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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1411, 19 maggio

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L ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI

Alino X X V I I I -M XXXII

Firenze, 19 leggio 1991

N. 1411

I TRA TTATI DI COMMERCIO

e *il discorso dell’onorevole Luzzatti

Pubblichiamo qui sotto un largo riassunto dell’ importante discorso che l’ on. Luzzatti ha pronunciato l’ altro giorno, inaugurandosi a Fi­ renze il Congresso degli Agricoltori italiani, sulla rinnovazione dei trattati di commercio.

Premettiamo al riassunto poche considera­ zioni, giacché quello che disse l’ on. deputato di Abano è di per sé molto significante, sia per la parte, diremo così teorica, sia per quella con­ creta.

Per la prima non possiamo che rallegrarci di sentire una voce autorevole e competente come quella dell’ on. Luzzatti, indicare per le prossime trattative una via da seguire, che, fino a poco tempo fa, sembrava impraticabile.

Il proposito di mantenere ferme le tariffe attuali e discutere soltanto i trattati esistenti, coll’ intendimento di emendarli in quelle parti che richiedono qualche modificazione per le mutate circostanze, è concetto molto promettente ; lo abbiamo indicato come tale un anno fa, ed era in esso concorde sino da allora l’ on. Luzzatti; poi parve che nere nubi si addensassero sul- l’ orizzonte per nascondere il procedimento più semplice ed apparecchiare una vera lotta tra le potenze, che si sarebbero armate di alti dazi proibitivi per scendere quindi a concessioni che sarebbero risultate irrisorie.

La logica, la fortuna o, meglio, vogliamo sperare, la più spassionata intelligenza dei singoli interessi, hanno condotto alla attuale situazione, chiaramente designata dall’ esperto negoziatore italiano. Comprendiamo con lui non potersi dire certamente che manchino le difficoltà, ma esse saranno senza dubbio superabili, se le tratta­ tive saranno iniziate a suo tempo col proposito di arrivare ad una buona conclusione; difficoltà anche minori nonsi supererebbero se non entrasse il convincimento che una rottura dei rapporti commerciali non deve avvenire.

Non possiamo quindi che rallegrarci di que­ sta più chiara situazione internazionaie designa­ tasi in questi ultimi giorni ; sia essa il prodotto della fatalità delle cose, sia il principio di un ritorno a quelle tendenze liberali che devono con­ siderarsi le dominatrici dell’ avvenire, o sia an­ che il timore che una lotta aspra possa condurre, a conseguenze non desiderabili; non si può a

meno di sentirsi più sollevati e fiduciosi dopo il discorso dell’ on. Luzzatti, che ha intonazione ot­ timista, ma di un ottimismo fondato sullo studio logico e prudente della situazione in cui si tro­ vano i diversi contraenti.

L ’ economia internazionale ha bisogno di un soffio di libertà; il protezionismo che già nell’81 aveva cominciato a rigermogliare, e che nell’ 87 aveva dato frutti così abbondanti, non avrebbe potuto fare un passo di più senza creare uno stato di cose, che poteva turbare grandemente i rapporti internazionali. È già abbastanza che possa ancora mantenere la posizione conquistata 14 anni or sono.

Teoricamente pertanto — pur riconoscendo che con le tariffe attuali si resta in un campo di aspro protezionismo — non possiamo che es­ sere soddisfatti di sentire dalla bocca dell’ on. Luzzatti l’ intendimento di non chiedere al Par­ lamento nuove armi doganali per trattare della pace. Siamo, economicamente come politicamente, in uno stato di pace armata, e non occorrono certo nè nuovi soldati, nè nuovi strumenti di bat­ taglia. Così si fosse potuto fare nel 1887! Si sa­ rebbe risparmiato a tutti un periodo di adatta­ mento, che non fu certo senza danni, per una parte almeno del paese.

Ed è lodevole pure la parte speciale del discorso dell’ on. Luzzatti, perchè dissipa com pletamente i timori, che alignavano al sud della Italia dove si temeva si volesse sacrificare ulte- riormeute la produzione agricola per mantenere la protezione industriale. L ’on. Luzzatti ha chia­ ramente ammesso che qualche sacrifizio possano e debbano fare le industrie italiane, perchè si ottenga una sufficiente libertà per la esporta­ zione dei prodotti agrari, ed a suffragare il suo intendimento, ha portato l’ esempio della lana manufatta italiana, la quale non subì jattura, ma anzi raffinò la sua produzione, dopo l’accordo colla Francia, che ne diminuiva la protezione.

Il problema quindi che alcune settimane or sono si presentava quasi pauroso per l’ Italia, diventa oggi, se non di facile, certo di probabile felice soluzione.

E l’applauso sincero ed insistente col quale furono accolte le parole rassicuranti dell’cn. Luz­ zatti ha dimostrato quanta fede e quanta spe­ ranza egli abbia suscitato negli animi che erano sconfortati.

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no-292 L ’ E C O N O M IS T A 19 maggio 1901 stro vivissimo compiacimento di vedere che, nel

modo di comprendere la politica doganale ed il suo ufficio nella economia dei popoli, oggi le distanze che separano le scuole economiche, altre volte cosi avversarie, sono molto meno sensibili così da suscitare la speranza che una nuova ten­ denza vada determinandosi.

Ed ecco ora l’ importantissimo discorso che ottenne il plauso più sincero, così per le cose che contiene, carne per la forma brillante colla quale furono esposte.

IL DISCORSO D ELL’ Oli- L U ZZA TTI

sui trattati di commercio

L ’ onorevole Luigi Luzzatti esordisce dichia­ rando che libero da ogni ùnpegno non ha voluto rifiutarsi all’ appello degli agricoltori italiani e parlerà serenamente sul vitale interesse delle esportazioni agrarie, mettendo a servigio della nostra grande madre, la terra, quel po’ di espe rienza che ha potuto raccogliere nelle negozia­ zioni coi paesi esteri che iniziò fino dal 1871.

Certo la situazione attuale è buia, poiché in Europa come in America, che è una espansione dell’ Europa, soffiano venti così impetuosi di pro tezione, che assomigliano alla protezione.

Se gli agrari austriaci chiesero seriamente dazi di 60 lire all’ Ettolitro sul vino, gli agrari tedeschi, senza arrossire, chiesero sui nostri pro­ dotti principali dei dazi che, per dire due soli esempi, pei cavolifiori, ora esenti, vanno sino a 1200 per cento del loro valore e pei citriuoli, essi pure esenti, sino a 2000 per cento, Non è neppur lecito discutere siffatte enormità, le quali si completerebbero nel pensiero degli agrari con dazi graduali secondo le stagioni in modo di col­ pire le primizie che l ’ Italia deve al suo sole, ri­ cordando a questo, proposito la frase del nostro Manzoni « VItalie qui esploite son soleil ».

Ora questo dazio tedesco sul sole italiano è l’ ultimo capolavoro degli agrari, i quali insieme ai loro confratelli di Erancia, dal punto di vista doganale, costituiscono il tipo più famelico che

si conosca. Gli agrari francesi impararono dai

tedeschi, che già ne ottennero per legge l’ appli­ cazione, i premi equivalenti ai dazi protettivi nelle esportazioni dei grani e delle farine e va ringi'aziato il Senato francese che respingendo quell’ ultimo delirio della protezione, ha rispar­ miato a tutti gli Stati produttori di cereali in Europa una massima perturbazione.

Ma gli agrari potentissimi in Francia, dove la democrazia rurale predomina anche politica­ mente, salvandola dal socialismo, hanno meno influenza in Germania dove il potere imperiale e regale si sovrappone su tutte le classi sociali e frena almeno in parte le cupidigie di tutti quelli che vorrebbero prevalere per la loro ricchezza o per la loro povertà consacrata dal numero.

Aggiungasi che dopo il 1870 la Germania, che era uno Stato agrario con ricchissime vena­ ture industriali, andò acquistando una tal po­ tenza manifatturiera da ironteggiare l’Inghilterra. Dal 1891, epoca dei grandi trattati di commer­

cio tedeschi conchiusi dal Cancelliere Caprivi, alla cui memoria rende pubblico omaggio, al 1899 le esportazioni tedesche passarono da 19 milioni di tonnellate a 31 milioni di tonnellate, da 3 miliardi 150 milioni di marchi a 4 miliardi 207 milioni. Gli operai impiegati nell’ industria, nello stesso periodo, salirono da 5 milioni 70 mila a 6 milioni 316 mila e i salari medi annui da 648 marchi a 735. La Germania esporta più merci e meno uomini di prima, secondo la cele­ bre frase del Caprivi, e queste cifre sole bastano a delineare la necessità della Germania di trarre a buon mercato dall’ estero grandi provviste ali­ mentali, come avviene per l’ Inghilterra, le quali sono fornite dai popoli a economie più depresse (la Russia, l’ Italia, la Spagna), e d’ introdurre in franchigia per i suoi opifici le materie prime.

Quindi tutte queste ragioni concorrono a lasciarci travedere che la Germania non vorrà perdere o indebolire la sua azione egemonica nella stipulazione dei trattati di commercio. Come avvenne nel 1891-1892 l’ Italia le starà ai- fianco in questa sua opera di civiltà che nessun altro Stato principale vuole o può iniziare oggidì.

Infatti l’ Inghilterra sinché non vi prevalga (e ci vorrà molto tempo ancora) la politica do­ ganale di Chamberlain con i dazi differenziali a favore delle colonie, trattando oggidì tutti i paesi alla stessa stregua, non è temuta, non potendo nuocere a nessuno in modo particolare. La Rus­ sia sterminata non può ancora esercitare una in­ fluenza nella politica commerciale. Gli Stati Uniti, nonostante i buoni e sagaci intendimenti di Mac Kinley, ii quale vuol proteggere coi trat­ tati le esportazioni americane, non hanno ancora votato nel loro Senato le convenzioni commer­ ciali colla Argentina, colla Giamaica e colla Fran­ cia e continuano a negare a noi nei negoziati laboriosissimi in corso, e pieni di pericoli per le nostre esportazioni, il 20 per cento di ridu­ zione di dazio sugli agrumi concesso alla Gia­ maica,

La Francia che nel 1860, dopo il trattato di commercio coll’ Inghilterra, esercitava un’ azione egemonica sulle correnti del mondo commerciale, ha perduta l’alta ambizione di dirigerle ; ha pre­ ferito l’autonomia delle tariffe massime e mini­ me (le minime sono i minimi dei massimi), ce­ dendo, senza accorgersene, alla Germania lo scettro commerciale. Questa non può lasciarselo gittare a terra dagli agrari, deve rimanere il centro di attrazione, preparando per la fine del 1903 coll’ Italia, colla Svizzera, coll’Austria-Un- gheria l ’opera salutare iniziata nel 1891 quando Germania e Italia salvarono in Europa il prin­ cipio dei trattati di commercio.

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tative ulteriori coll’ Italia. Eorse i dazi minimi, sotto i quali non si possa scendere nelle tratta­ tive, s’ introdurranno nella tariffa tedesca per alcuni prodotti che non c’ interessano, per esem­ pio, per i cereali a difesa contro la Russia e gli Stati Uniti, per i ferri e per gli acciai a difesa contro il grande trust americano. E vi è fondato motivo di credere che la Germania neppure se­ guirà l’esempio della tariffa degli Stati Uniti, chiamata col nome di Dingley e che non consen­ te al Presidente nelle trattative cogli altri g o ­ verni un ribasso di dazi maggiore del 20 per cento.

Che se seguendo una scherma di negoziati, che ha ornai perduto il suo valore, la Germania nella nuova tariffa che prepara vo.esse mettere dei dazi su prodotti nostri, che ora ne sono im­ muni come i fiori, le foglie, i cavoli, i seda­ ni, le cipolle, i fagiolini freschi, i cetriuoli, le verdure, le insalate, i funghi, ecc. eco., o cre­ scere i dazi convenzionali ora fissati contrattual­ mente costringendo l’ Italia a preparare una tariffa specifica di egual peso contro le impor­ tazioni tedesche, l’oratore nutre sempre la fiducia e non parla a caso, che i due paesi finiranno per intendersi sulla base del trattato attuale. Sol­ tanto gioverà esaminare se, secondo 1’ opinione di molti enologi pugliesi competentissimi, tratta anche della inchiesta aperta dalla nostra asso­ ciazione, non convenisse ridurre a un dazio solo, per esempio, fra 15 e 16 marchi, i due dazi che ora colpiscono i vini italiani che vanno in Ger­ mania (10 lire il vino da taglio e 20 quello pel consumo), essendo insopportabili le formalità sul vino da taglio e tali che per evitarla si paga spesso il dazio maggiore. Del resto ove occor­ resse, l’ Italia saprebbe difendersi validamente, poiché nel caso della Germania delle nostre esportazioni nel 1899 su 236 milioni di lire, se­ condo la statistica italiana, 137 milioni sono di materie seriche esclusi i tessuti. E deducendo anche la canapa e lo zolfo, di cui la Germania non può privarsi, le nostre esportazioni si ridu­ cono, secondo la statistica italiana, a 87 milioni di lire o 97 milioni di marchi, secondo la stati­ stica tedesca.

Per contro, la quasi totalità di importazioni tedesche in Italia in 193 milioni, può essere du­ ramente colpita od esclusa dai dazi italiani, il che si dimostra ; l’ oratore però qualifica una ipotesi assolutamente inverosimile la guerra do­ ganale fra l ’ Italia e la Germania.

Rispetto all’ Austria-Ungheria le difficoltà sono maggiori per la clausola dei vini ; ma am­ messa l’ipotesi, che è quasi una sicurezza, delle buone disposizioni della Germania verso l’ Italia e dell’azione della Germania per salvare la po­ litica dei trattati di commercio, si finirà per trovare coll’Austria-Ungheria per ogni specie di vini, ma segnatamente per i vini bianchi da taglio, come l’on. Luzzatti ha largamene chiarito a Bari, il modo di intendersi. Non si può uscire da queste argomentazioni;, se si toglie il vino aUe esportazioni italiane in Austria-Ungheria si romperebbe 1’ equilibrio dei reciproci compensi, mancherebbe la ragione di fare un trattato col­ l’Austria-Ungheria.

Ma questo trattato è indispensabile date le

irregolarità dei confini fra l’Austria-Ungheria e l’ Italia che senza i temperamenti di speciali ac­ cordi diverrebbero insopportabili, e data la im­ possibilità senza conseguenze gravissime, dalle quali rifugge il pensiero, tanto sarebbero terri­ bili, di dividere in due campi avversi il mare Adriatico contro la natura, la storia e gl’ inte­ ressi vicendevoli della popolazione. Quel trattato col cabotaggio, colla pesca e con altri provvedi­ menti savi riunisce ciò che la politica divide.

Quindi poiché è impossibile intenderci col- l’Austria-Ungheria senza i vini e poiché ancora è più impossibile rimanere senza trattato, il ne­ goziato sarà asprissimo, ma l ’accordo finale sarà indispensabile.

Più difficile si presenta la prospettiva attuale colla Svizzera, la quale si duole che mentre l’Italia nel 1899 le mandò 246 milioni di merci, secondo la statistica italiana, la Svizzera non abbia man­ dato in Italia che per 49 milioni. Queste cifre già vanno rivedute poiché le importazioni ita­ liane in Svizzera, secondo la statistica svizzera, si riducono a 190 milioni, così divisi in cifre tonde :

Materie prime che la Svizzera deve

comprare da n o i ... 120,000,000 Prodotti f a b b r ic a t i ... 10,000,000 Prodotti a lim en tari... 59,500,000

Le sole merci seriche, senza i tessuti, la ca­ napa greggia e lo zolfo, introdotte dall’ Italia in Svizzera nel 1899, rappresentano 88 milioni, se­ condo le statistiche italiane, e 79 secondo le svizzere.

Aggiungasi anche che i valori delle esporta­ zioni italiane nel 1899 furono ingrossati per l ’alto prezzo della sete. Però il nostro paese è disposto ad esaminare con equità, come, fra le altre, ha fatto per le merci di cotone nei negoziati del 1891-1892, i dazi che si potrebbero temperare nelle tariffe industriali italiane e l’oratore per parte sua sarebbe persino disposto a esaminare e raccomanda allo studio dell’Associazione degli agricoltori l’eguaglianza nelle tariffe dei for- maggi.

Ma l’onorevole Luzzatti si duole che nella conferenza tenuta recentemente dal suo amico Frei, deputato di Zurigo, al Circolo di San Gallo, discutendo la convenienza di una lega doganale della Svizzera colla Germania, coll’Austria-Un­ gheria, e coll’ Italia abbia avute parole piuttosto acerbe verso l’ Italia.

E poiché il Frei è uno degli eredi della sa­ pienza economica di Cramer Frei e di Numa Droz, i due grandi negoziatori della Svizzera coi quali ebbe più volte l’ onorevole Luzzatti a trat­ tare, traverso il Gottardo aperto ai traffici dei due paesi e del mondo, traverso al Sempione che sta per aprirsi ei manda al forte uomo politico di Zurigo una parola di pace economica, lieto che la Camera di commercio di Ginevra, la città che in modo ateniese esprime il pensiero svizzero, opponendosi alle proposte degli agrari, temibili per la loro influenza politica, così si esprima :

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cani-294 L ’ E C O N O M IS T A 19 maggio 1901

bista, tanto nelle discussioni che avranno luogo esaminandosi la legge delle tariffe doganali, come nelle conclusioni dei nuovi trattati di commercio.

Da questa libera tribuna di Firenze manda al suo amico Georg ohe dettava quel rapporto un cordiale saluto di consenso.

L ’ oratore si addentra nell’ esame di alcune voci doganali agrarie dolla tariffa italiana, di­ mostrando segnatamente la equità di un dazio convenzionale sul vino di 12 lire, sugli olì di 10, salvando l’ Italia dalle illecite miscele ordite a danno dei suoi prodotti genuini.

L ’ oratore così riassume la politica doga­ nale italiana, essa non minaccia alcuno Stato, è conciliante e transigente. Come fece col Brasile così per la Russia e per gli Stati Uniti, al fine di accrescere le esportazioni agrarie, è disposta a sagrifìcare nel provento dei dazi; il che però richiede una forte politica finanziaria per non disperdere in rivoli inefficaci ciò che bisogna accumulare per la difesa delle nostre esporta­ zioni.

L ’ Italia non deve prendere l’ iniziativa di denunziare qualsiasi trattato e deve dichiararsi pronta a rinnovare gli esistenti con qualche mo­ dificazione suggerita dai recìproci interessi. Essa non deve prendere l ’iniziativa di tariffe di guerra fidando nell’ equità delle negoziazioni che è di sposta a condurre con liberali intendimenti. Ma se gli altri Stati si premunissero contro di noi con più aspre tariffe e nella misura in cui si premuniscono, l ’ Italia deve imitarli, poiché se la prepotenza sarebbe una cattiva politica, la de­ bolezza, dopo tante prove di equità, sarebbe una colpa maggiore. Noi non minacciamo nessuno, ma per la legittima tutela delle nostre esporta­ zioni agrarie invocheremo quelle energie piene di alti avvedimenti e che contengono in se me­ desime le soluzioni felici, delle quali danno in­ segnamento immortale i grandi statisti dell’ an­ tica Firenze, che, come si trae da recentissimi studi, furono incomparabili anche nell’ arte dei negoziati commerciali.

L ’ oratore chiude il suo discorso con una splendida perorazione sulla libertà economica e si compiace di ricordare dalla storica sala dei duecento, che ispira tante memorie, le sante pa­ role di Sallustio Bandini che invocava a sollievo dei popoli « un respiro di libertà » ; ed augu­ rando che le alleanze politiche non vogliano mai significare sopraffazione dei forti sui deboli, esprime la speranza che i trattati di commercio che si rinnuoveranno segnino un’ era di pace.

LA QUESTIONE DI NAPOLI

IV.

Ancora del regime straordinario. (Nostra corrispondenza)

Ricorderete che l’ avevo previsto. Nella let­ tera che pubblicaste nel vostro ultimo numero prevedevo che i poteri dello Stato avrebbero di­ sposto in modo diverso da quello ch ’ io reputo migliore ; cioè non avrebbero saputo decidersi

a mantenere nella città di Napoli un provvido regime eccezionale per un tempo abbastanza lungo.

Di fatti in queste settimane la Gazzetta Uf­

ficiale ha pubblicato la recentissima legge che

permette al Governo di prorogare i poteri del R. Commissario per non oltre sei mesi, e con­ temporaneamente un R. Decreto che li proroga per tre mesi soltanto, almeno per ora. Dico per

ora, perchè nessuno potrebbe asserire che, spi­

rato questo termine, il Governo non si troverà costretto a valersi, con un nuovo Decreto, degli altri tre mesi che la ricordata legge gli concede. Occorrendo, dunque, lo potrà; e aggiungo che dovrà farlo e che occorrerà di certo, perchè fra tre mesi, e anche prima, le nuove liste per le elezioni amministrative, rivedute e corrette, sa­ ranno pronte, ma sulla responsabilità dei loro passati amministratori, molti dei quali potrebbe darsi si presentassero candidati alle future ele­ zioni, i cittadini non potranno ancora essere il­ luminati quanto basta.

Ed è facile dimostrarlo. La Relazione da cui era accompagnato il piccolo disegno di legge sulla proroga, diceva giustamente : « Non sa­ rebbe equo, nè provvido, far susseguire le ele­ zioni subito dopo la pubblicazione della Rela­ zione (della Commissione di inchiesta) perchè qualunque abbia ad esserne il risultato, è giusto lasciare un certo tempo per mettere in grado la cittadinanza di procedere ponderatamente ad una coscienziosa e avveduta scelta degli amministra­ tori futuri ». Parentesi: il ministro proponente, che qui parla bene, parlava male poche righe più sopra con l’ incomprensibile affermazione che l’ opera del R. Commissario e quella della Com­ missione di inchiesta è necessario abbiano a ces­ sare contemporaneamente ( ? ! ), Ma tiriamo via, chiudendo la parentesi, su questa strana contra­ dizione. Tra la fine dell’ inchiesta e il ritorno al regime elettivo deve dunque lasciarsi correre un

certo tempo, che non viene peranco determinato,

ma che dovrà esser tale da permettere una scelta di eleggibili coscienziosa ed avveduta. E allora non può esser breve, perchè gli uomini che dal­ l’ inchiesta venissero a risultare, se non altro in­ diziati di atti delittuosi, o ad ogni modo ripro­ vevoli e disonoranti, hanno diritto di difendersi al cospetto del paese intero; e processi giudi­ ziari, o anche soltanto polemiche e dibattiti per mezzo di opuscoli e della stampa periodica, in argomenti che toccano tanti interessi materiali e morali e che tanto accalorano gli animi, non si sbrigano davvero in quattro e quatti-'otto. C’ è anzi da prevedere uno strascico largo e lungo come quello delle comete.

Pertanto, gli ulteriori tre mesi di proroga dei poteri del R. Commissario, permessi dalla recente legge, saranno indispensabili quanto l’aria da respirare. Per fare questa previsione non oc­ corre aver la laurea di profeta.

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a un inconveniente a cui si è fatto male a non pensare. Osservate infatti che se vi saranno po­ lemiche e anche processi, come già ne corre voce, se per conseguenza sulle responsabilità de­ gli antichi suoi amministratori la città non sarà ancora abbastanza illuminata, il Governo non potrà proporre un’ altra legge di proroga, per­ chè alla fine di ottobre e ai primi di novembre il Parlamento non è mai aperto.

E allora?

Ho un ultimo resticciuolo di speranza, ma proprio un barlume e nulla più. La legge testé votata consente che il regime straordinario per Napoli, duri altri sei mesi. Con quelli che è già durato farebbero dodici. Ma mesi addietro ne era stata presentata un’ altra più generale, non ancora discussa dal Parlamento, ma non ritirata, se non erro, secondo la quale il Governo, in caso di scioglimento dei Consigli Comunali, sa­ rebbe autorizzato a prolungare i poteri dei R. Commissari fino a diciatto mesi. Diciotto mesi sono già qualche cosa, anche nel caso pre­ sente di Napoli, sarebbero un periodo tale da la­ sciare agio di gettare alcuni buoni semi pel futuro. Secondo me, e a momenti ve ne dirò i mo­ tivi, non sarebbero troppi due anni, tutto coni preso. Ma intanto meglio diciotto mesi che do­ dici; senza contare che nel frattempo il Parla­ mento si riaprirebbe e forse.... chi sa?... il regime straordinario, disciplinato però diversamente e meglio che oggi non sia, facendo buona prova, otterrebbe una proroga di altri sei mesi, ultima e definitiva. Sogno? Temo di si. Seppure, prima che si giunga alle vacanze estive, quella tal legge che dicevo, che concerne, non il solo Comune di Napoli, ma eventualmente l’ uno o l’ altro degli ottomila e più del Regno, potrebbe venire un po’ in discussione,,, purché si volesse. Ma, ripeto, non ci spero.

Più ci penso, più considero la questione da ogni lato, e più mi raffermo nella mia idea.

Qui tutto l’ ambiente dal lato morale, civile, sociale, è.... sapete già che non ho peli sulla lin­ gua.... è mediocrissimo. S’ intende che lo giudico m complesso e in media. Non valgono uno zero le solite difese generiche, le solite variazioni sul tema: — ¡buoni sono i più, ma si sentono sfiduciati, gli intriganti e i disonesti sono i meno, ma sono arditi e vengono troppo lasciati fare ; gli altri italiani non ci conoscono abbastanza, questa po­ polazione è calunniata, ha pregi e valore intrin­ seco, ma ora è accasciata moralmente, lo Stato ci ha tolto tutto e in cento modi ci tratta male, e simili discorsi. Sono tutte chiacchiere e sono un cattivo segno. Chiacchiere, perchè conterranno parecchie particelle di vero, ma trascurano o ve­ lano la verità principale. Cattivo segno, perchè quando per guarire, per risorgere, per provve­ dere alle proprie cose si rilevano sempre i torti altrui, si pretende trovare tutte le colpe nelle circostanze esterne e non si recita quasi mai il

mea cidpa, o appena appena a mezza voce, di­

strattamente e come un puro di più, si è addi­ rittura fuori di strada.

Il Nitti, che sui mali della vita napoletana contemporanea ha fatto, in vari scritti, una delle

più complete e sagaci diagnosi, batte fra altro sulle colpe del Governo — e non questo o quello, ma tutti — che per più anni chiuse gli occhi sui furti, spesso determinandoli, fomentando la cor­ ruzione, mantenendo impunite colpe chiare e pa­ tenti. « Si può dire in tutta onestà che a Napoli, il più grande e il più pericoloso camorrista sia stato sempre il Governo ». *) La frase sembra paradossale, ma è esatta e a suo luogo viene giu­ stificata col riferimento di eloquentissimi fatti. Pur tuttavia.... ma no, lasciate che parli con un bell’aneddoto d’ un morto illustre, Cesare Balbo. La citazione è lunghetta, ma è tanto cal­ zante e istruttiva! E, francamente, quanti de’ più giovani tra i vostri lettori avranno letto le opere del Balbo?

« Uno straniero, non de’ nostri molti inna­ morati, ma de’ nostri amici severi, un illustre Tedesco settentrionale, trovandosi una sera fra parecchi non del tutto indegni italiani, e conver­ sando con amore delle condizioni, delle virtù e delle speranze d’Italia, mordeva pure amaramente i men buoni costumi d ’ una delle provincie sog­ gette allo straniero. Sorgevano gli Italiani a com­ patire, a scusar i fratelli, ad accusarne i corrut­ tori. Avete ragione rispondeva quegli con sua .freddezza e sua pronunzia tedesca. Avete ragione; ma una nazione che non vuol lasciarsi corrom­ pere, non si lascia corrompere. Ed insistendo noi, e citando fatti e nomi, e gli esuli là ripa- triati a cui fu raccomandato divertirsi; e i gio­ vani,, che presentandosi con un manoscritto alla censura, ricevetter risposta esser peccato che uomini di famiglia e di speranze si perdersero in letteratura; ed in altri non dissimili fatti: Avete ragione, riprendeva il duro Tedesco, ma una na­ zione che non vuol lasciarsi corrompere non si lascia corrompere. Ed infiammandosi la disputa e venendosi alle grida e al domandare: Come si fa? Chi ci può? Che ne sarà? Avete ragione, avete ragione, ripigliava colui, e noi potemmo trar mai di sua sentenza tedesca, avete ragione, ma una nazione che non vuol lasciarsi corrompere,

non si lascia corrompere ». Così è.

* * *

Se ci sono i buoni e gli ottimi! E come! sono numerosissimi. Ma sono tali individualmente presi. Collettivamente valgon poco. Se così non fosse i cattivi non prevarrebbero. Come posso dunque farne gran stima?

In un regime libero la bonarietà remissiva e l ’ indifferenza non sono virtù, sono torti belli e buoni. In servitute dolor, ma in libértate labor. In altro campo si suol dire: tanto è ladro chi ruba, quanto chi tiene il sacco. Nell’ ordine di cose che ci occupa si deve dire: Se è colpevole chi, fa il male, è poco meno colpevole chi, potendo impedirlo, lo lascia fare.

« Ciò che è particolare a Napoli, scrive il prelodato prof. Nitti, è uno stato di depressione, di indifferenza al male, la mancanza di una co­ scienza pubblica, che reagisca quotidianamente all’abuso e non si contenti solo di repentine e transitorie ribellioni ». È proprio così, e scusate se è poco!

*) Su i recenti, casi di Napoli, nella ¡Riforma So­

ciale del 15 Dicembre 190C.

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296 L ’ E C O N O M IS T A 19 maggio 1901 « Oggi molti non votano — scrive il Se­

natore Senise, che anni sono fu prefetto di Na­ poli — perchè credono inutile votare. Se la fiducia rinascerà, finiranno quelle astensioni che sono biasimevoli, ma che si spiegano e qualche volta si giustificano ».

Fino allo spiegarsi, concedo; giustificarsi mai. Si faccia il dovere e accada che può. Ognuno deve far sempre, a fin di bene, tutto quanto è in poter suo, sia destinato o no che riesca nell’ intento. E se tutti lo facessero sem­ pre, ci riuscirebbero spesso.

Se si disconoscono questi principi, che cosa si intende per moralità? E quando la parte più eletta d’ una popolazione trascura questi doveri e non sente impulsi di solidarietà sociale, come osa chiamarsi civile? E quando questo stato de­ gli animi e questi costumi perdurano e produ­ cono più o meno periodicamente i bei frutti che tutti vedono, con che faccia i cittadini sostengono che la loro città viene calunniata? Come hanno coraggio di lamentarsi o di impermalirsi se la vedono così spesso sottoposta dallo Stato a tutela?

Sono severo, lo sento, ma mi appoggio, ol­ treché ad osservazioni mie, a giudizi di uomini autorevoli.

E adesso vi darò particolari anche più ca­ ratteristici.

* * *

C’ è anche di peggio dell’ indifferenza; la mancanza di coraggio civile.

Riferendosi al tempo in cui era prefetto, il senatore Senise scrive: « Molti venivano nel mio gabinetto e si mostravano informati di cor­ ruzioni e disordini. Ma come io li incitavo a rea­ gire, si ritraevano. Spesso i più onesti sono i più timidi, sicché l’ onestà diventa inutile ».

Deve dunque considerarsi altamente pre­ zioso e benemerito l ’ esempio dato dal giornale

La Propaganda, di parlare come si pensa, ope­

rare come si parla, dire ad alta voce, assumen­ done qualunque responsabilità, ciò che mille e mille non dicevano fuorché sottovoce. L ’ anda­ mento e l’ esito del processo Casale sono tanto note, che non è più il caso di parlarne. Ma forse molti, fuori di qui, ignorano come fosse difficile al giornale accusatore trovare testimoni e indurli a dire la verità, e come poi vi riuscisse. A do­ però un modo ingegnoso quanto lecito, che me­ rita un cenno.

I suoi redattori, conoscendo l’ambiente, sa­ pevano benissimo che parecchi, i quali conosce­ vano di certa scienza numerose azioni illecite del Casale e le andavano raccontando, non avreb­ bero poi avuto il fegato di confermare le proprie parole in Tribunale, se chiamati a deporre cóme testimoni. Ebbero perciò l’accortezza di frammi­ schiarsi, per istrada, nei caffè e altrove, ai croc­ chi dove si sparlava del Casale ; e prendendo parte ai discorsi, provocarono, senza parerlo o la rivelazione di fatti meno noti o, sui fatti già noti, particolari spesso importanti. Uno di essi, inosservato, prendeva appunti, anzi estendeva veri verbali di tali colloqui, a cui veniva poi messa la firma dei testimoni presenti. Raccoltosi così un copioso materiale, coloro che avevano

raccontato cose di qualche rilievo venivano av­ vertiti che all’occorrenza sarebbero stati citati per deporre davanti il magistrato, sicché anche i più timidi dovettero, con più o meno rasse­ gnazione, prepararsi a confermare in giudizio le proprie parole, a dire la verità e dirla tutta, sotto la minaccia d’una accusa di falsità o di re­ ticenza.

Così il processo potè riuscire concludente, tanto che la sentenza, come sapete, disse rag­

giunta pienamente la prova.

Avrei preferito ohe la lotta contro la di­ sonestà fosse stata iniziata da uomini di parte costituzionale. Ma il bene si deve pregiare da qualunque parte venga. Avversario, in altro or­ dine di cose, degli uomini della Propaganda, li ammiro per ciò che hanno saputo fare e li lodo senza riserve pel buono esempio che hanno dato e che non deve restare senza imitazione. Vorrei anzi che perseverassero nell’ opera intrapresa. Non si deve amare lo scandalo per sé stesso, ma non si deve neanche averne orrore, quando serva, come qui oggi può servire, a far luce e giustizia. « Combattere la piccola camorra — scrive ancora il già ricordato ex prefetto di Na­ poli, che per gli uffici tenuti se ne deve inten­ dere — è relativamente facile,, poiché essa vive all’ ombra della più grande. E contro quest’ ul- tima che bisogna agire. Più sarà grande il nu­ mero delle persone che saranno messe fuori, o punite, o condannate, e più si sarà agito util­ mente. La folla non ricorrerà al protettore quan­ do vedrà i protettori in carcere. »

Ma perchè i colpevoli, senza pregiudizio delle maggiori pene che possano meritare, re­ stino esclusi definitivamente dalla vita pubblica, bisogna, lo ripeto una volta di più, che l’ inchie­ sta in corso abbia avuto il suo compimento, che li abbia indicati, che si istituiscano, in base a ciò, gli occorrenti giudizi penali e questi si di­ battano con la inevitabile ampiezza. Epperò torno sempre lì: fino a quel momento io non credo utile si venga a.11’ elezione della rappresentanza civica. Lo so che nel frattempo le liste degli elettori saranno state epurate. Il corpo eletto raffi, mettiamo pure, sarà alquanto migliore di prima: è qualche cosa, di certo, ma non basta. Dopo tutto quello che sono venuto dicendo, troppi indizi mi sembra inducano a dubitare ch’esso sia per ora, come quello di altre città, pari al proprio compito. Per me, lo terrei un anno di più in riposo. Credo che molte male abi­ tudini si perderebbero pel fatto d’essere rimaste fuori d’esercizio.

Questo desiderio non è soltanto mio. Ne ri­ parleremo, se credete, nel numero venturo, esa­ minando anche quale forma di amministrazione non elettiva potrebbe essere opportuna quando quella del R. Commissario avrà termine. Dopo di che, sarà ora di studiare un poco i desidera­ bili provvedimenti d ’ indole economica.

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LA RELAZIONE DELL’ On. BOSELLI

sui provvedimenti finanziari

È stata distribuita alla Camera la rela­ zione dell’ on. Boselli, presidente e relatore della Commissione dei nove, sui provvedimenti finanziari. La relazione è contenuta in un fasci­ colo di 3 ) pagine. Eccone un riassunto; omettia­ mo ogni commento per attendere il progetto de­ finitivo.

Il dazio di consumo.

Premesse alcune notizie sull’ ordine dei la­ vori prescelti dalla Commissione nell’ esame dei provvedimenti finanziarii, il relatore parla del dazio consumo.

Dice che la sua abolizione non può essere che una abolizione misurata, graduale, concepita organicamente, conserta colle vicende di tutto il sistema tributario, cautamente attuata. E mestieri per essa che sia saldo il bilancio dello Stato, che la vita comunale si rinnovi, che 1’ azienda comu­ nale si rinfranchi con altri concetti, con altri isti­ tuti.

Mentre si distrugge il dazio consumo o s’im prende a trasformarlo e spostarne gli effetti, fa d’uopo ben valutare, in tutte le sue conseguenze, ciò che si surroga ad esso, affinchè nuovi gra­ vami non sorgano a far desiderare gli antichi e si evitino le difficoltà, le delusioni, i rimaneggia­ menti che accompagnarono anche nel Belgio la celebrata riforma.

I provvedimenti ministeriali dichiarano aperti col4gennaio 1902tuitri 274 comuni attualmente chiusi di terza e quarta classe — e in tutti i co­ muni aperti aboliscono i dazi comunali sulle fa­ rine, sulle paste, sul pane di frumento.

Perdono cosi i comuni circa quaranta milioni, che il governo riduce a 29 e mezzo pel risparmio della spesa di riscossione: aggiungiamo i tre mi­ lioni e 700 mila lire per l’ abolizione del dazio sulle farine nei comuni già oggi aperti e si ar­ riva a un totale di 33 milioni.

Le proposte presentate dal Governo coste­ rebbero al bilancio dello Stato 21 milioni; risar­ citi, con 10 milioni all’ incirca, mercè quattro nuovi provvedimenti d’ ordine finanziario ; con otto milioni prelevati dalla plusvalenza di una rendita assegnata al servizio di debiti redimi­ bili ; col minor onere dei premi alla marina mer­ cantile : « con alcune lievi economie introdotte

nei conti della spesa. »

II sistema dei provvedimenti è parso alla maggioranza della Commissione vacillante, fal­ lace e tale che l’azione ne riuscirebbe perturba­ trice ed ingiusta.

Inoltrandosi nell’ analisi critica, la relazione distrugge l’ ipotesi ministeriale che i Comuni di 3a e 4a classe, divenendo aperti risparmino sette milioni delle L. 7,700,600 che ora spendono per riscuotere i dazi di consumo.

L ’onere della riscossione sarà in essi la metà almeno di quello che oggidì vi si incontra. Nè potranno giovarsi al confronto della spesa attuale di un’economia maggiore di tre milioni e mezzo e però il disavanzo per quei Comuni sarà non

di 29 milioni e mezzo, ma di oltre 33, senza te­ ner conto della difficoltà di realizzare questa economia perchè difficilmente potranno i Comu­ ni, ad un tratto, licenziare gran parte del loro personale daziario.... proprio nel momento che esso sperava di acquistare dallo Stato stabilità e riconoscimento della sua carriera ! Qual meravi­ glia se da Portici a Rimini, da Tivoli ad Ales­ sandria suonano alti i reclami, o se da 245 co­ muni giunge la petizione che 7034 impiegati ed agenti daziarli presentano al Parlamento, forti delia promessa loro fatta dal Governo, per bocca del Presidente del Consiglio, di tutelarne i le­ gittimi interessi e voti ?

L ’ esame dei corrispettivi.

Non scorge la Commissione con quali mezzi nei Comuni di 3a e 4a classe passati alla cate­ goria degli aperti, si riparerebbe al disavanzo la­ sciato a carico loro, disavanzo di 11 milioni nel primo quinquennio e successivamente di ben trentatre milioni.

Ed infatti, una minuta critica delle facoltà che il progetto consente ai Comuni, avvalora il dubbio della Commissione: scarso profitto da­ ranno l’ importazione dei materiali da costruzioni di edifizi, non pure giustificato l’aumento del da­ zio sulle armi, si combatte l’aumento di tasse lo­ cali, spesso più invise degli stessi casotti daziari, si censura l’assegnamento fatto sulla sovrimposta al tributo fondiario, e di tutte le previsioni mi­ nisteriali è distrutto sin l’ ultimo vestigio.

Esaurita cosi la disamina dello sperato ma non credibile reddito maggiore delle imposte, la relazione passa al tema della diminuzione severa delle spese dei Comuni.

Seguendo le proposte ministeriali, ai comuni che'da chiusi diverranno aperti saranno abbuo- nati i nove decimi degli attuali canoni governa­ tivi : provvedimento per sè largo, perchè a ra­ gion di calcolo sette decimi basterebbero, non giusto rispetto ai comuni oggi aperti, inorganico in ordine all’assetto del tributo, motivo di nuove sperequazioni, ma praticamente spontaneo ed ac­ concio.

Il fondo di reintegrazione.

Ed ecco ci al proposto fondo di reintegrazione. Agli otto milioni provenienti da cotale ab­ buono i due fondi di reintegrazione aggiungereb­ bero 13 milioni. Si comprende e si giustifica il concetto di questa forma di concorso governativo. Non gioverebbe a ripartirne gli aiuti una di quelle distribuzioni che soglionsi dire automa­ tiche. Non v’è, a mo’ d’esempio, coerenza fra i risarcimenti che occorrono ad un comune e il provento ch’esso tragga dal dazio di consumo. Cadute le barriere nel comune di Bergamo, pro­ segue ragguardevole la riscossione daziaria, de­ clinerà invece notevolmente se le barriere ca­ dranno a Trani, a Corato, a Terlizzi. Il sussidio deve in ogni singolo caso commisurarsi al bisogno e tener in conto le circostanze nelle quali versa l’azienda comunale e la condizione dei contri­ buenti.

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298 L ’ E C O N O M IS T A 19 maggio 1901 « il controllo del Consiglio dei ministri », eccita

sospetti che sono inespugnabili nelle assemblee parlamentari.

Sarebbe mostruoso il compito d’una Com­ missione che dovesse esaminare ogni anno, per cinque anni, duemiladuecento bilanci comunali, negando e concedendo, con facolta illimitate, col pericolo di parzialità, con decisioni da rive­ dersi annualmente, e soggette all’approvazione del Governo, inappellabili per i Comuni.

I dazi sulle farine e i Comuni del Mezzogiorno. Il relatore esamina poi il provvedimento per l’abolizione del dazio sulle farine nei Comuni che sono oggi o che diverranno aperti. Dopo aver detto quanti sono oggi i Comuni chiusi ed aperti che riscuotono il dazio sulle farine, il relatore esamina così il provvedimento in rapporto ai Co­ muni del Mezzogiorno.

« Ma le conseguenze finanziarie dell’aboli­ zione del dazio sulle farine tornano incompara­ bilmente più gravi per i Comuni del Mezzogiorno che per gli altri Comuni italiani, perchè i Co­ muni del Mezzogiorno perdono in misura almeno doppia degli altri e in essi fallirà la ricerca di maggiori profitti in altre voci della tariffa da­ ziaria, già assai tormentata e cui poco assecon­ dano i consumi più in uso; non si potrà premere quanto bisognerebbe la sovraimposta ai tributi diretti, che già tocca gli estremi confini; e_l’ intro­ duzione di altre tasse locali, delle quali già si estese anche colà l’esperimento nei termini del ragionevole, o frutterà poco o susciterà nuova e peggiore acerbità di querele e d’ agitazioni.

« Seguendo la via del disegno ministeriale mentre si adempie tale riforma per la quale è mestieri si trovino a ristoro dei Comuni cui si riferisce, undici milioni e mezzo, o forse tredici milioni, il dazio sulle farine rimarra intatto nei Comuni di l a e 2^ classe nei quali ammonta ad oltre 18 milioni e grava mediamente ogni abi­ tante di lire 4,52.

« Nei comuni di la classe non sono ignote le tasse che oltrepassano le cinque lire; in quelli di 2a classe si percorre una scala che comincia da 90 centesimi, e finisce a cinque lire e porta una media di lire 3.

« Le farine circoleranno affrancate dal da­ zio a Spezia (oggi pagano lire 2,40) a Cuneo (lire 1,20) a Forlì (90 centesimi) a Imola (70 centesimi) ma sosterranno, senz’ alcun inizio di riduzione, dazi ben più gravi a Palermo (lire 5,50), a Messina (lire 5,25), a Catania (lire 5), a Li­ vorno (lire 4,80), a Napoli (lire 4).

* Nulla muterà nelle tariffe dei Comuni, per circa due terzi meridionali, che formano la 2a classe, benché in essi si palesino più spiccati quei fatti onde male si comporta il dazio sulle farine e vi si annoverino i comuni di Anùria, Barletta, Bitonto, Corato, Cerignola, Foggia, Partinico, Molfetta ed altri ancora nei quali si scrissero ai di nostri, imprecando al caro del pane, pagine di sangue ».

Le conseguenze dell’apertura dei Comuni chiusi. Esamina quindi, la relazione, le conseguenze che avrebbe l’apertura dei Comuni chiusi.

Passando i Comuni di terza e quarta classe alla categoria dei Comuni aperti, i compratori al minuto continueranno ad essere soggetti essi soli a tutte le applicazioni del dazio di consumo, e gli agiati, oggi colpiti, se ne affrancheranno in gran parte.

Le conclusioni della maggioranza e le controproposte.

E opera eccessiva e che non può riuscir a buon porto quella che intende sgravare le fa­ rine e ad un tempo abbattere obbligatoriamente le cinte. Meglio concentrare le forze perchè spa­ risca il dazio delle farine, almeno gradatamente, ma dovunque.

Il passaggio obbligatorio dei Comuni di terza e quarta classe alla categoria dei Comuni aperti, nei quali più pagano i meno abbienti, una proposta condotta dal criterio empirico della po­ polazione, non distrugge il casotto dove più lo detestano le popolazioni rurali agglomerate : non offre vantaggi da pareggiare i sacrifici che im­ pone. Meglio sarebbe che lo Stato intervenisse colà solamente dove occorre, ma con piena effi­ cacia.

A data fissa, con una preparazione incom­ posta e precipitosa di sei mesi, si sconvolgono i bilanci comunali.

La sovraimposta elevata dappertutto al li­ mite legale non basta a risarcirli : al di là, la più gran parte della Commissione non vuole che si elevi : nessuno consente che si possa elevare senza limite alcuno.

Le nuove voci daziarie, le tasse locali danno poca speranza di maggiore produttività. La fède nelle economie è poco viva perchè vi sono note­ voli dispendi che 1’ attività e la civiltà delle po­ polazioni richieggono, e perchè riesce difficile il mutare repentinamente i pubblici costumi.

È unanime il volere che l’autonomia dei Co­ muni sia salva

Gli aiuti dello Stato debbono distribuirsi con criteri e coefficienti fissi. Le proposte rela­ tive ai fondi di reintegrazione non trovarono favore. Sovvertirebbero le libere istituzioni mu­ nicipali. Il carico dello Stato durerebbe oltre il quinquennio previsto.

Non tutte le proposte ministeriali rimasero senza difesa.

Si vollero distinguere le propensioni pro­ prie degli amministratori che signoreggiano nei municipi, dal voto delle popolazioni, e fu risposto che ai Comuni interessati il largo suffragio elet­ torale assicura una interpretazione comune.

Si ravvisò meno sensibile il dazio sulle fa­ rine nei centri ove sono maggiori i guadagni, e si contrappose come in essi sia anche più caro in generale il costo della vita e nei Comuni ru­ rali di seconda classe, esclusi dal benefìzio, i guadagni scarsi.

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La relazione riferisce integralmente le con- tropoposte presentate, successivamente, dagli on. Barzilai, De Nava, Daneo, e De Bernardis d’accordo con l’on. Suardi.

A questo punto la maggioranza della Com­ missione ritenne tanto scosse le basi del disegno ministeriale da essere oramai fuori di proposito il discuterlo ulteriormente. Onde fu approvato, con sei voti favorevoli e due voti contrari, 1’ or­ dine del giorno Curioni, (già pubblicato sui gior­ nali) col quale la Commissione, ritenuto che il disegno di legge non rispondeva all’ intento, deliberò di passare all’esame, delle diverse con­ troproposte.

La voce del paese.

Le istanze dei municipi pervenute alla Com­ missione la confortano nei sui giudizi. L ’ attua­ zione del disegno ministeriale porterebbe in tutta Italia disordini nei municipi, accrescimento eccessivo di gravezze, regresso o sosta nella vita civile. A talune città, attese particolari circo­ stanze, arrecherebbe rovina.

La relazione illustra e documenta larga­ mente questa parte e passa quindi a riferire sulla proposta presentata dall’ on. Zeppa e, a termini deli’art. 71 del Regolamento della Ca­ mera, da lui svolta personalmente.

La Commissione apprezzò gli intenti dello on. collega, ma avvertì che la di lui proposta varcava i confini della propria competenza, per­ chè indurrebbe alla formazione di un nuovo piano finanziario, e s’affida a previsioni delle quali non è dato oggi asseverare la consistenza. Onde la Commissione non potè inoltrarsi esa­ minando il disegno dell’on. Zeppa nel merito suo e si soffermò unanime alla questione pre­ giudiziale « per ragioni finanziarie e fors’anche costituzionali ».

Le nuove imposte.

Dopo aver detto che la Commissione non credette fosse nelle sue facoltà di presentare un controprogetto, il relatore passa ad esaminare i provvedimenti del Governo intesi a procacciare nuove o maggiori entrate.

Il governo presume di raccogliere sette mi­ lioni dalle tasse di registro, trentacinquemila lire dalla tassa sulle polveri piriche, novecentomila da quella per contratti di borsa e un milione e ottocentomila lire dal saggio sull’ oro.

Quanto alla tassa di registro, la Commis­ sione con sette voti contro uno, sostituì, al prin­ cipio della progressività, quello della degressione, il quale adempie in sostanza il medesimo con­ cetto in quella parte in cui più merita favore, evitando pericolo che esempi antichi e nuovi, dalla Decima scalata, alla recentissima delibera­ zione della Camera francese, dimostrano non immaginari.

La tariffa divisata dal Ministero, senza al­ cun sollievo per le piccole quote, e non appli­ cando la progressività oltre 1* lire 500,000, preme smoderatamente, fuor d’ ogni equa propor­ zione, sulle trasmissioni in linea retta, d’onde il fisco deriva in massima parte i suoi proventi. Ma per esse richieggono maggiori riguardi il sangue e quella stessa ragion civile, che istituisce i le­ gittimi eredi, e non rare volte il concorso dei

superstiti nelle opere produttrici delle quali si trasferiscono i frutti. In altri paesi il tributo non le tocca.

Al confronto degli altri paesi le aliquote delle nostre tasse successorie già tengono in ge­ nerale il primato, nè pare provvido consiglio che questo maggiormente s’ elevi.

La Commissione escluse ogni nuovo inaspri­ mento di tassa relativamente alle trasmissioni in linea retta, temperò quelle che concernono le trasmissioni tra coniugi o tra germani.

Così deliberarono sei fra i commissari, uno votò in contrario senso, uno si astenne.

Il reddito finanziario del disegno di legge, per tal guisa modificato, calò dalla previsione di sette milioni a quella di circa un milione.

Quanto alla riforma della tassa sulle polveri piriche, il rapporto speciale dell’ on. Daneo con­ clude ritenendola giovevole eziandio alla bontà del prodotto e alla sicurezza dei lavoratori.

Percorse tutte le questioni che l’ argomento consiglia, e vagliate le nuove misure della tariffa, l’ onorevole relatore formulò un emendamento che ebbe unanime approvazione dalla Giunta. Con esso, s’ accolgono dei reclami pervenuti alla Camera, togliendo al semplice volere della finanza la facoltà di estendere il trattamento fiscale « agli altri esplodenti di qualsiasi specie ».

Occorrerà invece un « decreto reale sentito il Consiglio di Stato ».

Da questo provvedimento si può sperare a vantaggio dell’ erario una somma di 200,000 lire.

Si riduce indubitatamente ad una cifra mas­ sima di lire 350, secondo il rapporto speciale dell’ onorevole Curioni, il maggior provento che promette la tassa sui contratti di borsa con una riforma ch e 'l’ onorevole relatore argomenta non compiuta, non abbastanza sostanziale, nè ardita, ma della quale espone i pregi e annunzia i buoni effetti morali col corredo di lunghi studi e coi risultamenti accurati delle proprie indagini.

Egli rileva come il tributo che lo Stato ri­ scuote dal giuoco dei ricchi sia pur troppo lon­ tano dalla somma che la fantasia popolare versa all’ erario col giuoco dei poveri.

Nè pure crede la maggioranza della commis­ sione che a questa somma si possano aggiungere gli otto milioni « che il Governo intenderebbe prelevare sulla plusvalenza della rendita asse­ gnata al servizio dei debiti redimibili di cui alla tabella A dell’allegato M alla legge 22 luglio 1894, num. 339, per tre esercizi consecutivi, a comin­ ciare dal prossimo in corrispondenza alla spesa straordinaria per la marina da guerra ». Si trat­ terebbe in sostanza di compensare per tre eser­ cizi con un debito il vuoto che si produce nelle entrate ordinarie del bilancio, di consumare una « larva » di disponibilità attiva destinata fin dalla sua origine ad essere annullata in quanto soprabbondante allo scopo; di adoperare fin da ora i risparmi d’un’operazione in corso, probabili alla stregua del passato, ma sempre presunti di fronte alle ulteriori eventualità.

La conclusione.

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300 L ’ E C O N O M IS T A 19 maggio 1901 « Dalle facili e aspettate accuse di avere

fatto opera vana e infeconda, la difende, oltre la inesorabile ragione di competenza il senti­ mento oramai fatto generale intorno al disegno di legge che non potrebbe attuarsi senza modi­ ficazioni cosi radicali da mutarne lo scopo e gli effetti.

« D ’altra parte l’opera della Commissione non sarà nè vana nè infeconda se varrà a per­ suadere tutti della necessità di restringere in li­ miti ben chiari e definiti il campo in cui allo stato presente ci è lecito operare a proposito di riforme tributarie. È opera troppo facile e peri­ colosa lo eccitare soverchie speranze, e fu sempre opera buona e sana e non estranea al compito nè di Governo nè di Commissioni parlamentari il contrapporre ad esso la visione del vero.

« Poiché niuno vuole che i bilanci dello Stato o quelli dei Comuni siano risospinti nel disordine, poiché tutti riconoscono che a mala pena e con passo incerto stiamo toccando il pa­ reggio e dobbiamo ancora fermarvi bene il piede non è ancora possibile dar compimento ad una opera veramente larga, efficace, organica di sgravi e di sollievo ai contribuenti, di riforme rinnova­ trici della vita amministrativa in Italia.

« Può bensì la ragione politica segnare fin d’ora la via che lo Stato italiano, democratico per intimo pensiero e secondo il carattere della sua Rappresentanza, deve percorrere verso un migliore e solido assetto tributario ; e perciò la Commissione fu unanime nel volere che si im­ prenda a sgravare gradualmente i consumi e in ispecie i più popolari.

« Ma la maggioranza di essa avrebbe sti mato, accogliendo le proposte del Governo, di creare nuovo e grave dissesto alle finanze dello Stato e dei Comuni e di colpire ad un tempo duramente, senza sollievo- per le classi lavora­ trici, quelle altre minute classi di proprietari e commercianti, le quali al nostro paese, dove non abbonda la ricchezza, danno il movimento eco­ nomico per cui si alimenta il lavoro nelle nostre campagne e nelle nostre città.

« Essa spera che, con occhio attento e mano prudente e con più completi studi, si pos­ sano preparare 1’ abolizione graduale in tutti i Comuni del dazio sui farinacei e l’apertura di quei Comuni dove per speciali circostanze essa corrisponde alla ragione economica, alla giusti­ zia sociale e all’opportunità politica.

« Dissipate le illusioni, tracciati i limiti del possibile, trovati i compensi alle perdite dello erario e dei Comuni, senza nuovi pesi incompor­ tabili a chi già è soverchiamente aggravato; lo inizio anche modesto, dell’ esonero dei tributi che cadono sui consumi più poveri, potrà essere ap­ prezzato nel suo intento, anche più che per gli effetti diretti, e varrà almeno come un pegno di maggiori riforme, di cui solo la severità della pubblica finanza potrà affrettare 1’ evento per il popolo italiano ».

IL PROTEZIONISMO

e la stipulazione dei trattati di commercio

Fra le molte pubblicazioni venute in luce negli ultimi mesi sulla rinnovazione dei trattati di commercio, e dovute alle Camere di Com­ mercio, merita d’ essere ricordata quella della Camera di Messina. Il relatore sig. G. De Grossi ha voluto esaminare quali criteri debbano es­ serci di guida nella negoziazione dei trattati di commercio ed ha fatto una critica piuttosto vi­ vace, ma giusta, della politica doganale italiana. Egli ha osservato che l’Europa durante l’Im­ pero francese del 1860, che fu poco tenero della libertà politica, ma fautore convinto della libertà di commercio, ebbe un periodo di prosperità eccezio­ nale. E l’ Italia, uscita allora dalle eroiche prove del suo risorgimento, seguì con indicibile slancio il salutare movimento di quell’ epoca felice verso le industrie e i commerci e riuscì a guadagnare in pochi anni gran parte del cammino perduto nella lunga schiavitù politica.

Se non che sventuratamente l’ interesse pri­ vato non tardò a soffiare i suoi sinistri influssi sui governi e nei parlamenti e ad invocare pro­ tezione ai propri prodotti in nome dell 'economia

nazionale.... E sorse allora il nuovo e non meno

infausto pregiudizio del protezionismo.

I governi spenderecci, i governi più incli­ nati alla politica di avventure furono pronti ad ascoltare la voce insidiosa. La trovavano co­ moda a mascherare e nascondere i loro intenti miseramente fiscali; donde la necessità più che mai imperiosa per essi della lustra dei trattati di commercio, vera espressione dell’ empirismo politico o della politica senza principi, che si prestavano mirabilmente a coprire col frascame diplomatico gli strumenti di tortura legale, che preparavano ai poveri popoli.

Però, va notato che i trattati di commercio che un quarto di secolo fa si ritenevano più dan­ nosi che utili, perchè creavano uno stato di cose precario, incerto e permettevano di fare una tariffa normale e poi di disfarla sono diventati una neces­ sità economica e politica.Lo stato di guerra econo­ mica nel quale in realtà si vengono a trovare le potenze europee e anche extra-europee in conse­ guenza del furore protezionista rende necessario che si trattenga quella lotta entro certi confini, che si attutisca con mutue concessioni, che non si finisca per lasciare incontrastato e assoluto impero ai dazi nominalmente protettori, ma di fatto il più spesso proibitivi, inscritti nelle tariffe generali.

Ecco perchè non è più possibile di sorgere contro i trattati di commercio e di domandare che non si rinnovino, come in altro momento po­ teva essere logico di fare.

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sui-irniente ai nostri tormentatori e nel 1887 una prima volta, nel 1893 una seconda, furono an­ cora inasprite, e inasprite di tanto da far per­ dere addirittura qualsiasi concetto razionale o semplicemente intuitivo del tributo. Si può però parlare di tributi allorquando una tariffa doga­ nale giunge all’ insensatezza di far pagare alla entrata di una merce estera un dazio pari a tre e più volte il suo costo primitivo?

Insistere su questo punto sarebbe ozioso pei lettori dell 'Economista ; ma la relazione cbe ab­ biamo sott’ occhio, scritta da persona favorevole al libero scambio, esposti i danni diretti del pro­ tezionismo, che sono quelli più noti e sui quali, più di sovente, si insiste, esamina anche i danni indiretti, specie per l’agricoltura, eh’ egli ritiene non meno ingenti dei primi.

Il protezionismo, scrive il De Grossi lungi dal favorire le colture e l’ amore alla terra è il più terribile avversario della vera agricoltura, intesa questa, come deve intendersi, nel senso d’ una industria progredita.

Non occorre essere erudito per sapere che la coltura a cereali fu ed è la più semplice e pri­ mitiva dell’ industria agricola, quella sempre mai preferita dai popoli meno inoltrati nella civiltà, perchè se da un lato è meno rimunerativa, dal­ l’altro non richiede che un mediocre grado d’ in­ telligenza. I popoli dotati di maggior intelligenza non si arrestano mai a quella coltura primor­ diale. Mano mano che progrediscono sentono la necessità di mutare la coltura estensiva in col­ tura intensiva, e piantano vigne, olivi, agrumi, alberi da frutta, ecc., o le associano la ricca industria del bestiame, che produce carne, latte, pelli, lana, ossa, tutte eccellenti materie prime per altre proficue e svariate industrie. Non è molti anni, quando cioè non si pensava a prote­ zioni, in Sicilia, un ettaro di terreno coltivato a giardino rendeva parecchie migliaia di lire al suo invidiato proprietario.

Ora poiché l’ Italia non è un popolo primitivo, ma possiede una industria agricola progredita si dovrebbe venire a questa logica illazione: che se ci fosse da proteggere in qualsivoglia modo la agricoltura italiana lo si dovrebbe fare in fa­ vore dei suoi fattori più cospicui, non mai di quelli che stanno all’ ultimo gradino. Invece av­ viene proprio il contrario per voler favorire la coltura infima, si son mandate in malora le col­ ture più ricche, quali gli agrumi, l’olio, il vino, ecc.

La condotta della Russia, degli Stati Uniti, del Brasile nei riguardi dei nostri prodotti sta a provare come il protezionismo ci ha danneg­ giato e come sia stoltezza pretendere di mante­ nere dazi altissimi contro gli altri e che gli altri non li elevino verso di noi.

Pur troppo la nostra politica doganale è stata finora vittima di una grande illusione; quella ap­ punto che presentandosi ai nostri contraenti con una tariffa elevata, essi, pur di ottenere qualche lieve ribasso, fossero disposti a farci le maggiori concessioni. E come giustamente osserva il rela­ tore della Camera messinese i nostri statisti nella negoziazione dei trattati finora hanno tremato al pensiero di accordare qualsiasi riduzione sui no­ stri dazi che possa diminuire di mille lire, sia pure temporaneamente, l’ introito dell’ Erario e

sono rimasti indifferenti alla perdita dei miliardi che subisce la nazione per la dura schiavitù eco­ nomica, in cui è avvinta dai dazi stessi. Essi hanno agito, i nostri statisti, come chi considera lo Stato un organismo separato, senza vincoli di solidarietà con la nazione, quasi direi in antago­ nismo con essa. Quindi non hanno vagheggiato che di rinvigorire il bilancio a danno della na­ zione, non hanno adottato, non hanno riconosciuto altri mezzi possibili per rinvigorirlo che quelli fiscali, e questi spinti fino alla brutalità, fino al­ l’assurdo.

Quali i rimedi a questo stato di cose, quali i criteri da adottare per la negoziazione dei trat­ tati di commercio? Il De Grossi vorrebbe che si abolisse il dazio sui cereali, che si diminuisse di almeno il 50'70 tutti i dazi che esorbitano da ogni razionale concetto del tributo, come quello sul petrolio e sui coloniali e per far fronte alle perdite finanziarie che ne deriverebbero, andrebbe fino a tollerare che si ripristinasse la tassa sul macinato.

Riconosciamo che una volta tolti compieta- mente i dazi sul grano, sul granturco, sull’avena, sull’orzo, sulla segala e ridotti notevolmente quelli sul caffè, petrolio, zucchero, ecc., la tassa sul macinato avrebbe un carattere differente da quello che ha avuto in origine e ha conservato fino al momento in cui fu completamente abo­ lita. E non trascuriamo gli effetti grandemente benefici che risulterebbero da una riforma tri­ butaria che sopprimesse e falcidiasse parecchi dazi, oggidì assai gravosi e nocivi alla economia generale del paese. Ma ci sono tasse che una volta soppresse non è più possibile, almeno in condizioni politiche normali, di ristabilire e questo crediamo sia il caso del macinato.

Una giusta riduzione dei dazi troverebbe, del resto, compensi, forse non sufficientemente apprezzati, nel maggior gettito delle altre im­ poste. Ad ogni modo non è questo il punto sul quale ora possiamo fermarci. Ciò che occorre in­ vece di rilevare con la maggiore insistenza è che nella, fase odierna delle negoziazioni pei trattati di commercio il voler persistere nel protezionismo, sia industriale, sia agrario, e il credere di poter ottenere migliori patti dai nostri contraenti per i prodotti che c’ interessa di esportare è un’illu­ sione da aggiungersi alle tante altre che hanno contribuito a peggiorare le nostre condizioni eco­ nomiche. Soltanto mostrandoci disposti a recedere dal protezionismo ad oltranza possiamo sperare di modificare in misura apprezzabile la condotta doganale degli altri paesi e bisogna offrire senza titubanze riduzioni di dazi per poter chiedere e fermamente ottenere un compenso pure ap­ prezzabile; se no si avrà ancora una volta un giuoco infantile di astuzie e di furberie che si ri­ volgerà a nostro danno, perchè siamo più deboli degli altri.

(Rivista (Bibliografica

Y ves Guyot. — La question des sucres en 1901 — Pa­ ris, Guillaumin, pag. 160.

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