, tende esclusivamente a garantire il produttore e a dargli il mezzo di fare la spedi­ zione del vino ai commercianti e ad ottenere trimestralmente l’esonero dalla tassa corrispon­

dente. ^

In conclusione, concetto fondamentale della legge in progetto è il seguente: applicazione di una tassa unica di lire cinque per ettolitro sul consumo di tutto il vino prodotto nel Regno, la quale tassa, come è evidente, risulta in con­ fronto dell’ aliquota media attuale, uno sgravio notevole per tutti i consumatori che attualmente pagano il tributo.

E ciò si ottiene senza colpire i vini espor­ tati all’estero e quelli destinati alla distillazione e la parte che costituisce il consumo diretto dei piccoli produttori fino ad una equa misura, in- quantochè il progetto, oltre alla esenzione del vinello e degli altri bassi vini concede 1’ esen­

zione dalla tassa di una quantità annua di 5 et­ tolitri per produttore, quando il consumo sia da esso fatto sul luogo della produzione delle uve.

Le statistiche del Ministero dell’Agricoltura ci danno che la media di produzione del vino nell’ultimo decennio si aggira intorno ai 30 mi­ lioni di ettolitri non compreso il vinello. D e­ traendo da questo la quantità esportata e quella destinata alla distillazione, — esenti da tassa, — le quali si possono calcolare approssimativa­ mente a 3 milioni di ettolitri in complesso, do­ vrebbero nella media assoggettarsi alla tassa una quantità annua di circa 27 milioni di ettoli­ tri, ove la legge non concedesse, sotto forma di abbuono, la esenzione dalla tassa della quantità annua di 5 ettolitri per ogni produttore, e nes­ suna evasione si rendesse possibile.

Dire a quanto ammonti codesta quantità di abbuono non è dato; occorrerebbe conoscere il numero dei coltivatori di terreni a vite nel R e­ gno d’ Italia e specialmente di quelle che tro- vansi nelle condizioni volute dalla legge per la concessione dell’ abbuono: notizie codeste che mancano assolutamente.

Ma a voler ammettere in larghissimà ipo­ tesi che codesto numero raggiunga il milione di produttori, la somma complessiva degli abbuoni non potrebbe mai eccedere la quantità comples­ siva di cinque milioni di ettolitri.

Supponendo ancora che le quantità che per altre cause possano evadere indebitamente la tassa, raggiunga i 2 milioni di ettolitri, si avrà una quantità complessiva di altri 7 milioni di ettolitri non computabili agli effetti della tassa.

In definitiva resterebbe una massa tassabile media di 20 milioni di ettolitri che, con 1’ aliquota di 5 lire, rappresenta un reddito prevedibile di 100 milioni di lire al lordo della spesa di accer­ tamento, vigilanza e riscossione.

A quanto ammonteranno codeste spese? Data la estensione della coltivazione della vite nel nostro Paese e la generalizzazione del con­ sumo del vino può muoversi il dubbio che la spesa inerente all’ accertamento ed alla riscos­ sione della tassa abbia a riescire sproporzionato al suo gettito. E’ da ritenere invece che esse non dovrebbero sorpassare una aliquota del 10 per cento.

Occorrono, per l’ esercizio di tale imposta, agenti di finanza per tutte le operazioni periodi­ che di constatazione delle quantità di vino nelle cantine dei produttori e nei magazzini dei ne­ gozianti all’ ingrosso e per la vigilanza; occorrono Uffici finanziari cui facciano capo codeste con­

statazioni e le conseguenti operazioni per

l’ accertamento della tassa e per i carichi e sca­ richi dipendenti dai successivi passaggi dei vini: occorrono infine agenti di riscossione della tassa.

Non è certo a pensare che l’ attuale con­ tingente della guardia di finanza possa far fronte a tutte le esigenze della tassa; onde converrà senza dubbio codesto contingente aumentare; non però in modo esagerato.

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centrare le forze attuali e quelle aggiunte là dove se ne verifichi il bisogno. Del resto le constata­ zioni delle quantità di vino, esistenti nelle can­ tine non possono riuscire che facili e molto sol­ lecite, giacché ogni cantina dovrà essere in pre­ cedenza denunziata coi relativi vasi vinari i quali saranno preventivamente misurati nella loro capacità ed in modo permanente bollati.

Sarà richiesta la permanenza degli agenti nelle località dove esistono magazzini all’ in­ grosso; ma son centri codesti di qualche impor­ tanza nei quali è già dislocata la forza attiva della finanza, che occorrerà quindi di poco sus­ sidiare.

E ’ da ritenere dunque che con maggior con­ tingente di 5 o 6 mila uomini di forza attiva il servizio potrà essere convenientemente disimpe­ gnato. Ma codesto aumento apporterà un note­ volissimo miglioramento alla vigilanza sugli altri servizi finanziari, specie sulla tassa di fabbrica­ zione degli spiriti, che è quella che dà luogo alle più scandalose evasioni, nei centri, appunto, di produzione vinicola.

Quanto agli uffici finanziari, non occorre che essi risiedano in tutti i luoghi della produzione: essi uffici possono convenientemente provvedere al servizio occorrente, rispetto ai produttori, con una larga circoscrizione, giacché alle emissioni dei documenti necessari per le spedizioni dei vini ai negozianti all’ ingrosso provvederanno, con suf­ ficiente garanzia di costoro, gli uffici municipali, verso un tenue compenso da parte dello Stato, compenso che sarà ragguagliato al numero delle bollette emesse.

Dove invece riuscirà necessaria la presenza o almeno la prossimità dell’Ufficio finanziario è il luogo in cui son posti i magazzini all’ ingrosso. Ma le notizie assunte ci avvertono che i Co­ muni del Regno nei quali esistono di codesti magazzini all’ ingrosso non oltrepassano il numero di 800 quasi tutti sedi di Uffici finanziari (Agen­ zie delle imposte, Uffici del registro, ecc.), ai quali può l’ accennato servizio esseie affidato senza una maggiore spesa a carico dello Stato.

Quanto alle riscossioni, il progetto le affida agli esattori delle imposte dirette in base a liste compilate dagli Uffici finanziari. E’ un mezzo pronto e sicuro di riscossione famigliare al con­ tribuente e che d’ altra parte trova già la sua applicazione in altri rami di tributi indiretti, specie per le tasse di fabbricazione. Agli esat­ tori verrebbe corrisposto un aggio che non sor­ passerebbe il 3 0[0 delle riscossioni.

Per riassumere: considerato che a cinque o sei milioni potrà ammontare la spesa per l’ au­ mento del contingente delle guardie, che a non più di 3 milioni ammonterà la spesa di riscos­ sione, che di pochissima entità saranno le altre spese sussidiarie pel rilascio di bollette, inden­ nità di trasporto ad agenti, ecc., si può affermare che la spesa complessiva per l’ esercizio della tassa sul vino non eccederà la somma annua di 10 milioni di lire, un’ aliquota cioè del 10 per cento. Aliquota la quale non deve apparire esa­ gerata, ove si consideri che la riscossione del dazio di consumo costa oggi nella media, circa 11 14 per cento dell’ introito lordo.

Concludendo, il sistema proposto per la tassa

generale sui vini può assicurare allo Stato un provento netto di circa 90 milioni, senza aggra­ vare la condizione della produzione, senza porre inciampi alla libera circolazione dei vini, nel mentre tende a perequare l’ imposta generaliz­ zandone l’ applicazione, consentendo insieme un sensibile sgravio di aliquota ai consumatori che oggi pagano il tributo daziario, e quindi indiretta­ mente un forte impulso al consumo e, cioè, un largo beneficio alla viticultura.

Sebbene ormai i progetti dell’ on. Wollem- borg possano dirsi sepolti colla sua uscita dal Ministero, abbiamo voluto darne ampia notizia, perchè rimanga dimostrato che le riforme tribu­ tarie, anche radicali, sono difficili, ma sono possi­ bili pure evitando pericoli all’ erario. Noi te­ miamo molto però che la maggiore difficoltà sia quella della mancanza di buona volontà.

A PROPOSITO DI U N O SCIOPERO

E DI UN ARBITRATO

Lo sciopero dei fuochisti, marinai e in ge­ nere dei lavoratori di bordo nel porto di Genova, avvenuto nell’aprile u. s., ebbe, com’ è noto, una momentanea soluzione col chiamare il presidente del Consiglio, on. Zanardelli, arbitro nella ver­ tenza tra armatori e personale di bordo. Tre mesi dopo, e precisamente il 23 luglio u. s., 1’ on. Zanardelli dovendo decidere sul punto se i rappresentanti degli operai potevano, oppur no, essere ammessi a parlare in nome delle Leghe riunite fuochisti, marinai sezione-Camera, di fronte alla opposizione degli armatori, dovette pronunciare una sentenza interlocutoria ^¡u quella questione pregiudiciale. E la sentenza dell’ ar­ bitro, on. Zanardelli, stabilì non potersi obbli­ gare gli armatori ad accettare il contraddittorio delle Leghe per conto e in nome dei lavoratori di bordo. Ecco la decisione dell’ on. Zanardelli :

Nella vertenza tra i lavoratori di bordo e gli armatori del porto di Genova

V Arbitro sottoscritto,

Premesso che nell1 adunanza in contraddittorio indetta dall1 Arbitro pel 22 loglio 1901 intervennero in nome degli operai ì1 on. Pietro Chiesa e gli ono­ revoli avvocati Antonio Pellegrini e Carlo Altobelli nella qualità di rappresentanti delle Leghe riunite (fuochisti-marinai-sezione camera) di Genova qualità assunta già nelle memorie presentate all’ Arbitro; e in nome degli Armatori i signori : cav. Federico Vac- caro, Giuseppe Dall’ Orso e capitano Alessandro Fortis e Ugo Carcassi ;

Premesso che in principio di tale adunanza il cav. Vaccaro, per conto dei suoi rappresentanti e in conformità di altre precedenti dichiarazioni, oppose, in via di pregiudiziale eccezione « di non accettare il contraddittorio delle Leghe predette, e che di con­ seguenza qualunque cosa si facesse in senso diverso del mandato ricevuto dalla Commissione sarebbe di- sconosciuta e respinta dagli A rm atori», e per con­ verso gli avvocati Pellegrini ed Alto belli dichiara­ rono che essi soltanto come rappresentanti delle Leghe riunite potevano intervenire;

Attesoché sembrava all1 Arbitro che non fosse necessario di sollevare una tale questione formale, potendosi accettare di fatto la rappresentanza e il patrocinio degli Operai nella persona dell’on. Chiesa, assistito dagli onorevoli Pellegrini ed Altobelli, dap­ poiché in confronto di esso e del cav. Vhccaro si sono svolti gli atti iniziali dell’ Arbitrato ;

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472 L ’ E C O N O M IS T A 4 agosto 1901 difesa, l’ arbitr > reputava inutile e poco conforme

allo scopo finale dell’ arbitrato proporre e decidere la questione se o no tali rappresentanti degli operai intervenissero anche nella qualità di rappresentanti delle Leghe;

Ohe le pratiche dell’arbitrato stesso per indurre le Parti a non insistere in una questione di forma riuscirono vane di fronte alla dichiarazione dell’ on. Chiesa che egli non interveniva e non poteva inter­ venire se non in rappresentanza delle Leghe, e di fronte alla non meno recisa dichiarazione degli A r­ matori di non averlo mai voluto e di non volerlo ammettere come loro contraddittore in tale qualità ; Ritenuto che questo contegno delle Parti rende impossibile all’ Arbitro di non affrontare tala que­ stione, che nei precedenti stadii del procedimento egli avea cercato evitare mirando soltanto ai rap­ porti sostanziali delle cose tra armatori ed operai, nella determinazione dei loro diritti e dei loro inte­ ressi ;

Ritenuto che invece le Parti insistettero ferma­ mente nel rispettivo assunto, facendone tema di specifiche formali conclusioni e chiedendo che 1’ ar­ bitro dovesse anche decidere se l ’ eccezione stessa fosse di tale natura da essere preliminarmente ri- , solta ;

Ritenuto che, portata la questione su questo terreno, la anzidetta indole di eccezione prelimi­ nare non poteva essere razionalmente contrastata, e d’ altra parte già erasi dichiarato che la sentenza arbitrale, ammesso o respinto tale contraddittorio, non sarebbe stata accettata ;

Ritenuto che se è ovvia e plausibile 1’ iniziativa dei lavoratori di bordo di essere rappresentati e tu­ telati da associazioni fra essi costituite, sembra

erò all’Arbitro, il quale da parte sua nessuna dif- eoltà poteva avere ad ammettere la rappresentanza delle Leghe, che, protestandosi dagli armatori di non voler riconoscere tale intervento, quest’ ultimi non possono esser obbligati a trattare colle Leghe medesime, tanto più non avendo esse ordinamento e forme legalmente stabilite ;

Che a maggior ragione può dirsi quando non solo non e provato, ma è escluso dalle stesse dichia­ razioni delle Parti che tutti i lavoratori di bordo, interessati alla decisione delia controversia arbi­ trale, siano ascritti alle associazioui che unicamente intenderebbero assumerne la rappresentanza e la tutela ;

PER QUESTI M O T IV I :

Decide

Non potersi obbligare gli armatori ad accettare nel presente giudizio arbitrale il contraddittorio delle Leghe per conto ed in nome dei lavoratori di bordo, e, qualora rimangano ferme le anzidetto ec­ cezioni e dichiarazioni delle parti, non potersi pro­ cedere oltre nello stesso giudizio arbitrale.

A cotesta pronunzia dell’ arbitro, i difensori delle Leghe hanno fatto una risposta, con la quale insistono a dimostrare che a invocare l’ar­ bitro furono sempre le Leghe riunite e non altri. E proseguendo nella loro difesa aggiungono :

Comunque, ci si dice, perchè insistere in volere rappresentare le I^eghe, mentre la discussione poteva seguire nel nome del Chiesa od in quello del perso­ nale di bordo o del Comizio o di un ente qualunque, inconcreto ed impalpabile ? Per ragioni parecchie :

Muniti di mandato dalle Leghe Fuochisti-Marinai,

Sezione-Camera, noi non potevamo — senza tradirlo — rispondere inchinandoci al rappresentante degli A r ­ matori che protestava non voler ammettere il con­ traddittorio dei nostri mandati o volere considerare come irrito quanto l’ Arbitro venisse, in esso dispo­ nendo.

Il Mandato ap partiene al mandante, non al man­ datario.

E noi avremmo preigiudicato irrimediabilmente il merito della causa. Infatti uno dei fini precipui del giudizio arbitrale era il turno Rimbarco.

È nel pensiero e nel diritto dei lavoratori di bordo la costituzione di un Ufficio di collocamento, da essi diretto ed amministrato. Essi chiedevano a l­ l’ Illustre Arbitro che li sottraesse alle bramose vo­ glie de’ sensali ; che- invitasse gli armatori a reclutare

i loro equipaggi, attingendo ad un ruolo contenente tutta la gente di mare, iscritta o non iscritta alle Le­

ghe; e ciò secondo quelle condizioni e discipline, che la sapienza dell’ Arbitro avrebbe prescritte.

Ma escluse una volta dagli armatori le Leghe dal giudizio arbitrale, come avremmo potuto propugnare il diritto delle medesime a regolare il turno di im­ barco, o quanto meno ad ingerirsi d* accordo ed in concorso delle rappresentanze degli armatori al col­ locamento della gente di mare ?

Non basta ancora.

Poniamo che l’illustre arbitro avesse deciso che il contratto di lavoro dovesse essere ridotto a migliore lezione ; chi avrebbe vigilato alla legale esecuzione della sentenza nello interesse dei lavoratori, se si cominciava col sopprimere le Leghe, che oggi sono la sola rappresentanza conosciuta del proletariato di bordo di Genova?

Ed a ragion veduta’diciamo di Genova, perchè del personale del bordo di Genova l’ illustre arbitro do­ veva occuparsi inquantocbè fra quel personale e quegli armatori era scoppiato lo sciopero, che dette luogo all’ arbitrato ; ed in fatti egli stesso ciò am­ mette, intitolando la sua decisione : Nella vertenza

fr a i lavoratori di bordo e glt armatori nel porto di Genova.

E con ciò resta confutato 1’ argomento dei nostri censori, i quali credono trionfare di noi dicendo che le nostro Leghe non potevano arrogarsi il diritto di rappresentare davanti all’ arbitro tutti i marinai del litorale italiano, che va da Nizza a Trieste ; mentre poi questi seguaci della legalità si acconcerebbero a consentire tale rappresentanza universale all’ on. Chie­ sa, presidente del Comizio, che invocò lo arbitrato, pur di sopprimere le incomode Leghe !

Notiamo, per giunta, che le sole Associazioni, sotto le cui insegne si raccolgono i lavoratori del porto di Genova (ai quali il lodo arbitrale doveva riferirsi) vivono non solo di vita propria, ma esistono altresì come diramazione della Camer di lavoro di Genova di quella Camera di lavoro, della cui esi­ stenza lice tanto meno dubitare, poiché e il suo scio­ glimento e la sua ricostituzione furono, in giornate parlamentari non dimenticate, una vera e propria questione di Stato, offrendo all’ on. Giolitti il tema di un famoso discorso-ministro — di quella Camera

di lavoro, che forse è in Italia la più perfetta espres­ sione del proletariato organizzato, perchè costituita sulla base di un plebiscito elettorale, vigilato e con­ trollato dagli amministratori del Comune, i quali ne conservano documento, come del più libero, cosciente, erfetto voto di popolo, che mai seguisse a ricordo ’ uomo.

Ma le Leghe non esistono legalmente.

Esistono, rispondiamo, di fatto! Sono un fatto politico e sociale, a cui il Gabinetto Zanardelli rese omaggio dai suoi esordi, come ad una tra le più belle conquiste del tempo nostro ; come al maggior fat­ tore di quella elevazione del proletariato, che oggi e passata dall’ infiammata eloquenza dei tribuni alla rettorica compassata, ma sincera, degli uomini di Stato.

E se il legislatore non ancora diede opera ad una codificazione del diritto di associazione, pare strano che da ciò si ,argomenti la incapacità delle libere As­ sociazioni di lavoratori a porre e discutere, di fronte a libere Associazioni di capitalisti, le condizioni di un contratto di lavoro umano e onesto ! .

Insistemmo infine sulla questiona pregiudiziale perchè sentimmo e sentiamo la importanza morale, sociale e politica del riconoscimento delle Associa­ zioni di fatto ai fini di una equa convivenza delle di­ verse classi sociali.

La ragione medesima che mosse gli Armatori a porre la pregiudiziale, mosse noi a combatterla*

Lavoratori e capitalisti non discutono questioni accademiche.

Nuoceva ai nostri contradittori che una moltitu­ dine di braccianti (i quali presi singolarmente, e come il bisogno li sospinge alle soglie dei padroni, non di­ scutono, subiscono i patti) si organizzasse e disci­ plinasse alla difesa del comune interesse. Giova ai nostri amici rivendicare nel principio di associazione l’istrumeuto e la speranza di sorti migliori.

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dizio dell’ arbitro era, in sè, assai semplice. Ma, anzitutto, vogliamo esprimere il dubbio se sia opportuno che uomini politici, che sono al Go­ verno, accettino 1’ ufficio di arbitri nelle contro versie tra capitale e lavoro. Se nel caso presente non si ebbero ragioni per dubitare della impar­ zialità e serenità del giudizio dell’ arbitro, è chiaro che in altre circostanze il sospetto sulla imparzialità potrebbe sorgere nell’ una o nell’ al­ tra parte interessata, e ciò con grave scapito del- - l’ autorità del governo. Meglio è senza dubbio che le parti contendenti si rivolgano ad altri uomini non aventi la responsabilità del governo, come spesso è avvenuto in Inghilterra.

E il fatto stesso che occorsero tre mesi per­ chè la vertenza tra i lavoratori di bordo e gli armatori del porto di Genova venisse dibattuta avanti l’ arbitro, dimostra che non è il mezzo più pronto e più facile di risolvere i conflitti indu­ striali quello di chiamare giudice in causa un mi­ nistro in tante altre cose affaccendato.

Ma a parte questo, che dire della decisione dell’ arbitro ?

È evidente che 1’ on. Zanardelli ha seguito lo stesso criterio che già il ministro francese Waldeck-Rousseau aveva applicato a proposito dello sciopero del Creusot.

Anche allora sorse la questione se gli operai potevano essere rappresentati nell’ arbitrato per mezzo del loro sindacato.

E il presidente del consiglio dei ministri francese dopo aver detto nel suo lodo che non appartiene ai terzi il disconoscere tali sindacati, come non appartiene a loro di riconoscerli, s’ in­ tende in materia di arbitrato, —■ proseguiva con­ siderando che se i sindacati costituiscono un intermediario, che può logicamente e utilmente intervenire nelle divergenze che si elevano tra padroni e operai, nessuno però può essere co­ stretto ad accettarlo. Osservava inoltre che un padrone non potrebbe esigere dagli operai ch’essi portino i loro reclami al sindacato padronale di cui facessero parte e che gli operai dal canto loro non potrebbero imporgli di prendere per giudice delle difficoltà pendenti tra essi e lui il sindacato operaio al quale appartengono.

La conclusione del ministro francese era che l’ intermediario del sindacato operaio, al quale appartiene l’una delle parti, può essere utilmente impiegato se ambedue le parti vi consentono, ma non può essere imposto.

Questa decisione, resa in un paese dove la legge 21 marzo 1884 ha riconosciuto i sindacati professionali e da un uomo politico che è ap­ punto il padre di quella legge e fautore con­ vinto delle associazioni operaie, segnava eviden­ temente la via all’ on. Zanardelli, il quale, di fronte al rifiuto costante degli armatori di trat­ tare con le Leghe, non poteva pronunciare sen­ tenza diversa da quella sopra riportata.

Egli, pur dichiarando che da parte sua nes­ suna difficoltà poteva avere ad ammettere la rappresentanza delle Leghe, doveva logicamente riconoscere che gli armatori non possono essere obbligati a trattare con le Leghe medesime « tanto più, aggiuuge, non avendo esse ordina­ mento e forme legalmente stabilite. »

Rispondono i rappresentanti delle Leghe,

che queste esistono di fatto ; ma la risposta non fa fare un passo solo alla questione, perchè in verità, non basta che esista un’ associazione qual­ siasi per essere obbligati a trattare con essa. E giuridicamente, come dicemmo, la questione è così semplice, che non occorre insistere per chia­ rire come il lodo dell’ on. Zanardelli non po­ teva essere differente da quello che è.

Potevano gli armatori non sollevare la ob­ biezione sulle trattative con le Leghe, ma è

chiaro che era loro diritto di farlo. E nelle con­ dizioni odierne del contratto di lavoro si com­ prende che la eccezione venga sollevata ogni qualvolta le leghe o sindacati o associazioni che siano, rappresentano solo una parte del perso­ nale scioperante ; mentre in caso diverso sarebbe vano e quasi puerile il voler far questione di leghe e di rappresentanti di tutto il personale.

Con ciò è evidente che la questione del riconoscimento delle leghe da parte degl’ im­ prenditori avrà la sua soluzione naturale, quando il personale operaio sarà riunito tutto in libere associazioni. Per ora, la pretesa d’ imporre le trattative come rappresentanti di Leghe è neces­ sariamente soggetta a ripulse o ad accettazioni, secondo i voleri difformi dell altra parte con­ traente.

SULL A

l

SCISSIONE DELL’ IMPOSTA

di Ricchezza Mobile

Già da gran tempo si ammette l’opportunità di un sistema di trasformazione tributaria radi­ calissimo, che consenta ai Comuni di fruire delle singole energie e delle risorse dei loro territori; e si ritorna oggi ad invocare tale sistema oltre che per motivi di opportunità economica, anche per impellenti ragioni politiche.

Si prenderebbe, appunto, per base questo concetto nella attuazione della riforma, cui il Gabinetto, con piena approvazione del Paese, si era accinto ; si spererebbe anzi che col seguire questo concetto, si possa giungere ad un pro­ getto di trasformazioni tributarie meno urtante coi singoli e disparati interessi locali rappresen­

tati in Parlamento. . .

Pertanto si insisterebbe sul principio di abolire ogni dazio, e per compensare i Comuni della inevitabile perdita, si scinderebbe l’imposta sulla ricchezza mobile per cedere ad essi il get­ tito di quei cespiti che rappresentino il frutto di energie locali, compresi sotto le categorie B e C.

Non pariamo di altri mezzi di compensa­ zione, che non avrebbero alcuna importanza nel caso nostro.

È noto che l ’ imposta di ricchezza mobile colpisce quattro categorie di redditi :

a) redditi perpetui e quelli dei capitali dati a mutuo o altrimenti redimibili ;

b) redditi temporari misti, nei quali il

capitale e l’ opera dell’uomo concorrono;

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474 L ’ E C O N O M IS T A 4 agosto 1901 corre nè l’opera dell’uomo, nè il capitale (vita­

lizi, pensioni);

d) redditi dipendenti da stipendi, pen­

sioni ed assegni pagati dallo Stato, dalle Pro­ vincie e dai Comuni.

L ’ imposta pagata dalle categorie b e c cesserebbe di andare a benefizio dell’erài-io dello Stato e verrebbe invece percepita dai Comuni.

Non essendo note le altre modalità, ogni analisi tendente a mettere in vista i pregi ed i difetti di questo progetto attribuito all’on. W ol- lemborg, sarebbe oggi azzardata ; senonchè nelle quattro parole che la stampa ha pronunciate ci pare che vi siano elementi sufficienti per espri­ mere un dubbio che potrebbe risolversi in dif­ ficoltà.

11 conservare il gettito della categoria a a beneficio dello Stato, allo scopo evidente di aggravarla indipendentemente dalle altre, non corrisponde forse al sottoporre i redditi della prima categoria ad un tributo speciale !

L ’ imposta di ricchezza mobile, benché, in effetto, si riduca ad un tributo speciale sulle diverse categorie di redditi, ha pur sempre il carattere di imposta generale, e non può venire ad essa sottratta la prima categoria, la quale, secondo il nostro diritto, non può esser da sola assoggettata ad un tributo a parte.

La legge del 24 agosto 1877, disponendo contemporaneamente in modo generale su tutte le quattro categorie stabiliva che gli interessi dei capitali (categoria A) sia che fossero dati a mutuo ai privati, sia che allo Stato, dovevano venire ugualmente trattati; invece la legge del 22 luglio 1894 venne a scindere la categoria A ed iscrivendo nella categoria A 1 gli interessi del debito pubblico, nella categoria A 2 gli interessi dei capitali mutuati ai privati, sancì che i primi venissero colpiti integralmente con la nuova ali­ quota del 20 per cento, i secondi invece go­ dessero di una riduzione.

I possessori di cartelle del debito pubblico protestarono perchè solo essi si sentivano gra­ vati con la imposta netta del 20 per cento, men­ tre per gli altri possessori di redditi mobiliari quest’aliquota era solo nominale, venendo loro applicata previa una riduzione del reddito; pro­ testarono, ritenendo che fossero essi stati aggra­ vati con una imposta speciale, ciò che dalle vi­ genti leggi era vietato.

Ed invocavano l’art. 3 della legge 10 lu­ glio 1861 « sulla istituzione del Gran Libro del Debito pubblico » Le rendite inscritte sul Gran Libro non potranno mai in nessun tempo e per qualunque causa, anche di pubblica necessità, venire assoggettate ad alcuna speciale imposta.

Ma fu facile trionfar di siffatta difficoltà, perchè quest’articolo mentre gareutisce gli in­ teressi del debito pubblico dagli aumenti appor­ tati con un’ imposta speciale, non impedisce di colpirli con una generale, ossia con un’ imposta che abbracci tutti i redditi di ricchezza mobile (categorie A, B, C, D ); tale era la legge del 1894 perchè disponeva su tutte le quattro categorie.

Ma se fu facile in quell’ occasione di ma­ scherare con una formale giustificazione un ag­ gravio, che sostanzialmente era in antitesi con un obbligo precedentemente assunto dallo Stato,

chi impedirà, una volta scissa la imposta di ricchezza mobile, e assegnate a’ Comuni le ca­ tegorie B e C, e rimasta allo Stato la catego­ ria A — chi impedirà che questo aumenti la imposta su questa sola categoria ? ma ciò fatto, dove andremo allora più a pescare la giustifi­ cazione cui nel 1894 fu facile appigliarsi ?

Ci troveremo di fronte ad una difficoltà di indole giuridica tanto più forte, in quanto che non mancherà un partito vigile e disposto sempre a sfruttarla.

Noi che su queste colonne propugnammo già l'aumento dell’ imposta sugli interessi del debito pubblico, dubitiamo che sia questa la via per arrivarci ; ma siamo d’altra parte sicuri che sia stato già visto il mezzo idoneo ad eliminare preventivamente la difficoltà, cui abbiamo ac­ cennato ; e ne siamo sicuri, perchè abbiamo la convinzione che siano tutti persuasi non doversi più oltre perder tempo nell’ elaborare disegni e progetti, che siano poi destinati a rimaner lettera morta, per effetto di vizi più o meno occulti, più o meno tardi rivelatisi.

Lu ig i Nuna.

L’ ISTRUZIONE PUBBLICA SUPERIORE

e le condizioni economiche d’ Italia In uno di quei saggi, in cui si rivela tutta la profondità del pensatore filosofo e tutta la acutezza dell’ osservatore scienziato, lo Spencer mostra come 1’ opera dei governi si risolve nel lasciar sodisfare i bisogni umani meno urgenti, mentre rimangono insodisfatti i più intensi, poi­ ché un’ attività sociale è alimentata a scapito di un’ altra che avrebbe potuto svilupparsi, accre­ scendo il benessere di una nazione, e rendendo possibile il sodisfacimento dei desiderii più sen­ titi. « Tutte le attività sociali - scrive il filosofo inglese - 1) si possono ricondurre sotto una stessa generalizzazione, in quanto rappresentano uno sforzo umano diretto al sodisfacimento di un bi­ sogno umano. In tutti i casi bisogna tener pre­ sente che i desiderii più forti per un processo spontaneo saranno sodisfatti prima dei più de­ boli ; e che il tentativo di promuovere il sodi- sfacimento dei più deboli prima che siano sodi- sfatti naturalmente, equivale a render impossibile il sodisfacimento dei più forti ».

Come nei casi in cui, per mezzo di dazi protettori, si cerca di dar vita a un’ industria che altrimenti non avrebbe esistito, il capitale è volto in un ramo meno produttivo di un altro, nel quale sarebbe stato tratto naturalmente; così qualunque altro intervento legislativo ha per risultato che mentre è volto a raggiungere un fine, impedisce il raggiungimento di un altro fine, perchè quelle attività che a questo secondo si sarebbero spon­ taneamente dedicate, vengono rivolte al primo. Di qui gravissime perturbazioni nell’ ordine eco­ nomico e sociale.

(9)

questo principio, basta semplicemente osservare i disastrosi effetti dell’ istruzione universitaria in Italia, effetti che si verificano del resto anche in altri paesi, come la Francia e la Germania. Questi effetti si possono così riassumere :

1° creazione di un numero straordinario di spostati ;

2° condizione infelicissima degl’ insegnanti universitari, i quali ricevono spesso una retri­ buzione irrisoria, indegna di un paese civile ;

3° uificialismo nell’ istruzione, che è la negazione del progresso scientifico, e rende il­ lusoria la libertà dell’ insegnamento;

4° trionfo delle mediocrità, o peggio, per­ chè i concorsi alle cattedre non avvengono più in condizioni normali, e prevalgono quelli che s’ inchinano all’ ufficialismo imperante e sanno farsi avanti con appoggi, raccomandazioni, ecc., mentre gli spiriti liberi e indipendenti, che sono gl’ ingegni migliori, si vedono preclusa la via;

5° decadenza delle attività commerciali e industriali, e quindi impedimento a qualsiasi progresso economico.

Quest’ultima è - sotto 1’ aspetto economico - la più disastrosa conseguenza dell’ insegnamento universitario pubblico. L ’ intervento dello Stato nell’ istruzione superiore produce uno squilibrio gravissimo tra i bisogni professionali e intellet- -tuali, e i bisogni commerciali e industriali di un paese. I primi vengono alimentati a scapito di questi ultimi. Le tasse lievi, 1’ ambizione di seguire una professione liberale, la speranza di nna migliore carriera quando si possiede una laurea universitaria, il disprezzo più o meno pa­ lese per il commercio e l ’ industria, Ja facilità veramente eccessiva con cui si diventa medici, avvocati, ingegneri, professori, per le pochissime cognizioni che i regolamenti richiedono e per la mancanza di qualunque rigore nel concedere le lauree: tutte queste ragioni cooperano a far sich e una quantità di giovani energie, le quali avrebbero potuto rivolgersi alle industrie, ai commerci, alla colonizzazione delle fertili terre dell’America meridionale, giovando cosi al pro­ prio interesse, alla grandezza della patria, e al bene dell’ umanità, sono invece sospinte verso le Università, nelle quali con poche centinaia di lire e con poche settimane, di studio (se cosi si può chiamare) nel tempo che precede gli esami, lo Stato concede un diploma a medio- crissimi ingegni o a vere nullità intellettuali, che tuttavia avrebbero potuto riuscire splendida­

mente in una impresa commerciale o in una azienda industriale. Così, per una funestissima superproduzione di professionisti, lo Stato crea un numero straordinario di spostati, cioè di av­ vocati che non hanno cause da difendere, di medici che non hanno malati da curare, d’ inge­ gneri che non hanno strade da costruire, di pro­ fessori che non hanno cattedre da occupare. Di qui una concorrenza sfrenata, ima lotta fierissima nella quale non gli onesti ma i disonesti pre­ valgono, non i meglio provvisti d’ ingegno ma i meno intelligenti, non i più meritevoli ma i meno capaci. Di qui anche un disordine gene­ rale nella società, prodotto dallo squilibrio tra i vari ordini di attività sociali e dalla spropor­ zione tra bisogni e sodisfazioni. E non solo v è

uno squilibrio tra i bisogni intellettuali e scien­ tifici e i bisogni industriali e commerciali ; ma accade che, mentre questi ultimi sono comple­ tamente sacrificati ai primi, questi nè pure sono convenientemente sodisfatti, in quanto l’ inter­ vento governativo, 1’ ufficialismo, la burocrazia, la concorrenza anormale conducono al trionfo dei mediocri e degl’ inferiori, lasciando indietro gl’ ingegni migliori. E in fine è da notare che gli spostati costituiscono una schiera sempre più minacciosa di malcontenti, i quali mirano a scuo­ tere le basi stesse della convivenza sociale e giustamente si ribellano a quello Stato che, men­ tre ha promesso loro una professione, non può metterli nella condizione di esercitarla. Onde ben possiamo affermare che lo Stato moderno ha,in se i germi della propria rovina, germi che esso stesso nutrisce e alimenta; e finché non si arresterà sulla china fatale, limitando le pro­ prie funzioni e ponendo termine alla ingerenza nelle cose economiche e sociali, causa di pertur­ bazioni gravissime nella società, non appare ri­ medio alcuno.

Ho accennato alle disgraziate condizioni economiche degl’ insegnanti universitari in Italia che ottengono una rimunerazione, la quale sa­ rebbe sdegnosamente rifiutata da un professore di Oxford o di Cambridge e da un insegnante nella Columbia University o nella llavard Uni­

versity negli Stati Uniti d’ America. Questa ri­

munerazione insufficiente costringe i professori di Diritto a esercitare come avvocati, i profes­ sori di medicina a esercitare come medici, i pro­ fessori di lettere a dare lezioni private : e ciò evidentemente a scapito dell’ insegnamento, il quale ne soffre in modo assai grave. Onde si hanno professori per i quali le lezioni sono l’ul­ tima cosa a cui pensano ; e in tal caso la rimu­ nerazione che ricevono è anche eccessiva ! Cosi quello che dovrebb’ essere 1’ ufficio più elevato, più nobile, più rispettato e onorato, è ridotto a un’ occupazione mal retribuita, peggio esercitata e tenuta in minor conto di altre occupazioni certo assai meno degne di onore e rispetto. E tutto ciò per l’ intervento perturbatore dello Stato che certi riformisti considerano come po­ tentissimo fattore di progresso sociale e morale. Esso è certo fattore di progresso, in quanto esercita la sua funzione che è quella del man­ tenimento della Giustizia, ma quando eccede questa sua fuzione, quando diventa educatore e ■'nsegnante universitario, è necessariamente causa di regresso sociale e di degenerazione morale e intellettuale,

(10)

476 L ’ E C O N O M IS T A 4 agosto 1901 mero degl’ inscritti sale da 21,870 nel 1893-94

a 26,062 nel 1899-900, con un aumento assoluto di 4192 e un aumento relativo di 119.1. Nelle facoltà di giurisprudenza si va da 5690 inscritti nel 1893-94 a 6607 nel 1899-900 ; nelle facoltà di medicina da 6521 a 6650; nelle facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali da 2157 a 2751 ; nelle facoltà di lettere e filosofia da 1325 a 1655 ; nelle scuole di farmacia da 181 a 416 (per laurea in chimica e farmacia), da 1707 a 2914 (per diploma professionale).

Bastano questi brevi cenni per mostrare come deva esistere un eccesso di laureati rispetto al corrispondente bisogno di professionisti pra­ tici. E ciò riuscirà tanto più evidente, quando si osservi che il numero degl’ inscritti è cresciuto in misura assai più rapida che non il numero degli abitanti. Nel 1893 con una popolazione di 30,724,319 abitanti si ebbero 21,870 inscritti, mentre nel 1899 con una popolazione di 31,856,675 si ebbero 26,062 iscritti. Cioè menti e gl’ inscritti nell’ anno scolastico 1893-94 erano 71.2 per 100,000 abitanti, salirono nell’anno 1899-900 a 81.8 per 100,000 abitanti.

Certo in questo aumento nella cifra degli inscritti vi sono delle oscillazioni. Cosi mentre nell’ anno scolastico 1894-95 si ebbe un au­ mento di 1387 inscritti in confronto coll' anno precedente, l’aumento discese a 866 nel 1895-96, per risalire a 1198 nel 1896-97, e poi discendere nuovamente a 277 nel 1897-98.

Nel 1898-99 si osserva una notevole dimi­ nuzione di 79 nel numero degl’ inscritti; ma que­ sto fatto si dovette principalmente alle pertur­ bazioni economiche e politiche del fortunoso anno 1898, cessate le quali riprese nuovo vigore il concorso agli studi superiori. Infatti nel 1899- 1900 si ebbe un aumento di 543 inscritti in con­ fronto coll’anno scolastico precedente; e così è cessata ogni speranza di una sosta permanente nell’aumento degl’ inscritti ‘ ).

Quali i mezzi per rimediare a questo grave stato di cose, che deve necessariamente condurre a una sproporzione sempre maggiore tra il nu­ mero di laureati e il corrispondente bisogno di professionisti pratici, e a un sempre maggiore squilibrio tra i vari ordini di attività sociali? Come arrestare questa corrente impetuosa di giovani energie verso le professioni liberali, e volgerla alle industrie e ai commerci ? L ’ideale sarebbe la completa autonomia, l’ indipendenza assoluta dell’Ateneo dallo Stato. Ma siccome ciò non sembra per ora possibile, e siccome un passaggio così repentino dall’ istruzione di Stato all’ istruzione libera potrebbe provocare gravi perturbazioni sociali, è necessario cominciare con alcune trasformazioni radicali nell’organismo uni­ versitario.

l.° Aumento di tasse, le quali dovrebbero essere almeno raddoppiate. Si dirà forse che questa è una riforma poco liberale, anzi tutt’altro che democratica. Ma, esaminando bene la que­ stione, si vede che tale riforma corrisponde per­ fettamente ai principii della democrazia e della libertà. In un regime libero gl’ individui devono

<) Ho tolto questi dati da uno scritto del prof. Carlo F. Ferraris, comparso ne La Riforma Sociale del 15 febbraio 1901.

dedicarsi a quelle attività verso le quali si sen­ tono spinti e non coltivare quelle alle quali non sono adatti. E certo non si può tacciare di poco liberale una riforma la quale sarebbe un rimedio al grave problema degli spostati. Del resto nu­ merose borse di studio dovrebbero essere isti tuite per quei giovani che mostrassero attitudini speciali, ma che per mancanza di mezzi pecu- riiari si vedrebbero preclusa la via della Uni­ versità.

2. ° Maggior rigore negli esami ; minore

facilità nel conceder le lauree. E ciò anche perchè le professioni liberali non diventino monopolio delle classi agiate, ma siano aperte solo alla intelligenza e alla cultura.

3. ° Istituzione di due o tre altre scuole

di commercio, in cui le tasse siano piuttosto lievi, alquanto inferiori a quelle universitarie.

Con queste riforme si avrebbe certo in po­ chi anni una diminuzione notevolissima nella cifra degl’ inscritti nelle Università, e gran nu­ mero di giovani sarebbero allontanati dalle pro­ fessioni liberali e attirati verso le industrie e i commerci. Il minor numero d’ inscritti poi ren­ derebbe possibile la chiusura di alcune Univer­ sità ; e ciò permetterebbe un aumento nella rimunerazione degl’insegnanti, i quali dovrebbero godere uno stipendio minimo di 8000 franchi con l’ obbligo di abbandonare qualunque altro ufficio e di adempire rigorosamente i loro do­ veri di professori. Del resto uno Stato il quale nel suo bilancio assegna quasi mezzo miliardo per laguerra e la marina, potrebbe bene aggiun­ gere cinque o sei milioni nel bilancio dell’ istru­ zione superiore per restituire la sua dignità al- 1’ ufficio d’ insegnante universitario.

L ’organizzazione dell’ insegnamento supe­ riore esige una riforma radicale, la quale, men­ tre da un lato deve migliorare la condizione degl’ insegnanti, deve dall’altro risolvere il pro­ blema degli spostati, rendendo più difficile lo accesso alle professioni liberali e rendendo pos­ sibile una diminuzione nel numero degl’ inscritti. E tale riforma sarà sopra tutto importante in quanto permetterà uno sviluppo maggiore delle attività economiche, perchè una massa consi­ derevole di giovani energie, allontanate dalle professioni liberali, saranno attratte verso le industrie e i commerci, e quelli che sarebbero divenuti mediocri o pessimi avvocati, medici, ingegneri, professori, incapaci di crearsi una posizione agiata, diventeranno invece ottimi in­ dustriali e commercianti, di cui v’ è tanto biso gno in Italia, e che troverebbero in questo nostro paese condizioni favorevolissime alla loro ope­ rosità.

Ci ammaestri 1’ esempio dell’ Inghilterra, della cui prosperità è certo causa potentissima l’ autonomia delle Università, la indipendenza dell’Ateneo dallo Stato, la quale ha permesso la espansione della razza anglo-sassone in tutte le parti del globo, impedendo la sovra-produzione di professionisti pratici e lasciando alla gioventù libero campo di esplicare le proprie energie nelle industrie e nei commerci.

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