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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1393, 13 gennaio

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L’ECONOMISTA

G A Z Z E T T A SE T T IM A N A L E

S C IE N ZA ECONOMICA. F IN A N Z A , COMMERCIO, B A N C H I, F E R R O V IE , IN T E R E S S I P R I V A T I

Anno XXVIII • Voi. XXXII

Domenica 13 Gennaio 1901

N. 1393

IL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Ha fatto benissimo l’ on. Luzzatti colia cir­ colare che è stata diramata dalla Società degli A g r ic o lto r i ita lia n i e che pubblicheremo nel prossimo numero, di eccitare 1’ opinione pubblica ad occuparsi della importante questione dei nostri rapporti commerciali internazionali.

Siamo già entrati nel 1901, il tempo passa rapidamente e bisognerà prendere una decisione sull’ atteggiamento da assumere ben prima che arrivi la scadenza del 1903.

Abbiamo altra volta accennato che Germania, Svizzera ed Austria-Ungheria hanno già uffi­ cialmente scambiato varie idee che non hanno alcun carattere impegnativo, ma che valgono certamente, non soltanto a scandagliare, per quanto è possibile l’animo dei Governi coi quali si dovrà trattare ufficialmente, ma anche, di­ remo cosi, ad eliminare fin d’ ora tutta quella materia sulla quale, per una od un’ altra ra ­ gione, sarebbe inutile od ozioso intavolare trat­ tative.

E noi?

Che cosa ha fatto quella Commissione di funzionari così inopportunemente nominata dal- l’on. Salandra e della quale non si è mai sa­ puto fin qui in che spendesse la propria at­ tività ?

Che cosa fa il Ministero di Agricoltura, In­ dustria e Commercio, a cui sarebbe particolar­ mente demandato lo studio della revisione dei trattati di commercio specialmente per la parte tecnica ed economica 1

E il Governo nella sua espressione politica ha fatto qualche passo verso quelle potenze amiche, colle quali siamo più interessati, per sapere quali potrebbero essere le m aggiori difficoltà a cui si andrà incontro e per studiare in tempo in qual modo ripararvi ?

Nulla si sa ; nulla si conosce e su un tema così importante, il silenzio più sconfortante ci circonda, mentre negli altri paesi la lotta per determinare il Governo a questo od a qual in­ dirizzo si va manifestando ed i principali uo­ mini di Stato sono costretti ad esprimere più o meno precisamente il loro pensiero.

Alcuni mesi or sono le notizie che si ave­ vano sulla possibilità di rinnovare i trattati di commercio colle potenze centrali senza gra vi perturbazioni per la nostra situazione econo­ mica, erano tutt’altro che buone ; pareva anzi,

e non lo abbiamo taciuto, che vi fosse una corrente così forte coalizzata contro gli inte­ ressi italiani, da dover seriamente temere che il mercato della Europa centrale sarebbe stato chiuso ai nostri prodotti agrari a meno che non aprissimo a due battenti il nostro per i prodotti manufatti del mercato stesso. E già qualcuno avvisava alle difese, o meglio a gli espedienti interni per rendere, con sgravi o con premi od altro, meno grave la scossa. Fu precisamente allora che fon. Sonnino nel suo articolo Quid agendum ? respinse ogni studio su una riforma ! tributaria, allegando che se risorse nel bilancio vi fossero state, si dovevano serbare a riparare i guasti derivanti dalla scadenza dei trattati.

O ggi però le notizie che pervengono sulle disposizioni della Germania almeno, sono mi- I gliori. L e esigenze eccessive degli agrari avreb­

bero prodotto una salutare reazione nel senso di risvegliare i più solidi rappresentanti del mercato industriale e commerciale e indurli ad opporre i loro interessi a quelli esagerata- mente unilaterali degli agrari. Il conte de Bùlow non ha nascosto il suo pensiero, dicendosi con­ trario ad un inasprimento della protezione; il che vorrebbe dire contrario ad un aumento dei prezzi sui'generi di prima necessità; e l’essere stato as­ sunto al posto di Ministro delle Finanze di Prus­ sia il Dr. Siemens, già direttore della Deutsche Bank, uomo notoriamente liberista ¡in economia, è un altra- sintomo che nelle alte sfere tede- ! sche, contrariamente a quello che si temeva, non si è disposti a concedere nuovi favori agli agrari, i quali già godono di non scarsa pro­ tezione.

Ora se la politica economica della Germania, rispetto ai trattati di commercio, fosse veramente ispirata al desiderio di rinnovarli senza portar gravi perturbazioni nelle basi attuali, è evidente 1 che la Svizzera e l’Austria-Ungheria non potreb- ¡ bero seguire una diversa direzione nelle tratta- \ tive. Già i legami politici ed economici che cor­

rono t"a la Germania e l’Austro-Ungheria, legami che nulla lascia credere che per ora e per lungo tempo non abbiano a durare intatti, non ammet­ tono che l’Austria-Ungheria nei suoi rapporti col­ l’Italia possa seguire una linea di condotta molto diversa da quella della Germ ania; e d’ altra parte la Svizzera ha troppo bisogno del mer­ cato Germanico e di quello Austriaco perchè ¡ possa ribellarsi al volere delle due grandi po­

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Sviz-18 L ’ E C O N O M I S T A

13 gennaio 1901

zera resista e ci imponga condizioni dure, se i nostri accordi colla Francia potranno essere mantenuti buoni, se le ultime stipulazioni po­ tranno essere rinnovate e meglio ancora am­ pliate con nuove reciproche concessioni ; in tal caso alla Svizzera mancherebbe assolutamente qualunque punto d’ appoggio.

Gli accordi tra i quattro Stati centrali impli­ cano interessi di grande importanza; a pro­ varlo basta il seguente specchio del movimento commerciale (in milioni):

Germania Aust-Ungh. Svizzera Italia

■„ marcili ( import. Germania __ } eg£ort . . TT corone« import. Aust.-Ung. _ } eap0rt. c . fraudai import. Svizzera . j esport Italia lire ( import. » ( esport.

— 730.4 176.8 197.0

_

466.0 284.7 116.0 598.5

_

55.3 119.4 982.8

_

71.2 143.4 345.3 76.6 — 191.3 198.5 45.5 — 41.9 193.9 160.8 49.3 — 236.1 158.6 246.6 —

LA RIFORMA TRIBUTARIA

Non è ammissibile che così ingente quantità di affari possa essere regolata, alla scadenza dei trattati, senza che si incontrino delle diffi­ coltà. M a sono ben diverse le difficoltà intrin­ seche della materia dalla cattiva o non buona disposizione di coloro che debbono stipulare.

Una ragione di più però per essere inquieti in causa di questa specie di quietismo che sembra ci circondi, come se non fossero in giuoco altis­ simi interessi del paese e come se fosse pro­ prio dileguato, con promessa che non si affac­ cierà più, il pericolo che pur esisteva e grave nell’ estate e nell’autunno decorsi.

Le iniziative private, i voti delle Camere di Commercio e dei Comizi sono sintomi buoni, ma viene fatto di domandarci : — coloro che hanno la responsabilità diretta di questa grande questione, ci pensano ?

Sgravi non voluti e aggravi provocati

n.

(Vedi Fascicolo del SO dicembre 1900).

N ell’ articolo precedente dimostrammo, come d affari. 1" dei progetti tributari, pei proprie­ tari minimi, contro lcc volontà del Governo, de­ rivi lo sgravio completo.

Ma siccome, contemporaneamente alla esen­ zione, si fa luogo alla dichiarazione di inesi- qibilìtà delta quota; siccome anzi la libertà del debitore dipende da questo fatto, che tradotto in linguaggio comune significa aggravare g ii a ltri contribuenti, è necessario esaminare il ro­ vescio della medaglia.

Secondo il modo come il progetto è formu­ lato, le quote minime non riscosse verranno reim ­ poste sugli a ltri contribuenti.

E anzitutto — ci domandiamo — questa re­ gola andrà applicata ad ambedue le imposte o

solo a quella sui terreni? Si badi che qui la formulazione è fatta in modo generico, e quando in pratica si tratti di distinguere, si ricorre alla disposizione della legge e molto volentieri g 1 agenti delle imposte, nell’ interesse del fisco, se­ guirebbero la interpetrazione letterale, e non di stinguerebbero perchè la legge in esame non ha distinto. Vero è che altre leggi _ fissano la reimposizione solo per le quote dell imposta sui terreni, ma con tutto ciò non mancherebbero i dubbi, e per troncare ogni discussione in pro­ posito non mancherebbe nemmeno modo al Go­ verno di fare approvar dal Parlamento una piccola aggiunta, che sonasse, per esempio, cosi. la norma contenuta nel capoverso_ dell art. 1 $’ intenderà applicabile anche all imposta sui fabbricati. Con questa interpetrazione, che pur

sembra poca cosa: . . . , , ,. , o 1) si violerebbe il p rin cip io, che e di base a ll’ imposta sui fabbricati, venendo trattata alla stessa stregua l'im posta di quotita e quella di

COTltlTiCJBTlte , . . . • • •

2) si graverebbero i prop rie ta ri non m inim i di un onere non m ai esistito, perchè — sino ad

o q q i _ l ’ imposta sui fabbricati, non riscossa,

non f u m ai percepita dallo Stato sotto altra forma, andando perduta.

N ella ipotesi poi che tale disposizione non valga pei fabbricati — così noi riteniamo — ne se­ guirà una perdita per lo Stato, di una somma uguale al contributo di tutti quelli, che riusci­ ranno a sottrarsi alla esecuzione mobiliare ed al primo esperimento di vendita: e se questi saranno tutti i minimi, crede i l Governo che possa lo Stato rinunziare ad un m ilione e 5 78 m ila 768 lire ? Crede i l Governo che possano i Comuni rinunziare a 600 m ila lire e più, e le P rov in cie ad un m ilione o poco meno /

E se lo crede, perchè non concede addirittura la esenzione da ll' imposta ?

Quanto poi a ll’ imposta sui terreni, senza al­ cun dubbio, le quote non riscosse si debbono reimporre: anche oggi si reimpongono e quindi i contribuenti già sono abituati a questo super­ onere- ma che differenza c ’ è tra il super-onere attuale e quello che si avrà per conseguenza diretta dalla futura legge?

1) Secondo le norme vigenti, ì contribuenti fondiari subivano la reimposizione di una non grande somma, che da 496 mila lire, quale era nel 1876, discese a 6153 nel 1899; infatti: N ell’anno 1876 le quote inesigibili furono per

1’ ammotare di G- 4.)(>.1<8.12 , 1878 le quote inesigibili

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N ell’anno 1893-94 le quote inesigibili delle tre imposte dirette ammon­ tarono a . . . » 1894-95 le quote inesigibili delle tre imposte dirette ammon­ tarono a . , . » 1895-98 le quote inesigibili dell’ imposta ter­ reni furono di . » 1896-97 le quote inesigibili dellimposta ter­ reni furono di . » 1897-98 le quote inesigibili dell’ imposta ter­ reni furono di -» 1898-99 le quote inesigibili

dell’ imposta ter­ reni furono di . L. » 770,868.74 » 601,657.60 » 12,415,56 » 12,314.22 » 25,294.00 » 6,153.69

Secondo le nuove, invece, verrà meno la lim i­ tazione dell"art. 13 della legge 14 lu g lio 1864? la reimposizione potrà fa rs i, anche se superi i l lim ite dei 3 centesimi dell’imposta principale ? verrà imposto tutto quanto non sia esatto ?

a) Rispondendo alle prime due domande, facciamo notare che, nella ipotesi che sieno dichiarate inesigibili le sole quote non supe­ riori a L. 2 d’ imposta erariale, sarà compati­ bile la reimposizione di tutto i l loro ammontare con l’art. 14 suddetto, perchè sommate insieme non raggiungono i 3 centesimi del contingente, ma rappresentano solamente centesimi 1,8.

Dunque, stia pure lieto il Governo, giacché si potrà riprendere, sotto la forma della reim­ posizione, tutte le quote m inim e non riscosse. M a possono essere ugualmente lieti gli altri contribuenti^ quali effetti risentiranno da una siffatta reimposizione ? Venendo reimposti an­ che i centesimi delle Provincie e dei Comuni, i quali stanno alla imposta erariale come 134 sta a 100, si reimporrà la bella somma di più che quattro milioni è mezzo: è una parola, ma sufficiente di per sè a portare una enorme con­ fusione in tutti i ruoli delle imposte. Chi fosse vago di capire che cosa significhi, mi segua per un momento.

R eim porre 4 m ilio n i vuol dire f a r pagare, in più, per ogni lira della attuale imposta erariale :

Centesimi 127,77 alla Provincia di Sondrio

9 59,16 9 P. Maurizio 9 40,67 9 Campobasso » 35,31 9 Belluno 9 22,23 9 Venezia 9 20,72 9 Massa 2> 16,35 9 Padova 9 15,54 > Messina » 14,12 9 Aquila 9 12,71 9 Udine 9 11,37 » Chieti 9 10,08 9 Genova 9 9,90 » Avellino 9 9,66 9 Trapani 9 9,19 9 Como 9 9,03 » Caltanisetta > 9,02 » Livorno » 8,95 » Reggio Calabria 9 8,40 9 Girgenti 9 8,07 9 Catania

Centesimi 7,97 alla Provincia di ¡Potenza

» 7,90 9 Palermo » 7,60 9 Sassari 5> 7,50 9 Torino 9 7,10 9 Lucca 9 7,08 9 Grosseto 9 6,67 9 Cosenza 9 6,58 9 Alessandria 9 6,52 9 Cagliari » 5,77 9 Benevento 9 5,23 9 Teramo 9 5,16 9 Novara » 4,18 9 Salerno 9 3,90 9 Catanzaro 9 3,52 9 Cuneo » 3,40 9 Lecce 9 6,16 9 Ascoli 9 3,14 9 Siracusa 9 3,10 9 Parma 9 3,09 9 Treviso 9 2,92 9 Bari 9 2,82 9 Foggia » 2,62 9 Vicenza 9 2,45 9 Piacenza 9 2,33 9 Perugia 9 2,32 9 Bergamo > 2,17 9 Macerata 9 2,14 9 Roma 9 1,88 9 Pesaro 9 1,71 9 Brescia 9 1,68 9 Modena 9 1,62 9 Arezzo 9 1,61 9 Verona 9 1,38 9 Pavia 9 1,13 9 Firenze 9 1,09 9 Siena 9 1,04 9 Reggio Emilia 9 0,97 9 Ancona 9 0,83 9 Rovigo » 0,82 9 Pisa 9 0,76 9 Forlì 9 0,66 9 Napoli 9 0,52 9 Ferrara 9 0,48 9 Bologna 9 0,26 9 Mantova 9 0,24 9 Milano 9 0,18 9 Caserta 9 0,08 9 Ravenna 9 0,01 9 Cremona

9 4,10 in media nel Regno

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20 L ’ E C O N O M I S T A 13 gennaio 1901 200, 300, 400, 500, e in 74 Comuni anche al

di là ai 500, è evidente che come vi è diffe­ renza tra il 50 e 500, cosi vi sarà _ differenza tra il super-onere, secondo che derivi da una quota inesigibile, nella quale la sovrimposta entri in proporzione di 50 o di 500 per cento.

I nostri ealeoli ci hanno portato ad i seguenti risultati, da cui si desume la entità della spe­ requazione ').

Basti questo per dare un idea dei dolorosi effetti di una legge siffatta, per quanto riguarda la reimposizione- delle quote di sovrimposta co­ munale dichiarate inesigibili.

Dal momento che si stanno spendendo tanti milioni allo scopo di perequare l’ imposta fon­ diaria, ci pare che sarebbe opera, per lo meno, savia, non creare una nuova sperequazione.

M a vogliamo pur prescindere dalla inegua­ glianza degli oneri, e ci domandiamo se l’ag- Sravio, in sè stesso, indipendentemente dalla forma esteriore, sia tale che i contribuenti pos­ sano sopportarlo. . . . .

Un esame dei più sensibili indici della pres­ sione tributaria ci indicherebbe che la capacità contributiva è giunta al limite ultimo di sfrut­ tamento. Crede il Governo che permetteranno i contribuenti di proseguir per questa v i a 1?

E se lo crede, perchè non sancisce addirittura la esenzione dei prop rie ta ri m inim i, fissando direttamente come rim edio la reimposizione con- tinqentale uniforme ?

Ricorda quanto chiasso si fece e quante mai difficoltà furono sollevate, a ll’ occasione del primo progetto M agliani?

b) Questi inconvenienti avranno luogo nella ipotesi più favorevole, cioè quando l’ammontare delle quote reimponende sia misurato sempli­ cemente dalle quote non superiori a L. 2. In­ fatti in questa ipotesi, essendo il contributo erariale delle quote minime solo' 18 millesimi del contingente generale, ne sarebbe _ possibile anche la completa reimposizione: ci sarebbe inoltre un margine libero per altri 12 mine­ simi. Ma se per caso si eccede questo limite, se le quote non riscosse e dichiarate inesigi­ bili ammonteranno a più che q centesimi del contingente, come si farà a reimporre la (Iìl- ferenza in più, se l’art. 14 sancisce espressa.- mente che non è ammessa la reimposizione di somma non superiore ai 3 centesimi dell im­ posta principale1? Da L. 2 a L. 12.50, la dif­ ferenza è grande, e parecchi milioni ci corrono, che, dovendo venire reimposti, eccederebbero il

limite normale dei 3[100.

Non vogliamo supporre che tutte queste quote saranno dichiarate inesigibili e quindi reimposte, ma non abbiam diritto di credere il contrario.

Non potrebbe verificarsi il caso che l’esempio del debitore minimo venisse imitato? Chi ci dice che tutti gli altri contribuenti — i quali per disposizione della legge potrebbero non pagar l’ imposta — non si sentano spinti a lar lo stesso? Ed allora, nella ipotesi che tutti n

e-‘ ) Qui l’egregio autore presenta un grande pro­ spetto, ohe siamo costretti a rinviare al_ prossimo fa- scicolo, per mancanza assolata di, spazio, bota delia Direzione,

scano a sottrarre i beni mobili all’ esecuzione mobiliare, e il terreno al primo esperimento d’ asta, che cosa avverrà? Rimarranno liberi, ma la loro imposta da chi sarà rimborsata allo Stato, se non può venire scaricata sugli altri proprietari ?

Si noti però che qui non occorre esser troppo pessimisti, perchè a provocare tale inconve­ niente, non è affatto necessario il mancato pa­ gamento di tutti, bastando soli pochi. Se _ oltre alle minime *) verranno dichiarate inesigibili poche altre quote, per l’ ammontare di un mi- ! lione e mezzo, saranno sufficienti a far tra- I bocear la bilancia: ci sarà una certa somma, che non potrà essere reimposta ; perchè ecce­ derà il limite di 3 centesimi. Sarà un bene pei contribuenti, ma per la Finanza ?

E se da un milione e mezzo si salisse un pochino ?

Si badi che sono mere ipotesi, ma deve, se­ condo noi, il legislatore tener presenti tutte le conseguenze più o menò dirette dei propri atti : questa pure va adunque valutata.

Se è danaro, che l’ Esattore non riescirà a riscuotere al contribuente d i d ir itt o ; se è tri­ buto che non si può reirnporre perchè la legge lo vieta, chi mai lo pagherà?

Si abolirà con un tratto di penna una norma che è in vigore dal 1864?

O è pronto il Governo a sborsar 1 im posta. Mai più?

Dunque la perderà lo Stato ! Crede i l G o­ verno che ciò sia possibile? Crede che i Co­ muni e le P ro v in cie possano fa re a meno delle corrispondenti sovrimposte?

Se si, perchè non concede direttamente la

esenzione ? .

Se no, perché non pensa due volte prim a ai proporre una legge?

Di qui non si esce.

2. E’ già grave quanto si è detto, ma non è tutto.

Un altra conseguenza della fu tura legge sara la maggiore reimposizione delle m aggiori spese esecutive, che il debitore non pagò essendo stata la sua quota dichiarata inesigibile.

Sta in fatto che le spese ammontano, in media, ai 2/3 del debito che le provocò, onde la reim­ posizione simultanea di esse, implica una ^ i m ­ posizione quasi doppia della quota dichiarata inesigibile. Senonchè si osserverà che le spese d’ora in poi non giungeranno a quel limite, sia per la prudenza degli Esattori, sia per la disposi­ zione della nuova legge, che limita il procedimento

esecutivo al primo esperimento, d’ asta: ma qui non è a far questione di spesa maggiore o spesa minore, la sostanza è che un nuovo aggravio è assolutamente intollerabile, sia pure che con­ sista in Ì^IO della imposta erariale. Ma pur­ troppo non ci sarà dato di incontrare un atto esecutivo, le cui spese sieno così lievi. L a me­ dia più bassa è di L. 2 di fronte a un debito di L. 4, e questa, che è anche inferiore alla vera, ci rappresenta già un rapporto del 50 per 100; onde, secondo questa media, se la

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riemposizione delle imposte e sovrimposte, per il Regno, è di centesimi 4, 1, quella delle spese sarà di centesimi 2.

E queste non sono altro che previsioni rosee, perchè in molte Provincie le spese di riscos­ sione superano di gran lunga il debito che le provocò. Così ad esempio, nell’ anno 1888, ad Aquila, per 51 esecuzioni fatte per riscuotere la somma di L. 81.12 se ne spesero 102, a Belluno, per averne 99, corrispondenti a 57 quote, se nò spèsero 122 ; a Brescia per averne 16,80, corrispondenti a 9 quote, se ne spesero 18; à Cuneo per risòuotere L. 15.04 ce ne vo l­ lero 18 ; a Firenze per L, 6.25 ce ne vollero 12. Nè si creda che' noi andiamo a bella posta scegliendo anni e Provincie: tali notizie si hanno solo fino dal 1892; si prenda un anno qualsiasi, e la cosa non cambierà punto.

Nel 1892, ad Arezzo per riscuotere 4 quote, che ammontavano complessivamente a L. 4.47, se ne spesero nientemeno che 8; ad Avellino per aver 32 lire ce ne vollero 44; a Bari per averne 6 se ne spesero 8; a Catanzaro per averne 155 se ne spesero 161; a Roma per riscuotere L. -57, corrispondenti a 46, quote, se ne spesero 92 ; a Venezia per avere 4 lire se ne spèsero 14 ; a Verona per averne 2.25 ce ne vollero 8; a Teramo per averne 53 ce ne vollero 58.

Si può adunque concludere che la reimposi­ zione delle spese non importerà un onere? Può il Governo illudersi che i contribuenti lo po­ tranno sostenere ?

E se questo è impossibile, perchè non si e- sentano addirittura le quote minime? Almeno i contribuenti non m in im i non sentiranno que­ sto secondo orìère, mancando la causa delle e- secuz:oni.

Se le spese non venissero reimposte,‘ il danno non cesserebbe di esistere, perchè esse rap­ presentano una diminuzione del gettito dell’ im­ posta, a danno dell’ Erario.

Non va dimenticata un’ altra circostanza. L a quota noh riscossa è dichiarata inesigibile, gli inconvenienti che ne derivano li abbiam visti. Se la dichiarazione di inesigibilità, fatta una volta, avesse effetto per sempre, rimarrebbe una continua réimposizione della imposta per i contribuènti non minimi, !ma nient’ altro. Se invece la dichiarazione di inesigibilità avrà ef­ fetto per il solo anno in corso, ne deriva che per tutti gli altri successivi essa dovrà essere rinnovata: e rinnovare la dichiarazione di ine­ sigibilità significa sottoporre qualche milione di contribuenti minimi a ll’ eterno supplizio di un eterno procedimento coattivo: non sarà u- scito l’ Esattore dalla loro abitazione per esi­ gere l’ imposta vecchia, che già rientrerà per l’esazione della nuova: sarà la storia di ogni anno, di ogni mese, di ogni settimana, sarà una lotta di tranelli tesi dall’ Esattore per co­ gliere il debitore nel momento più opportuno a sua insaputa; sarà una lotta di espedienti esco­ gitati dal debitore per sottrarsi ad ogni v ig i­ lanza; si conserverà cosi una perpetua confu­ sione, a danno dell’economia nazionale, perchè sarà tanto tempo sottratto al lavoro ; a danno del­ l’ Esattore, pérchè là lotta contro i suoi simili

lo abbrutisce; a danno della vita politica della collettività e quindi dalla sicurezza stessa dello Stato, perchè si molesta un numero ingente di contribuenti, ai quali la funzione suprema dello Stato non si rivela se non che nell’esplicazione del potere coattivo e odioso dell’ Agente della riscossione.

Con ciò non vogliamo dire che la dichiara­ zione di inesigibilità, fatta una volta, debba aver valore per sempre: è logico che essa debba esser ripetuta anno per anno; ma appunto per­ chè tale ripetizione porta con sè tali inconve­ nienti, ci sembra che sarebbe opera politica- mente ed economicamente savia l’evitarla.

E come la si evita? Solo con la esenzione. E d allora, se cosi è, perchè non esentare ad­ dirittura le quote minime ? Si eviterebbe, a l­ meno, la ripetizione delle noie.

III.

Giunti a questo punto ci pare già bell’e di­ mostrato il terzo lato del progetto di legge, che cioè esso sancisce un guadagno per lo Stato.

Posto il principio che debba il bilancio, con le sue risorse oioe provvedere allo sgravio dei contribuenti, confermato questo stesso principio dallo stesso Governo ; se è dimostrato che lo sgravio di una classe è pagato con l’aggravio di un’ altra e non con un sacrificio dell’ Ente Stato, è evidente che per questo si verifica un

guadagno,

Il guadagno poi esiste ed è reale, ed è rap­ presentato dal fatto che cessa d i andare a ca­ ric o del fisco l’ammontare delle sovrimposte che fin qui doveva pagare ai Comuni dalle Provin ­ cie, e le spese di amministrazione che fin qui

sosteneva per conservare i beni devoluti. Pur omettendo ogni osservazione sul lato politico della questione, pur non facendo ap­ prezzamenti sui doveri che incombono alio Stato e sugli impegni presi dall’ attuale Mini­ stero, può il progetto, in sè stesso, esser tenuto per buono? Può una disposizione siffatta di­ ventar domani legge dello Stato? Chi impedirà che essa dia luogo a tutti g li inconvenienti

lamentati?

E quando essi si costatassero, si vedrebbe che mal si fece ad applicarla, allora si pen­ serebbe ad abolirla ed emanarne una nuova.

A llora, di fronte alla ribellione della coscienza pubblica i nostri uomini di Stato forse penseranno che è tempo di proclamare un sacrosanto prin­ cipio, quello della esenzione da imposta e ve­ dranno che tutti g li atti precedenti furono inu­ tili ed errati.

Ma è proprio necessario che dopo il 1900 decorrano ancora altri anni, perchè da essi si debba trarre ammaestramento ?

Non basta la esperienza di 23 anni per de­ cidersi a fare un atto, che fin dal 1877 è in­ vocato ?

(6)

22

L ’

E C O N O M I S T A

13 gennaio 1901

troppo, i Governi ed i Parlamenti dei nostri tempi assomigliano, nelle loro tendenze, ai re assoluti dell’ antico regime; nessun pensiero del domani li affanna e paiono gridare anch essi come il re di Francia : « après moi le déluge » ).

Ma oggi l’opinione pubblica si è chiaramente manifestata. E 1’ aveva ben compreso il Luz- zatti, quando nel dicembre 1897, Ministro del Tesoro, pensò a lla esenzione delle quote mi­ nime : contro di lui si elevarono i clamori del Centro e della Destra della Camera dei Deputati, fino al punto da esser chiamato il demagogo della finanza italiana. Ma se il m inimum di IO lire d’imposta, che egli stabiliva per la esen­ zione è troppo alto — viste le condizioni pre­ senti della finanza italiana, perchè non si deve accettare un limite più basso ed esentare le quote sino a L. 2 e a L . 3,25, secondochè si tratti di imposta sui terreni o sui fabbricati.

L ’esame del disegno di legge, su cui la Com­ missione dei X V non ha espresso parere fa­ vorevole, ci fa concludere per l a sua inaccetta­ bilità ; e relativamente ad esso invochiamo la esenzione delle quote sino al lim ite di L . d’imposta erariale sui fabbricati, mettendo a carico dello Stato anche la perdita della c o rri­ spondente sovrimposta : .

1) perchè anche se non la si concede le­ gislativamente, i contribuenti se la prenderanno sotto la forma della auto-esenzione ;

2) perchè la inevitabile diminuzione del gettito dell’ imposta andrebbe ugualmente a carico dello Stato, non essendo consentita dalle vigenti leggi la reimposizione.

L a nuova legge infatti giunge, per una via tortuosa, arrecando enormi disturbi ai contri­ buenti, alle stesse conseguenze, alle quali si arriverebbe per la via diretta, cioè :

1) esenzione legislativa,

2) perdita della corrispondente imposta e sovrimposta a carico dello Stato.

Invochiamo la esenzione della stessa jo rm a p er le quote d'imposta sui terreni sino al limite

di L. 2 : . . . , ,

1) perchè, come per le prime, si tara luogo anche per queste alla auto-esenzione,

2) perchè la reimposizione su proprietari non minimi è tale che essi non la possono sopportare ;

3) perchè, posto pure che la possano sop­ portare, essa non potrebbe avvenire se non c e fino alla concorrenza di 3 centesimi;

4) perchè la somma eccedente questo limite di legge sarebbe tutta perduta e anderebbe a carico dello Stato.

Luigi Nin a.

L’ abolizione del darò di consumo

V I.

Con le considerazioni pubblicate nel numero precedente abbiamo cercato di dimostrare seguendo la via di estendere la applicazione del dazio consumo nei Comuni chiusi a tutti

*) Sono parole dell’ on. Luzzatti.

prodotti che passano la barriera, eccezione fatta dai generi alimentari di prima necessità, si avrebbe, sull’ esempio di Firenze, una entrata non inferiore alla attuale, con questo che ai prodotti alimentari si applicherebbe un dazio non superiore al 4 per cento sul valore cor rente ed a tutti gli altri prodotti un dazio non superiore all* 8 per cento.

Le principali obbiezioni che vengono mosse ad una simile proposta sono di due ordini ; la prima, di carattere tecnico, rappresenta la dit- ficoltà di fissare una tariffa che veramente rappresenti il 4 o 1’ 8 per cento ; la seconda, trova assurdo che si miri alla abolizione e dazio di consumo aumentando il numero ei generi che sarebbero colpiti da, quel balzello.

Conviene esaminare queste due obbiezioni. Non vi può essere una difficoltà insormon­ tabile a stabilire una tariffa che sia in armo­ nia con una percentualè dei prezzi dei prodotti. Abbiamo una Commissione centrale dei valori per le dogane, la quale con molto zelo e com­ petenza ogni anno pubblica il prezzo corrente, quale risulta dalle sue indagini, di tutte le merci soggette a dazio doganale di entrata e di uscita! Questa tabella dei valori viene pub­ blicata in gennaio di ogni anno e, resa esecu­ toria con decreto ministeriale, serve di base per stabilire le statistiche del commercio interna­ zionale, e quindi il prezzo di ogni singola voce della tariffa doganale. Potrebbe questa tabella, servire di base obbligatoria ai Comuni chiusi per rivedere ogni anno le loro tariffe modi candole, in più o in meno, quando le vana, zioni dei prezzi oltrepassassero una «erta mi­ sura, per esempio il 15 od il 20 per cento. E perchè non avvenissero abusi potrebbe essere stabilito che una speciale Commissione provin­ ciale, composta di rappresentanti del Comune, della Camera di Commercio e di esercenti, ri vedesse le variazioni che i Comuni chiusi pro­ ponessero alla loro tariffa ; ma in genere, ripe­ tiamo, con qualche limitata tolleranza potrebbe tenersi per base la tabella dei valori della Com­

missione reale. . . .. . • ;

Nulla vieterebbe che, in casi di improvvisi mutamenti dei prezzi dei generi, la Commis­ sione fosse convocata straordinariamente e si modificasse anche durante 1 anno la tariffa, con quelle m aggiori cautele che la tecnica _ sugge­ risce per evitare inconvenienti ed abusi.

Ci sembra pertanto che questa questione a f­ fatto amministrativa e che presenta difficolta certo non gra vi, non potrebbe essere sufficiente per impedire la riforma proposta, nel caso che per le altre considerazioni la si stimasse utile. P Più importante invece è l’altra obbiezione che si trovi strano di tendere alla abolizione del dazio allargandone la applicazione.

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Quando invece tutte le merci fossero soggette a dazi, la carne, il vino, i salumi, ma anche le stoffe, i cappelline chincaglierie,le scarpe,ecc., allora tutti gli esercenti sarebbero direttamente interessati a cercare la abolizione di un bal­ zello che ha forma così vessatoria e noiosa.

E la semplicità della tariffa che avrebbe due soli massimi, il 4 e 1’ 8 per cento, da una parte eviterebbe le enormità attuali di prodotti che sono colpiti da dazi altissimi rispetto al valore delle merci ; si trova infatti qualche caso di dazi del 20 del 30 e perfino del 50 per cento sul v a ­ lore del prodotto; — dall’altra si stabilirebbe un principio di giustizia per il quale, esonerate le merci fondamentali della nutrizione popolare, colpiti mitemente quelli che senza essere di estrema necessità sono sussidiari alla alimen­ tazione dei meno abbienti, tutte le altre merci pagherebbero egualmente una percentuale sul valore loro uniforme per tutte.

E allora diventerebbe possibile la graduale abolizione del dazio di consumo, abolizione che per le ragioni che abbiamo esposto, è impos­ sibile nei Comuni che attualmente ricavano dal dazio consumo una porzione troppo grande delle loro entrate.

Piuttosto che addivenire a dichiarare aperti i Comuni chiusi estendendo anche per i Comuni chiusi le ingiustizie e le esonerazioni che oggi esistono nei Comuni aperti, si potrebbe a poco a poco o mediante economie, o mediante rima­ neggiamenti ed opportune graduali sostituzioni di altre tasse ed imposte, diminuire il per cento della tariffa, sino al punto che la abolizione totale diventi possibile. .

L a applicazione della tassa di fam iglia o sul valore locativo con carattere spiccatamente pro­ gressivo, in modo da farne colle sovrimposte la base del bilancio ; — l’ opportuna trasfor­ mazione della tassa di esercizio che colpisca l’esercizio come tale, indipendentemente dal red­ dito netto, che è colpito dalla ricchezza mobile;

— possono dar al sistema tributario dei Comuni una sufficiente elasticità di espansione. In pari tempo ogni allargamento di entrate per i tri­ buti diretti sopraccennati, ed ogni altro cespite imposto allo scopo di raggiungere la abolizione del dazio di consumo per ottenere la quale, colla proposta che abbiamo fatto tutti cospire­ rebbero, dovrebbe essere impiegato a diminuire la tariffa daziaria, magari di 1[4 per cento ogni anno.

Il Comune di Firenze riscuote dalla tassa di famiglia circa 430 mila lire ; la popolazione è di 200,000 abitanti il che vuol dire circa 40,000 famiglie e quindi in media meno di 11 lire per famiglia. Si supponga pure che un terzo delle famiglie siano in condizioni da non poter pa­ gare la tassa di famiglia, le 26 mila fam iglie rimanenti pagherebbero circa 17 lire per cia­ scuna in media.

Se si pensa che il dazio consumo costa a Firenze un milione annuo di sola spesa di per­ cezione, si comprende che non manca la ma­ teria imponibile per tassa di famiglia, ma la fo rm asu a ha bisogno di essere modificata.

Cosi la tassa di esercizio non rende che 87 mila lire, somma assolutamente piccola per una

città come Firenze ; anche qui è assurdo am­ mettere che non si possa ottenere molto di più in compenso di un ribasso della tariffa daziaria.

Se non che i Comuni, i quali tanto facilmente oppongono a coloro che suggeriscono di allar­ gare le imposte dirette, la ripugnanza della popolazione a pagarle, non hanno fatto nulla per render meno difficile la percezione delle imposte stesse. Ed è questo un argomento che non può andare scompagnato dalle riforme che abbiamo proposto, e ci riserbiamo di discorrere.

La crise delle banche ipotecarle a Berlino

Il mercato finanziario di Berlino, così profon­ damente colpito dal ribasso di tutti i valori in­ dustriali, è stato ora sensibilmente scosso da una nuova crise. Lo due principali banche i- potecarie della capitale sono in fallimento. Il passivo, che non si è potuto ancora valutare con esattezza, si afferma di 600 milioni di mar­ chi. L ’ avvenimento non ha preso il carattere di un vero disastro, perchè un sindacato di po­ tenti banchieri è intervenuto fin dal primo mo­ mento per attenuare gli effetti del arac; esso ha garantito il pagamento del prossimo cupone e arrestato così la discesa dei corsi.

Un gran numero di piccoli capitalisti si trovano completamente rovinati. Essi sono tanto più degni di interesse perchè avevano acqui­ stato le cartelle di quelle banche ipotecarie precisamente per fare degli investimenti sicu­ ri, estranei a qualsiasi speculazione. Il cre­ dito e la reputazione di cui godevano i diret­ tori in tutta l’alta società aveva ispirata fidu­ cia alla piccola borghesia e condotto verso di essi le piccole economie. Il rumore che solleva la crise delle banche ipotecarie si trova dunque accresciuto dalla qualità stessa e dalla situa­ zione sociale dei capi di quelle imprese. Il San- den, direttore della; P ru s s ich e Hypothekenbank era uno dei famigliami dell’ Imperatore, noto per la ortodossia delle sue opinioni politiche e re­ ligiose, e ora è in carcere assieme al sotto­ direttore della stessa banca e allo Schmidt di­ rettore della Grundschuldbank, Pare che essi facessero spese eccessive e che consapevoli della imminente catastrofe abbiano avvertito in tempo i loro amici dell’aristocrazia di realizzare i titoli che possedevano, il che ha contribuito a esasperare le vittime della crise attuale.

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go-24 L ’ E C O N O M I S T A 13 gennaio 1901 verno dovette anzi far procedere a una revi­

sione delle ipoteche in seguito alla quale si dovettero adoperare tutti gli utili dell’anno per g li ammortamenti. N el 1882 si ebbe la prova che tutto l’alto personale della Banca era in­ timamente mischiato alle speculazioni sui ter­ reni e g l’ immobili che davano la febbre a Ber­ lino. Ipoteche incredibili erano consentite sopra case, di cui i direttori erano diventati proprie­ tari sotto altri nomi.

Nel 1886 per poter fare delle seconde ipote­ che la I * eussische Hypothekenbank creò la Deutsche Grundschuldbank. Nel 1893 il capitale della prima banca fu portato da 10 a 15 mi­ lioni di marchi e quello della seconda da 3 a 6 milioni. Nello stesso anno essa creò dei piccoli stabilimenti finanziari, di cui abbiamo dato il nome più sopra.

Da questo momento non si cessò di parlare della imprudente fantasia che presiedeva a tutte le operazioni della banca e delle sue suc­ cursali. Disgraziatamente il pubblico credette alla solidità di stabilinienti i cui direttori ave­ vano potuto giungere sino alla Corte. E dal 1896 in poi gli stabilimenti Spielhagen poterono col­ locare annualmente più di 20 milioni di marchi di cartelle, nel 1899 ne collocarono per 39 milioni e aumentarono nuovamente il loro capitale sociale.

Il naufragio era inevitabile e tutti ora pre­ tendono di averlo preveduto, ma è certo _ che nessuno lo ha annunciato. Quanto alla situa­ zione delle banche ipotecarie in questione, l’ esame dei conti ha rivelato peggio di quello che si era potuto supporre. Mentre le banche ipotecarie fedeli ai loro statuti e regolamenti si contentano di collocare le loro cartelle, queste in pieno sfacelo si davano a tutte le operazioni immaginabili e a operazioni aventi basi così fragili, che è un miracolo se tutto l’ attivo non è scomparso già da un pezzo. È specialmente un miracolo che non ostante i timori e gli avvertimenti i quali ormai datano da venti anni, le Banche abbiano potuto con­ tinuare così a lungo le loro riprovevoli ope­ razioni sotto gli occhi benevoli delle autorità. Pensando ai nostri scandali bancari bisogna proprio dire che tutto il mondo è paese.

Il mercato finanziario di Berlino, per la crise che attualmente attraversa, risentirà dolorosa­ mente per qualche tempo un malessere non lieve che si tradurrà nella sfiducia del pubblico. Il falli­ mento degli stabilimenti Spielhagen accentuerà le disposizioni del pubblico a realizzare i titoli, lo allontanerà dai valori a dividendi variabili e lo indurrà a cercare i titoli a interesse fisso. I valori degli stabilimenti finanziari ne soffri­ ranno specialmente per la credenza accreditata ora fra i capitalisti medi che nessun controllo serio sia esercitato sulle operazioni delle grandi banche. Infine la clientela ordinaria di quelle banche, quella che assorbiva più facilmente le loro emissioni, viene a subire a un tratto la perdita netta di quasi 600 milioni di marchi. Ecco il frutto delle speculazioni fatte contro ogni regola bancaria e contro ogni retta norma di amministrazione onesta e oculata.

L a crise delle banche ipotecarie di Berlino

merita davvero d’essere studiata da coloro che son pronti a ideare più o meno ingegnose operazioni sul valore degli immobili.

La sociologia nei presente momento storico

Confusa dagli uni con la filosofia del diritto, dagli altri con la filosofia della storia, da altri ancora con la economia o con qualche scienza morale o politica di carattere non meno parti­ colare dell’ economia, la sociologia non cessa tuttavia di affermare la sua autonoma perso­ nalità scientifica. I sistemi sociologici crescono di numero ed hanno un fondamento ora psico­ logico o biologico, ora storico o politico, ora eco­ nomico o giuridico o di altra natura, ma sempre ristretto, esclusivo e per ciò stesso i cultori della sociologia si plasmano una scienza so­ ciale generale unilaterale, incompleta, dalle con­ clusioni ingannatrici. Questo non toglie che uno dei caratteri scientifici dell’ epoca nostra sia ap­ punto il fervore delle ricerche sociologiche, la passione delle costruzioni teoriche nel campo della scienza sociale, le ipotesi e le_ spiegazioni che a proposito dei fenomeni sociali si mettono continuamente innanzi. Ma occorre anche di condurre innanzi la critica dei sistemi e di sgom­ brare il terreno da molte idee fallaci, _ da v e ­ dute troppo unilaterali e non scevre di pericoli e di danni pel progresso della sociologia. Cosi dal giorno in cui Spencer ha paragonato con criterio sistematico le società a g li esseri orga­ nizzati, ha acquisito alla scienza numerosi adepti, ma in generale questa conquista del numero non è stata fatta che a detrimento della qualità. Gli spiriti superficiali, malgrado 1’ avviso dello stesso Spencer, hanno accettato il paragone non nel suo largo significato, ma alla lettera ed hanno creduto che bastasse, per scoprire le leggi delle società, di estendere al mondo sociale quelle del mondo organico ed impiegare nella sociologia i termini delle scienze biologiche. L a influenza nefasta di queste ana­ logie sugli studi sociologici, scriveva il St-Marc nel 1896, non può essere paragonata che a quella dell’ ipotesi del buon selvaggio e dello stato di natura al X V III secolo. Della stessa opinione è pure il prof. A. Loria, che alla so­ ciologia, al suo compito, alle sue scuole _ e ai suoi "recenti progressi ha dedicato un piccolo ma prezioso volume, nel quale sono riprodotte sette conferenze da lui tenute a ll’Università di Padova nei primi mesi del passato anno. Ed è di questa succosa scrittura che vogliamo bre­ vemente occuparci, perchè essa offre 1’ oppor­ tunità di fissare le condizioni della sociologia nel presente momento storico.

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13 gennaio 1901

E dapprima giustamente determina il compito della nuova disciplina. Nuova, perchè, com egli dice, la sociologia è davvero la scienza dei nuovi tempi, ed è oggi veramente ben merite­ vole di quell’appellativo di scienza nuova, con cui ciascun secolo designa le discipline, delle quali assiste agli esordi, con cui nel secolo XV111 Giambattista Vico designava la filosofia della storia e Dupont de Nemours denominava 1 eco­ nomia politica. Però il Loria crede di poter af­ fermare che la sociologia se è la più moderna fra le scienze sociali, è ad un tempo la più an­ tica. E la ragione sarebbe questa,_ che 1 uomo è per sua natura enciclopedico ed inclinato alle generalizzazioni e soltanto un lungo processo evolutivo suscita in esso l’abito analitico e spe- cializzatore. Perciò, nei più diversi campi del pensiero le manifestazioni primitive non sono particolari ma generali, non riflettono un aspetto solo del fenomeno, od un fenomeno soltanto, ma l’intera totalità dei fenomeni, che si affacciano all’osservatore. Solo in uno stadio successivo si avverte la superficialità ed imperfezione inevi­ tabile di questo enciclopedismo primitivo e gros­ solano ; e si inizia, in seguito a ciò, un paziente lavorio di specificazione, il quale afferra uno solo de’ fenomeni molteplici dapprima indagati nel loro complesso, per assoggettarne le mani­ festazioni ad un esame diligente e replicato. E su questo sviluppo della mentalità umana non può cader dubbio. L a concezione primitiva dei fenomeni, limitata del resto a pochi,, dapprima è sintetica, diventa analitica solo lentamente col perfezionarsi dello spirito di osservazione, col moltiplicarsi dei mezzi di indagine e di studio. Ma le grandi sintesi non appagano mai, sono come le vedute a volo d’uccello, fatte più per sorprendere, m eravigliare e invogliare ^ co­ noscere le parti di un tutto cosi grandioso e pieno d’interesse.

Il pensiero umano compierebbe adunque una parabola, sarebbe dominato dalla legge del bi­ nomio e 1’ uomo rozzamente sociologo va per­ dendo questo carattere quanto più s’ inoltra nello studio dei singoli gruppi di fenomeni e ri­ torna, solo dopo compiuto il lungo lavorio del­ l’ analisi, a concezioni sintetiche, che possiamo dire sociologiche se ci riferiamo ai fatti sociali.

Inutile arrestarsi alle sintesi passate, urge ben altro compito allo studioso del nostro tempo. Il Loria accenna al corso evolutivo del pensiero sociologico e mostra il suo carattere superficiale o frammentario; ma ormai la scienza della società, quella disciplina generale che é la sociologia si è affermata come scienza sintetica « irta di fatti e di cifre, agguerrita di tutti i sussidi del calcolo e della osservazione e ar­ ricchita degli innumerevoli e positivi risultati cui eran pervenule le singole scienze nella loro evo ­ luzione secolare. » E qui giova sentire quello che, secondo il prof. Loria, dovrebbe essere la funzione della sociologia.

L a unificazione, egli scrive, che da questa scienza si attende, non è più astratta e meta­ fìsica, come quella che pretenden dare l’antica, bensì concreta e positiva, non scende dall’ alto, ma sale dal basso ; non si deduce arbitraria­ mente da un’ idea, ma s’ induce faticosamente

dai fatti. Non si tratta ora, invero, di incen­ trare i più svariati fenomeni sociali in un solo principio, eterno e soprasensibile ; si tratta di scoprire la cellula unitaria da cui ì diversi te- nomeni sociali hanno nascimento, di ritrovare il fenomeno unico, semplice e primitivo, del quale i più differenti fatti sociali non son che lo sviluppo e la elaborazione ulteriore, di ri­ durre infine tutti quei fatti ad un denominatore comune. Scoprire questo fenomeno cellulare, rintracciare il processo, mercè il quale ì diversi fenomeni sociali ne emanano, svelare ì nessi organici, che si istituiscono fra quelli, a motivo appunto della loro mutua parentela od identità originaria, infine dalla struttura e dalle tra­ sformazioni del fenomeno cellulare indurre la struttura e le metamorfosi dell’ organismo so­ ciale che ne è il prodotto ecco la funzione, ecco 10 scopo della sociologia.

L a sociologia nel suo concetto moderno è dunque la scienza che si propone di studiare, 1’ origine unitaria dei diversi fenomeni sociali, 11 loro reciproco nesso, la loro struttura ed evo­ luzione integrale, di tracciare la statica e la dinamica della società, le sue condizioni di vita, le fasi eh’ essa attraversa, i loro caratteri di­ stintivi, le leggi della loro successione e le sue attendibili evoluzioni ulteriori.

Nessuno vorrà negare che qui sia chiara- mente determinato il compito della sociologia; ma il concetto che si tratti di scoprire la cellula unitaria, il fenomeno cellulare, la causa prima, insomma, dei fatti sociali ci pare ambiguo e non scevro di pericoli. Studiare l’origine unita­ ria dei diversi fenomeni sociali è frase che pure lascia credere come dimostrata 1 unità di ori­ gine, mentre non lo è affatto. Certo se si am­ mette, come fa il Loria, che dalla economia de rivino morale, diritto, politica, ecc., quel concetto appare logico, ma quando si ritiene che oltre il fatto economico concorrano altre cause a pro­ durre il tessuto dei fenomeni sociali, non si può se­ guire il L ò ria n e ll’ afferm azioij^aprioristica che esista una origine unitaria, che la sociologia deva scoprirla. Non si nega certo che la sociologia debba cercare la causa dei fenomeni sociali, spie­ gare questi vuol dire scoprirne le cause e Scho­ penhauer diceva a ragione che il perchè è la fonte di ogni scienza, nulla essendo senza una ragione d’ essere. Spiegare come sono le cose non basta, lasciare da parte il perchè sono a quel modo, non è possibile senza mutilare della sua parte essenziale la ricerca scientifica. M a partire a p r io r i dal concetto che v i è una origine comune a tutti i fenomeni sociali è pe­ ricoloso, perchè facilmente si cade nell’idealismo, e si può chiudersi la strada alla conoscenza certa, positiva, esatta della realtà. L e genera­ lizzazioni arbitrarie piuttosto speciose che co­ scienziose sono il frutto del concetto che vi debba essere un principio unico generatore dei fatti sociali.

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26 L ’ E C O N O M I S T A 13 gennaio 1901 sociali le ravvivi, le fecondi, le dilati, dia loro

quasi una nuova atmosfera e le elevi ad una sintesi superiore. E’ una splendida difesa dei diritti della sociologia come scienza autonoma, il cui studio si impone nell’ età nostra.

{Continua).

R. D. V.

Rivista

Economici

Le e s p o r t a z i o n i d i c a r b o n e a m e r i c a n o in E u r o p a e n e g l i a l t r i p a e s i . - L a R u s s i a a l l a f i n e d e l s e c o lo . Le esportazioni di carbone americano in Eu­ ropa e negli altri paesi. — Abbiamo già avvertito

l ’ incremento della esportazione dei carboni ameri­ cani, determinato dagli alti prezzi dei combustibili. Abbiamo ora sott’occbio le cifre statistiche relative al movimento commerciale dei carboni americani per I i primi 10 mesi del 1900, confrontate con quelle del i periodo corrispondente del 1899, e ci sembra interes­ sante di riassumerle: Esportazione Aumento 1900 1899 in quantità per J00 Antracite tonn. 1.401.783 1.364.06S 37.065 2,7 Carb. bi­ tuminosi » 5.170.648 3.197.043 1.973.605 61.7 Totale tonn. 6.572.381 4.561.711 2.010.670 44.— Coke.. . . » 298.704 218.427 80.277 36.8

La ripartizione delle esportazioni per paesi risulta dalle cifre seguenti:

Aumento e 1900 1899 diminuzione Canadà... 4.511.173 3.407.119 1.104.054 M e s s ic o ... 568.204 476.277 - f 91.927 Cuba, Porto-Rico 310.103 319.681 — 9.578 Altre Antille e

America del Sud 458.317 266.828 - f 191.489

Gran Bretagna. 4.385 51 -|- 4.334

G erm ania... 10.756 — -j- 10.756

Francia... 149.950 1.012 + 148.938 Altri paesi europ. 379.654 18.253 + 361.401 Paesi diversi---- 179.839 79.490 ■+■ 107.349

6.572.381 4.571.711 + 2.010.670 Sebbene l’esportazione verso l ’ Europa non sia an­ cora molto considerevole, raggiunge a ogni modo le 540,000 tonnellate d! fronte a tonn. 19,000 nell’anno precedente. E ’ dubbio se possa mantenersi in questa misura in seguito al ribasso che già si delinea e pare debba accentuarsi, ma si può già considerare l ’ in­ fluenza dei carboni americani come un ostacolo al­ l’eccessivo rialzo di prezzo dei carboni europei. A proposito di carboni americani si annuncia poi l’ar­ rivo a Filadelfia di un membro della Camera di com­ mercio americana di Parigi, per trattare l’ acquisto di carboni destinati alla Francia. Egli avrebbe già conchiuso un primo contratto per 200,00 > tonnellate.

l a Russia alla fine del secolo. — Il sig. Raffa-

lovich, in una analisi diligente delle condizioni del suo paese, rivela importantissimi particolari sullo stato della Russia alla fine del secolo X IX , desunti dai dati ufficiali raccolti dai dipartimento del commer­ cio per 1’ Esposizione di IJarigi.

La Russia occupa una superficie di circa 22 mi­ lioni di k. q., dei quali 5,740,000 in Europa e oltre

16 milioni in Asia. Il suo territorio comprende un sesto delle regioni continentali del mondo : esso con­ tiene quasi due terzi dell’ intero continente europeo ed un terzo circa del continente asiatico.

La linea delle suo frontiere è di 70,000 k.. delle quali 50,000 costituite da coste marittime.

La maggior parte del territorio russo è una im­ mensa pianura, irrigata da fiumi e torrenti che fan­ no parte del bacino di quattro mari, il Caspio, il Baltico, il Mar Nero e l’ Oceano glaciale del Nord.

La struttura geologica dell’ impero é estremamente varia.

Principali sue ricchezze minerarie sono il carbone, il ferro e il sale. Possiede inoltre miniere di zinco in Polonia, di rame in Finlandia, di mercurio e man­ ganese a Bakhmont ed Ekaterinoslaw, e di cobalto sulle rive della Laponia.

La regione lacustre e la Finlandia abbondano di ricchi materiali da costruzione, granito e selenite, roccie di quarzo e mormi. Inoltre nei due versanti del Caucaso trovansi minerali di piombo argentifero, zinco, cinabro ecc. ; qua la ricchezza principale ó la nafta, le cui sorgenti dell’estremità orientale del Cau­ caso hanno acquistato importanza mondiale.

Negli Urali poi trovansi giacimenti auriferi, pla­ tino, iridium, rodium in quantità: e le migliori ma­ lachiti del mondo. E negli Urali stessi vi sono gia­ cimenti di pietre preziose, fra le quali rinomatissimi i berilli, i topazi, i rubini, i zaffiri e le ametiste.

Anche la Russia asiatica è ricca di filoni auriferi nelle provincie di Jakoustsk e nell’Amour.

Secondo il censimento del 1897 il numero degli abitanti della Russia era di 129 milioni. L’eccedenza annuale delle nascite essendo di 2 milioni, nel 1900 si può calcolare a 135 milioni. Dal 1724 al 1900 la popolazione dell’ impero è quasi declupata e dal 1851 ad oggi, cioè in 49 anni raddoppiato.

La densità delia popolazione è di 74 abitanti per km. q. nella regione della Vistola, di 58 in quella delle Terre Nere del sud-ovest, di 49 nella Piccola Russia al di qua del Dnieper, di 43 nella regione agricola del centro, di 40 nella Lituania, di 32 nella regione industriale di Mosca, di 26 nella Russia Bianca, di 23 nel Caucaso, di 7 in Finlandia, di 5 in Siberia, di 3 nel Turkestan, di 15 nelle regioni di Ferghana e di Samarcanda.

Nel 1897, Pietroburgo contava 1,267,000 abitanti ; Mosca 1,035,000; Varsavia 638,000; Odessa 400,000 ; Lodz 315,000; Riga 283,000; K ie f 247,000.

Diciannove città contavano più di 100,000 abitanti, dodici più di 50,000.

Nel complesso la popolazione per la maggior parte consta di slavi, i quali con 95 milioni formano il 73 0[o della popolazione totale: 86 milioni sono russi propriamente detti e 9 milioni polacchi. La razza finnica conta 6 milioni d’abitanti.

A ll’ infuori della Finlandia, questa razza è ancora numerosa nella regione dei laghi dell’ estremo nord, dell’ Ural e del Volga.

Cinque milioni e mezzo d’abitanti appartengono alla razza turca : gli israeliti formano il 3 0[q della popolazione con 4 milioni : essi sono confinati prin­ cipalmente nelle regioni della Vistola, della Lituania, del nord-ovest e della Russia Bianca.

Si contano inoltre un milione di tedeschi, 850,000 rumeni, 400,000 svedesi.

Nel Caucaso i russi rappresentano ii 28 0[o; ven­ gono poi le differenti razze caucasiche, georgiane ed armene e 1’ 10¡o dì persiani.

Il 71 O|0 della popolazione russa appartiene alla chiesa ortodossa; 9 0[q sono cattolici; 5 0[Q prote­ stanti ; 9 Ojo maomettani ; 3 0[Q israeliti ; 1 0[0 ar­ meni, e 0.75 buddisti.

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U RECENTE CONFERENZA I M

I Bl BU1ELLES

per la protezione della proprietà industriale

I l giorno 11 dicembre riunivansi in Bruxelles i de­ legati delTAustria-Ungheria, del Belgio, del Brasile, del Chili, della Danimarca, della Repubblica del- 1’ Equatore, della Francia, della Germania, del Giap­ pone, dell’ Italia, dell’ Inghilterra, dell’Olanda, della Serbia, della Spagna, degli Stati Uniti d’America, della Svezia e Norvegia, della Svizzera, della Repub­ blica di San Domingo, del Governo di Tunisi, allo scopo di continuare il lavoro cominciato nella pre­ cedente Conferenza, tenuta pure a Bruxelles nel di­ cembre del 1897 *), di concordare cioè talune modi­ ficazioni della Convenzione di Parigi 20 marzo 1883 (pubblicata in Italia con legge 7 luglio 1884) per la protezione delta proprietà industriale, e così ren­ dere possibile l’accessione di tutti quegli Stati alla detta Convenzione, a cui alcuni di essi, cioè l'Au- stria-Ungheria, la Germania, il Chili e la Repubblica dell’Equatore, erano rimasti estranei.

L ’importanza pratica di tale proposito per ognuna di quelle Nazioni non ha bisogno di spiegazione. Che, per es., agli industriali italiani sia tutt’ altro che indifferente il godere o no in Austria e in Germania della priorità di un brevetto d’invenzione dal giorno stesso in cui ne fecero domanda in Italia, anziché dal giorno in cui ne abbiano fatto la domanda in quei due Stati, ognuno comprende, riflettendo che nel frattempo l’invenzione italiana potrebbe venire sfruttata da altri in quegli esteri paesi, rendendosi così impossibile il conseguimento del brevetto estero. Codesto resultato sarebbesi ottenuto sin dal 1897, se fra tutti i delegati alla Conferenza ci fosse stato accordo su tutti i punti presi in considerazione. Non fu allora invece possibile quell’ accordo su quattro punti : 1° il prolungamento da sei a dodici mesi del termine di priorità dal giorno del primo deposito di domanda di brevetto d’ invenzione, di un disegno o modello, di un marchio di fabbrica o di commercio in uno degli Stati dell’ Unione; 2° la scadenza dei brevetti per causa di non esercizio (exploitation) ; 3“ i requisiti dei marchi di fabbrica per essere am­ messi alla registrazione ; 4° la concorrenza sleale.

Rispetto al primo punto, era stato proposto nel 1897 dai delegati di parecchi Stati, fra i quali l’Italia che il termine di priorità, fissato dalla Convenzione di Parigi a sei mesi pei brevetti di invenzione, e a tre mesi pei disegni e modelli industriali, e pei marchi di fabbrica e di commercio, si portasse a dodici e quattro mesi. Era questa una condizione di somma importanza per quegli Stati, come la Germania, l’ In­ ghilterra, gli Stati Uniti d’ America, i quali, a diffe­ renza dell’Italia e degli altri Stati, firmatari della Convenzione di Parigi del 1883, fanno precedere alia concessione del brevetto un esame preventivo allo scopo di constatare la novità dell’ invenzione, essendoché questo esame suole esigere un tempo maggiore di sei mesi, e talvolta, come p. es., agli Stati Uniti, poco meno di un anno. Si opponevano nel 1897 a siffatta innovazione la Francia, la Tunisia, il Portogallo e la Serbia. Rispetto al secondo punto, le discrepanze fra i delegati alla Conferenza del 1897 furono maggiori che su qualunque altro. Mentre l’art. 5 della Con­ venzione di Parigi dichiara obbligato il brevettato ad esercitare il suo brevetto a termini delle leggi di ogni Stato dell’ Unione in cui gli sia riconosciuto, proponevano alcuni delegati che alla decadenza per non esercizio si fissasse un termine minimo di tre

') Intorno a questa Conferenza e ai suoi risultati, vedi gli articoli pubblicati dalla Perseveranza nei numeri del 15 e 16 gennaio 1898.

anni, altri invece non ne accordavano che due. E mentre alcuni volevano che in generale la decadenza per quel titolo non si pronunciasse, ove il brevettato giustificasse la sua inazione, altri volevano che fos­ sero specificate alcune cause legittime di quella ina­ zione. I delegati italiani votarono per il termine di tre anni, e per la specificazione delle cause di ina­ zione, e ciò a favore dei brevettati, e conformemente a quella tendenza, contraria al principio stesso della decadenza per non esercizio, che oramai prevale in Italia e altrove, e che ha trionfato nella convenzione 18 gennaio 1892 fra l’Italia e la Germania, in cui quella decadenza venne abolita, ove appena in uno dei due Stati l ’invenzione, il disegno o il modello sia stato messo in esecuzione (art. 5). E ciò non ostante che la decadenza in discorso sia scritta nella legge 30 ottobre 1859, n. 3731. Rispetto al terzo punto, il dissidio era nel 1897 fra la Gran Brettagna c gli altri Stati rappresentati alla Conferenza, pretendendo la prima che potesse rifiutarsi la registrazione di un marchio di fabbrica contenente un nome proprio, o un nome geografico, o l’ indicazione del prodotto, e insistendo gli altri perchè si tenesse fermo l ’ art. 6 della Convenzione di Parigi, che vuole ammesso alla registrazione in tutti gli Stati dell’ Unione un marchio ammesso nel paese di origine, tal quale esso sia ; il quale principio è anche ribadito daU’ art. 4 del Pro­ tocollo finale (de dotare) aggiunto alla detta Con­ venzione. I delegati italiani furono tra i più energici a combattere la proposta inglese, non solo perchè contraddicente alla nostra legge 30 agosto 1868 sui marchi di fabbrica, la quale (art. 1) vuole che nel marchio si indichi il nome del fabbricante, ma al­ tresì perchè pareva a loro che in tesi astratta il mar­ chio non debba avere altra qualità essenziale fuorché di far c moseere l’origine della mercanzia, qualunque siano gli elementi di cui esso compongasi. Rispetto al quarto punto, cioè alla eguale tutela dei forestieri e dei nazionali contro la concorrenza sleale, il dis­ senso era nel 1897 per quegli Stati i quali esigevano la condizione della reciprocità e quelli che ne pre­ scindevano. Fra questi ultimi era naturalmente l’ Italia i cui delegati fecero sapere alla Conferenza che l'Italia ha iscritto nel proprio Codice civile (art. 3) il canone della partecipazione dei forestieri a tutti i diritti civili degli italiani, e che le leggi italiane del 1859 e del 1868 per la protezione della proprietà industriale non fanno distinzione tra italiani e forestieri, senza condizione di reciprocità internazionale.

Sui detti quattro punti la Conferenza del 1897 in­ caricò il Governo belga di procacciare per via diplo­ matica un accordo, e, pel caso che questo accordo venisse conseguito, deferì ad una nuova Conferenza il compito di formulare le definitive dichiarazioni.

Nei decorsi tre anni il Governo belga riuscì effet­ tivamente a quell’ intento.

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