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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.28 (1901) n.1397, 10 febbraio

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L ’ECONOMISTA

GAZZETTA SETTIMANALE

SCIENZA ECONOMICA. F IN A N Z A , COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, IN T E R E S SI P R I V A T I

A

ddo

XXVIII - Voi. XXXII

Domenica IO Febbraio BOI

».

1397

LA SITUAZIONE IMBARAZZATA

Il voto della Camera non è stato certamente tra i più chiari; sebbene traspariscano troppo dalle stesse cifre gli sforzi fatti, perchè non si manifestasse dal voto un qualunque concetto po­ litico, questo fatto stesso però permette di elimi­ nare, almeno in parte, l’artifìzio sul risultato com­ plessivo. Anche in questo atto, tanto desiderato e da cosi lungo tempo minacciato, la Camera ha voluto dare spettacolo della propria impotenza; e non vi è dubbio che l’impressione che ne ha avuta il paese non varrà certo ad accrescere il pre­ stigio e la considerazione verso la parte elettiva del Parlamento. Non possiamo nasconderci che non ci aspettavamo nè di più nè di meglio, perchè la tendenza della Camera continua sem­ pre ad essere quella di non voler fare.

Ad ogni modo siamo venuti alla crise, ed il Ministero ha rassegnato le dimissioni.

Ora comincia la funzione della Corona ed è naturale che gli sguardi ed il pensiero sieno rivolti al giovane Re che per la prima volta è chiamato ad esercitare 1’ alto ufficio di nomi­ nare i nuovi Ministri.

Non è nostro desiderio, nè lo potremmo fare seriamente, di prevedere quali saranno le fasi della crise, ci è facile invece costatare e dimo­ strare che la Corona deve trovarsi davanti ad una situazione molto imbarazzata.

Dai moti di Sicilia e della Lunigiana a quelli più violenti del 1898 ed alle elezioni ultime, il paese ha mostrato, con la violenza di chi si sente offeso per non essere stato ascoltato, o dall’aver creduto in ripetute promesse, che non furono poi mantenute, che vuole sia mutato ! indirizzo della politica amministrativa ed eco­ nomica. Non sarà concorde il paese nei metodi da seguirsi, ma ha fatto chiaramente compren­ dere che egli considera il peggiore di tutti quello che è stato fin qui seguito. Ed ha detto chiaro e tondo, per chiunque voglia sentirlo, che ha bisogno di radicali riforme, specialmente tribu­ tarie, affinchè almeno nella ripartizione dei pesi pubblici, abbia posto la giustizia.

E dato lo stato presente delle cose, per le quali il lungo indugio frapposto a migliorare la legislazione tributaria ha portato come con­ seguenza che se ne accrescessero gli inconve­ nienti, gli errori e le ingiustizie, apparisce sempre più necessario che si costituisca un

governo composto di uomini i quali alla ener­ gia della azione, alla larghezza delle vedute, accoppino una fermezza di carattere che valga ad imporsi alla Camera, la quale, del resto non ha mai negato il suo voto alle riforme che le furono proposte.

Se non che è appunto da questo lato che la situazione deve presentarsi imbarazzata alla Corona ; poiché se si trattasse di uomini ca ­ paci di ripetere delle promesse e dei propositi anche più larghi di quelli che fino a qui ven­ nero esposti agli italiani, non si incontrerebbe difficoltà a trovarne anche per fare più Mini­ steri. Ma se si tratta di trovare uomini i quali abbiano dato qualche prova di una chiara vi­ sione della condizione difficilissima in cui si trova il paese, ed abbiano studiati i rimedi pos­ sibili, ed abbiano la tempra politica di tenere ai loro propositi, ai loro disegni, alle loro pro­ poste, allora la cosa è molto diversa.

Vi saranno certo alla Camera degli uomini meno noti che avranno le qualità necessarie al momento presente, ma fra coloro che hanno già fatto parte del governo in altri Ministeri, non ve ne è alcuno che possa esser messo a capo di una nuova Amministrazione, e dia si­ curezza che abbia dei convincimenti radicati nell’animo ed abbia date prove di coerenza in questi intendimenti.

Ai nostri lettori passono certo in questo mo­ mento davanti agli occhi i nomi di coloro che potrebbero essere chiamati a comporre il nuovo: Ministero e pur troppo ricordano quelle grandi disillusioni provocate dalla loro incoerenza po­ litica nella intelligenza delle questioni e nel modo di risolverle.

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av-82 L ’ E C O N O M I S T A 10 febbraio 1901 Veduta energia e di determinatezza di condotta

quando proponeva a senatore quel Tanlongo «h e poi doveva far arrestare; e se da più tempo àgli altri suoi colleghi ministeriabili egli parla di finanza democratica, non sono ancora chiari i suoi intendimenti rispetto alle riforme che più sono ùrgenti ; — nò dimentichiamo Fon. Sa­ racco, al quale giustamente vengono fatti elogi per la sua condotta corretta nella occasione della j presènte crise, ma che non ha dato prova certa­ mente di avere un criterio fissato è sicuro delle grandi questioni economiche, quando si è la­ sciato sopraffare dagli avvenimenti di Genova.

Come non si può non ritenere che il Re, il uale, perchè giovane e perchè certo voglioso i bene iniziare il suo Regno, cercherà affida­ ménti per un preciso significato della sua pri­ ma scelta, non si senta sgomento davanti a questi personaggi, a cui può affidare un inca­ rico che abbia un dato significato, mentre poi con tutta disinvoltura e col pretesto della poli­ tica potranno anche battere una via diversa 1

Queste considerazioni noi facciamo per quanto siano doloróse, al solo scopo di cercare che non si creino illusioni. Il Ministero Saracco, a parte l’incidente di Genova, fu un buon passo fatto sul ritorno della buona strada ; ma troppo cam­ mino si era percorso sulla cattiva strada per­ chè non occorra molto tempo prima di rimet­ terci nel retto sentiero.

Una volta dicevano Senatores boni viri ecc. oggi è quasi il caso di rovesciare il detto latino.

Le nuove imposte a Bergamo1}

Con la trasformazione del Comune di Ber­ gamo in comune completamente aperto, l’Am­ ministrazione dovette pensare a riformare la tariffa vigente nella parte aperta del comune. E la nuova tariffa si differenzia infatti da quella che fu in vigore nel comune aperto, su questi tre punti : introduzione di nuove voci ; cambia­ mento del sistema di tassazione ; elevazione dei limiti alla minuta vendita.

Quanto alle, nuove voci ecco quelle introdotte nella tariffa : carni equine, selvaggina grossa, estratti di carne, cioccolata, latticini, candele di cera e di qualunque specie di surrogati. Nel suo insieme la tariffa comprende 39 voci, di cui 6 riguardano le bevande, 12 le carni e si­ m ili; e le altre 21, i commestibili ed altro. No­ tiamo che la farina di frumento, il pane e le paste pagano 3 lire il quintale, il riso 5 lire, il burro 8 lire, il vino 7 lire e 50 l’ettolitro ecc.. Quanto al cambiamento della tassazione delle carni, consiste nel sostituire al sistema della imposta per capo quello della imposta per quintale, e questo nel concetto di perequare le condizioni dei più importanti macellai con quelle dei più modesti. Del resto la imposta rimane quella già applicata all’ interno, salvo la tassa pei suini che da 9.60 venne elevata a 10 lire

i) Vedi il fascicolo precedente dell’Economista.

« per motivi zootecnici e per facilitazioni di calcolo» dice la relazione. Per un coordinamento razionale della tariffa vennero elevate, come già all’ interno, le voci: carni fresche suine (da 13 a 15 lire) carni salate da 15 a 20 e lardi (da 6 a 12.50). Per la elevazione del limite della minuta vendita sono state seguite le consuetudini del commercio locale.

La tassa di esercizio e rivendita è stata mo­ dificata, come si disse nel precedente articolo, per elevare a 250 lire il massimo della imposta. Il numero delle classi è stato mantenuto inva­ riato, ma si è invece elevata la tassa del 20 per cento, salvo per la categoria l a che si è fissata in 250 lire (ossia con aumento del 75 per cento sulle 200 lire ora applicate) ed al­ cuni piccoli aumenti per arrotondare le cifre. Ecco del resto la vecchia e la nuova tariffa :

Tabella A

Tariffa Tariffa nuova vecchia nuova vecchia

I Catigoria L . 250 200 V i l i Categoria L. 45 37 II » » 210 175 IX » » dO 25 III » v 180 150 X V » 22 18 IV » » 150 125 X I » » 15 12 V * » 120 100 X I I » > 11 9 V I » » 90 75 X III » » 7.20 6 V II » » 60 50 X IV » » 3.60 3 " Tabella B

Esercizi d'albergo, trattoria, caffè e birreria.

Tariffa nuova vecchia

ner la 1“ ora d’ orario prolungato L. 36 30

P , 2a . » » 24 20

» 3* » » » 18 15

> 4a » » * 12 10

Esercìzio di vendita vino, liquori ed altri generi

Tariffa______ nuova vecchia

per la 1* ora d’orario prolungato L. 24 20

» 2a a » 18 15

Con queste modificazioni viene previsto un aumento di 7000 lire, pari appunto al 20 per cento del gettito medio della tassa negli ultimi anni (35,000 lire).

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10 febbraio 1901 L ’ E C O N O M I S T A 83 ed energia elettrica per uso proprio senza farne

rivendita (ciò che invece è consentito per la tassa governativa) e quanto alla misura della tassa deve mantenersi nei limiti del 20 per cento sul valore; quindi a Bergamo la tassa sul gas non poteva eccedere L. 0,038 al metro cubo, e quella sulla luce elettrica L. 0.104 al kilowatt- ora, presa per base la tariffa minima concor­ data con la Società già Schukert e C. ora So­ cietà bergamasca.

L’ Amministrazione comunale di Bergamo preferì però, per varie ragioni, sulle quali non crediamo necessario di fermarci, di applicare la tassa di centesimi 2 per ogni metro cubo di gas-luce proveniente dalla distillazione del carbone, e di centesimi 6 per ogni kilowatt- ora di energia elettrica, quando essa è venduta a contatore. La previsione di questa tassa venne stabilita in 20,000 lire.

Più importante è la riforma della imposta sul calore locativo. Fino ad ora essa era stata applicata colla quota fissa del 2 per cento con esenzione degli affitti inferiori alle lire 150. Ora invece si applica col sistema della progressi­ vità, partendo da un minimo del 4 per cento

ed andando ad un massimo del 10 per cento, secondo la legge 28 giugno 1866. Questa tassa ha reso a Bergamo nel 1899 18,478 lire e 90 cent. Ecco i vari gruppi di contribuenti iscritti nel ruolo 1899, insieme coll’ ammontare per cia­ scun gruppo dei fitti tassati :

fitto ila L. 150 a 175 contribuenti N. 534 fitto complos. L- 91,460

» 175 a 200 » 514 * » 98,916 » » 301 a 250 » 328 » » 79,516 » » 251 a 300 » 315 » » 93,350 » » 301 a 400 » 391 » » 144,828 » » 401 a 500 » 193 » » 91,899 » » 501 a 600 » 106 » » 60,942 » » 601 a 700 » 56 » » 37,061 32,680 » » 701 a 800 » 42 » » » » 801 a 900 » 18 J> » 15,693 » » 901 a 1000 » 27 » » 26,700 » » 1001 a 1200 » 22 » » 25,975 » » 1201 a 1500 » 18 » » 25,025 » » 1501 in più » 39 » » 99,000 Totale N. 2,603 L. 923,945

Per accrescerne il reddito, la imposta viene resa progressiva secondo questa tariffa:

1“ classe fitto da L. 175 a L. 300 = 4 °/0 » » » 301 a » 400 = 5 » » » » 401 a » 500 = 6 » » » » 501 a » 600 = 7 » > » » 601 a » 800 = 8 » » » » 801 a » 1000 = 9 » » ¡> » 1000 e più = 1 0 » Come vedesi, il fitto minimo esente viene ele­ vato da 150 a 175 e anche questo limitato aumento porta l’ esonero di 534 contribuenti, dato il ruolo 1899 e di 614 dato il ruolo del 1900 con una perdita di circa lire 4000 nelle due ipotesi. Presi per base i ruoli del 1899 l’ applica­ zione della suddetta tariffa darebbe L. 54,376.95 le quali possono salire a 55,000 qualora il cal­ colo si facc:a sui ruoli 1900. L ’ultima relazione della Giunta comunale di Bergamo notava che «data la maggiore intensità del tributa, maggior- I mente verrà ad accrescersi l’ incentivo a

de-nuncie inesatte. Ma conviene tener conto che già gli accertamenti attuali sono, nella gene­ ralità, miti ». Parrebbe adunque che non vi fossero dubbi sulla probabilità di ricavare le 55,000 lire sperate della tassa sul valor locativo.

Finalmente il Comune di Bergamo ricorse alla tassa sugli equini, valendosi della facoltà data dalla legge 14 luglio 1898 secondo la quale i Comuni che fossero ammessi a passare dalla categoria dei comuni chiusi a quella degli aperti possono applicare una tassa annua per ogni capo delle diverse specie di equini in sostitu­ zione del dazio sui foraggi.

Con altre parole gli animali sono assogget­ tabili a un tributo speciale in quanto sfuggono, per il regime del comune aperto, a qualunque dazio consumo. Il criterio quindi della tassabi­ lità dev’essere quello del presunto consumo. Ne discende che la tassa deve colpire l’animale in quanto consumi foraggi nel Comune e perciò | i cavalli che abitualmente risiedano e vengano I adoperati nel territorio comunale, indipendente­

mente dal domicilio del loro proprietario. Trat­ tandosi quindi di una tassa reale essa colpisce l’animale nella persona del suo possessore, senza

ricercare chi ne sia il proprietario.

Secondo i calcoli della Giunta di Bergamo pel foraggio consumato in un anno, un cavallo pagava lire 44.88 nell’ interno della città. Ma per varie considerazioni il tributo venne fissato a lire 25 per capo, riducendolo a 15 per i ca­ valli adibiti esclusivamente all’ industria vet- turiera.

Il reddito di questa tassa viene prevista in 17,000 lire ossia per n. 500 equini tassabili a lire 25 si avrebbe l’entrata di 12,500 lire e per n. 300 equini tassabili a lire 15 il provento di 4,500 lire. Tuttavia per prudenza la somma prevista viene portata a 16,000 lire.

Tali sono le riforme tributarie attuate a Ber­ gamo dopo lunghi studi che attestano la cura indefessa dell’ amministrazione comunale per trovare una via che conducesse alla soppres­ sione della cinta daziaria. Come abbiamo detto nel precedente articolo, la riforma ci pare giu­ stificata da necessità speciali, ma essa può of­ frire elementi di studio a chi si occupa in ge­ nere del migliore e più equo assetto dei tributi locali. Bergamo sta facendo un esperimento che è interesse di tutto il paese seguire con atten­ zione e noi auguriamo che l’ amministrazione comunale di quella Città appresti, ora e in se­ guito, ai poteri pubblici e agli studiosi il ma­ teriale necessario per ben chiarire gli effetti della riforma tributaria di recente applicata.

L’ Istituto Italiano di Credito fondiario

(esercizio 1900)

(4)

84 L ’ E C O N O M I S T A 10 febbraio 1901 Abbiamo detto nel numero passato, rilevando

il fatto notevolissimo che l’Istituto non ha ai- arretrato sulle sue riscossioni al di là del 1900, che questa regolare risultanza dell’ azienda è tanto più meritevole di considerazione in quanto la maggior parte dei mutui accordati dall’Isti­ tuto hanno la loro garanzia ipotecaria su im­ mobili che sono posti nelle provincie meridio­ nali ed insulari d’Italia, dove appunto nel pas­ sato gli altri Istituti di Credito Fondiario accu­ sarono le loro maggiori perdite.

E infatti gli 89 milioni di mutui accordati a tutto il 1900 si dividevano come segue secondo le diverse regioni : Piemonte . . . N. 18 per L. 696,500 Liguria . . » 10 & 5> 1,248,500 Lombardia . . » 8 » 5> 520,000 V en eto. . . . » 46 » * 2,149,000 Emilia . . . . » 82 » » 3,642,000 Toscana . . . » 22 » » 2,405,000 Marche . . » 120 » » 3,181,500 Umbria . . » 66 » » 2,394,500 Lazio . . . . » 167 » » 19,123,000 Abruzzi e Molise » 48 » J> 2,208,000 Campania. . . » 246 » » 23,133,000 Puglie . . . . » 200 » » 15,349,000 B asilicata. • . » 39 » » 3,676,500 Calabria . . . » 79 3> » 3,796,000 Sicilia . . . . » 87 » » 5,680,000 Sardegna . . . » 22 » » 183,000

Le quali cifre dimostrano che degli 89 milioni di mutui stipulati le garanzie ipotecarie erano per 50 milioni di mutui nelle provincie napoletane

per 27 » » » dell’It. centrale

per 8 » » » dell’ Alta Italia

per 6 » » » deU’It. Insulare

E ciò è in parte conseguenza del fatto che fino ad alcuni anni or sono soltanto l’ Istituto italiano poteva operare nelle provincie meri­ dionali, gli altri Istituti avendo limitata la loro azione nelle zone rispettive.

Però è altrettanto conveniente notare che seb­ bene l’ Istituto Italiano non goda più alcuno speciale privilegio e quindi tutti e cinque gli Istituti possano operare egualmente in tutto il Regno, la azione dell’Istituto Italiano si svolge sempre con prevalenza nelle provincie meri­ dionali. Infatti dei 9.1 milioni di mutui stipu­ lati nel 1900 si ha per regioni la seguente ri- partizione :

Lom bardia. . . . N. 1 per L. 40,000

Veneto . . . . » » 200,000 Emilia . . . » 4 » » 82,000 T oscan a. . . » 2 » » 111,000 Marche . . . . ¡> » 165,500 ' Umbria . . . » 5 > » 141,500 Lazio... . » 9 » » 3,1.07,000 Abruzzi e Molise . » 5 » » 132,500 Campania . . . . » 23 » » 1,204,000 Puglie . . . » 23 » » 1,554,500 Basilicata . . . . »> 4 » » 820,000 Calabria. . . . . » 13 » » 356,000 Sicilia . . , . . » 17 » » 1,373,500 Sardegna . . . . » 1 » » 6,000

Nel Piemonte e nella Liguria non fu stipu-lato alcun mutuo, per cui i 9 milioni si ripar­ tiscono :

Alta Italia . . N. 2 per L. 240,000 Italia centrale . » 33 » » 3,640,000 Italia meridionale » 63 » » 3,935,000 Italia insulare . •» 18 »• »' 1,379,000 Continua l’Istituto come negli anni decorsi a prendere una parte molto limitata negli inte­ ressi della edilizia, ed invece i suoi mutui sono, per la massima parte rivolti all’agricoltura. Nel 1900 furono accordati dei 9.2 milioni di mutui, 7.1 a garanzia ipotecaria di fondi rustici, e solo 1.7 milioni su fondi urbani, il rimanente su garanzia mista di fondi rustici ed urbani.

Nè è meno degna di nota la ripartizione per l’ammontare dei mutui; sui 116 concessi nel 1900, 44 non oltrepassavano le 20,000 lire ; 38 tra le 20 e le 50 mila lire ; 19 tra le 50 e le 100 m ila; 13 tra le 100 le 500 m ila; solo due mu­ tui superavano il mezzo milione di lire.

Oltreché il proprio capitale, l’ Istituto ha im­ piegato nei m utui,di cui sopra, il ricavato delle, vendita delle cartelle, come ne è per legge ob­ bligato. Tali cartelle sono di due saggi di in­ teresse; il 4 1/2 per cento ed il 4 per cento.

Delle prime ne esistevano in circolazione alla fine del passato eserc. N. 46,966 per L. 23,483,000 e delle seconde . . » 51,354 » » 25,677,000

Tolale. N. 98,320 L. 49,160,000

Naturalmente queste cifre risultano dalla dif­ ferenza tra la consistenza al 31 dicembre 1899 più l’ ammontare della emissione fatta durante l’anno, e l’ ammontare delle cartelle sorteggiate od annullate.

Sopra 23.4 milioni di lire rappresentati da cartelle 4 1/2 per cento, solo 3.3 milioni sono nominative, e sopra 25.6 milioni di lire di car­ telle 4 per cento solo 4.1 sono nominative. Il che denota che non è ancora abbastanza en­ trata nel pubblico la consuetudine di impiegare i risparmi in questi titoli che rappresentano una piena sicurezza e danno un interesse re­ lativamente cospicuo; e ciò spiega del perchè il loro prezzo è ancora sensibile alle fluttuazioni del mercato.

Le 4 1/2 per cento che nel maggio 1899 ave­ vano raggiunto il massimo prezzo di L. 518, scesero sino a 508 nel gennaio 1900, per ripren­ dere a 512 nel giugno e tornare ancora a 509 alla fine dell’ anno. Non sono forti fluttuazioni a paragone di quelle di altri titoli consimili, ma è certo che saranno ancora minori mano a mano che aumenterà la quantità proporzionale delle cartelle nominative.

Le 4 per cento che avevano toccato nel maggio e giugno 1899 il prezzo di L. 504 fu­ rono ancora più oscillanti scendendo sino a 489 nell’ottobre del 1900 ; alla, fine dell’ anno però erano ben sostenute al di sopra di 493.

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10 febbraio 1901 L ’ E C O N O M I S T A 85 a 490. In questi ultimi giorni le migliorate con­

dizioni del mercato e le notizie rese pubbliche sui buoni risultati dell’ esercizio le fecero au­ mentare sino a 504.

Per la riforma del dazio di consumo

Un gruppo di deputati, presieduto dall’on. La­ cava, ha diramato ai membri del Parlamento un progetto per la riforma del dazio consumo, ac­ compagnandolo colla seguente lettera :

« Carissimo collega,

« D’ accordo con gli amici onorevoli Zeppa, « Bettolo, Afan De Rivera, Abignente ed altri, « che si sono associati, le invio lo studio circa « la graduale riforma del dazio consumo ed « abolizione delle barriere interne. Lo sottopo- « niamo al vostro esame, lieti se avremo po- « tuto con esso contribuire ad una riforma tanto « reclamata dal pubblico interesse.

« Pei colleghi

. « Firmato : Lacava ».

Questo progetto, del quale diamo un cenno con le maggiori riserve, afferma la necessità politico­ economica dell’abolizione dei casotti daziari e delle barriere interne, divenute nei 336 Comuni (sopra 8260) nei quali esistono, il più imme­ diato ed insieme il più sensibile strumento di pressione fiscale; anche perchè gravano ogni consumo dal più lussuoso al più umile ed in­ dispensabile a tutte le gradazioni sociali, come gli alimenti farinacei.

Due difficoltà sono da superare : la perdita del canone governativo per dazio consumo, che ammontava nel decorso quinquennio a lire 51,830,847 ed ora trovasi ridotto a circa lire 50,000,000 — e le perdite alle quali andranno incontro i Comuni chiusi per l’ abolizione delle barriere e la modificazione del regime daziario interno.

Il bilancio ordinario dello Stato, osservano i deputati proponenti è gravato, pel quadriennio 1901-1905 dai seguenti oneri : estinzione dei de­ biti redimibili (che continuano anche dopo il 1905) lire 67,163,263; estinzione del debito fer­ roviario (che cessa nel 1905) lire 38,427,000. Totale lire 105,590,263.

A fronteggiare tale cifra possono adoperarsi, invece che le risorse ordinarie del bilancio, anzitutto i mezzi o cespiti patrimoniali che il Tesoro possiede, e cioè :

1. ° il credito verso 1’ Amministrazione del

Fondo per il culto in lire 38,000,000;

2. ° il supero dell’ operazione della rendita

4 1[2 lire 22,000,000. Totale lire 60,000,000, che invece si vorrebbero far servire a dimi­ nuire il debito pubblico, cosa che si crede non consentita dallo stato attuale dell’economia del paese, in quanto non può essere oggi lecito arricchirsi col diminuire il debito pubblico a spese del prodotto ordinario dei tributi.

Così dovrebbe provvedersi ad altri 45,590,263, che in quattro esercizi di poco oltrepassano gli 11 milioni annui da convertirsi in rendita al 4 li2 per cento.

Ciò fatto si avrebbe una disponibilità com­ plessiva nel quadriennio 1901-1905, di ben lire 105,590,263, che non dovrebbero più essere prelevate dalle risorse ordinarie del bilancio.

Quale sarebbe ora il fabbisogno dello Stato, se dovesse abbandonare il cespite intero del dazio consumo, cioè lire 51,830,847 ì

Anzitutto, poiché il gettito delle imposte dà annualmente un avanzo di circa 20,000,000, pure ammesso che i provvedimenti proposti dall’on. Chimirri importino un o n e re d i circa dieci milioni, restan sempre altri 10 milioni di­ sponibili nel primo esercizio, salvo gli ulteriori aumenti annui in 30, 50 milioni, ecc. _

Epperò il fabbisogno annuo, per rinunziare al cespite del canone daziario, si ridurrà al- l’ incirca a L. 41,830,247 per il primo anno a lire 21,830,247 pel secondo, e potrebbe quasi sparire il fabbisogno per il terzo anno, se il gettito dell’ imposta continuasse a progredire, come nulla fa prevedere in contrario.

In ogni peggiore ipotesi resterebbe a prov­ vedere da 65 a 100 milioni, pei quali sarebbero disponibili i 105 milioni di cui sopra.

Abolito il canone daziario governativo, come regolerebbero i Comuni le loro finanze ì si do­ mandano i deputati proponenti.

Anzitutto i 336 comuni chiusi dovrebbero abolire le barriere interne. Poi la tariffa^ da­ ziaria andrebbe per tutti i Comuni chiusi ri­ dotta alle seguenti voci : vino, attuale dazio lire 53,659,637; vino ed aceto in bottiglie 378,643 ; mosto 1,507,144; uva 5,749,787 ; ma­ teriali da costruzione 4,537,057; foraggi 4,826,642 totale lire 70,668,486, a cui aggiungendo^ lire 29,721,000 per l’attuale tassa di macellazione, si avrebbe un introito complessivo minimo di lire 100,389,486.

Attualmente i comuni chiusi ricevono da tutto il dazio consumo lire 175,972,300, da cui dedotti 15 milioni di spese d’esazione, 35,043,284 di canone governativo, si ottiene un provento netto di 125 milioni, al quale si dovrebbe sop­ perire in caso di abolizione del dazio.

Oltre 100 milioni si otterrebbero dalle poche voci suesposte; resterebbe perciò a provve­

dersi 25 milioni.

Un primo provvedimento proposto dal pro­ getto parlamentare è quello di gravare le Ope­ re pie di una parte delle spese di beneficenza e di auelle dell’ infanzia abbandonata impor­ tanti circa 16 milioni e per i rimanenti 9 mi­ lioni circa i deputati proponenti consigliano di provvedere con la istituzione od il riordina­ mento della tassa di famiglia.

Le spese di beneficenza che gravano i bi­ lanci comunali (1897) ammontano alla somma di 44 milioni circa; la maggior parte di esse possono ritenersi più consentanee al fine di beneficenza degli Istituti ed Opere pie.

Nè addossando alle opere pie un onere di circa 16,000,000 si può temere di turbarne gli scopi od intaccarne in alcun modo le fonda­ zioni ; poiché il loro patrimonio complessivo si avvicina ora ai due miliardi e mezzo, con un reddito di circa 150 milioni annui.

(6)

L ’ E C O N O M I S T A 10 febbraio 1901

deputati proponenti fanno ricorso per proget­ tare la rinunzia del fisco al canone daziario, e l’ abolizione delle barriere interne, non fossero disponibili, i proponenti credono che si potrebbe trovare un mezzo sufficiente unicamente nello incremento normale delle imposte, che essi cal­ colano in un minimo di 15 milioni.

Il canone governativo, essi affermano, pei Co­ muni chiusi è di L. 35,043,284 e pei Comuni aperti di L. 16,787,563.

Evidentemente una riforma del dazio con­ sumo, dovendo partire anzitutto dall’ abolizione delle barriere interne, è necessario iniziarla colla riduzione del canone daziario pei Comuni chiusi, riduzione che potrebbe importare la per­ dita di 30 milioni annui.

Pur lasciando intatte le riforme proposte dal- l’on. Chimirri, si potrebbe sempre contare su 15 milioni nel 1901, 30 nel 1902, 45 nel 1903, 60 nel 1904.

Conseguentemente nel 1902 potrebbe essere operata l’ apertura delle barriere interne; nel 1903 la riduzione del canone daziario per tutti i Comuni ad un quinto e nel 1904 per intero.

Nel 1902 i Comuni chiusi sarebbero obbligati ad abolire il dazio sulle farine e paste, e cioè perdere un provento di L. 27,303,703, applican­ do le imposte sul vino, carni macellate, fo­ raggi e materiali di costruzioni sopra ricordate. Nel 1903 sarebbero obbligati ad aprire le barriere interne e trasformare completamente il sistema, abolendo la tariffa attuale e limi­ tandola ai cespiti sopraindicati dal 1° gennaio

del 1904. .

I Comuni aperti poi al 1° gennaio 1902 sa­ rebbero obbligati ad abolire ogni dazio sulle farine e paste, e cioè perdere un provento di lire 3,617,657 ed applicare la tariffa sui cespiti suddetti (vino, carne, ecc.), e nel 1904 a limi­ tare la tariffa solo a questi cespiti.

E sin dal 1° gennaio sulle Opere pie dovrebbe ricadere l’onere di circa 16 milioni annui per spese di beneficenza e trovatelli ; così che i Comuni potessero risentirne giovamento im­ mediato e prima ancora di trasformare il loro

sistema tributario. .

« Noi portiamo la convinzione - così si espri- « mono i deputati autori del progetto - che lo « abbattimento delle barriere interne e l’aboli- « zione di taluni dazi, che colpiscono ì consumi « indispensabili, producendo un sollievo nella «econ om ia del paese, una maggior vivacità « di scambi, e quella pace interna, che è con- « dizione precipua di finanza prospera, ne ri- « sulterebbe un incremento anche maggiore del « previsto nella finanza dello Stato ».

LO SCIOPERO DEI FONDITORI

Poiché dura tuttavia a Torino ed in altre città del Piemonte il doloroso sciopero dei fon­ ditori e poiché le mediazioni politiche non hanno servito ad altro che ad invelenire il conflitto, proviamo se non sia possibile di ot­ tenere un miglior risultato esaminando fredda­

mente le cause economiche della questione e cercando di riportarla sul terreno, dal quale mai non sarebbe dovuta uscire e che è quello di una pacifica discussione di interessi.

Spogliando il conflitto da ogni elemento estra­ neo, si vede come due sono i motivi che lo hanno determinato e che continuano a tenerlo aperto.

Il primo sta nella domanda avanzata dagli

operài e dagli industriali respinta di un au- ì

mento dei salari in corso e di qualche altra modificazione nei patti di lavoro.

Il secondo consiste nel rifiuto degli indu­ striali a trattare colla Camera di lavoro e a riconoscere ufficialmente la Unione degli operai fonditori.

A decidere chi abbia ragione e chi torto nella prima questione bisognerebbe conoscere tutti gli elementi del fatto, i quali non è facile appurare nelle contraddittorie affermazioni delle due parti contendenti. Giudicando però coll’ordinario buon senso commerciale, non esito ad asserire che in ogni caso gli operai scioperanti hanno scelto assai male il momento in cui tutte le industrie e specialmente quelle meccaniche e metallur­ giche attraversano un periodo di crisi che non accenna a finire tanto presto.

Con pari sincerità dico che nella seconda questione gli industriali hanno torto non solo, ma agiscono contro il loro vero e bene inteso interesse, rifiutandosi a trattare colle Associa­ zioni economiche operaie.

Ostinarsi, come hanno fatto gli industriali fonditori a voler trattare esclusivamente coi singoli lavoratori, non può essere che l’ effetto di un grave pregiudizio, il quale non capisce che il contratto di lavoro non può esso solo sottrarsi a quella legge generale di evoluzione e di progresso che caratterizza la civiltà com­ merciale dei nostri tempi e di cui uno dei tratti ^ più notevoli è il successivo passaggio dall’ in­ forme isolamento economico alle forme più per­ fezionate e complesse di associazione e di eoo— perazione volontaria.

Industriale io stesso, non vedo alcun peri­ colo, ma anzi faccio voti che presto venga il giorno, nel quale, invece che continuare a trat­ tare coi singoli operai, l’ imprenditore d’ indu­ stria potrà trattare in blocco con serie e bene organizzate Associazioni operaie, allo scopo di assicurarsi la quantità di lavoro che gli occorre.

Il timore che adattarsi ad una tale trasfor­ mazione, resa ogni dì più necessaria ed urgente sia dare ansa ad uno sviluppo ulteriore delle dottrine e delle tendenze socialiste, è affatto in­ fondato e mostra in coloro che lo mantengono una ignoranza economica completa.

Si potrebbe dire ugualmente che le Società anonime di capitali sono esse pure una forma di collettivismo. Perciò non si arriva a com­ prendere come industriali, i quali reclamano, e giustamente, per sè il diritto di unirsi e di as­ sociarsi in quei modi che loro meglio conven­ gono, possano logicamente contestare una ana­ loga libertà ai loro operai, i quali non hanno altro mezzo di legalmente e pacificamente di­ fendere i loro interessi di lavoratori.

(7)

10 febbraio 1901 L ’ E C O N O M I S T A

87

scioperanti in merito al riconoscimento^ ed al futuro funzionamento delle loro Associazioni erano giuste. Alcune di . esse si infrangono, ol­ treché contro la libertà degli imprenditori di regolare la produzione dei loro opifici nel mo­ do migliore e più conveniente, anche contro una impossibilità materiale come è quella di lasciar fissare la misura dei salari da chi non porta le conseguenze della speculazione indu­ striale; ma se questo poteva presentare una, insuperabile barriera da parte degli industriali ad accettare più. tardi le proposte che avrebbero potuto fare la Camera di Lavoro & la Unione Fonditori, non giustificava però il rifiuto pre­ ventivo a discutere ed a trattare con esse.

Anzi il vero modo di mostrare che certe do­ mande degli operai non potevano ragionevol­ mente essere accettate, era precisamente di accettare quelle che potevano essere accolte, manifestando la sincera buona volontà di un accordo su basi eque e conformi alle condizioni dei tempi, che non ammettono più che il con­ tratto di lavoro stabilisca l’imprenditore in una situazione privilegiata, conferendogli in più del diritto di avere la cosa che è strettamente l’og­ getto di quel contratto, e che è il servizio con­ venuto, una specie di patria potestà e di gene­ rale tutela sugli operai da lui dipendenti.

Questa concezione medio-evale e semi-bar­ bara dei rapporti fra padroni ed operai è una vera anomalia, se la si vuole conservare nella grande industria moderna.

Anche il nome di padrone non è più compa­ tibile collo stato attuale della società. Nulla più nel contratto di lavoro deve rimanere a ricor­ dare l’ antica soggezione politica degli operai. La grande industria non ammette che salarianti da una parte salariati dall’ altra.

Ora, a quel modo che gli industriali devono energicamente rivendicare il diritto di associarsi liberamente per vendere i prodotti della, loro industria e per comperare i servizii produt­ tivi di cui hanno bisogno (salari, materie pri­ me ecc. ecc.) cosi non possono contestare l’uguale diritto nei loro operai e commettono un errore di principio e di tattica gravissimo quando si rifiutano di comperare il salario all’ ingrosso dalle Associazioni costituite appunto allo scopo di collocare e di vendere alle migliori condi­ zioni il salario, cioè i servizi produttivi degli operai.

Dico di più, che gli industriali hanno tutto da guadagnare da una simile trasformazione del contratto di lavoro. Prima di tutto essi sareb­ bero liberati da una infinità di noie e di per­ ditempi che distinguono il sistema attuale delle trattative individuali. Nell’ industria le noie ed i perditempi si traducono inevitabilmente in spese inutili, cioè in un aumento del costo di produzione.

In secondo luogo, oggi e coi metodi in vigore per assicurarsi il personale di cui esso ha bi­ sogno, l’industriale non ha alcuna pratica ga­ ranzia che il lavoro sarà eseguito a dovere nei termini e alle condizioni stabilite. Evidentemente le cose cambierebbero quando il contratto fosse stipulato con una Associazione, la quale avrebbe interesse a mantenere la propria clientela e

perciò ad esercitare una azione di severa e continua vigilanza sull’operaio pigro è dissoluto: Da principio, invero, è da supporsi che la ga­ ranzia sarebbe puramente morale, ma già que­ sta ha la sua importanza. Tuttavia non pas­ serebbe molto tempo che, pptendo le Associa­ zioni di lavoratori costituirsi un certo capitale, la garanzia diventerebbe pure materiale e sa ­ rebbe effettivamente grandissima.

Sarebbe troppa presunzione la mia se sup­ ponessi che queste affrettate e forzatamente brevissime considerazioni, che, lo ripeto, prò- vengono da un industriale, avessero qualche valore per rischiarare ed addolcire una situa­ zione che là passione di parte ed il pregiudizio economico fiatino ottenebrata è rèsa asprissima.

Tuttavia, invitando gli industriali fonditori ad ancora riflettere sul loro tòrto di ostinarsi ne rifiuto a trattare colle organizzazioni operaie, ed alio scopo di togliere loro l’ ultimo dubbio che, ciò facendo, essi riconoscerebbero implica tamente il trionfo delle dottrine socialiste nei loro stabilimenti, aggiungerò che il sistema di trattare il lavóro aH’ingrosso è tanto poco só- ! ci alista che esso viene preconizzato da oltre ! sessant’ anni dal venerando ed illustre capo j della scuola economica liberale, il signor Du- stave de Molinari, e che da qualche tempo e l’oggetto in Francia di una viva e coraggiosa campagna da parte di Yves Guyot, del quale il ministro Millerand, che se ne intende, ha detto che ha passato la sua vita a combattere le dot­ trine socialiste.

Edoardo Gir e t t i.

La inaccettabilità del sistema proposto (lai doverlo

Quali gli effetti finanziari di un siffatto si- sterna ^

Ponendo uguale ad x la quantità superiore al limite normale di L. 12.50, il vantaggio pei contribuenti sarebbe appunto rappresentato da questo x perchè il minimo per essi consiste­ rebbe nella quota normale di L. 25 più la ! somma x , variabile nelle varie Provincie a se- • onda del rapporto percentuale delle sovrim­

poste. . .

Le finanze dei Comuni e delle Provincie su­ birebbero una perdita misurata dal vantaggio a; dei contribuenti : potrebbero i bilanci locali cor­

rerne pericolo ì , i - i

Chi ci rifletta un pochino troverà che il pe­ ricolo è potenziale ma non rea le: tale sarebbe se alla quota minima più x venisse applicato un provvedimento completamente liberativo co­ me potrebbe esser 1’ esenzione da imposta, ma

') Vedi il numero precedente dell 'Economista.

L u m F in i« «

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L’Emani

m i e w i p

8

(8)

88 L ’ E C O N O M I S T A 10 febbraio 1901 nel caso concreto potrà trattarsi di concederle

1’ inesigibilità condizionata.

Però coi tempi che corrono crediamo che questo pericolo o per dir meglio questo timor di pericolo incóntri ben troppi interessati ad ingrandirlo è nòn dubitiamo punto che baste­ rebbe questo per respingere la proposta d’ un tale sistema : d’ altra parte ci sembra che la maggior perdita che esso potrebbe provocare a danno delle finanze locali sia più opportuno dedicarla a ben maggiori e più generali sgravi, ormai inevitabili, in materia di consumi.

* *

Ma non è inutile T averne parlato, perchè cosi abbiam preparato la via alla retta intel­ ligenza dell’altro sistema, che noi abbiam sug­ gerito, ed alla dimostrazione della possibilità che esso sia attuato. Esso consiste nel prender p er base la quota erariale di L. 12.50 ed esten­

dere il provvedimento ad una quota addizionale di L. 12.50.

Questo 3° sistema, come subito proveremo: à) non ha il difetto del 2° or ora esa­ minato,

b) non ha il difetto di quello proposto dal Governo,

e) reca un vantaggio alle finanze locali, facilitando il ritorno ai limiti di legge nell’im­ posizione dei centesimi addizionali.

>b sb

Il sistema testé studiato ha l’inconveniente di estendere il provvedimento tanto più, quanto più alto è il livello delle sovrimposte. Partendo dal principio di favorire la quota erariale di L. 13.50 ed una quota addizionale che sia ad essa proporzionale, ne deriva che la misura della quota addizionale è data d al rapporto percentuale tra la sovrimposta e 1 imposta: quindi nei Comuni che hanno 500 Centesimi, ad una quota erariale di L. 12.50 sarebbe pro­ porzionale nientemeno che una quota di L. 62.50, mentre nei Comuni che hanno centesimi 50 come le leggi appunto prescrivono — sarebbe quota proporzionale quella di L. 6.25 : come si vede, la differenza tra 6.25 e 62,50 non è pic­ cola specialmente ove la si consideri in pap- porto alla quota complessiva di L. 25.

Un provvedimento, adunque, che fosse stato applicato con questo criterio, avrebbe in certo modo favorito i Comuni, che già sono fuori della legalità per la loro sfrenata imposizione, trattando normalmente gli altri che alla lega­ lità furono stretti : onde manca a questo siste­ ma il fondamento logico : come si possa uti­ lizzarne il fondamento giuridico ed economico diremo tra breve.

Ad ogni modo avrebbe prodotto una spere­ quazione nel minimo tra le quote addizionali, sempre meno grave di quella tra le quote erariali.

*

* *

Esso però ha un grande pregio, nel quale sta il fondamento giuridico ed economico.

Il I o sistema, ossia quello proposto dal Go­ verno, giungendo in pratica a diverse applica­ zioni beneficava proprietà di valore _differente. Se. si sancisce l’ inesigibilità condizionata per

la quota erariale di L. 8 a Ferrara, e invece di L. 12 a Cremona, per quanto si dica che il minimo in ambedue è di L. 25 complessive non potrà negarsi che 1’ entità del beneficio è maggiore nella seconda che non nella prima Provincia ; non potrà negarsi che nella 2a ci sarà una categoria di proprietà — contribuenti da L. 8.01 a L. 12 — pei quali esiste la pos­ sibilità di usufruire del beneficio legislativo mentre nella I a questa medesima categoria è senz’ altro sottratta a tale beneficio.

Ci pare di aver dimostrato che 1 effetto grave di tale sistema è la sperequazione : basta adun­ que questo per escluderlo.

Il 3° sistema ha il merito di evitare la spe­ requazione perchè prende per base un dato certo, che se non ancora può dirsi uniforme per tutto il Regno, tale diventerà quando il catasto sarà definitivamente costituito: col creare una nuova sperequazione nei limiti stessi del minimo si va per una via completamente op­ posta a quella, cui mira la legge « sulla spe­ requazione fondiaria » ; perfino nelle Provincie, in cui il catasto è compiuto, perfino in queste non sarebbe possibile arrivare alla valutazione uniforme del minimo col I o sistema, perchè se una è l’ aliquota erariale, non è una l’aliquota __ se cosi potesse chiamarsi — delle sovrim­ poste ; e queste variando, agiscono sulla quota erariale impicciolendola o ingrandendola se­ condo che esse sono più o meno alte.

Dunque nelle Provincie, in cui dopo tanti anni si è giunti ad avere un ordinamento ca­ tastale, si comincerebbe ad introdurre la pos­ sibilità di un disordinamento per mezzo della nuova sperequazione.

* *

Senz’ altro ci pare adottabile il nostro siste­ ma, che consiste nel considerare come minima la quota erariale di L. 12.50, estendendo il provvedimento ad una quota addizionale di altre L. 12.50. Molti sono i vantaggi di questo metodo: 1. — Per le finanze locali si verificherà un guadagno, rispetto a quanto sanciva il pro­ getto ministeriale. Prendiamo, ad es., la pro­ vincia di Firenze. Posto che fosse dichiarata inesigibile la quota complessiva di L. 25, la per­ dita anderebbe ripartita approssimativamente cosi :

Secondo

il sistema Secondo proposto il nostro; dal Governo sistema

Perdita dello Stato. . . L. 10 L . 12.50

» della Provincia . » 5 » 4.15

» del Comune . . » 10 » 8.35

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ri-L ’ E C O N O M I S T A 89 10 febbraio 1901

forme ed affinchè sia per essi piccola quanto più è possibile la dipendenza da quello.

2. — La perequazione, cui si giungeva col I o sistema, si evita col nostro perchè dà per base di misurazione del minimo una quan­ tità fissa, ossia il tributo erariale.

3. — Siccome il rapporto tra la sovrim­ posta e l’imposta varia ogni anno, seguendo il I o sistema sarebbe necessaria ogni anno una nuova valutazione del minimo, e quindi, se la sovrimposta crescerà, la quota erariale diven­ terà minore. Per prender Firenze, nell’ ipotesi che le sovrimposte si elevassero, nel minimo complessivo di L. 25 non potrebbe più entrare la quota erariale in L. 10, ma qualche cosa di meno ; dimodoché in quest’anno passerebbe per minima la quota erariale di L. 10, per il pros­ simo, invece, passerebbe per tale una quota ad esempio di L. 9.75 : tante sarebbero le modifi­ cazioni quanti i cambiamenti del livello della sovrimposta in più o in meno. Non v’ è chi non veda come questo sia un bello inconve­ niente pei contribuenti ed una complicazione per gli agenti.

Invece col nostro sistema, presa la base fissa di L. 12.50 erariali, le altre 12.C3 verranno fa­ cilmente ripartite tra la sovrimposta comunale e la provinciale a seconda del rapporto che tra esse corre, ma indipendentemente da quello esi­ stente tra esse e l ’imposta erariale.

E’ sperabile che le sovrimposte ritornino nel limite di legge, ed allora nulla si avrà da cam­ biare, ove si sia conservata nel tributo erariale V uniformità.

*

# #

Ci auguriamo che la Commissione dei X V , come volle respingere le disposizioni riguardo alle quote minime, non lasciando inascoltate le nostre Osservazioni, voglia ora riprenderle in esame al fine di non abbandonare — con la scusa di più maturi studi — l’adozione di un provvedi­ mento indispensabile alla classe minima di pro­ prietari ; ci auguriamo che, mutato il progetto come l’esperienza e il movimento politico ri­ chieggono *), non si neghi ad essa quel sollievo che supreme ragioni di economia consigliano ; ma nella determinazione della quota minima, agli effetti della esenzione (per le quote sino a L. 2 e 3.25) e dell’ inesigibilità (per le quote da L. 2 e 3.25 sino a 12.50) non si adotti come base di misurazione, il criterio proposto dal Go­ verno, perchè non si farebbe altro che portare un nuovo contributo alla attuale stridentissima sperequazione, perchè ciò equivarrebbe al creare un’imposta diversa, che è quanto dire spesa di produzione diversa, squilibrio di concorrenza, protezionismo, monopolio all’ interno, insomma soppressione di ogni equilibrio di forze e di relazioni economiche.

*) Vedi l'Economista del 18 novembre.

Luigi Nina.

Rivista Economica

L’ espansione econom ica d e g li S t a t i U n iti - L’ im p o sta

s u lle o p e ra z io n i d i B o rs a in F r a n c ia - La le g g e g e rm a n ic a s u i m a rc h i d i fa b b ric a .

L ’ espansione economica degli Stati Uniti. — L ’ Economiste français in un interessante articolo esamina l’ espansione economica degli Stati Uniti nelle sue manifestazioni più evidenti e nelle condi­ zioni di produzione che l’hanno provocata e che ogni giorno la rendono più invadente.

Il problema è grave per tutti i paesi d’ Europa, non escluso il nostro.

Anzitutto l'Economiste esamina il commercio estero. Le esportazioni degli Stati Uniti si sono elevate nel 19 0 a 7,600 milioni di lire e le importazioni a 4,275 milioni. In totale un movimento di 12 mi­ liardi, cifra senza precedenti.

La differenza a favore delle esportazioni è, come si vede, di oltre 3,300 milioni.

Di tutti i rami della esportazione americana, quello che maggiormente progredisce é la metallurgia. D u ­ rante il 1900 gli Stati Uniti hanno esportato per quasi un miliardo di lire di metalli ; soltanto il rame vi entra per oltre un quarto, ed i prodotti di ferro ed acciaio per la metà. Fra questi ultimi è degna di menzione l’ esportazione sempre più rapida e cre­ scente del materiale ferroviario, tanto che sembra che in questo ramo cosi importante di commercio, gli Stati Uniti siano sulla via di diventare i forni­ tori del mondo intiero.

Nel 1900 hanno esportato per 60 milioni di lire di rotaie d’acciaio, di cui quasi 5 milioni in Europa altrettanti al Messico, 10 milioni nell’America del Sud, 20 milioni al Canadá, ed il rimanente nell’Estre­ mo Oriente, in Oceania e perfino in Africa.

Nel 1890, il valore dell’esportazione delle rotaie, non era che di 1,6'10,000 lire; nel 1896 di 2,000,000 ; nel 1897 di 12,500,000 ; nel 1898 di 22,500,000 ; nel 1899 di 26,000,000.

Dopo le rotaie vengono le locomotive, delle quali hanno esportato per 25,000,000. Seguono 15 milioni di lire di vagoni per ferrovie e 5 milioni per tram vie.

Del pari è in straordinario sviluppo l ’industria elet­ trica ; si è esportato nel 1900 per 30 milioni di m ac­ chine elettriche èd altri 30 di apparecchi telegràfici e telefonici ed altri istrumenti dello stesso genere.

Il progresso delle esportazioni metallurgiche è una delle caratteristiche più salienti dello sviluppo del commercio americano: ma è facile prevedere che molte altre industrie entreranno fra breve in con ­ correnza colle produzioni similari del vecchio mondo, specialmente l’industria tessile.

Le manifatture di cotone impiantate in questi pi- timi anni negli Stati del Sud, producono, con una mano d’opera relativamente a buon prezzo, ma an­ cora alquanto grossolana, dei filati o tessuti meno fini di quelli de,le fabbriche della Nuova Inghilterra, ma adattati ai mercati dell’ Estremo Oriente e dei paesi nuovi.

L ’industria serica fa grandi progressi, che a noi come ai francesi, conviene di sorvegliare attenta­ mente, ed importa ogni anno quantità considerevoli di materia prima dalla Cina e dal Giappone.

E ’ interessante di vedere quale è la parte dei nuovi possedimenti d ’oltre mare negli scambi degli Stati Uniti. Essa è rappresentata da 250 milioni di espor­ tazione nel 1900 contro 205 milioni nel 1899; 95 mi­ lioni nel 1898, e 85 milioni nel 1897. In queste cifre, Cuba entra per 130 milioni, Porto Rico per 27, Hawai per 75, le Filippine per 17 e le isole Samoa per un milione.

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L ’ E C O N O M I S T A 10 febbraio 1901 90

Senza dubbio esso è stato eccezionalmente favo­ rito da una serie di raccolti abbondanti dal 1897 in poi, ed è ciò che ha contribuito a far pendere in modo così straordinario la bilancia del commercio a favore degli Stati Uniti.

Ma non è stata questa la sola causa e nulla per­ mette di supporre che l’èra di straordinaria prospe­ rità in cui si trovano, sia prossima a^ terminare. Certamente il prezzo di alcuni prodotti, specie il ferro ed altri metalli sono notevolmente ribassati, ma non ancora sufficientemente rimuneratori.

D ’altra parte cogli alti prezzi del cotone, che sono oltre uri terzo più elevati delì’anno_ scorso, e quasi doppi di quelli di due anni fa, i piantatori del Sud faranno eccellenti affari.

Finalmente gli Stati Uniti dopo l’ autunno scorso, sembrano liberati da un incubo che per molto tempo ha pesato su di essi; l’ elezione presidenziale del 6 novembre passato è stata la condanna definitiva, della politica di Bryàn e dei partigiani della coniazione

libera dell’argento, _ . . .

L ’ultima legge monetaria ha consacrato il princi­ pio del tipo oro, però non vivendo piu sotto il ti­ more perpetuo di una crisi monetaria, 1’ America è in via di imprimere un nuovo slancio su tutti i rami della sua attività. Più che mai si può dire degli Stati Uniti : vìres acquirunt eundo. La loro straordi­ naria prosperità attira nuovi immigranti, dei quali le annate di crisi avevano intiepidito l’ardore.

Le cifre fche si conoscono della immigrazione per­ mettono di valutare il totale della immigrazione del 1900 a 460,000 persone, mentre nel 1898 era caduta sotto ai 250,00.

Di questi 460,000 immigranti, 100,000 sono austro- ungarici la maggior parte slavi, 100,000 italiani, 100,000 ebrei, finlandesi, polacchi provenienti dalla Russia, più di 50,000 della Gran Brettagna, fra i quali 40,000 irlandesi. Così si afferma sempre meno il carattere anglo-sassone della democrazia ameri­ cana; slavi e latini formano la maggioranza dei nuovi

arrivati. .

Una delle questioni più interessanti che si allac­ ciano a proposito del dilagare della attività ameri­ cana in tutte le regioni della terra, è quella della marina tanto militare che mercantile.

La bella flotta di commercio che gli Stati Uniti possedeva ai tempi della marina a vela e durante il periodo di transazione, non si è mai sollevata dal colpo che le portò la guerra di secessione, quando fu quasi interamente distrutta dai corsari del Sud.

Risorgerà dalle sue rovine?

Un progetto di legge sui premi di costruzione e navigazione sta davanti al Congresso e sarà discusso fr9> breve.

L ’attività dei cantieri americani è di già grande : essi hanno costruito nel 1900 per 180,000 tonnellate, venendo al terzo posto dopo l’ Inghilterra che ne ha costruito per 1,675,000 e la Germania che ne ha co­ struito per 252,000 tonnellate.

E si noti che queste cifre non comprendono che le navi destinate alla navigazione marittima, e non i navigli, pure considerevoli, che percorrono i Grandi Laghi e dei quali i soli cantieri dell’ «American Com­ pany » hanno costruito l’ anno scorso per 52,000 ton­ nellate. Non ci sarebbe dunque da meravigliarsi se la bandiera stellata tornasse a sventolare in tutti ì porti del globo, e se si pensa a ciò ehe_ è diventata l’ industria metallurgica degli Stati Uniti, si può pre­ vedere che il giorno in cui gli americani volessero la preponderanza marittima dell’ Inghilterra sarebbe

finita. , , , ,

Cosi gli Stati Uniti pare debbano ereditare nel X X secolo la posizione economica preponderante, oc­ cupata nel X I X dall’ Inghilterra. La immensità e la ricchezza dei loro territori, la facilità delle comuni­ cazioni, la massa e la energia della loro popolazione

che tocca oggi i 76 milioni e passera i 100 fra venti anni, sono le cause di codesto sviluppo, che sarebbe inutile negare, e che deve essere tenuto presente dal- 1’ Europa, per non lasciarsi vincere dalla lotta che essa dovrà impegnare nel secolo presente colla grande

Unione americana. B

L’ Imposta sulle operazioni di Borsa m Fran­ cia. Dal prospetto pubblicato dall’Amministra­ zione francese, riguardante le riscossioni nell anno 1900 per le contribuzioni dirette e per le tasse ad esse assimilate, si rileva che l’ imposta sulle op era­ zioni di Borsa produsse nel 1900 una somma di fr. 6,809,000 contro 6,838,500 nel 1899. Le previsioni per 1’ annata essendo state fissate soltanto in fian­ chi 5,104,500, le riscossioni le hanno dunque supe­

rate di fr. 1,704,500. .

Com’ è noto, l’ imposta sulle operazioni di Borsa in Francia fu applicata a datare dal 1° giugno 1893. Per i sette mesi trascorsi fino al 31 dicembre di detto anno essa fruttò fr. 4,387,500. Da allora in poi si sono avuti questi prodotti : nel 1894 fr. 10,536,500 ; nel 1895 fr. 10,082,000 ; nel 1896 fr. 5,064,008 ; nel 1897 fr. 5,526,000 ; nel 1898 -fr. 5,104,500 ; nel 1899 fr. 6,833,500; nel 1900 fr. 6,800,000.

E ’ il dipartimento della Senna quello che ha tor­ nito la più gran parte, per non dire la totalità, del- l’imposta, pagando fr. 6,507,578 di diritti, ciò che rappresenta un po’ più del 95 per cento del prodotto totale. Ciò si spiega pensando eh’ è Parigi il mas- simo, se non il solo centro degli affari di Borsa.

Dalle cifre suesposte risulta che 1 due ultimi anni sono in sensibile aumento sui precedenti, per riguardo al gettito della imposta sulle operazioni di Borsa; e l’anno 1900 non sarebbe stato probabilmente infe­ riore al 1899, se non vi fosse stato, ad esempio, il noto deprezzamento sui valori di trazione ; deprez­ zamento che ha avuto per conseguenza naturale una percezione inferiore sugli scambi effettuati in questa categoria di valori.

La legge germanica sui Marchi di fabbrica. Il console degli Stati Uniti a Berlino richiama l’at- tenzionei dei suoi compatriotti su una disposizione della legge germanica relativa ai marchi di iahbnca, della quale profittano persone poco scrupolose per cagionare molto pregiudizio ai fabbricanti esteri, che spediscono i loro prodotti in Germania. ^

Secondo la legge tedesca chiunque può far regi­ strare come marca di fabbrica un nome o un mar­ chio non ancora deposti in Germania ^da nessun^al- tra Ditta. Ne segue che i funzionari incaricati di ricevere le domande, non fanno nessuna inchiesta per sapere se il richiedente ha già usata la marca o se ha diritto di usarla ; essi si limitano a verifi­ care se la marca stessa venne precedentemente re­

gistrata nello Stato. _

Si comprende come sia facile abusare di^ questa disposizione. Cosi alcuni anni fa, quando le biciclette americane cominciarono a essere importate in Ger­ mania, alcune persone, interessate a impedire il mo­ vimento, non esitarono a far registrare a loro nome parecchie marche di biciclette, obbligando cosi ì fabbricanti a cambiar marca, o ad offrir loro una indennità. Anche più recentemente avvenne lo stesso caso per la marca di ua fabbricante americano di frutta conservate.

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10 febbraio 1901 L ’ E C O N O M I S T A 91

IL DISEGNO D I LEGGE CARCANO

sul lavoro delle donne e dei fanciulli

La Camera di Commèrcio di Udine ha esposto al­ cuni appunti sul nuova progetto dell’ on. Carcano tendente ad accrescere e ad estendere la tutela, san­ cita dalla legge vigente, delle donne e dei fanciulli occupati nelle industrie. Le osservazioni della Ca­ mera di Udine meritano attento esame.

Essa ricorda che viene elevato da nove anni a dieci il limite d’età per l’ammissione al lavoro negli opi­ fici industriali ; ì fanciulli prima dei 15 anni com­ piuti e le donne prima d’aver compiuto il 21° anno non si potranno, di regola, impiegare nei lavori pe­ ricolosi o insalubri; le puerpere, di regola, non po­ tranno essere riammesse al lavoro se non dopo tra­ scorsi 28 giorni dal parto; i fanciulli d’ambo i sessi dai 10 ai 12 anni non potranno lavorare più di 8 ore sulle 24 di ciascun giorno, non più di 11 ore i fanciulli d’ambo i sessi dai 12 ai 15 anni compiuti e non più di 12 ore le donne minorenni ; le donne minorenni ed i fanciulli fino ai 15 anni avran­ no ogni settimana un intero giorno (24 ore) di ri­ poso; per eccezione l ’orario dei fanciulli dai 12 ai 15 anni compiuti (certo l’ art. 6 allude ai fanciulli

d'ambo i sessi, ma l’aggiunta sarebbe necessaria) po­

trà essere prolungato al massimo fino alle 12 ore quando ciò sia imposto da necessità tecniche ed e - conomiche ; sono stabilite norme più sicure per l’at testato sanitario dei fanciulli e delle donne mino­ renni da ammettersi al lavoro; il lavoro dei fanciulli e delle donne minorenni sarà interrotto da riposi e in nessun caso potrà durare senza interruzione per più di 6 ore; nei lavori sotterranei non potranno im­ piegarsi fanciulli di età inferiore ai 13 anni compiuti e le donne di qualsiasi età; dovranno essere eseguiti nei locali di lavoro e nei dormitori provvedimenti necessari a tutela dell’ igiene e delia moralità.

E sta bene, dice la Camera di Commercio di Udine. Facciamo plauso alle ragioni umanitarie che hanno dettato queste norme.

Ma le ragioni economiche hanno diritto e, nel no­ stro caso, il dovere di riprender voce se vengano sa­ crificate più di quanto sia necessario.

Alludiamo alle proposte riguardanti il lavoro not­ turno. Secondo la legge vigente il lavoro notturno è vietato, salve eccezioni, ai fanciulli che non hanno compiuto il 12» anno e ne è limitita la durata a 6 ore pei fanciulli dai 12 ai 15 anni. Secondo il pro­ getto Carcano il lavoro notturno sarà vietato ai fan­ ciulli d’ambo i sessi di età inferiore ai 15 anni com­ piuti.

Acconsentiamo volentieri anche su questo ; ma non possiamo approvare che il lavoro notturno sia asso­ lutamente vietato, come vorrebbe il Ministro, alle donne fino a 21 anni compiuti.

Questo divieto colpisce principalmente l ’ industria cotoniera — come risulta dalla discussione avvenuta nel 1897 in seno al Consiglio dell’ industria e del commercio — e colpisce in modo particolare gli opi­ fici dell’ industria del cotone della Liguria, del Pie­ monte, di parte della Lombardia e del Veneto.

« L ’abolizione del lavoro notturno — osservava giustamente il consigliere Stringher in quelle tor­ nate dell’alto Consesso — per le donne fino ai 21 anni significa necessariamente, e in ciò sta la gra­ vità della cosa, l’abolizione completa del lavoro not­ turno in quei paesi nei quali l’arruolamento delle operaie è fatto in persone di poco più di 15 anni e che di solito smettono di lavorare quando van­ no a marito. Cosi avviene segnatamente nel Fi-iuli, dove la massima parte del lavoi'o nelle filatux-e e nelle tessiture di cotone è fatto, di solito, da ragazze

che non vanno oltre i 23 o 24 anni di età e sono sane, sanissime, non meno degli operai.

L ’ industria nelle plaghe più vicine agli opifici ha porta la mano all’agricoltura, giacché i sa­ lari guadagnati segnatamente dalle giovani donne, contribuiscono in modo evidente a migliorare le sorti- delia classe agricola e in buona parte si riversano direttamente a vantaggio di una più razionale agri­ coltura. Badiamo dunque a non nuocere coll’ inten­ dimento di giovare, e sovra tutto rimaniamo nel vero e non perdiamo il senso della misura. »

Alti consiglieri parlavano nello stesso senso e l ’ on. ing. Sella dicliiai'ava: « Poiché nella Liguria e nel Friuli la limitazione corrisponderebbe alla sop- pi'essione e quindi ne avrebbero sensibile svantaggio le classi operaie, non mi sento di votare in favore di questa proposta. Non reputo assurdo che si adotti un termine intermedio fra i 15 e i 21 anni. »

E che l’ idea del Sella non sia assurda si deduce dai fatto che fu attuata in altri Stati. Il divieto di lavorerò di notte cessa per le donne in Ungheria , a 16 anni, in Spagna a 17, in Svezia, in Norvegia e in Danimarca a 18.

Se è venuto il momento di fare un passo in avanti nella nostra legislazione sociale, facciamolo, ma per gradi, contentandoci ora di escludere dal lavoio not­ turno i ragazzi fino a 15 anni e le donne fino a 18 anni compiuti.

« Far d’un tratto — osserva il consigliere sen. D e Angeli — un cammino in cui altri ha impiegato anni ed anni ed anni non è sempre possibile. E als lora la fretta è cattivo partito e quello che sembra sano spirito umanitario giova mirabilmente alla causa opposta. »

Se in paesi nordici si stimò che a 18 anni com­ piuti la donna possa, con oppoi-tune limitazioni di orario, lavorare di notte, non sembrerà strano che quel limite d’età sia adottato in un paese^ meridio­ nale come l’ Italia, dove lo sviluppo fisico è più pre­ coce. E’ per questo che, nella conferenza internazio­ nale di Berlino fu ammesso che nei paesi meridio­ nali il limite d’eta per l’ammissione al lavoro dei fanciulli potesse essere indotto da 12 a 10 anni.

Giova anche ricordare che i cotonifici nostri sono citati a modello per quanto riguarda l’ igiene e che la scelta delle operaie, nei riguardi della robustezza, è rigorosa.

Lo stesso on. comm. Crespi, che pi-opugnava in via assoluta l’abolizione del lavoro notturno delle donne, ammetteva che « i danni del lavoro notturno sono talvolta attenuati dalle diligenti cure degli in­ dustriali e dall’applicazione di un orario studiato e adottato ai bisogni del corpo. Dove la mano d’opei-a è bene oi'ganizzata si possono combinare le cose in modo che. nella stessa casa abitino soltanto operai i quali lavorino o tutti di giorni o tutti di notte e si faccia perfetta quiete intorno a chi deve l'ipo- sare. »

« Ma — continuava il Crespi — queste perfette organizzazioni sono l’eccezione.... ¡>

Ebbene, si esiga che l’eccezione divenga regola ; in altre parole, si pei'metta di lavorare di notte alle donne minorenni soltanto negli stabilimenti che si trovino nelle condizioni accennate dal Ci'espi ; ma non si facciano subire a quelli le conseguenze del- l’ imprevidenza altrui.

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