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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1395, 27 gennaio

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l'ECONOMISTA

G A Z Z E T T A S E T T IM A N A L E

SCIENZA ECONOMICA. FINANZA, COMMERCIO, BAN CH I, FE R R O V IE , INTERESSI PRIVATI

Anno XXVIII - Yol. XXXII

Domenica 27 Gennaio 1901

TENTENNAMENTI PERICOLOSI

Troppe volte ormai ci siamo occupati del­ l’esame della situazione tributaria di fronte alle impellenti aspettative del paese, perchè dobbiamo ora ripetere quali sono, secondo i nostri con­ vincimenti le più urgenti necessità. Ma di fronte a questa nuova fase, in cui con audace abilità vien fatto entrare il problema, non possiamo a meno di manifestare tutto il rammarico no­ stro di veder iniziato un sistema che ci sem­ bra oltre modo pericoloso.

Dopo molti e molti anni di svariate manife­ stazioni il paese è arrivato finalmente a spingere il Governo ed il Parlamento, non più soltanto a ripetere le già vecchie promesse, ma a presen­ tare un progetto concreto che mirerebbe a to­ gliere uno dei più piccoli punti della ingiustizia che regna nel nostro sistema tributario.

Il progetto di legge, anzi i progetti di legge che tenderebbero alla esenzione delle quote mi­ nime di imposta fondiaria sui terreni e fabbri­ cati e della ricchezza mobile, vennero raffaz­ zonati grossolanamente come se la questione non avesse già ormai più di venti anni di di­ scussione. Su queste stesse colonne analizzando minutamente le proposte del Governo si vanno dimostrando gli errori che sono contenuti in quei disegni di legge.

Comunque però la esenzione stava final­ mente davanti al Parlamento e il solo intento I di toglier di mezzo le numerose espropriazioni che, con danno dei cittadini e dell’erario, ogni anno si compiono per poche lire di imposta, doveva stimolare ad un rapido esame del pro­ getto e ad una definitiva conclusione.

Invece si è creata come un cuneo, la Com­ missione dei X V , non solamente per esaminare i provvedimenti finanziari, ma coll’ intendimento anche che essa possa sostituirsi all’ ufficio del Governo e presentare essa stessa diverse pro­ poste.

E’ avvenuto quello che forse si desiderava; una prima crise del Ministro del Tesoro, on. Rubini, che si accorse della tendenza ad aumentare le | spese, ad applicare nuove gravezze ma a discutere molto sugli sgravi, lasciò il Ministero. E la crise rese ancora meno sollecita la Commissione dei quindici nel pur ampio ufficio che le era demanda­ to; e passarono tutte le vacanze senza che nulla si concretasse, col pretesto di conoscere u pensiero

1 di chi sostituiva provvisoriamente il dimissionario j on. Rubini ; e poi, appena pareva che il Ministro delle Finanze interim del Tesoro, avesse fissato il pensiero suo, ecco che viene nominato un titolare al Ministero del Tesoro, e la Commis­ sione ha nuovo motivo di non affrettarsi.

Finalmente, quando, dopo più di un mese si I riapre la Camera, si viene a sapere che il nuovo Ministro del Tesoro ha idee nuove e che gli uffici del Ministero stanno intraprendendo studi I sulla eventuale diminuzione del prezzo del sale L o sulla.modificazione della legge sul dazio di consumo, rendendo aperti i comuni chiusi di terza e quarta categoria.

Se tutto questo avviene proprio senza fine prestabilito di fare servire tali complicazioni per rimandare ogni decisione e non farne nulla, conviene dire davvero che si sia perduto com­ pletamente il sentimento della cosa pubblica, e non si comprenda che il tempo dei tenten­ namenti è finito e che è per lo meno perico­ loso che la rappresentanza del paese si mostri colla sua continua incertezza incapace di com­ prendere e soddisfare anche in piccola parte i desideri del paese solennemente in più occa­ sioni e da tanto tempo manifestati.

E’ un giuoco pericoloso questo a cui ci si fa assistere e non vorremmo che a forza di ter­ giversare si arrivasse poi a non voler con­ cludere nulla.

I fatti di Genova davanti al Senato

L’ on Saracco, nonostante 1’ autorità incon­ trastabile che gli deriva dalla ormai lunga espe­ rienza e dalla acutezza dell’ ingegno di cui ha dato tante prove, ha, l’ altro giorno in Senato, data la più chiara dimostrazione che e F ingegno e la esperienza e la autorità, anche ammessi a

priori, non bastano per difendere una cattiva

causa e per nascondere la mancanza di un de­ ciso criterio direttivo in questioni delicatissime, come sono quelle sollevatesi a Genova nei giorni passati.

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50 L’ E C O N O M I S T A 27 gennaio 1901

che le circostanze esigono; ma sta chiaro e lampante un fatto che non può essere in nes­ sun modo smentito : - il Governo senza esservi spinto da nessuna urgenza, e quindi avendo tempo di studiare con tutto suo comodo la op­ portunità di una soluzione e di prendere tutti i provvedimenti necessari per le conseguenze, ha preso a Genova un atteggiamento reciso, di fronte alla classe operaia, e dopo pochi giorni, subendo una violenza morale, che a tutti è parsa inattesa al Governo, ha dovuto ammainare le vele e modificare il proprio atteggiamento in modo tale da aver tutta la apparenza di ri­ manere sconfitto.

A noi, a dir vero, di ciò poco importa, poi­ ché per fatti molto meno importanti sono av­ venute altre crise che si sono risolte, come il solito senza scuotere il mondo dai suoi cardini; e non è della maggiore o minore solidità del Ministero davanti alla Camera per i fatti di Genova che vogliamo occuparci.

Quello che a noi invece'' importa rilevare è, anche in questo caso, la mancanza di precisi intendimenti di governo proprio nei punti fon­ damentali che riguardano il confine tra il man­ tenimento dell’ ordine pubblico ed il mantenimento delle pubbliche libertà.

Che la Camera del Lavoro rimanga o no; che il Prefetto di Genova sia o no salvato dal Mi­ nistro dell’ Interno; quelli sono incidenti del fatto che non ne cambiano la natura. Ma quello che un uomo di Stato come l’ on. Saracco doveva far chiaramente appparire rispondendo all’ on. Vitellescihi, era il suo criterio personale nella distinzione che emergeva dal confitto accennato, se cioè vi era stato eccesso nella tutela dello ordine pubblico o se vi era stato rispetto pro­ fondo alla pubblica libertà.

Ma per quanto attentamente abbiamo letti diversi dei resoconti del discorso, pur ampio pronunciato dall’on. Saracco, non abbiamo tro­ vato nessuna espressione che valesse a farci conoscere quali erano i convincimenti del Pre­ sidente del Consiglio, non sui particolari, ma sulla sostanza del conflitto svoltosi a Genova.

Avrà certamente ragione l’on. Saracco di la­ mentarsi della apatia, della sonnolenza anzi, dei partiti così detti dell’ordine, e forse in cuor suo Fon. Ministro avrà pensato che nel pas­ sato l’opera sua non fu tra quelle più efficace­ mente cementatrici ; ma una simile costatazione di fatti è buona per dei pamphlets, è buona per discorsi elettori, per conferenze politiche, mentre la crediamo assolutamente fuori di posto in bocca di un uomo che è al Governo.

Perchè l’uomo di Stato è chiamato al Go­ verno precisamente per governare nelle condi­ zioni di fatto in cui si trova il paese, e non per rammaricarsi che le condizioni sieno cattive e per giustificare con ciò di non avere avuto in una data emergenza una diritta linea di con­ dotta.

E si noti bene ; non intendiamo affatto di imitare coloro che si lagnano perchè l’on. Sa­ racco in quella occasione parve servirsi dei de­ putati di Estrema sinistra affine di ottenere sol­ lecitamente « come per incanto » la calma. A nostro modo di vedere, la vittoria, dato il modo

con cui furono condotte le cose, fu dei più abili e dei più solleciti ; se i deputati degli altri par­ titi, per qualsivoglia causa arrivarono troppo tardi, o non si sentirono la forza di parlare in nome della loro maggioranza, la colpa è loro.

Noi ci meravigliamo invece vivamente che una macchina così complessa e costosa come è quella dello Stato, possa con tanta violenza ed in così brevi istanti girare od essere girata per Lavanti o per l’ indietro senza che si rompa nemmeno un dente a nessuna ruota.

Ciò mostra che la macchina è molto bene lu­ brificata, ma lascia temere che non possa poi dare egualmente buoni prodotti, tanto se girata in un senso, come se girata nel senso opposto.

Intanto, ed è ciò che preme avvertire, la moltitudine che dovrebbe avere dalle classi di­ rigenti la educaziono politica, non capisce niente . . . . e non ha torto.

L’ abolizione del dazio di consumo

VII.

Abbiamo detto che una delle condizioni per la quale può rendersi meno difficile la trasfor­ mazione di una parte almeno del reddito che i Comuni chiusi ricavano dal dazio di consumo in imposte dirette, è quella di renderne più facile il pagamento.

Se diamo uno sguardo ai conti che furono in più occasioni pubblicati di famiglie che hanno un reddito inferiore ad 800 lire, vediamo che la quota di dazio consumo comunale di cui sono gravati i generi che sono consumati necessa­ riamente dai componenti le famiglie stesse non è minore (escluso il pane, e nei Comuni dove il dazio non sia eccessivo) al 4 per cento del reddito ; il che vuol dire che i redditi di 500 - 600 - 700 - 800 lire pagano all’incirca di dazio | consumo comunale L. 20 - 24 - 28 - 32 rispet­

tivamente.

Ora è evidente che se anche si volessero col­ pire con imposta di famiglia o sul valor locativo famiglie godenti un reddito anche della misura suindicata, l’ammontare della imposta sarebbe ! certamente inferiore alla quota di dazio con­

sumo che paga ora ciascuna di esse.

Nessun dubbio quindi che posto ad esempio il dilemma: volete pagar 20 lire di dazio di consu- | mo, o 6 lire di tassa di famiglia? — la risposta sarebbe per quest’ ultima; e se anche la non I chiara intelligenza del vero interesse potesse far preferire il balzello più gravoso, in breve I tempo l’adattamento sarebbe facile, poiché si risentirebbero presto i vantaggi derivanti alla economia domestica, specialmente in quei pic­ coli bilanci.

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27 gennaio 1901 L ’ E C O N O M I S T A 51

fìssi, in tre o quattro rate e colla perdita di

una’

mezza giornata di lavoro e forse più per far la coda davanti agli sportelli ?

Basta recarsi una volta ad un Municipio e ve­ dere in che forma la povera gente deve atten­ dere ore ed ore per poter compiere il proprio dovere, e ci si forma subito 1 idea del come ì congegni burocratici e la negligenza dei pre­ posti abbiano snaturati quegli uffici.

Il cittadino che va a compiere un atto qual­ siasi non trova nell’ufficio municipale, che in fondo è il suo ufficio, cioè il congegno che egli stesso - il cittadino - ha creato e _ mantiene a proprio comodo e vantaggio, le facilitazioni ne­ cessarie, perchè con meno disagio possa com ­ piere le proprie incombenze ; ma sembra che i cittadini sieno fatti apposta per alimentare l’uf­ ficio municipale.

Denunciare una nascita, una morte, un cam­ biamento di casa, chiedere un certificato, vuol dire perdere una giornata intera per gli uffici e farsi servitori degli ufficiali comunali. Non è raro il caso che nella sezione A vi mandino alla sezione B per rilevare, ad esempio, gli estratti di anagrafe con cui presentarvi per ot­ tenere quel dato servizio ; come se l’ufficio di anagrafe non fosse nel Municipio e non do­

vesse servire prima, di tutto al Municipio per conoscere le persone.

Nè esageriamo; chi abbia avuto necessità di servirsi degli uffici municipali sa benissimo che le complicazioni sono sempre in aumento e la perdita di tempo sempre maggiore. Citiamo a caso qualche fatto. Un padre è chiamato di urgenza al Municipio, ufficio leva, per dire la maternità del figlio, la quale poteva essere ri­ levata benissimo dal foglio di famiglia all’ufficio di anagrafe; bastava mandare l’ uscière al piano di sotto. Il padre invece deve andare al Municipio fare un ora di anticamera per dire all’ impiegato il nome della moglie.

Si pensa di variare i moduli di cassa su cui i pensionati fanno la quietanza del loro men­ sile ; il Municipio non si sogna nemmeno di av­ vertire qualche tempo prima i pensionati che per lo più sono vecchi ; essi arrivano sul luogo, attendono il loro turno, presentano il modulo vec­ chio, e si sentono dire che non vale più e bi­ sogna rifare ogni cosa.

Un professore di una scuola tecnica comunale ricevette dalla Giunta un avviso che era stato dalla Giunta stessa cancellato dalle liste eletto­ rali perchè da nessun documento posseduto dal Municipio risultava che sapesse leggere e scri­ vere; però era stata la stessa Giunta a nomi­ narlo insegnante.

E non si finirebbe più raccogliendo fatti con­ simili.

Ma lo stesso sistema vige per le esattorie e siamo convinti che la antipatia che esiste tra il popolo, specialmente per la tassa di famiglia, non si riferisce soltanto al dover pagare una imposta diretta, ma anche e molto alla diffi­ coltà, specialmente per la povera gente, di ef­ fettuare il pagamento, ed alla perdita di tempo che ne consegue.

Non è possibile semplificare la procedura della esazione? Si è mai pensato a ciò?

Non deve essere impossibile collocare, sparsi per la città, alcuni appositi uffici che_ stieno aperti certi giorni, il sabato ad esempio o la domenica, col compito di riscuotere le quote minime delle imposte dirette ; non deve essere impossibile anche poter incaricare appositi ri- scuotitori che si rechino nelle case, dopo preav­ viso, ad esigere la tassa prima di infliggere qualunque mora o qualunque procedura fiscale.

Ci diceva un operaio in una città, dove il mi nimo della tassa di famiglia è di L. 2, diviso in quattro rate, che per pagare i cinquanta cen­ tesimi della rata doveva perdere ogni volta una mezza giornata di lavoro, cioè due lire.

Si è pure abituato il cittadino a pagare il dazio per quasi ogni cosa che porta in città, ed è noto come si riscuota il dazio in certe città ; perfino sul pane che l’ operaio porta con sè per la colazione ; è da ritenere pertanto che a poco a poco si formerà 1’ abitudine anche del pagamento della imposta di famiglia, quando sia reso facile il pagamento stesso, in modo da rendere accessibile senza troppa perdita di tempo lo sportello dell’esattore.

E questa noi riteniamo una condizione ne­ cessaria per la trasformazione graduale del dazio di consumo in imposte dirette.

Il rincaro del Grano e la questione del dazio doganale

I fatti stanno confermando le previsioni di coloro, i quali da tempo sostenevano la neces­ sità di abolire il dazio doganale sul grano.

Dicevano essi che, data la constatata defi­ cienza dell’ ultimo raccolto nazionale, urgeva togliere o, quanto meno, sospendere il dazio di L. 7.50 in oro sulla importazione del frumento estero, allo scopo di permettere alla speculazione di rifornire abbondantemente i magazzini interni a misura che venivano vuotandosi e di impe­ dire così un subito e doloroso rincaro del grano nei mesi più cattivi dell’ inverno e della pri­ mavera.

II Governo non volle allora ascoltare. Nella seduta della Camera, dei deputati del 22 No­ vembre 1900, l’on. Saracco rifìutavasi di pren­ dere in considerazione la proposta per l’ aboli­ zione del dazio sul grano, col pretesto che sino ad allora non si era verificato l’ aumento nel prezzo del grano.

Cosi chiedeva, e la Camera gli dava ragione che la mozione fosse inscritta all’ ordine del giorno dopo la discussione dei bilanci, cioè ri­ mandata a dopo le vacanze di Natale e di Capo d’ anno.

Se due mesi or sono si fosse abolito il dazio, si sarebbe fatto in tempo dagli importatori ita­ liani ad introdurre rilevanti quantità di grano prima che i geli chiudessero alla navigazione una parte dei porti della Russia.

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52 L* E C O N O M I S T A 27 gennaio 1901

ogni coraggio di fare provviste superiori ai mo­ mentanei ed ordinari loro bisogni.

Così è avvenuto appuntino quello che noi, abolizionisti, prevedevamo.

Dal principio di questo mese i prezzi del grano sono in notevole aumento in tutta l’ Italia.

Il « Listino ufficiale del mercato dei cereali di Torino » del 17 corrente, segna : grani e fa­ rine in aumento, e fa seguire questa constata­ zione dalle seguenti quotazioni :

Grani di Piemonte . . da L. 26.00 a L. 26.50 Grani nazionali di al­

tre provenienze . . da L. 26.75 a L. 27.25 Grani esteri di forza . da L. 27.00 a L. 27.75 Colpisce tanto più questo rincaro del grano in Italia in quanto sul vicino mercato francese sino agli ultimi giorni è continuata la debolezza dei prezzi già notata in passato in seguito al- F abbondante raccolto di quest’ anno.

Il giorno 11 corrente Parigi quotava fr. 19.25 a 19.50 pei grani rossi di buona qualità mercantile.

Alla stessa data la « Stanza di compensazione dei prodotti » di Londra dava pel grano ame­ ricano (Base N. I, consegna gennaio) il prezzo di 6 scellini 9 per 100 libbre inglesi, che cor­ risponde a circa L. 17 di nostra moneta al

quintale. . .

Il grano inglese era quotato 26 scellini 5 il

quater, vale a dire circa 15 lire italiane il

quintale.

Si vede adunque che se il grano si vende oggi in Italia intorno alle L. 27, la causa di ciò è da ricercarsi esclusivamente nelle spe­ ciali condizioni del mercato interno, condizioni che noi avevamo prevedute e sulle quali in­ darno, purtroppo, abbiamo richiamato in tempo opportuno la sollecita attenzione del Governo.

L’ abolizione del dazio sul grano continua ad imporsi oggi come si imponeva due e quattro mesi or sono. Soltanto che una cosi inevitabile ed urgente misura non potrà più ora produrre tutto il bene che avrebbe prodotto se presa più presto, quando da ogni parte d’ Italia era essa reclamata non solo dagli avversari del protezio­ nismo doganale, ma da quanti avevano una qualche conoscenza del commercio dei cereali e si preoccupavano dei bisogni futuri del con­ sumo italiano.

Supposto anche che il primo atto della Ca­ mera dei deputati, appena riunita, sia la vo­ tazione di una legge, la quale abolisca o so­ spenda temporaneamente il dazio sul grano, ci vorrà ora del tempo prima che i carichi di fru­ mento estero giungano in Italia.

Intanto potranno continuare a crescere i prezzi dei mercati interni, con progressione tan­ to più forte e più rapida in quanto è oramai generale la convinzione che gli stocks imma­ gazzinati sono insufficienti ai bisogni dei pros­ simi mesi.

Purché il Governo attuale non abbia a pen­ tirsi della sua colpevole imprevidenza, come ebbe a pentirsi il ministero Di Rudinì nella infausta primavera 1898, di non avere abolito il dazio sul grano, quando in molti gliene _a- vevamo fatto pressantissimo e giustificato in­ vito nel corso dell’autunno precedente.

Ed o ard o Gi r e t t i.

L'EEEHTO F U » E L'ELEHTO E M l l M t T B

NELLA VALUTAZIONE DEL MINIMO REALE

La inaccettabilità del sistema proposto dal Governo

Benché convinti che il rigetto dei prov­

vedimenti tributari da parte della Commissione dei X V non basti ad inaugurare nella no­

stra politica finanziaria , una nuova via,

benché certi che il formale invito per la pre­ sentazione di nuove proposte più proficue e meno irrazionali - aggiungiamo noi e crediamo di a- verne il diritto dopo la dimostrazione che. ab- biam fatta su queste colonne l) - non sia suffi­ ciente, a far spuntare l’ iride della novella era tributaria; pure giova sperare che quel poco che v’ era di buono non sia ora perduto di vista affinchè, con la scusa di attender l’esito di studi più maturi non si rimandi alle calende greche l’ adozione di quella piccola parte veramente sana, affinchè si sottragga il paese a quella morte lenta, a cui è stato spinto per volontà di pochi e per noncuranza di molti, e si abban­ doni quell’ indirizzo negativo col quale si spreme ogni anno dagli esausti contribuenti milioni e milioni, senza vederne un costrutto.

Non può l’ azione del Governo limitarsi a non aggravare la situazione attuale, ma deve rivol­ gersi tutta a migliorarla e perchè quel che fu sino ad oggi insopportabile, ma tollerato, urge che diventi sopportabile e tollerabile; non deve lo statu quo esser migliorato perchè cattivo, in­ giusto, opprimente, ma perchè ne è facile il miglioramento.

Si capisce che quando gli avvenimenti assu­ mono un carattere violento e straordinariamente teso - come sono le minacce di guerre e di tor­ bidi in tern i-; quando questioni di grande im­ portanza - come poteva essere il compimento dell’ unità della patria o il raggiungimento del lontano pareggio — assorbono tutta 1 energia del paese e della sua rappresentanza e tengono preoccupati gli anim i, si capisce che non si pensi, nè si possa pensare alle riforme finan­ ziarie, anche se il bisogno di attuarle sia ri­ conosciuto da tutti : ma nelle condizioni calme nelle quali ora ci troviamo, dopo le confessioni che i documenti ufficiali hanno fornito al pub­ blico, dopo i giudizi che dalla _ stessa tribuna parlamentare si sono sentiti, evitare più a lungo una riforma è pericoloso non solo, ma anche non corrispondente a quei supremi doveri che i grandi poteri dello Stato hanno verso il paese.

Per parlare di cose attuabili, il principio con­ tenuto nell’ art. 1 dell’ omnibus è tale da esser tenuto in considerazionè come quello che fissa dei provvedimenti a prò d’una classe di contri­ buenti. Mutatis mutandis, potrà realmente esser giovevole, ma la questione che riguardo ad esso abbiamo solleevata, merita uno studio ulteriore,

«) Vedi i fascicoli del 18 novembre, 23 e 30 di­ cembre 1900, e 13 gennaio corrente.

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27 gennaio 1901 L’ E C O N O M I S T A 53

che è indipendente dall’ entità del provvedi­ mento.

Nel fascicolo del 25 novembre 1900 ci rivol­ gemmo la domanda: quale categoria di con­

tribuenti debba essere oggetto di quel qualunque benefizio legislativo e rispondemmo doversi aver

riguardo a parecchi elementi, di cui alcuni vanno ricercati nell’ordinamento finanziario at­ tuale ed altri nella costituzione e nell’ azione delle singole economie private.

Esaminammo alcuni di questi elementi e giungemmo ') al fattore principale, che è l’or-

diuamento e il livello della sovrimposta : a que­

sta rimanemmo dopo di aver messo in evidenza un grave inconveniente. Non può il nostro e- same oggi continuare se non sia riallacciato ai precedenti risultati.

Poiché nei progetti ministeriali si prende per base di valutazione del minimo il cumulo della

imposta e delle sovrimposte, nella somma di

L. 25 entrerà l’ imposta erariale in tanto minor proporzione, quanto più alto è il livello delle ultime: se le sovrimposte si fossero mantenute nel limite che la legge aveva fissato, ossia nel rapporto 100 : 100, nella quota minima di L. 25 sarebbe rappresentato il tributo erariale per L. 12.50, il comunale per L. 6.25 ed il provin­ ciale pure per L. 6.25 ; e siccome il reddito delle proprietà va desunto dalla relativa imposta, - perchè si presume che questa sia stata con u- niformi criteri commisurata a quello - non già dalle sovrimposte - perchè sono contingenti e variabili non col variar del reddito dell’ immo­ bile, ma coll’ intensificarsi dei bisogni dei Co­ muni e delle Provincie - si troverebbe che, di­ chiarando condizionatamente inesigibili le quote sino al limite di L. 25, il beneficio si farebbe

ugualmente sentire in tutto il Regno sulle pro­

prietà, il cui tributo erariale fosse di L. 12.50 o meno. Ma siccome in realtà non esiste il rap­ porto 100 : 100 ne deriva che Yugnale efficacia

del provvedimento è una mera ipotesi.

Prendendo per base il cumulo si verificherà che là, dove le sovrimposte stanno nel rap­ porto di 50 : 100, nel minimo di L. 25 entrerà l’ imposta per L. 18.75 ; là, invece, dove il rap­ porto diventerà uguale a 1 5 0 :1 0 0 l’ imposta erariale entrerà per L. 6.25 ; preso p er indice

misuratore della rendita il tributo erariale, ver­ rebbero beneficate proprietà di valore differen­ tissimo.

Questa disparità potrebbe essere giustificata se l’ entità del provvedimento fosse maggiore là, dove maggiore è il bisogno di un sollievo, cosa

che finora non abbiamo constatato.

Infatti, presi i Comuni senza sovrimposta, pei quali lo stabilire un minimo complessivo di L. 25 equivale a fissare un minimo di imposta era­

riale di L. 18.75 — ove rimangano fermi i 50

centesimi di sovrimposta provinciale — ed un un minimo di imposta erariale di L. 25 — ove manchino anche i centesimi addizionali della Provincia — riscontriamo trovarsi essi non nelle

regioni che più dovrebbero essere avvantaggiate.

Difatti i Comuni che in certo modo si trove­ *) Vedi i fascicoli del 2 e 9 dicembre.

rebbero in una condizione privilegiata sono così distribuiti: — D el numero totale 115.

54 sono nel Piemonte che conta un n. complessivo di Comuni 1485 1 è nella L iguria * »

32 sono nella Lombardia che conta 12 sono nel Veneto *

0 n ell’Emilia »

0 nella Toscana » 0 nelle Marche che contano »

1 è nell’ Umbria che conta »

0 nel Lazio » » 3 sono negli A bruzzi che contano 4 sono nella Campania che conta 0 nelle Puglie che contano 0 nella Basilicata che conta 6 sono nella Calabria che conta 0 nella Sicilia »

2 sono nella Sardegna »

Avuto riguardo a questa circostanza, sorge spontanea la domanda se si debba valutare nel

minimo anche la sovrimposta, ovvero se non sia più opportuno fa re astrazione da essa, perchè variabile senza una norma fissa, e prender per base fissa la sola imposta erariale, che è un

dato certo e relativamente immutabile.

Giungeremo alla risposta dopo un esame ac­ curato.

Per evitare confusioni e successive distinzioni, chiamiamo quota complessiva la quota minima di L. 25 risultante dal cumulo dell’ imposta e delle sovrimposte ; quota erariale la somma di L. 12.50 d’imposta ; quota addizionale normale la somma di L. 12.50 di sovrimposta, risultante dalla quota comunale normale di L. 6.25 e dalla

quota provinciale normale di L. 6.25.

Ora, che cosa avviene, se si adotta il sistema proposto dal Governo, ossia di prender per base di misurazione del minimo la quota complessiva ?

Avverrà che non si troveranno due Provin­ cie su 69, le quali sieno ugualmente trattate : la quota complessiva dell’ una non sarà costi­ tuita dagli stessi elementi dell’ altra perchè è ben raro — per non dire impossibile — che la quota addizionale sia normale : si verificherà adunque che la quota erariale sarà qua supe­ riore e là inferiore alla addizionale e le diffe­ renze saranno sensibili tra Provincia e Provin­ cia. A Firenze la quota erariale sarà di L. 10, a Sondrio di L. 7, a Belluno di L. 7, a Torino di L. 13, a Vicenza di L. 11, a Treviso di L. 9, a Bari di L. 13, a Foggia di L. 11, e così via di seguito.

Questo per parlare in cifre tonde : se faces­ simo il calcolo in centesimi, si vedrebbe ancor meglio la disparità, ma non occorre andare alle sottigliezze, se il nostro scopo è raggiunto, quando abbiam constatato che col sistema pro­

posto dal Governo la disformità del minimo è inevitabile ?

Sì dia un’occhiata alle seguenti cifre per per­ suadersi della giustezza delle nostre osserva­ zioni.

Ecco raggruppate le provincia :

Col contributo tra L. 179 e L. 200 nella quota complessiva di L. 25, la quota addizionale entra per L. 12 e per L. 13 quella erariale nelle pro­ vinole di Avellino, Bari, Lecce, Napoli, Torino Col contributo tra L. 200 e 250 le due quote stanno come 13 e 12 nelle provincia di

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54 L ’ E C O N O M I S T A 27 gennaio 1901

vento, Brescia, Campobasso, Catania, Catanzaro Chieti, Cremona, Milano, Novara, Palermo, Po­ tenza, Reggio Emilia, Salerno, Siracusa.

Col contributo da L. 250 a 300 si hanno in­ vece i rapporti delle due quote, i quali stanno come 15 e 10 nelle provincie di Alessandria, Aquila, Arezzo, Ascoli Piceno, Bergamo, Bo­ logna, Como, Cosenza, Firenze, Livorno, Mes­ sina, Piacenza, Trapani, Verona.

Col tributo da L. 300 a L. 414 si hanno le quote, rispettivamente, 18 di quota addizionale e 7 di quota erariale, a Belluno, Grosseto e Sondrio; Ferrara, Portomaurizio e Ravenna; hanno 17 a 8, Lucca, Massa Carrara, Pesaro, Urbino e Reggio Calabria 16 a 9; invece Fer­ rara, Porto Maurizio e Ravenno 17 a 8 ; Lucca, Massa Carrara, Pesaro, Urbino, Reggio Cala­ bria 16.9.

E bastano questi esempi.

La disformità del minimo è una conseguenza, cui si arriverà diritti diritti, onde si creerà una nuova sperequazione nei limiti stessi di questo.

Nè vale il dire che la quota complessiva è dapertutto di L. 25, perchè l’indice del reddito delle proprietà lo troveremo solo nella quota

erariale essendo la quota addizionale puramente accidentale.

Or se per una Provincia è minima, agli ef­ fetti di una legge, la quota di L. 10, se in un’ altra è minima la quota di L. 12.50, non potrà non riconoscersi che diverso è il bene­ ficio tra queste due Provincie.

Quando si veda che questo minimo varia da Torino a Lecce, da Udine a Genova, da Como a Milano, da Milano a Pavia, da Porto Mau­ rizio a Brescia, da Firenze a Mantova, da Bo­ logna a Venezia, da Forlì a Piacenza, da An­ cona a Roma, da Ascoli Piceno a Pesaro, da Napoli a Perugia, da Avellino a Sassari, da Benevento a Trapani, da Cagliari a Cosenza, da Potenza a Treviso, da Reggio Calabria a Reggio Emilia, da Bari a Foggia, da Caltani­ setta a Catania, non si avrà diritto di cono­ scerne il perchè ! e se questo perchè non esi­ ste, né deve esistere, non si avrà diritto di pretendere che i legislatori evitino di provocare con le loro leggi delle odiose disparità, dan­ nose non tanto per l’effetto morale, che produ­ cono nelle varie regioni, quanto per le compli­ cazioni che portano nell’ organismo già troppo intricato del nostro sistema tributario ?

I danni derivanti dall’applicaziono di un tale sistema non si limitano a quelli che abbiam detto, ma si estendono ai Comuni della mede­ sima Provincia. Poiché solo in alcuni Comuni la quota addizionale è nel limite normale, que­ sti Comuni si troveranno in una condizione privilegiata rispetto agli altri.

Indicando con 12/12 il numero totale dei Co­ muni, rappresentiamo qui per mezzo di frazioni a qual numero ascendono quelli, nei quali la quota addizionale supera la normale :

Ciò vuol dire che se è vero che Firenze si trova in uno stato di disuguaglianza rispetto a Mantova, è pur vero che nei limiti stessi della Provincia di Firenze per 9/12 dei Comuni la

quota erariale sarà inferiore alla normale per­

chè la quota addizionale è superiore ; mentre I

in 3/12 dei Comuni avverrà il contrario, ov­ vero le due quote erariale ed addizionale ^ si bilanceranno, formando una quota complessiva

normale.

Non basta che Foggia sia in uno stato di disuguaglianza rispetto a Treviso, ma nei limiti stessi di essa tale disuguaglianza esiste, essen­ dovi un certo numero di Comuni con la quota

addizionale normale ed altri molti senza, dimt>-

dochè il provvedimento che nei primi si esten­ derà alla quota erariale di L. 12.50, pei se­ condi sarà ben più ristretto.

Se si eccettuano i Comuni della Provincia di Ferrara, Forli, Grosseto, Lucca, Padova, Ra­ venna, Rovigo, Treviso, Verona, che sono com­ plessivamente 493, rimangono 7767 Comuni pei quali si può ripetere quanto si è detto per quelli di Firenze e di Foggia.

Risultando' che col sistema proposto dal Go­

verno, lungi dal l’adottarsi una misura generale,

si provoca la disformità del minimo, ci pare che non debba essere accettato.

Quale potrà essere sostituito 1

(Continua). L. Nin a.

Rivista Bibliografica

Iacopo Tivaroni.

— La questione economica delle abi­

tazioni nelle grandi città, — Padova, Società Coo­

perativa, 1900, pag. 109.

C. J- Stewart.

— The housing question in London. -

(7)

L’ E C O N O M I S T A 55 27 gennaio 1901

disamina accurata dei vari esperimenti già tentati.

L ’altro libro è una interessante pubblicazione del London County Council su quanto ha fatto il Metropolitan Board o f W orks e lo stesso Consiglio di Contea negli anni fra il 1855 e il 1900 riguardo alla questione delle abitazioni. C’ è qui un copioso materiale che tornerà as­ sai utile a chi vuol conoscere la questione delle case operaie a Londra e i tentativi fatti per risolverla, specie dal Consiglio di Contea. Il libro contiene anche molti piani topografici e di case, la legislazione concernente questa ma­ teria e molte altre informazioni interessanti.

Ugo Tombesi.

— L ’ industria cotoniera italiana alla

fine del secolo X I X . — Pesaro, Federici, 1901,

pag. 259 (lire 13).

L’Autore, del quale abbiamo lodato altra volta uno studio sulla evoluzione della tessitura se­ rica a Como, ha giudicato opportuno in questo momento di studiare le condizioni dell’ industria cotoniera per determinare il grado di sviluppo che ha raggiunto, le condizioni sue sotto ogni aspetto e il vantaggio che ha procurato.

La sua monografia è veramente ben fatta e sulla sua utilità non può cader dubbio. L’ in­ dustria del cotone ha preso anche in Italia un tale sviluppo che è meritevole dello studio più accurato e paziente. Il Tombesi dopo alcuni cenni storici tratta della filatura e della tessi­ tura del cotone, dell’industria casalinga e della piccola industria, della tessitura meccanica e della grande industria, della politica doganale, della esportazione, dei salari, del lavoro not­ turno, degli scioperi, dei probi viri, degli in­ fortuni e delle istituzioni create da alcuni in­ dustriali a beneficio dei loro operai. Ricca di dati, perspicua di dettato, ordinata nella trat­ tazione questa monografia si legge con profitto e interesse. Se lo spazio ce lo consentisse vor­ remmo estrarre dal libro del Tombesi alcuni dati che mettono in chiara luce il progresso fatto dall’Italia nell’industria cotoniera, ma que­ sto ci sarà possibile forse più innanzi, quando verrà in discussione il regime doganale in se­ guito ai negoziati pel rinnovamento dei trattati di commercio.

Francis Laur.

— D e l’aocaparement — P réface par

E. Théry. — Paria, Laur, 1900, pag. vm-315.

Questo studio del Laur sull’ accaparramento non aggiunge a dir vero nulla di nuovo a quanto già si conosce in argomento, ma offre un esame abbastanza chiaro e interessante delle principali manifestazioni dell’ accaparra­ mento. Gli argomenti svolti dall’Autore nella prima parte sono questi: l’accaparramento nella storia, definizione di esso, se sia possibile ai nostri giorni, il più grande trust europeo, se la concentrazione industriale costituisca un de­ litto, dove finisce l’accaparramento, come possa elevarsi alla seconda e alla terza potenza, il trionfo di un accaparramento internazionale, due accaparramenti legali, di uno minerario, delle cause del fatto esaminato e se la pro­ tezione lo favorisca. Nella seconda parte il

Laur esamina tre questioni, se devonsi abro­ gare le leggi esistenti contro l’accaparrameuto, se bisogna promulgarne di nuove, se occorre modernizzare la legislazione esistente sull’ a c­ caparramento.

In appendice pubblica gli Statuti del sindacato dei carboni di Westfaglia.

L ’Autore crede che la concentrazione indu­ striale spinta troppo oltre presenti il pericolo di preparare la via al collettivismo e crede che occorra restare, in una certa misura, individua­ lista nell’ industria « Faisons, egli dice, des comptoires, des ententes, des syndicats, puis- qu’il le faut, pour lutter contre nos voisins et pour aller avec le progrès, mais ne poussons pas jusqu’au scandale, comme en Amérique. N’ irritons pas notre démocratie,. chatouilleuse

et extréme ». Ma ciò che rende deficiente

questo libro è la mancanza, di una scientifica distinzione dell’ accaparramento, della concen­ trazione industriale e dei monopoli industriali. Per questo non si può dire che il libro del Laur porti un contributo di qualche importanza alla dibattuta questione dei sindacati industriali, delle loro cause e dei loro effetti.

L. Bigotti.

— La navigazione, interna in Italia.

Sotto questo titolo, (e coi tipi Roux e Viarengo di Torino), il generale Bigotti ha pubblicato una interessante memoria, nella quale, riferendo som­ mariamente intorno ai lavori dell’ V i l i Congresso

di navigazione che ebbe luogo a Parigi durante

l’Esposizione, segnala quanto la navigazione interna siasi in questi ultimi anni sviluppata in Europa a beneficio dei traffici interni e di quelli, internazionali delle altre nazioni.

Il generale Bigotti, pone la questione nell’op­ portunità dell’ impianto anche in Italia di tale mezzo di trasporto per le materie prime, per le materie povere, pesanti, ingombranti e per i prodotti dell’industria e dell’agricoltura.

Le idee concisamente esposte dall’autore, sono meritevoli di essere diffuse, esaminate e stu­ diate nell’interesse del bene economico del paese.

Rivista Economica

I dissensi del socialismo - Ciò ehe costa una guerra

- Necrologia : Maurizio Block.

I dissensi del socialismo. - I recenti dissensi scop­ piati nei Congressi socialisti tenuti a Parigi durante 1’ Esposizione, sono oggetto di studio in Francia. A b ­ biamo sott’occhio due importanti scritti, uno di J . Bórdeau pubblicato nella Revue des D eu x Mondes, l’altro di Pierre Leroy Beaulieu nell’Economiste F r a n ­

çais, nei quali la questione è sviscerata tanto sotto

l’ aspetto politico, quanto sotto quello dottrinale. Le discordie dei socialisti francesi sono particolar­ mente violenti, perchè, il partito socialista vi è meno compatto che altrove, specie in Germania, e ciò di­ pende dalla trasformazione attraverso la quale é pas­ sato. L’ antico socialismo francese derivante dalle dottrine di Saint Simon, Fourier e Proudhon e che ispirava i rivoluzionari della metà del secolo, è stato

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56

V

E C O N O M I S T A 27 gennaio 1901 La trasformazione, cui accenniamo, si e compiuta

sotto l ’ influenza del socialismo sedicente scientifico, importato dalia Germania, cioè a dire, il collettivi­ smo o marxismo, come si chiama dal suo fondatore. E ' appunto intorno al collettivismo che oggi si rag­ gruppano tutti i socialisti ed è su questo principio che intendono di fondere l’ intero partito. Ñon per­ tanto si distinguono fra di loro tre correnti princi­ p a li; ma una sola è. veramente imbevuta delle teo­

riche collettiviste di Marx, che dominano tutto il so­ cialismo tedesco ed è il gruppo diretto da Guesde e

Lafarge. . . . ,

Alla destra si trovano i socialisti politici^ e parla­ mentari, Jaurès e Millerand, che i dottrinari del col­ lettivismo considerano,1 non senza ragione, opportu­ nisti. Alla sinistra di Guesde e Lafarge sono Vaillant ed i blanquisti, rimasti sotto l’ influenza delle tradi­ zioni dèlia Comune, più nettamente ed immediata­ mente rivoluzionari dei collettivisti puri, e pef i quali la distruzione dell’ ordine, esistente prende il passo sulla costruzione dell’ordine nuovo.

Ciò che aggrava ¡ dissensi del socialismo francese è che in-forza della cosciènza di queste due ali, esso non ha potuto mai distaccarsi nettamente dai radico- socialisti da una parte, con i quali Jaurès e Mille­ rand conservano dei punti di contatto e dall’ altra parte dagli anarchici, verso i quali propendono i blanquisti.

Malgrado dunque l’apparente trionfo del colletti­ vismo, i socialisti francesi non costituiscono un vero partito; coesistono in esso molte scuole troppo diverse per poter restare unite alla lunga; se sono tutti d ac­ cordo nel proclamare la necessità di distruggere la società attuale, non lo sono più quando si tratta dei

mezzi per arrivarvi. _ .

Dal punto di vista del collettivismo puro, vi è nella condotta di Millerand una grave infrazione ad uno dei principi fondamentali della dottrina di Karl Marx, la lotta di classe. L ’ ingresso di un socialista in un ministero borghese, partigiano della proprietà privata., non potrebbe infatti sotto alcun titolo con­ siderarsi come un passo verso la conquista dei poteri

pubblici da parte d el proletario organizzato in par­ tito' di classe, solo mezzo agli occhi dei discepoli di Marx d’arrivare alla realizzazione del collettivismo, cioè alla socializzazione dei mezzi di produzione e alla soppt'Pssione della proprietà privata.

Guesdisti e Blanquisti rimangono in atteggiamento ostile verso Jaurès ed il suo gruppo.

Questa scissura politica del socialismo francese non è senza importanza, ma più importante e quella ma­ nifestatasi in Germania. Autore dello scisma è il Bern­ stein, il quale, non ripudiando il titolo di socialista, che nessuno del resto gli contesta, scuote profonda­ mente tutto il sistema di Marx, nella teoria^ e nella pratica,: tanto nei fondamenti storici, filosofici ed eco­ nomici, sui. quali è edificato, quanto nella tattica.

Non ci fermeremo ai concetti astratti ed ai prin­ cipi speculativi, sui quali si fonda il marxismo e sulla critica che ne fa ii Bernstein : sono argomenti astrusi che possono piacere ai tedeschi, ma non son fatti per noi. Ci limitiamo a constatare che il Bernstein si è levato centro il brutale materialismo de’ suoi predecessori. Bernstein, scendendo dalle nuvole della terra, distrugge una per una le affermazioni del mar­ xismo ortedosso a proposito della evoluzione 'sociale presente.

Il programma del marxismo si riassume nelm espro- priazione violenta e simultanea della classe capitalista da parte del proletariato. Questa espropriazione sareb­ be rivoluzionaria e in pari tempo scientifica: rivoluziona­ ria, perchè risulterebbe dalla lotta di classe, dallo sforzo distruttivo del proletariato; scientifica, perchè met­ terebbe capo all'auto-distruzione della società capi- talista. Secondo Bernstein, questa teoria, che Ggh combatte come falsa, dovrebbe intendersi cosi : il

re-gime socialista metterà capo necessariamente ad una grande crisi industriale ohe darà una potenza irre­ sistibile, agli attacchi dei socialisti e condurrà allá caduta del sistema capitalista.

Checché ne sia della teoria, è certo che Marx ha ammesso che l’evoluzione del regime capitalista ten­ deva a distruggerlo. Ora, secondo Bernstein, questa asserzione è erronea e l’evoluzione economica della società moderna ha preso su molti punti una dire­ zione diversa da quella indicata da_Marx.

I punti principali sui quali i fatti discordano con le previsioni di Marx sono questi : 1. il numero dei possidenti aumenta invece di diminuire; 2. la p ic­ cola industria non è in decadenza; 3. le crisi gene­ rali sono sempre meno probabili.

Notiamo che il primo punto è capitale.: se real­ mente ¡1 numero de! possidenti diminuisse, se la ine­ guaglianza delle condizioni tendesse ad ^ accen­ tuarsi nel regime sociale, presente, se i ricchi diven­ tassero sempre più ricchi, ed i poveri sempre piu poveri e numerosi, il regime attuale sarebbe giudicato.^

Ma è appunto ciò che il Bernstein nega, dimo­ strando invece che il numero dei proprietari aumenta. L’errore che màschera un talo fenomeno agli occhi dei socialisti, è che essi ritengono vero che il con­ centramento della ricchezza vada di pari passo col concentramento delle impi'ese industriali.

Ora non è così: poiché la tendenza alla concen­ trazione dei capitali è potentemente neutralizzata dall’azione delle Società anonime.

Mediante una tale azione i capitali industriali con­ centrati si frazionano, ed il loro frazionamento im­ pedisce il cumolo dei capitali nelle mani di un pic­ colo numero.

Bernstein cita che molte cifre in appoggio della sua tesi : ci lim itiam o-ad esempio, a citarne alcune. 11 trust del filo da cucire inglese dopo un anno di funzionamento, conta 12,300 azionisti; il canale na­ vigabile di Manchester, 40,000; e cosi di seguito.

Bernstein conclude che l’evoluzione economica del­ la società moderna fa aumentare il numero dei pro­ prietari in confronto a quello dei nullatenenti. Per conseguenza questa evoluzione dimostra in errore i partigiani delle opinioni catastrofiche, che sperano di semplificare la società con due divisioni_ nette: po­ chi straricchi da|un lato, infiniti miserabili dall’altro. Colla negazione della tendenza all’ aumento delle ineguaglianze sociali e con l’affermazione della ten­ denza contraria, scompare la giustificazione del_ col­ lettivismo, per lo meno del collettivismo rivoluziona­ rio a breve scadenza.

Queste lotte di idea conzanti, ohe già dividono il socialismo nei paesi dove esso è più potente e radi­ cato, non mancheranno di far sentire la loro riper­ cussione anche in Italia, dove il socialismo è ancora inorganico e più che altro istintivo, ed imitativo. Ed è appunto in queste lotte intestine che finirà per consumarsi quel contenuto utopistico che se può co­ stituire un pericolo di perturbamenti passeggierà, è però il principio dissolvitore di una aberrazione dello spirito umano, destinata a passare come tante altre che l’ hanno preceduta e di cui è piena la stona.

Ciò che costa una guerra. — In un articolo pub­ blicato in un recente numero della Revue des D eu x

Mondes sotto il titolo « Ciò che costa una guerra

imperiale » , Giorgio Levy espone la situazione finan­ ziaria attuale dell’Inghilterra, esprimendosi in questi termini :

« Le entrate effettive dell’annata 1899-1900 am­ montarono a tre miliardi di lire, superando di 225 milioni le previsioni del bilancio preventivo ; ma que­ sta eccedenza non basta del resto a pareggiare l ’e­ sercizio chiusosi al 31 marzo 1900, poiché le spese raggiunsero i tre miliardi e 350 milioni.

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27 gennaio 1901 L ’ E C O N O M I S T A 57

e la marina assorbivano due miliardi e 225 milioni, cioè una somma quasi uguale al totale del bilancio dell’ Inghilterra per il 1891—95, fatta deduzione delle spese locali.

« L'Investor' s Review ha calcolato che dal 31 marzo 1894 al 31 marzo 1901, l’ Inghilterra avrà speso, per l’esercito e per la marina, oltre ad otto miliardi e 750 milioni.

« Le rendite dello Scacchiere, calcolate in tre mi­ liardi e 450 milioni nel 1900-1901, nop oltrepassa­ vano che di poco i due miliardi e 550 milioni nel 1894-95. Esse sono adunque aumentate di oltre il 35 per cento.

« Il ministro Michele Hicks-Beacli annunciava che al mese di ottobre 1901 la guerra avrebbe costato da 250 a 275 milioni di lire. Nel marzo 1900 egli prevedeva una spesa di un miliardo e cento milioni. V i è chi afferma che essa ha costato perfino 75 mi­ lioni per settimana. Non è ancora possibile dire in quale misura Sarà oltrepassata la previsione del mi­ liardo e cento milioni di lire per le spese dell’annata. « In un discorso pronunciato poche settimane sono a Bristol; il cancelliere dello Scacchiere ha ammesso che non bisognava aggravare i paesi annessi e che i contribuenti dovranno pagare una buona parte delle spese della campagna.

« E gli domanda fin d’ora che l’ armata sia rad­ doppiata, che le retribuzioni siano aumentate; nello stesso modo afferma che per l’avvenire lè spese mi­

litari dell’Inghilterra, ammonteranno a 2 miliardi di lire.

c Egli confessa, del resto, che questa organizza­ zione difensiva, resa necessaria dalla potenza degli altri Stati, sarà un opera erculea.

Il Levy segnala una delle conseguenze di questa situazione finanziaria. Mentre 1’ Inghilterra, qualche anno fa, era creditrice degli Stati Uniti, ora è o b ­ bligata di contrarre prestiti a New-York.

In altri termini, invece di ricevere delle rendite dagli altri Stati per coprire 1’ eccedenza delle sue importazioni sulle esportazioni, essa incomincia a pa­ garne.

L’autore dell’ articolo dichiara che non complete­ rebbe il suo pensiero se non aggiungesse che egli crede l’Inghilterra capace di superare le attuali dif­ ficoltà della guerra, ma nel tempo stesso osserva che, in meno di un anno, le sue finanze hanno subito il più grave colpo che abbiano ricevuto in un secolo, e che la ripercussione economica della guerra sud­ africana sul mercato di Londra e sul commercio del­ l’ Inghilterra non può ancora essere calcolata in tutte le sue conseguenze.

Necrologia. — Maurizio Bloch. - Uno dei più va­ lenti economisti francesi e dei più stimati collabora­ tori del Journal des Economistes è morto 1’ 8 di questo mese Maurizio Block, il dotto e acuto scrittore di e- conomia^ e di statistica aveva quasi 85 anni e ancora nel fascicolo di gennaio del Journal des Economistes pubblicava una di quelle sue brillanti rassegne delle principali pubblicazioni economiche dell’ estero nelle quali la verve dell’ uomo di spirito andava unita a l­ l’ analisi, talvolta affrettata, ma sempre acuta, delle ultime pubblicazioni economiche. Le sue opere sono numerosissime e tra esse meritano d’ essere ricordate il Trattato teorico pratico di Statistica, 1 progressi

della scienza economica dopo Adamo Smith, Le assi­ curazioni operaie in Germania, Statistica comparata della Francia e parecchie altre, meno recenti ed ora

esaurite. Per trentaquattro anni egli ha pubblicato la rassegna trimestrale delle pubblicazioni economiche dell’ estero e per parecchi anni ha pure collaborato ad altri periodici tra i quali abbastanza assiduamente

&\VEconomiste français. «C'était un chercheur, scrisse

di lui Yves G-uyot, un curieux de la vérité, quelque fois avec une pointe de paradoxe destinée à éveiller l’ attention. Il a rendu les plus grands services à tous

ceux qui ont voulu contrôler les doctrines économi­ ques a l’ aide des faits: et tous ceux qui ont tenté ces études lui doivent une profonde reconnaissance. » La sua memoria rimarrà sempre cara in tutti co­ loro che ebbero occasione di conoscerlo personalmente o per corrispondenza e di leggere i suoi scritti.

Il Conto di Cassa al 31 dicembre 1900 dava i se-, guenti resultati :

Fondo di Cassa alla chiusura deU’ eserc. 1899-903 L. 204,272,787.24 » » al 31 dicembre 1900 ... 199,087,332.88

Differenza in più L . 4,585,434.36 Pagamenti di Tesoreria dal 1° luglio al 32 di­ cembre 1900:

Per spese di Bilancio. . . 840,615,551.18

Debiti e crediti di Tesoreria 1,825,254,780.34 L .2 ,666,072,601.70 Decreti minisi, di scarìeo 202,270.18'

Incassi di Tesoreria dal 1“ luglio al 3! dicembre 1900: Per entrate di Bilancio . . 899,057,400.86 1

Per Debiti e Crediti di f L.2,661,487,167.34 Tesoreria ... 1,762,429,766.48 1

Eccedenza dei pagamenti sugli incassi . . . L . 4,585,434.36 La situazione dei Debiti e Crediti di Tesoreria al 31 dicembre 1900 risulta dai seguenti prospetti:

D E B ITI al 30 giugno 1900 al 31 dicembre 1900 migliaia migliaia Buoni del T e s o r o ...Lire 294.585 279. 287 Vaglia del Tesoro . . . . 27.689 21.243 Banche, Anticipazioni statutarie . — —

Ammin. Debito Pub. in conto cor. infruttifero 211,889 226.616 Id. Fondo Culto id. id. 19.850 13 471 Ammin. Debito pub. in c. cor. frutti ero 18.500 20.744 Altre Amministrazioni in c. cor. infruttifero 37.402 19 437 Buoni di cassa... 20.665 13.965 Incassi da r e g o l a r e ...

Biglietti di Stato emessi per l ’art. 11, legge 3

55 340 46.256 marzo 1898, n. 47... 11.250 11.250 Totale debiti 697.174 652,772

al 30 al 30

C R E D ITI giugno dicemb

1900 1900

Valuta presso la Cassa Depositi e Prestiti

ar-migliaia m igliaia

ticolo 21 della legge 8 agosto 1885. . L. Amministrazione del Debito Pubblico per

91.250 91.250 pagamenti da rimborsare . 62.663 81. 029 Amministrazione del fondo per il Culto 17.246 7.313 A ltre amministrazioni . . . 47.185 28.333 Obbligazioni dell’ Asse Ecclesiastico

Deficenze di Cassa a carico dei contabili del 12

Tesoro . . . 1.933 1.933

D i v e r s i ... 14.801 44.655

Totale dei crediti 235.092 253,516

Eccedenza dei debiti sui crediti . . 462.081 399.256

Totale 697.174 652.772 La eccedenza dei debiti sui crediti al 31 dicembre 1900 era di milioni 399.2 e al 30 giugno 1900 di milioni 462. Il totale dell’attivo del Tesoro formato dal fondo di cassa e dai crediti, risulta al 31 dicem­ bre 1900 di milioni 453.2 contro 439.3 alla chiusura dell’esercizio.

I debiti di Tesoreria ammontavano alla fine di dicembre a 652.7 milioni contro 697.1 alla chiusura dell'esercizio. Vi è quindi una eccedenza delle passi­ vità per milioni 199.5 alla'fine di dicembre, contro257.8 al 30 giugno,ossia una differenza attiva di milioni 58.2.

(10)

58 L ’ E C O N O M I S T A

27

gennaio 190 rono nel dicembre 1900 a milioni228.2(compresele

par-INCASSI

Entrata ordinaria

Entrate effettive :

Redditi patrimoniali dello Stato... k Imposta sui fondi rustici

e sui fabbricati . . . . imposta sui redditi di ric­

chezza m obile... Tasse in amministraz. del

Ministero delle Finanze. 'Passa sul prodotto del mo­ vimento a grande e p ic­ cola vel isulle ferrovie . Diritti delle Lega/,. e dei C onsolali a ll’ e stero.. . . Tassa sulla fabbricazion

degli spiriti, birra, ecc. Dogane e diritti marittimi

e di R om a ... Dazio consumo di Napoli. Dazio consumo di Roma , Tabacchi . ... S a l i ... Lotto... P oste... . T elegrafi... Servizi diversi . . . . . . . s p e s e ... Entrate d iverse.. . . Tot. Entrata ordinaria. L.

En.rata straordinaria

Ca t e g. I . Entrate » II. Costr. str. fer . » III. Movime Capitali M e s e d i d ic e m b r e ] 1 9 0 0 D if fe r e n z a n e l 1 9 0 0 D a l lo lu g li o 1 8 9 9 a tu tto d ic e m . 1 9 0 0 D if fe r e n z a n e l 1 9 0 0

migliaia migliai» migliaia migliaia di lire di lire di lire di lire 2,257 + 292 50,815 + 191 32,529 -i- 234 97,626 + 93 75,734 - 246 145,245 - 3.111 14.811 -1 )1 ,1 2 1 99,920 + 1,962 2,741 + 665 15,361 + 4,126 113 + 47 304 - 124 23,504 + M 5 ,5 8 2 52,957 l- 17,881 20,367 —s) 1,071 118,211 F 5,597 4,06! - 103 24,768 - 376 1,343 — 6 6,634 63 1,867 -f 185 8,672 + 48; 18^ 460 + 1,316 101,077 + 2.538 7,558 + 398 38,173 ■+■ 58 'Z 0, 97 + 604 37. Ut + 4,161 6,282 - 52 32,491 + 1.618 1,218 + 81 7,604 3- 526 1,328 - 90 16,201 - 1,037 1,719 — 51 9,560 — 510 915 —1)9,414 16,861 - 690 225,882 + 7,229 873,600 + 33,854 1,117 + 54C 3,347 + 1,699 224 - 49 1,014 + 264 1 889 - 1,456 4,614 - 3,618 2,231 - 665 8,979 - 1,757 94 + 55 16,478 + 3,030 228,208 + 6,619] 899.05" +■ 33,127 Partite di g ir o ... Totale generale.

I pagamenti poi effettuati dal Tesoro per le spese di bilancio nel mese di dicembre, risultano dal se­ guente prospetto : Pagamenti Mese di dicem bre 1900 Dal lo Luglio 1900 a tutto die embre 1900 *5 0 9 ©s =>

.V

Ministero del T esoro . . L. Id. delle finanze---Id. di grazia e gìust. Id. degli affari esteri Id. dell’ istruz pubb. Id. dell’ in t e r n o ... . Id. dei lavori pubbl. Td. delle poste e tei. Id. della guerra . . . . Id. del’ a m a r in a ..,. Id . della agric. ind. e commercio .

Totale pagam. di bilancio. Decreti minisi, di s ca rico .. Totale pagamenti... D i f f e r e n z a [ .| « ^ a' T o t a le ... migliaia di lire 311,416 21,039 3,535 2,298 3,541 5,189 5.544 4,842 24,409 8.600 1,086 migliaia di lire -1 7 ,0 4 1 + 968 _ 88 + 748 + 251 - 787 - 810 — 292 + 3,772 - 3,220 + 234 migliaia di lire 377,089 100.281 19.922 9,683 21,917 33,862 46,43! 30,785 •135,574 58.210 6,855 migliaia di lire - 8,345 -f- 5,445 - 440 + 2,165 + 350 - 5,569 + 541 - 1,321 - 6,935 - 5,937 + 893 391,503 - 16.363 840,615 - 19,152 — - 9 202 + 190 394,503 - 16,372 840,817 — 18,961 163,295 22,992 . 58,239 54,088 228,208 + 6,6i9 899,057 + 35,127 ---1---1) La d im in u z io n e d a lle Tasse in A m m i n i s t r a z i o n e d e l Ministero d e l le F in a n z e , si d e v e a i m in o r i v e r s a ­ m e n t i p e r t a s s e d i s u c c e s s io n e e ta s s e d i r e g is t r o .

2) L ’ alimento dato dalla tassa sulla, fabbricazione degli spiriti è dovuto a versamenti eseguiti in dicem­ bre, però riflettono riscossioni fatte in mesi precedenti. 3) La diminuzione avuta dàlie dogane è avvenuta per ritardati versamenti.

4) La diminuzione avuta sulle Entrate diverse di­ pende dall’aver versati in settembre del 1900 i pro­ venti e ricuperi di portafoglio, mentre nel 1899 Io furono nel dicembre.

Per la scadenza dei trattati commerciali

La Società degli agricoltori italiani, di Roma, in vista della scadenza dei trattati di commercio con la Germania, l’Austria-Ungheria e la Sviz­ zera, ha diramato ai comizi, consorzi, associa­ zioni e accademie agrarie alle cattedre ambu­ lanti d’ agricoltura, alle case di esportazione di prodotti agrarii, la seguente circolare.

E ’ imminente ii momento nel quale i governi stra­ nieri che hanno trattati di commercio con 1 Italia, o 10 stesso Governo italiano, dovranno prendere la de­ liberazione sulla convenienza di denunziarli o di la­ sciarli continuare per tacita riconferma.

Non vi sono ragioni essenziali che spingono 1 Italia alla denunzia; ma tutto lascia travedere che questa verrà data dalla Germania, dall’Austria-Nngheria e dalla Svizzera, le quali non dissimulano il desideno di modificare, più o m no profondamente, le loro ta­ riffe convenzionali. E in tale senso già si e a io manifestazioni inquietanti, segnatamente in Germania e in Austria-Ungheria, contro le principali nostre esportazioni agrarie. '

Queste però noi dobbiamo difendere con gelosa cura e con tutti i modi che sono in potere del G o­ verno e della nazione, e dobbiamo difenderle p a iti- colarmente dalle ostilità dei paesi accen n a i sopra Non è già che anche per gli altri Stati non si debba pigliare la massima cura al fine di tuteldre le nostre esportazioni agrarie. E ’ recente la minaccia che ci venne dal Brasile, e si potè esc/udere_ ribassando 1

dazi sul caffè. Ed è argomento d'inquietudine il n e­ goziato in corso con gli Stati Uniti d ’America, senza 11 buon successo del quale, da augurarsi prossimo, 1

nostri principali prodotti sarebbero tagliati fuori, per effetto dei dazi differenziali; da uno dei p.u ricchi mercati del mondo.

Ma i pericoli principali o più evidenti sono osa nelia rinnovaziane dei trattati di commercio con gli imperi centrali e con la Svizzera, perchè, questi trat­ tati, richiedendo dall’ una e dall’altra parte i uso laigo delle tariffe convenzionali, modellano, per cosi dire, la nostra politica doganale, informano il carattere, ne determinano la vocazione.

Nè conviene dimenticare che, come appare dai pro­ spetti delle nostre esportazioni pel 99, sopra il mi­ liardo e 431 milioni di merci vendute all’estero, 246 milioni se ne spedirono in Svizzera, 236 i ì Germania, 201 in Francia, 158 in Austria-Ungheria, e quindi nell’ insieme questi qnattro Stati prendono molto piu della metà di tutte le nostre esportazioni. E per quanto si debba considerare con fiducia 1 espansione dei nostri traffici nelle Americhe e in altri paesi, è con quegli Stati per ora che dobbiamo in partico- lar modo misurarci, _

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