• Non ci sono risultati.

L'amore violato: determinanti socio-culturali e strategie d'intervento. Due regioni a confronto: Toscana-Puglia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'amore violato: determinanti socio-culturali e strategie d'intervento. Due regioni a confronto: Toscana-Puglia"

Copied!
175
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea in Sociologia e Politiche Sociali

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

L’amore violato: determinanti socio-culturali e strategie

d’intervento. Due regioni a confronto: Toscana-Puglia

CANDIDATA

RELATRICE

Mariano Valentina

Prof.ssa Biancheri Rita

(2)

2

“Per tutte le violenze consumate su di Lei,

per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato,

per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato,

per tutto questo: in piedi Signori, davanti ad una Donna!” (William Shakespeare)

(3)

3

Sommario

INTRODUZIONE ... 6

PRIMA PARTE: RADICI DEL FENOMENO ... 9

CAPITOLO 1: LA VIOLENZA MASCHILE CONTRO LE DONNE ... 9

1.1 Le radici della violenza maschile contro le donne: un problema culturale e sociale. . 9

1.2 La violenza maschile contro le donne nella società patriarcale ... 11

1.3 I ruoli femminili ... 16

1.4 La donna come proprietà privata e come proprietà collettiva. Il pensiero di Engels e la subordinazione femminile ... 18

1.5 Il corpo femminile... 20

1.6 Delitto d’onore e femminicidio: una piaga mondiale ... 25

1.7 Dallo stupro alla violenza sessuale ... 31

1.8 Violenza sulle donne nella letteratura e nel teatro ... 37

1.9 La violenza sulle donne e i contributi degli autori nella storia ... 41

CAPITOLO 2: LA VIOLENZA DI GENERE: UN QUADRO GENERALE ... 43

2.1 Più definizioni per lo stesso fenomeno... 43

2.2 La violenza di genere in Italia: dati ed osservazioni in merito alla crescente diffusione del fenomeno ... 48

2.3 Stereotipi e falsi miti ... 54

2.4 Le cause della violenza di genere ... 58

2.5 Dipendenza della donna dal suo aggressore. Perché non denuncia? ... 64

2.6 La violenza: il cacciatore (uomo) e la preda (donna) ... 68

2.7 Dall’amore al conflitto. Come avviene il conflitto di coppia ... 70

2.8 Ripercussioni della violenza sui figli. Violenza assistita o (witnessing violence)…… ... 75

2.9 Violenza: come viene veicolata dai mass media ... 79

2.10 Verso un linguaggio rispettoso dell’identità di genere ... 85

2.11 Violenza: soggetti istituzionali e non ... 88

2.11.1 Centri antiviolenza ... 89

2.11.2 Forze dell’ordine ... 89

2.11.3 Presidi sanitari, personale medico o infermieristico ... 91

(4)

4

2.11.5 Tribunali e consulenze legali... 92

2.11.6 La scuola ... 92

2.12 La violenza è un fenomeno trasversale anche in altri Paesi ... 93

CAPITOLO 3: APPROCCIO DI GENERE E NORMATIVA ... 96

3.1 Approccio di genere: violenza contro le donne e violenza di genere………….96

3.2 La normativa europea……….97

3.3 La normativa in Italia………..104

3.4 Misure di prevenzione………109

3.5 Differenze nell'attuazione delle politiche nei vari Paesi europei………..111

SECONDA PARTE: LE RISPOSTE DEI SERVIZI ... 113

CAPITOLO 4: L’INTERVENTO DEI VARI SOGGETTI E LE MISURE PER IL CONTRASTO DELLA VIOLENZA ... 113

4.1 Servizio Sociale Territoriale……….114

4.2 Centri Antiviolenza………..116

4.3 Ordini di protezione………..120

4.4 Amnesty International………..123

CAPITOLO 5: LE POLITICHE CONTRO LA VIOLENZA IN TOSCANA E PUGLIA . 125 5.1 La normativa in Toscana………126

5.1.1 Legge regionale n.16/2009 "Cittadinanza di genere"………....129

5.1.2 Protocollo d'intesa tra Anci e D.i.Re Maggio 2013………....129

5.1.3 Tavolo regionale di coordinamento per le politiche di genere………....130

5.1.4 Tavolo dei servizi delle istituzioni e della cittadinanza attiva contro la violenza e il programma "Non da sola. Una rete per uscire dalla violenza……….130

5.1.5 Comitato regionale di coordinamento sulla violenza di genere………...131

5.2 La normativa in Puglia………133

5.2.1 Osservatorio sulla comunicazione di genere………..134

5.2.2 Il centro di coordinamento regionale Antidiscriminazione………....135

5.2.3 La Rete dei Nodi……….135

5.3 Le politiche di contrasto e prevenzione: Toscana………...135

5.4 Le politiche di prevenzione e contrasto: Puglia………..137

(5)

5

6.1 Servizi offerti da entrambe le Regioni………140

6.2 Misure in atto: analogie e differenze tra le due Regioni……….143

CONCLUSIONI………146

APPENDICE………... .149

(1) Monologo Franca Rame “Lo Stupro”……… .149

(2) Traccia intervista per le operatrici………. .152

(3) Intervista alle Assistenti Sociali dello “Sportello Donne” della Società della Salute (sezione servizi sociali del Comune di Pisa)………. .153

(4) Intervista all’Assistente Sociale del Comune di Lecce sezione Servizi Sociali……... ..158

(5) Intervista alle operatrici del Centro Antiviolenza di Pisa……….. 160

(6) Intervista alle operatrici del Centro Antiviolenza di Lecce “Renata Fonte”…………. .163

BIBLIOGRAFIA………. 168

RINGRAZIAMENTI………173

INDICE FIGURE Figura n. 1 “La Ruota del Potere e del Controllo” ……….11

Figura n. 2 “Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito violenza. Anno 2006 e 2014……54

INDICE TABELLE Tabella n. 1 “Donne dai 16 ai 70 anni che hanno subito violenza. (2014) ……….52

Tabella n. 2 “Stereotipo vs realtà” ………. 55

Tabella n. 3 “Differenze tra conflitto e violenza/maltrattamento” ……… 74

Tabella n. 4 “La violenza contro le donne e la rappresentazione nei media” ………87

(6)

6

INTRODUZIONE

La violenza maschile nei confronti delle donne è un fenomeno che ha origini lontane e colpisce milioni di donne di tutte le età a livello mondiale. È un fenomeno talmente radicato da permeare gran parte delle istituzioni e delle produzioni sociali, culturali, economiche e politiche.

Si origina e struttura all’interno di una relazione fondata sulla disuguaglianza e sull’asimmetria di potere tra maschi e femmine ed è per questo che il riconoscimento del principio di parità dei diritti a livello sociale e legislativo trova purtroppo uno scarso riconoscimento.

Ancora oggi persistono radicate convinzioni, basate su modelli socioeducativi e relazionali trasmessi da una generazione all’altra, che vedono la donna subordinata all’uomo come soggetto dipendente nel rapporto affettivo. La donna è molto spesso vista come una persona adibita alle funzioni di cura all’interno della famiglia.

Pertanto, quando le donne non si conformano o “osano ribellarsi” alle regole sociali istitutive della loro subordinazione, gli uomini rivendicano il loro potere attraverso la violenza.

È proprio all’interno delle mura domestiche che gli uomini agiscono compor-tamenti violenti, maggiormente all’interno di una relazione affettiva, e ciò comporta il silenzio della donna vittima di violenza.

Inoltre, bisogna tenere conto che il maltrattamento per la sua stessa definizione, ovvero “atteggiamento abituale di violenza di vario tipo; una reiterata vessazione

fi-nalizzata a danneggiare l’integrità psico-fisica della vittima”1, è un comportamento

che viene reiterato nel tempo e, per di più, non documentato in quanto avviene tra le mura domestiche, quindi tende ad assumere il carattere dell’invisibilità. Invisibilità che emerge solamente quando, quasi quotidianamente ormai, i casi di omicidio, anche detti di femminicidio, vengono riportati dai media.

Il presente elaborato nasce con l’obiettivo di indagare gli sviluppi più recenti circa la normativa internazionale e nazionale, e le policy che da queste derivano, ri-spetto alla prevenzione e al contrasto della violenza nei confronti delle donne e, con-seguentemente, di verificare le trasformazioni di questo fenomeno, grazie al rafforza-mento sul piano giuridico e politico della protezione e promozione dei diritti delle donne.

(7)

7

La scelta dell’argomento nasce dall’osservazione del fenomeno nella realtà at-tuale. Appare oggi evidente come la negazione dei diritti del genere femminile non si configuri soltanto come la privazione di un riconoscimento degli stessi diritti civili, politici, economici o sociali ma anche come una violazione di diritti fondamentali, quali il diritto alla vita, all’integrità psicofisica, a non subire tortura o trattamenti cru-deli, inumani o degradanti. Essi sono principi sanciti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sui quali si è successivamente articolato lo sviluppo del paradigma giuridico dei diritti umani.

Il movimento femminista, a partire dal 1960/1970, intuisce la persistenza di una profonda disuguaglianza radicata a livello sociale, economico, istituzionale nella comunità mondiale, che impedisce al genere femminile di godere della parità dei di-ritti. Da subito scaturisce un fervido dibattito internazionale che si adopera per riven-dicare i diritti di genere e che appare risoluto nel definire le specificità della dimen-sione femminile nel contesto universale dei diritti umani, a partire dal riconoscimento del principio di uguaglianza da cui le donne erano da sempre escluse.

Negli ultimi anni, la violenza sulle donne è stata al centro dell’interesse di molti studiosi, ricercatori, giornalisti, mass media ma, tuttavia, nonostante sia un argomento posto al centro del dibattito pubblico, continuano ad accadere fatti gravi, come i fem-minicidi, permangono e si diffondono stereotipi e nonostante, l’aumento delle de-nunce, le donne vengono ancora non credute.

Parlare di violenza di genere significa mettersi dalla parte delle donne e di tutti quei soggetti che animano la scena, comprendere le cause che la generano e la alimen-tano e, di conseguenza, trovare delle soluzioni per contrastarla in modo efficace. Essa intacca molteplici aspetti del discorso pubblico e privato. È un fenomeno che è sempre esistito e che si va modellando, negli ultimi anni, a seconda dei periodi storici e dei mutamenti sociali.

L’intento di questa tesi è quello di studiare il fenomeno della violenza ed inda-gare l’esistenza di interventi finalizzati al superamento della stessa nei confronti delle donne. Sarà, quindi, presentata una breve indagine svolta all’interno dei Servizi Sociali e dei Centri antiviolenza di Pisa e Lecce, tramite interviste qualitative agli operatori sociali, in particolare assistenti sociali ed operatrici dei CAV, sugli interventi con le donne, ponendo attenzione anche sulla metodologia di lavoro, sul lavoro di rete e sulla loro formazione circa questo tema.

(8)

8

In particolare, nel primo capitolo, si tratterà il fenomeno della violenza ma-schile contro le donne, partendo dalle radici della violenza mama-schile, nel corso della storia, fino ad evidenziare la condizione della donna nella società moderna, conside-rando, anche, la letteratura ed il teatro.

Nel secondo capitolo, si pone l’attenzione sulla definizione di violenza e alle sue caratteristiche in base ai dati emersi dall’indagine ISTAT. Sempre in questo capi-tolo, poi, si fa cenno a come la violenza viene trattata dai mass media e come, quest’ul-tima, viene affrontata dai vari soggetti istituzionali e non (CAV, Forze dell’ordine, scuola, Servizi sociali, Tribunali...). Infine, si pone l’attenzione sul concetto di vio-lenza assistita.

Nel terzo capitolo si farà un breve excursus della legislazione europea ed ita-liana a favore delle vittime di violenza cercando di sottolineare le varie misure di pre-venzione e come le politiche sono state attuate nei vari Paesi europei.

Nella seconda parte dell’elaborato che comprende, la comparazione tra queste due Regioni (Toscana-Puglia), troviamo gli ultimi tre capitoli.

Nel quarto capitolo, viene sottolineato, in particolar modo, il ruolo svolto dai Centri antiviolenza e dai Servizi Sociali, in generale, nel momento in cui si dovesse presentare una problematica del genere. Per ultimo, ma non per questo meno impor-tante, viene trattato il ruolo di Amnesty International.

Nel quinto capitolo, si tratterà la risposta dei servizi facendo leva sulle politiche che troviamo nelle due città considerate, la normativa in vigore e la metodologia di ricerca utilizzata per svolgere l’indagine.

Nel sesto, ed ultimo capitolo, attraverso le varie interviste agli operatori sociali, che troviamo in appendice, vedremo le differenze e le analogie, nei servizi erogati e negli interventi che vengono messi in atto, tra queste due realtà, molto diverse tra di loro, nell’affrontare il fenomeno della violenza contro le donne.

(9)

9

PRIMA PARTE: RADICI DEL FENOMENO

CAPITOLO 1: LA VIOLENZA MASCHILE CONTRO LE DONNE

1.1 Le radici della violenza maschile contro le donne: un problema culturale e sociale

La violenza maschile2 contro le donne è una delle forme più diffuse di viola-zione dei diritti umani e rappresenta un grave ostacolo all’uguaglianza ed allo sviluppo sociale.3 Una condizione che porta a soprusi e discriminazioni, ad una limitazione della libertà femminile che si trasforma in un impedimento nell’esercizio dei propri diritti. Ciò ha rappresentato e rappresenta, ancora oggi, una condizione di disuguaglianza, di grande disparità nei rapporti tra uomo e donna caratterizzata da quelle culture che sono definite patriarcali.

Si può dire, quindi, che la storia della violenza di genere è una storia di “lungo periodo” in cui la superiorità dell’uomo nei confronti della donna era ritenuta normale dalla comunità.

2 La violenza maschile poteva essere ricostruita non come un comportamento eccezionale ma al con-trario come uno degli strumenti, sia pure tra i più estremi, per mantenere il controllo sul genere fem-minile quando altri mezzi di convincimento e di coercizione si rivelano inefficaci. Una prospettiva femminista vede la violenza maschile un problema che ha le sue radici soprattutto nella struttura dell’ordine sociale piuttosto che nella psiche di uomini particolari. (P. Romito, Violenze alle donne e

risposte delle istituzioni. Prospettive internazionali, Milano, Franco Angeli, 2007, p.11)

Essa non può essere riconosciuta, isolata, condannata anche e soprattutto da chi non ha personalmente niente a che fare con comportamenti violenti. Come molti altri fenomeni sociali che mortificano la di-gnità della persona umana, essa si riproduce non solo grazie al comportamento di chi la agisce, ma an-che e soprattutto, grazie alla tolleranza di fatto di chi non la considera davvero inaccettabile.

(S. Bellassai, Alle radici della violenza maschile sulle donne, in Femminicidio. L’antico volto del

do-minio maschile, a cura di G. Lusuardi, Reggio Emilia, Vme, 2013, p.52)

Nel corso degli anni sarebbe aumentata la violenza sulle donne: crisi e squilibri economici, fanatismi religiosi, degrado sociale. La violenza maschile non conosce confini geografici, né barriere culturali, di classe o religiose, è riscontrabile in tutte le epoche; allo stesso tempo assume molteplici forme. (S. Feci, L. Schettini, La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del

di-ritto, Viella, Roma, 2017, p.10)

Cristina Gamberi, in un contributo, ha affermato che la Melandri sostiene che è un segno di cedimento di un ordine naturale o divino, giacché la violenza è il sintomo della paura maschile nei confronti della libertà femminile. È infatti la reazione di alcuni uomini di fronte all’incapacità di gestire la frustra-zione per l’autonomia e la libertà delle donne a generare la violenza come estremo tentativo di con-trollo di fronte all’impotenza: gli uomini “uccidono per l’angoscia dell’abbandono, per il limite che la libertà dell’altra impone alla propria.” (C. Gamberi, Retoriche della violenza. Il femminicidio

raccon-tato dai media italiani, in La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto, a cura di S. Feci e L. Schettini, Roma, Viella, 2017, p.263)

3 P. Romito, M. Melato, La violenza sulle donne e minori. Una guida per chi lavora sul campo, Roma, Carocci, 2017, p.141

(10)

10

Lo scopo è sempre il dominio.4

Oggi la violenza contro una persona di genere femminile ha a che fare con due parole chiave: “libertà” e “potere”. Essi sono come i simboli di uno status di superiorità che dà diritto ad una relazione con la donna basata sulla disuguaglianza, sul possesso, su un’immodificabile gerarchia maschio-fem-mina. Una disuguaglianza che spesso diventa vero e proprio dominio, imposi-zione di comportamenti e pensieri. 5

“Le donne hanno acquisito, sia come genere che individualmente, una nuova più libera, identità mentre gli uomini sono rimasti indietro, aggrappati al modello del dominus. Non riescono ad emanciparsi da quel modello.”6

La violenza contro le donne è il risultato di una mascolinità7 resa fragile dalle trasformazioni culturali e sociali della modernità. A giudizio di molti cri-minologhi/e, delle femministe e dei loro sostenitori fra gli uomini, i reati di violenza contro le donne sono intrinsecamente legati alla costruzione del ge-nere maschile e del concetto di mascolinità nel contesto sociale.8

La ricerca femminista ha evidenziato le connessioni fra la violenza agita da singoli uomini nel contesto di relazioni eterosessuali e la generale oppres-sione delle donne determinata dalla posizione nella società.

Una rappresentazione grafica della corrispondenza fra mascolinità e po-tere può essere fornita dalla “Ruota del popo-tere e del controllo”9 elaborata da Ellen Pence.

4 M. F. Hirigoyen, Sottomesse. La violenza sulle donne nella coppia, Torino, Gli struzzi Einaudi, 2006, p.7

5 V. Franco, Un nuovo patto fra uomini e donne per debellare la violenza, in Femminicidio. L’antico

volto del dominio maschile, a cura di Giuliana Lusuardi, Reggio Emilia, Vme, 2013, p.23

6 Ibidem

7 Si vuole intendere qui quel complesso di costruzioni socioculturali che concorrono a definire il ruolo, la posizione e il sistema di potere del genere maschile, soprattutto in relazione a quello femmi-nile. (A. Borgione, Separazione coniugale e maltrattamenti domestici a Torino, in La violenza contro

le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto, a cura di S. Feci e L. Schettini, Roma,

Viella, 2017, p. 98)

8 P. Romito, Violenze alle donne e risposte delle istituzioni. Prospettive internazionali, Milano, Franco Angeli, 2007, p.26

9 La figura illustra la gamma eterogenea di azioni di dominio e violenza fisica, sessuale o psicologica, con cui il violento all’interno di una relazione intima può isolare, imprigionare e talvolta “controllare psicologicamente” la compagna. Questa raffigurazione mette in luce i comportamenti normali e quelli devianti, cioè quelli ammissibili e la violenza. (P. Romito, op. cit., p.26)

(11)

11

Figura 1 La "Ruota del Potere e del Controllo"

Dalla ricerca svolta si evince l’esistenza di un continuum in tutte le forme di violenza contro le donne, da quella quotidiana allo stupro, dalla mu-tilazione genitale al femicidio10, dalle molestie sessuali alla violenza intra-fa-miliare. In breve, bisogna considerare importante il contesto politico in cui si verifica la violenza.

1.2 La violenza maschile contro le donne nella società patriarcale

La violenza contro le donne è un fatto le cui radici risiedono nella disugua-glianza tra i sessi, nella disparità di potere e trova origine nella società pa-triarcale nonostante le varie conquiste ottenute dalle lotte femministe.

La violenza patriarcale in famiglia si fonda sulla credenza che sia ac-cettabile il controllo sugli altri da parte di un individuo più forte attraverso forme di forza coercitiva.11

Il ruolo della donna è quello di occuparsi dei figli e del marito, vive in una condizione familiare in cui la sudditanza e la subordinazione alle figure maschili sono regola: fin dalla prima infanzia nei confronti del padre e, con il

10 Dall’inglese “femicide” coniato negli anni ’70 dalla scrittrice americana Carol Orlock, e pronta-mente adottato dal femminismo anglosassone. Esso si contrappone alla neutralità definitoria di “omi-cidio” per “riferirsi alle uccisioni di donne in quanto tali da parte di uomini” ovvero “all’assassinio misogino” come forma estrema di violenza contro le donne. (D. Russell, Femicide. The Politics of

Woman Killings, New York, Twayne Publishers, 1992)

11 B. Hollks, Farla finita con la violenza, in Violenza di genere. Saperi contro, a cura di Salvo Vac-caro, Milano-Udine, Mimesis Editore, 2016, p.79

(12)

12

raggiungimento dell’età adulta, nei confronti del marito o dei parenti maschi. È compito dell’uomo della famiglia controllare la donna, i loro comporta-menti e persino i loro corpi attraverso la violenza fisica e psicologica.12

L’idea della donna come oggetto non autonomo e privo di cittadinanza nasce con l’affermarsi dell’istituzione patriarcale. Patriarcato significa lette-ralmente “la regola del padre”. Una definizione di patriarcato ci viene fornita da Carla Bertolo in cui afferma che è “ un ordine sociale e cosmico, come ha

sintetizzato con efficacia Bourdieu, fondato sul primato della mascolinità; esso è un/l’orientamento culturale dominante che si concentra in un sistema di principi e stratificazioni che vivono nella “soggettività” delle nostre strut-ture mentali oltre che nell’oggettività delle nostre strutstrut-ture sociali…un “or-dine maschile” che si esprime nei modi di una mascolinità delusa di “cre-denze” organizzate attorno al concetto di virilità, alla quale corrisponde l’organizzazione sessuata del mondo sociale incorporata nelle donne e negli uomini, e che funziona come principio universale di azione, pensiero, perce-zione naturalizzando la diseguale differenziaperce-zione sociale sessuata.”13

Il termine patriarcato in tempi moderni si riferisce più in generale a si-stemi sociali il cui potere è detenuto principalmente da uomini adulti. Esso è un sistema di dominio maschile, radicato nell’ethos della guerra che legittima la violenza, in cui gli uomini dominano le donne attraverso il controllo della sessualità femminile con l’intento di passare la proprietà agli eredi maschi. Agli uomini, è detto loro di stuprare le donne del nemico e/o di possederle come bottino di guerra. Per questo motivo, il patriarcato non può essere sepa-rato dalla guerra, dal controllo della sessualità femminile, dalla proprietà pri-vata, dalla violenza e dallo stupro in guerra. Si tratta, quindi, di un sistema sviluppato e controllato da uomini potenti in cui si dominano le donne, i bam-bini, altri uomini.

Si può dedurre che il patriarcato è un ordine in cui il sesso maschile è assunto quale rappresentativo dell’umano in cui la differenza tra maschile e femminile è assunta come qualcosa di naturale (principio della società

12 C. Stagno, Donne in famiglia: l’ambivalenza del femminile in contesti mafiosi, in La violenza

con-tro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto, a cura di S. Feci, L. Schettini,

Roma, Viella, 2017, p.154

13 C. Bertolo, La rappresentazione della violenza contro le donne dall’Europa all’Italia, Padova, CLEUP, 2011, p.26

(13)

13

patriarcale). Per la tradizione patriarcale la differenza sessuale tra uomini e donne non è una differenza che pone soggetti diversi sullo stesso piano, ma all’interno di una gerarchia in cui c’è un sesso dominante e uno dominato, su-bordinato ed escluso da tutta una serie di cose: diritti, azioni, libertà ecc.…14 Il dominio degli uomini sulle donne è riscontrabile a qualunque livello sociale in cui persistano disuguaglianze e discriminazione.15

Nel contratto matrimoniale, infatti, si nota come la differenza sessuale tra uomo e donna implichi una differenza sociale tra di loro: l’uomo è il lavo-ratore che attraverso la sua attività protegge la moglie, la quale in cambio ac-cetta l’usufrutto del corpo in cambio di “protezione”.

Per Bourdieu, nel suo libro, per l’appunto, “Il dominio maschile”, af-ferma che il dominio maschile è l’esempio per eccellenza di una sottomis-sione paradossale, effetto di quella che chiama violenza simbolica16 che si esercita attraverso le vie di comunicazione e della conoscenza e che si è an-data radicando grazie a tre istituzioni: la famiglia, la chiesa e la scuola. Oltre a queste tre istituzioni troviamo lo Stato che ratifica e rafforza le pre-scrizioni e propre-scrizioni del patriarcato.

Il dominio maschile trova così riunite tutte le condizioni del pieno esercizio e riserva all’uomo la parte migliore. La logica paradossale del dominio ma-schile e della sottomissione femminile che è spontanea si capisce solo se si prende atto degli effetti durevoli che l’ordine sociale esercita sulle donne. Detto ciò, il dominio, consiste, quindi, nell’assegnare alle donne la responsa-bilità della loro stessa oppressione, sono loro che scelgono di adottare prati-che di sottomissione o prati-che amano essere dominate.

Secondo l’autore l’amore è un’eccezione, la sola alla legge del dominio. Quando assume la forma di amor fati questo è dominio accettato.

Il dominio è l’esempio più paradossale di sottomissione: esso è approvato dalle donne e riprodotto come forma sociale di dominio affermatosi

14 S. Marcenò, Le nuove sfide del femminismo in epoca neoliberale, in Violenza di genere. Saperi

con-tro, a cura di S. Vaccaro, Milano-Udine, Mimesis Editore, 2016, p.87

15 M. F. Hirigoyen, op. cit., p.70

16 Il dominato assume su di sé, senza saperlo, il punto di vista del dominatore adottando in qualche modo, per valutare sé stesso, la logica del pregiudizio negativo. (P. Bourdieu, Il dominio maschile, Milano, Feltrinelli, 1998)

(14)

14

storicamente e che riesce a mantenersi grazie al lavoro di riproduzione co-stante delle costruzioni sociali e delle attività di produzione e riproduzione.

I maggiori scrittori socialisti Engels, Marx collegano la conferma e la continuazione dell’oppressione della donna all’avvento della proprietà privata perché è da questo momento in poi che l’uomo avrà la consapevolezza della sua forza e della capacità di dominare e possedere qualsiasi cosa lui creda che gli appartenga. Si instaura il regime patriarcale in cui vige il “diritto paterno” in cui cominciano a differenziarsi i ruoli e la donna viene posta in una condi-zione di subordinacondi-zione rispetto all’uomo.

Un ulteriore contributo al rapporto uomo-donna è stato dato dalle reli-gioni. Esse hanno avuto un ruolo fondamentale nel diffondere la visione dell’uomo dominatore e ad alimentare, inconsciamente, la visione dell’infe-riorità della donna/del genere femminile. La violenza sulla donna veniva giu-stificata e vista come un fatto naturale.

Bisogna ricordare che i più importanti testi religiosi tra cui la Bibbia e il Co-rano istruiscono esplicitamente la donna a sottomettersi agli uomini. Per di più i testi religiosi sono contrari al divorzio e per questo hanno intrappolato e continuano ad intrappolare le donne in matrimoni violenti. Tutto ciò ha avuto un ruolo importante nel formare l’attuale mentalità degli uomini.

La violenza maschile nei confronti della donna può trovare spiega-zione oltre che nella cultura patriarcale anche nelle trasformazioni più recenti che stanno interessando le relazioni di genere. Infatti, le cose cambiano anche nella relazione tra uomo e donna.

A tal riguardo si può ricondurre il pensiero di Pitch, il quale propone una let-tura della violenza maschile come crisi del patriarcato:” la violenza maschile

contro le donne è un indizio non del patriarcato, ma della sua crisi. E adesso, infatti, che la si riconosce come violenza, che la si chiama così, piuttosto che giusto controllo, correzione adeguata, legittimo uso di mezzi di

disci-plina…La storia sembra antica, e certo lo è, ma solo in parte, perché proprio quando, come adesso, le identità, le comunità, si rivelano illusorie, le fami-glie inesorabilmente plurali e diversificate, i legami costitutivamente fragili,

(15)

15

il controllo diventa violenza esplicita, segno di impotenza e frustrazione, piuttosto che di un senso di autorità legittima.” 17

Il termine violenza ha due accezioni distinte: una riguarda il fatto che comportamenti tradizionalmente accettati come espressione di un’autorità ri-conosciuta vengano al giorno d’oggi percepiti come illegittime violazioni della libertà ed autonomia delle donne; l’altra, invece, si può rimandare alla violenza come espressione di una paura maschile al cambiamento caratteriz-zato da una perdita di ruolo di dominio.18

Con la crisi del patriarcato la situazione cambiò mutevolmente. Marco Cavina ha scritto: “il declino del patriarcato, con le sue angosce e le

ridefini-zioni dell’identità di genere che determinò, fece da volano a forti recrude-scenze di violenza coniugale nella prassi, tra mariti legati agli antichi stereo-tipi d’imperio e mogli alla ricerca di una completa autoaffermazione.” 19

La violenza legata al patriarcato e a lungo tollerata è stata denunciata e i primi cambiamenti si hanno negli anni 70-80 con le lotte femministe che hanno raggiunto degli obiettivi come, ad esempio, la trasformazione del ruolo della donna non solo all’interno della famiglia ma anche nella società, con la conquista dei loro diritti. Hanno dimostrato come la violenza nei confronti delle donne, rafforzando la loro dipendenza, consenta agli uomini di conti-nuare ad esercitare il loro controllo e la loro autorità.20

Essendo la violenza un “crimine sommerso”, un fatto privato e poco affrontato dalla polizia, il lavoro delle femministe ha portato a porre al centro dell’attenzione le donne e le loro definizioni sulla violenza: ciò ha consentito di enumerare reati prima innominati, disconosciuti o comunque trascurati dall’azione penale come la violenza intra-familiare, lo stupro coniugale, il date rape21, le molestie, l’abuso sessuale a danno di minori.22 Infine, hanno

17 Pitch, Qualche riflessione attorno alla violenza maschile contro le donne. Studi sulla questione

cri-minale, in S. Maragaggia, D. Cherubini, Uomini contro le donne? Le radici della violenza maschile,

Torino, Utet, 2013, pp. 9-10

18 S. Maragaggia, D. Cherubini, op. cit., p.41

19 M. Cavina, Nozze di sangue. Storia della violenza coniugale, Roma-Bari, Editori Laterza, 2011, p.169

20 M. F. Hirigoyen, op. cit., p.71

21 Letteralmente “stupro su appuntamento”: definizione attribuita dalla pratica, tristemente ricono-sciuta dalle donne come largamente diffusa tra gli uomini, di pretendere ed imporre un rapporto ses-suale ad una donna che abbia semplicemente accettato di uscire in loro compagnia. (P. Romito, op.

cit.)

(16)

16

creato reti di solidarietà, aperto strutture di accoglienza e asilo, scritto e pro-posto modifiche di legge. Hanno anche aiutato le donne a sporgere denunce e sono intervenute perché i vari ministeri della giustizia, media e il grande pub-blico si muovessero.

1.3 I ruoli femminili

Le trasformazioni delle relazioni coniugali e l’interesse per l’educazione dei figli hanno attribuito un ruolo importante alla figura materna.

La “condizione della donna” e la sua subordinazione ai ruoli familiari, ha portato a far assumere un forte valore euristico la prospettiva di genere per comprendere i destini sociali che erano considerati immutabili. Nonostante le presenze femminili abbiano svolto ruoli importanti nello spazio domestico e in alcuni settori dello spazio produttivo, la loro visibilità storica si è persa sotto il controllo maschile. La naturalità che viene ascritta al ruolo materno sancisce l’esclusione dalla sfera pubblica. L’impatto del lavoro delle donne aveva attribuito a questo fenomeno la distruzione della vita familiare, mentre Engels lo leggeva come una tappa della liberazione della moglie dalla sua su-bordinazione.23

Anche Rousseau nell’Emilio ne descrive le principali doti fisiche ini-ziando a considerare il fatto che la donna deve piacere, essere modesta, at-tenta e riservata; la dipendenza è uno stato connaturato alle donne che ne hanno bisogno per il resto della loro vita che è opera della ragione e non del pregiudizio. Infatti, Rousseau afferma: sono continuamente sottomesse o a un

uomo o ai giudizi degli uomini, e a loro non è consentito passarci sopra”. 24

Per le giovani donne le nozze erano una tappa importante anche se si passava dal dipendere dal padre all’autorità maritale.

Con la diffusione del protestantesimo il periodo delle dame cessò per costituire un’ideale di femminilità legato alle buone maniere; infatti per Lu-tero le donne dovevano stare in casa a badare e educare i figli, ma anche i

23 R. Biancheri, Famiglia di ieri, famiglia di oggi. Affetti e legami nella vita intima., Pisa, Edizioni ETS, 2012, p.50

(17)

17

protestanti imponevano alle donne l’umiltà e la situazione femminile rimase inalterata. Era chiara la denuncia della tirannia paterna.

Anche lo stesso linguaggio presente nel rito matrimoniale dimostra che vi erano forti asimmetrie in cui si sottolinea il ruolo femminile passivo e soggetto alla volontà altrui. Con il corso del tempo si verificano, però, dei cambiamenti: le donne che hanno lavorato da sempre nell’economia fami-liare, dando un apporto, fondamentale furono inserite nell’occupazione fuori dall’ambito domestico. Fu proprio grazie all’intensa opera delle due chiese (cattolica e protestante) che l’opera della donna si modificò in funzione del tentativo di introdurre il maggior rispetto reciproco senza, però, mettere in di-scussione la gerarchia tra i sessi. 25

Bisogna, però, porre al centro dell’attenzione il concetto di violenza, in quanto, era un fenomeno abbastanza diffuso in cui emerge un’ambiguità tra tolleranza e condanna: “ma ben poco sappiamo delle piccole violenze

quotidiane, facilmente confuse con quel diritto-dovere maschile alla coerci-zione, riconosciuto dalle norme sia civili che ecclesiastiche. Fino a che punto potesse spingersi la coercizione era materia di discussione e contrattazione continua…i dissidi coniugali portano alla luce un mondo femminile molto meno passivo di quanto la trattatistica e la precettistica non lascino trape-lare”.26

L’importanza data alla famiglia coniugale portò alla diffusione del pa-triarcato. Quindi la moglie non aveva nessun diritto di disporre dei propri beni e quello che possedeva passava al marito dopo il matrimonio. Inoltre, mentre l’adulterio maschile era un peccato veniale, quello femminile era un crimine imperdonabile tanto che la castità prematrimoniale femminile rappre-sentava una questione d’onore per l’intera famiglia.

Si è sostenuto per lungo tempo che i campi da cui la donna era stata esclusa erano non femminili e che la loro sfera non è quella pubblica ma quella domestica. Il cambiamento epocale si ebbe con la riforma del diritto di famiglia in cui si disconosceva l’autorità paterna e maritale, nella famiglia vi-geva l’uguaglianza tra marito e moglie. Con il miglioramento della condi-zione femminile si voleva ottenere la parità tra i coniugi e considerare il

25 R. Biancheri, op. cit. p.52

(18)

18

matrimonio come una partnership piuttosto che una società controllata dal marito.

1.4 La donna come proprietà privata e come proprietà collettiva. Il pensiero di Engels e la subordinazione femminile

Tematiche relative alla condizione di subordinazione della donna e alle possi-bilità di liberazione in una società socialista sono presenti nel corso dell’Otto-cento. L’elaborazione più organica di tali problematiche è presente nel saggio di Engels “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato” del 1884 in cui aveva indicato nello Stato dei rapporti fra uomini e donne un cri-terio per misurare e valutare il grado di “civiltà” di una società.

Un accento particolare riguarda la figura sociale della prostituta la più “mercificata” nel sistema capitalistico e che costituisce la vera comunanza delle donne nel sistema di classe borghese: una comunanza (la prostituta è co-mune a tutti nel senso che chiunque può comprarne il corpo) che, in quanto esempio di “proprietà pubblica”, costituisce l’integrazione della proprietà pri-vata che il borghese esercita sulla propria moglie.

Engels afferma che le donne della grande borghesia “grazie al loro

patrimonio, possono sviluppare liberamente la propria individualità, seguire le proprie inclinazioni” anche se “come mogli esse dipendono ancora dall’uomo. Lo strascico della tutela sessuale dei tempi antichi si è riversato nel diritto di famiglia…Là dove la donna non è più costretta ad assolvere i suoi doveri di moglie, madre e massaia, essa riversa su personale di servizio stipendiato”27. Con l’eliminazione della proprietà privata sparirà anche la prostituzione, le donne saranno liberate dalla schiavitù domestica e potranno integrarsi nel mondo del lavoro.

La condizione delle donne in quanto fonte di vita è esaltata nelle reli-gioni primitive nelle quali è la dea-madre, simbolo della fecondità, che costi-tuisce il momento più alto di venerazione religiosa. Le cose cambiano, gra-dualmente, quando l’umanità passa allo stadio dell’allevamento del bestiame,

27 F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), tr.it. D. Della Terza, Roma, Editori Riuniti, 1963, pp.83-84

(19)

19

dell’agricoltura organizzata, delle guerre per la conquista dei territori e di schiavi. L’uomo diventa il protagonista del nuovo stadio: il capofamiglia è proprietario del territorio, degli schiavi e della donna. Secondo Engels: “la

stessa causa che, un tempo aveva assicurato alla donna l’autorità nella fami-glia, cioè la sua occupazione esclusiva ai lavori inerenti all’economia dome-stica, assicurava ora la prevalenza dell’uomo: il lavoro femminile della casa perde, da questo momento, valore in confronto al lavoro produttivo

dell’uomo: il secondo è tutto, il primo un accessorio insignificante.” 28 Per l’autore questo passaggio rappresenta la grande sconfitta storica delle donne: da protagoniste diventano schiave, oggetti di proprietà del marito, pa-dre, fratello cioè del capofamiglia. Nasce così il patriarcato e con esso la schiavitù della donna verso l’uomo: “il matrimonio monogamico appare

sulla scena come il soggiogamento di un sesso da parte dell’altro; esso an-nuncia una lotta fra i sessi sconosciuta lungo l’intero periodo preistorico.” 29 L’origine della proprietà privata, della famiglia monogamica, il passaggio dalla preistoria alla storia segnano, quindi, l’origine della schiavitù della donna, il passaggio dalla condizione di libertà e disparità se non addirittura di superiorità alla condizione di subordinazione e di inferiorità che, constata En-gels, perdura tuttora.

Engels, poi, si sofferma sui molteplici aspetti della subordinazione delle donne e del potere degli uomini in cui le donne sono rinchiuse all’in-terno delle mura domestiche. Gli uomini hanno imposto la monogamia come “possesso” della moglie da parte del marito ed ha avuto conseguenze anche sul proletariato, giacché, mentre sul mercato del lavoro donne e uomini sono uguali, dentro la famiglia anche il marito proletario si comporta come pro-prietario della moglie.

Quindi, se l’origine della proprietà privata è stata la causa della schiavitù della donna, la fine della proprietà privata sarà la causa della fine della schia-vitù. Qui Engels è molto chiaro. Mentre infatti nella società originata dalla proprietà privata non tutti gli uomini sono stati schiavi o proletari, tutte le donne sono state e continuano ad essere in una relazione di sottomissione ri-spetto ai loro mariti, padri, fratelli.

28 Ivi, p.187

(20)

20

Infine, per l’autore, il suffragio, il diritto di voto per le donne, non ri-solve nessuno dei problemi delle donne, anzi, contribuirà a rafforzare, con il voto delle donne stesse, il regime di sfruttamento di classe e patriarcale esi-stente.

1.5 Il corpo femminile

Nonostante i vari cambiamenti che si sono susseguiti nel corso della storia, non può sfuggire, ponendolo al centro dell’attenzione, il possesso del corpo femminile che ancora oggi è all’origine della violenza e del femminicidio30. Tutto ciò è dovuto, non a un incompiuto processo di emancipazione, ma ad un intreccio fatto di paura dell’abbandono e bisogno di appartenenza misto a senso di colpa e scarsa fiducia di sé.

Nel nostro Paese fino alla metà degli anni 70 del ‘900 l’idea che all’interno delle relazioni intime della coppia coniugata potessero rinvenirsi comportamenti configurabili come violenza sessuale risultava inconcepibile e il marito che avesse costretto con minacce o coercizione la moglie a compiere o subire atti sessuali non rispondeva del reato di violenza carnale. Una tale in-dulgenza nei confronti del marito trova fondamento nel cosiddetto “debitum coniugale”.31

Il debitum coniugale, nel contesto antropologico patriarcale, andò a configurarsi come un dovere preteso dal marito anche ricorrendo all’uso della violenza. Si tratta, quindi, del dovere di concedere il proprio corpo al co-niuge. Era un dovere reciproco e non rientrava nella potestà maritale.

Indubbiamente l’ideologia patriarcale ha tentato di esorcizzare l’eteros della femminilità in vari modi:

30 Il termine femminicidio è stato diffuso per la prima volta da Diana Russell che nel 1992 nel libro “The politics of woman killing” nomina la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “in quanto donna”. Successivamente, il con-cetto di femminicidio si è esteso, oltre che alla definizione giuridica di assassinio, anche a tutte quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito di atteggiamenti o pratiche sociali. Michela Murgia ha affermato: “la parola femminicidio non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio. Sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché.” 31 M.A. Cocchiara, Violenza di genere, politica e istituzioni, Milano, Giuffrè Editore, 2014

(21)

21

• Pensando che il diventare madre fosse il destino ineludibile della fem-minilità. Nella cultura patriarcale diventare madre significa per una donna morire come donna, rinunciare a essere donna e alla libertà della femminilità; • Riducendo la donna a oggetto attraverso un’azione di controllo e as-soggettamento. Si tratta di annullare, spegnere, cancellare quel margine di li-bertà che istituisce l’eteros della donna.

In passato il mito della cintura di castità apparteneva a un immagina-rio collettivo che concepiva il corpo della donna come proprietà esclusiva del marito.32 Da questo discendeva in gran parte l’impunità della violenza interna alla coppia. Infatti, sia nel medioevo che in età moderna dominava una cul-tura giuridica dello “ius in corpus”, ovvero quel diritto di reciproca proprietà dei corpi da parte di entrambi i coniugi che si acquisiva nel momento delle nozze. Nella realtà dei fatti, però, il vero esercizio di questo diritto era di esclusività del maschio.33

Da qui si è andato diffondendo uno dei principi più persistenti nella mentalità collettiva, ovvero l’obbligo della prestazione sessuale. Tale obbligo implica la negazione dello stupro domestico. Infatti, questo è stato per tanto tempo un reato inesistente, dal momento che il corpo della donna era di pro-prietà dell’uomo.

Lo stupro e l’omicidio sono le forme estreme del sessismo e della cultura pa-triarcale. La donna resta per molti uomini una funzione sessuale e procrea-tiva: il corpo della donna serve per dare piacere, cura e continuità della spe-cie. Si deduce, quindi, che la violabilità del corpo femminile è il risultato della storia e di una cultura di tipo patriarcale. Vi era solo una circostanza in cui era ammessa la ribellione della donna, cioè quando il proprio uomo pro-poneva prestazioni sessuali che erano considerate contro natura, finalizzate alla procreazione.

Si era diffusa l’idea che il corpo fosse di proprietà del padre e del ma-rito poi. Il corpo della donna diventava, così, uno strumento di sottomissione alle logiche del potestas maschile e il debitum coniugale preteso dal marito,

32 L. Valenzi, La violenza coniugale: da diritto a reato, in “Sono caduta dalle scale…i luoghi e gli

at-tori della violenza di genere, a cura di C. Arcidiacono, I. Di Napoli, Milano, Franco Angeli, 2012,

p.23

(22)

22

anche con la violenza, diventava dovere per eccellenza contrapposto ad un piacere/diritto sconosciuto ed inaccessibile per le donne. La pretesa di una prestazione sessuale della moglie era un diritto del marito alla quale non si poteva opporre.

Dal debitum alla violenza il passo è breve ed ha il sapore di rivendi-cazione, riappropriazione attraverso l’uso della forza. C’era una mentalità che tendeva a separare dovere e piacere laddove, se il dovere era debitum circo-scritto ai rapporti matrimoniali e praticato in vista di una legittima procrea-zione che appagava per motivi diversi la moglie e il marito, il piacere rima-neva aspirazione esclusivamente maschile da praticarsi con donne che, non a caso, venivano definite di “piacere” lontane per costumi, condizioni di vita dalla moglie e madre dei figli. Il marito è padrone dei beni come il corpo della donna, privandola della libertà personale.

Il codice penale Zanardelli34 punisce l’adulterio e la relazione adulte-rina della moglie, colpisce con sanzione il marito soltanto in caso di concubi-nato, considera attenuanti i delitti di omicidio e di lesioni personali se com-messi dal coniuge.

Nell’Italia fascista si dà attenzione al corpo femminile esaltando un modello di donna mediterraneo. Il miglioramento delle condizioni della donna era compensato dalla pesante riconduzione ad esse alle cure domesti-che. “Sposa e madre ideale” era questo lo slogan del fascismo ritornata sotto la sudditanza assoluta dell’uomo: padre o marito; sudditanza e, quindi, infe-riorità spirituale, culturale ed economica.

Il codice Rocco35 era molto chiaro nel regolare e disciplinare il corpo e la sessualità delle donne: nella sua visione patriarcale c’era una scissione fra il corpo e la mente della donna, giacché il corpo della donna era ipotizzato

34 Primo codice penale del Regno d’Italia, predisposto nel 1889, sotto il secondo governo di Francesco Crispi, con ministro di Grazia e Giustizia e dei culti Giuseppe Zanardelli entrò in vigore nel 1890 e vi rimase fino al 1930. È necessario, però, ricordare come sino ad allora per le province meridionali e per la Sicilia era rimasto vigente il codice penale sardo con alcune integrazioni tratte dalla normativa bor-bonica del 1819 (sul punto cfr. M.A. Cocchiara, Violenza sessuale. Storia di un crimine, storia di una

legge, in Violenza di genere, politica e istituzioni, Milano, Giuffrè Editori, 2014, p.73)

35 Per Codice Rocco si intendono due codici (codice penale italiano e codice di procedura penale ita-liano), adottati in materia penale durante il ventennio fascista in Italia precisamente nel 1930. Sono redatti sotto la direzione del giurista italiano e professore di diritto penale Arturo Rocco.

(23)

23

come proprietà di un uomo, marito ed era concepito come oggetto di scambio tra gli uomini.36

Con la riforma del 1975 si comincia a parlare di collaborazione e con-divisione e i comportamenti violenti e di sopraffazione dell’uno sull’altro co-minciano ad essere percepiti come inconcepibili.

La donna, quindi, riesce ad acquisire pian piano il controllo sul pro-prio corpo e a manifestare il propro-prio essere. L’obiettivo era quello di porre al centro dell’attenzione il corpo indagato come luogo essenziale alla costru-zione dell’individualità femminile. Un corpo su cui si sono riversate le paure e i desideri dell’uomo, un corpo violato, invaso, controllato, ridotto ad una funzione sessuale e riproduttiva.

Il corpo della donna non è più terra di diritto e di conquista, ma tito-lare di diritti e di una rinnovata soggettività. La sessualità, il piacere e la pro-creazione si sottraggono alle regole imposte da altri e reclamano di essere vis-suti quali esperienze consapevoli, frutto di scelte autodeterminate. Cocchiara nel suo libro, riguardo il corpo delle donne, afferma che “un diritto che non

parli il linguaggio dell’amore non potrà mai restituire alle donne la dignità del loro corpo.”37

Oggi, in buona parte, i linguaggi sociali attualmente diffusi parlano di una sistematica riduzione del “valore sociale” delle donne in quanto genere di desiderabilità dei loro corpi; non da oggi, il corpo di una donna ha valore non perché “appartiene” ad una persona, ma perché è desiderato dagli uomini; il desiderio maschile è il perno su cui ruota il mondo. Il corpo femminile non gode dello stesso statuto di inviolabilità di quello maschile, ma è invece per-meabile, attraversabile, penetrabile dagli sguardi, dalle mani, dai corpi degli uomini.38

Bourdieu diceva, a proposito del rapporto delle donne con il proprio corpo, che il dominio maschile pone le donne in uno stato di continua

36 Il corpo femminile in questa logica è reso subalterno, è letteralmente oggetto, perché è tendenzial-mente ordinato, definito dal desiderio e dalla volontà maschile; esso peraltro appare come una mera superficie in cui si proietta il desiderio degli uomini. Ciò che quest’uomo vuole è semplicemente avere il corpo dell’altra, senza perdere tempo per vedere chi è quel corpo, ma guardando solo a com’è. (S. Bellassai, Alle radici della violenza maschile sulle donne, in Femminicidio. L’antico volto del

do-minio maschile, a cura di G. Lusuardi, Reggio Emilia, Vme, 2013, p.48)

37 M.A. Cocchiara, op. cit.

38 S. Bellassai, Alle radici della violenza maschile sulle donne, in Femminicidio. L’antico volto del

(24)

24

insicurezza quasi un’alienazione simbolica. Questo tipo di alienazione a cui sono condannate, visto che sono destinate a essere percepite e a percepirsi at-traverso le categorie dominanti, cioè maschili, si riproduce nell’esperienza stessa che le donne fanno del proprio corpo e dello sguardo degli altri facen-dole divenire “oggetti simbolici.” Secondo Bourdieu: “il dominio maschile

finisce col porre le donne in uno stato permanente di insicurezza corporea o di alienazione simbolica: le donne esistono innanzitutto per e attraverso lo sguardo degli altri. Da loro ci si attende che siano femminili. E la pretesa “femminilità” non è spesso altro che una forma di compiacenza nei confronti delle attese maschili.”39

Oggi, il corpo, la sessualità e la vita personale sono la materia prima di cui si alimentano i media e così, il corpo, diventa oggetto di comunica-zione.

A questo proposito bisogna citare il testo/documentario “Il corpo

delle donne” di Lorella Zanardo in cui si denuncia l’uso denigratorio e

umi-liante che la tv perpetua nei confronti del corpo femminile. Il focus del testo è solo esclusivamente sulla tv e sull’immagine che delle donne rimanda. Il la-voro evidenzia come la tv italiana rappresenta la donna. Attraverso l’analisi di video pubblicitari, programmi di intrattenimento ed informazione emerge un filo rosso che accomuna diversi prodotti: la riproposizione massiccia e continua di un corpo femminile mercificato, ridotto ad oggetto e scrutato dalle telecamere che insistono su alcune forme del corpo.

Zanardo afferma: “la presenza della donna in tv è una presenza di quantità,

raramente di qualità. La donna proposta sembra accontentare e assecondare i presunti desideri maschili sotto ogni aspetto. Ridotta e autoridottasi a og-getto sessuale è come se la donna non riuscisse a guardarsi allo specchio, non accettando sé stessa.” 40

L’autrice, poi, continua il documentario ponendosi delle domande come, ad esempio: perché le donne non possono più apparire con la loro vera faccia in tv? Perché non c’è più nessuna donna adulta che possa mostrare il suo corpo? Perché questa umiliazione? Dobbiamo avere vergogna di mostrare la faccia? Nascondendo la faccia stiamo rinunciando alla nostra umiltà e dunque alla

39 P. Bourdieu, Il dominio maschile (1998), tr.it A. Serra, Milano, Feltrinelli, 2014, p.116 40 L. Zanardo, Il corpo delle donne, Milano, Feltrinelli, 2010, p.192

(25)

25

nostra anima? Secondo la Zanardo il volto esprime la nostra umiltà. È proprio il volto che inizia e rende possibile ogni discorso ed è il presupposto di tutte le relazioni umane. La faccia umana reca vulnerabilità assoluta che è il mag-gior fascino del volto.

Il documentario “il corpo delle donne” è stato l’inizio di un cambia-mento e di una grande spinta per far riguadagnare centralità alle donne e mi-surare la loro incidenza sul tessuto sociale e culturale del nostro Paese por-tando, successivamente, ad approfondimenti attraverso ricerche e progetti.

1.6 Delitto d’onore e femminicidio: una piaga mondiale

Il controllo sul corpo delle donne ha assunto forme differenti in quanto è anche un diritto a disporre del corpo delle donne come se fosse un oggetto. Questo “diritto” ancora oggi permette l’omicidio di molte donne e ragazze, basato su codici di comportamento e modalità propri di alcune culture, perpetuati dai fa-miliari con il fine di “salvaguardare l’onore”.

La donna, durante la storia, sembrava non avere alcun valore. Poteva essere licenziata, violentata, minacciata, tradita e uccisa, in funzione dell’onore maschile e della sua tutela. In molte società questo tipo di omicidio non è con-siderato un diritto poiché è legittimato dall’esigenza di preservare l’onore della famiglia.

C’è una relazione tra delitto d’onore e il femminicidio? Questa do-manda induce ad alcune riflessioni.

Il delitto d’onore è un tipo di reato caratterizzato dalla motivazione sog-gettiva di chi lo commette, volta a salvaguardare una particolare forma di onore, o comunque, di reputazione, con particolare riferimento a taluni ambiti relazionali, come ad esempio, i rapporti sessuali, matrimoniali o comunque di famiglia. Si cerca, quindi, di mantenere un immutato dominio sulle donne, una supremazia maschile. Ancora oggi, sembra lontano, l’effettivo riconoscimento della donna quale soggetto e della sua parità rispetto all’uomo.

Nelle società patriarcali, gli uomini hanno sempre avuto la pretesa e il diritto di sancire un codice di comportamento sessuale applicabile alle donne. L’onore di una famiglia dipendeva (anche) dalla castità, dalla verginità e/o

(26)

26

dalla stretta monogamia delle donne. E tanto era radicato questo diritto che, se una donna non avesse rispettato le regole imposte, avendo una relazione extra-coniugale o adulterina, suo padre, fratello o suo marito avrebbero potuto ucci-dere lei e/o il suo amante.

La normativa vigente era quella del 1889, quindi il Codice Zanardelli, che dopo aver trattato dell’omicidio e delle lesioni personali, rubricava le cause attenuanti speciali previste per i delitti e prescriveva una riduzione della pena per il coniuge ascendete, il fratello o la sorella rei dell’omicidio di un congiunto sorpreso in flagrante adulterio. Il codice non faceva alcun riferimento espresso al concetto di “onore” che entra a far parte nel 1930 con il Codice Rocco. Onore: bene individuale immateriale protetto dalla legge per consentire all’in-dividuo la esplicazione della propria personalità morale. La “causa d’onore” non doveva essere considerata una forma di soddisfazione concessa al coniuge, padre o fratello, ma deve riferirsi allo stato d’animo del reo valutato in rela-zione al turbamento del senso personale dell’onore. L’offesa all’onore del ma-rito e della moglie veniva messo sullo stesso piano.

Si sottolinea un senso dell’onore di tipo “sessuale” frutto della cultura prettamente patriarcale che presupponeva la soggezione della donna all’uomo e attribuiva la proprietà del suo corpo ai componenti maschi della famiglia. La famiglia rappresentava il primo luogo di organizzazione del potere maschile e di subordinazione femminile. Questo codice legittimava un sistema sociale di-scriminatorio nei confronti delle donne confermando la disuguaglianza tra i generi presenti nella società.

“L’onore era, dunque, un valore socialmente rilevante.”41

Il delitto d’onore era un reato (art. 587 cod. penale) che prevedeva una pena dai tre ai sette anni di reclusione per chi avesse ucciso al fine di tutelare il proprio onore, ovvero per salvaguardare la propria reputazione sociale.

Ecco il testo dell’art. 587: “a chiunque cagiona la morte del coniuge, della

figlia, o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazionale car-nale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena

41A. Merli, Violenza di genere e femminicidio, in “Rivista diritto penale contemporaneo”, n. 1/2015

(27)

27

soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia on illegittima relazionale carnale con il coniuge, con la figlia o con la sorella.”

Il legislatore fino al 1931, anno in cui è stata abolita la norma, ha tenuto conto di elementi sociali e culturali per attenuare la pena nei confronti di chi avesse commesso omicidi di natura passionale.

Ma il delitto d’onore di un tempo attraversa la storia e le regioni da nord a sud per diventare oggi femminicidio. Morti al femminile hanno un solo denomina-tore in comune: la violenza sulle donne.

Per troppo tempo la violenza di genere è stata considerata un problema riguardante la sfera privata del soggetto. Adesso si tratta di un problema sociale che richiede un’assunzione di responsabilità dei pubblici poteri ed interventi forti e condivisi delle istituzioni politiche ed autorità locali.

Modifiche epocali, traguardi legislativi e simbolici hanno aiutato la donna nel difficile percorso verso l’autonomia:

• Legge n. 151/1975: “riforma del diritto di famiglia” che prevede la parità formale fra marito e moglie; è stata abolita l’autorità maritale ed entrambi i coniugi, infatti, hanno l’autorità legale di prendere decisioni, comprese quelle relative all’educazione dei figli:

• Legge n. 194/1978: “legge sull’aborto”;

• Legge n. 44/1981: legge con cui viene abolito il delitto d’onore e le sue attenuanti;

• Convenzione di Pechino del 1995: ha affermato la necessità di spostare l’accento sul concetto di sesso, sottolineando come le relazioni uomo-donna all’interno della società, dovessero essere riconsiderate, met-tendo le donne su un piano di parità con l’uomo in tutti gli aspetti dell’esistenza. In questa occasione è stata approvata la Piattaforma d’azione di Pechino42 che è il testo politico più rilevante e tuttora con-sultato dalle donne di tutto il mondo. È qui che i movimenti di tutto il mondo hanno affermato la propria pretesa di “guardare il mondo con

42 La piattaforma contiene tre capitoli iniziali e, a partire dal capitolo quattro, è suddivisa in dodici “aree critiche” che vengono viste come i principali ostacoli di miglioramento della condizione femmi-nile: 1. donne e povertà; 2. istruzione e formazione delle donne; 3. donne e salute; 4. la violenza con-tro le donne; 5. donne e conflitti armati; 6. donne ed economia; 7. donne, potere e processi decisionali; 8. meccanismi istituzionali per favorire il progresso delle donne; 9. diritti fondamentali delle donne; 10. donne e media; 11. donne e ambiente; 12. le bambine. (www.wikipedia.it/)

(28)

28

occhi di donna” e hanno proclamato che “i diritti delle donne sono di-ritti umani.” Si afferma, infatti, che “la violenza contro le donne è un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace. La violenza contro le donne viola indebolisce o vanifica il godi-mento da parte delle donne dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali.”

La conferenza ha altresì introdotto i principi di empowerment43 e main-streaming,44 affermando come valore universale il principio delle pari opportunità tra i generi e della non discriminazione delle donne in ogni settore della vita pubblica e privata.

Nel 2000 si è tenuta la Sessione Speciale dell’Assemblea Generale ONU sulla revisione della Piattaforma d’azione.

• Legge n. 66/1996: “norme contro la violenza sessuale” promossa dai movimenti femministi. La novità più importante è: la violenza sessuale contro le donne da reato contro la morale pubblica è diventata un reato contro la persona sottolineando che, il bene da tutelare è un bene indi-viduale cioè la libertà sessuale. Altre novità furono: configurazione uni-taria della fattispecie di violenza sessuale e nell’aumento delle pene (da cinque a dieci anni); il nuovo reato di violenza di gruppo punito con la reclusione da sei a dodici anni; tutela verso il minore ed infine il divieto, durante il processo, di rivolgere domande sulla vita privata o sulla ses-sualità alla persona offesa. La legge vuole affermare a livello normativo l’approdo ad una diversa concezione a livello culturale e sociale della sessualità della donna concepita come estrinsecazione della libertà della persona grazie all’emancipazione femminile.

43 Deriva dal verbo inglese “to empower” che in italiano significa “conferire o attribuire poteri”, “met-tere in grado di”, “dare autorità”, “accrescere in po“met-tere”. Il concetto di empowerment, parola chiave per il movimento internazionale delle donne. Con riferimento alla condizione della donna, il termine definisce un processo destinato a modificare le relazioni di potere nei diversi contesti del vivere so-ciale e personale, volto a fare in modo che le donne vengano ascoltate, che le loro esperienze e cono-scenze siano riconosciute, che le loro aspirazioni, i loro bisogni, le loro opinioni e i loro obiettivi siano presi in considerazione e che possano partecipare ai processi decisionali in ambito politico, economico e sociale. (www.wikipedia.it/)

44 Il mainstreaming di genere si focalizza sulle differenze sociali tra uomini e donne e riconosce le di-sparità esistenti tra questi due gruppi. L’obiettivo è il raggiungimento della parità di genere. ( www.wi-kipedia.it/)

(29)

29

• Legge n. 154/200145: “misure contro la violenza nelle relazioni

fami-liari “che introduce misure volte a contrastare la violenza all’interno

delle mura domestiche. La legge ha introdotto l’istituto dell’allontana-mento dall’abitazione del coniuge o del convivente che avesse posto in essere condotte pregiudizievoli dell’integrità fisica o morale. La stessa ha disposto il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che rimangono prive di mezzi economici. Lo scopo è quello di tutelare la vittima. I soggetti non sono solo donne ma tutti coloro che fanno parte della famiglia che subiscono sottomissioni o violenze; • Legge n. 38/2009: “misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e

di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecu-tori”.46 L’art. 612 afferma che tale reato “sia punito con la reclusione

da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolu-mità propria o di un prossimo congiunto o di una persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa.” Un’altra novità della

legge è lo strumento dell’ammonimento finalizzato ad interrompere le condotte persecutorie. Questa legge è stata giudicata positiva ma non ancora sufficiente per un contrasto effettivo del reato di stalking e per quello di violenza sessuale.

• Convenzione di Istanbul: l’Italia ha firmato, nella scorsa legislatura, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica ovvero la

45 Rappresenta davvero un significativo esempio di circolo virtuoso tra iniziative dal basso e percorsi legislativi normativi, anche se parziali. È il frutto di un lavoro partito da lontano. Alla sua definitiva formulazione ha dato un apporto efficace il lavoro di ricerca e di elaborazione costruito dal Coordina-mento avvocate dei centri antiviolenza. La legge può costituire una efficace risorsa solo se ha la capa-cità di incidere nell’immediato sul percorso di uscita dalla violenza. (E. Carri, Di fronte al

femminici-dio. Brevi note su aspetti giuridici, sociali e culturali, in Femminicifemminici-dio. L’antico volto del dominio maschile, a cura di G. Lusuardi, Reggio Emilia, Vme, 2013, p.60)

46 Si riconosce lo stalking come una nuova fattispecie di reato e si prevede, oltre al patrocinio per le vittime, l’allontanamento dello stalker e il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima.

(30)

30

cosiddetta Convenzione di Istanbul firmata l’11 maggio del 2011. Si tratta di uno strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qual-siasi forma di violenza. Si compone di un preambolo, di 81 articoli rag-gruppati in dodici capitoli e di un allegato.

Gli obiettivi sanciti all’art 1 sono:

1. proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, per-seguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica.

2. Predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica.

3. Sostenere ed assistere le organizzazioni e le autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza do-mestica.

Si intende promuovere “la concreta parità tra i sessi, rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne”. Contempla diverse forme di violenza: dallo stupro allo stalking, dalle mutilazioni genitali ai matrimoni forzati. La carta prende, poi, in esame le varie definizioni di violenza come quella dome-stica, quella basata sul genere spiegando che questo tipo di abusi sono delle violazioni dei diritti umani “che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica ed economica, com-prese le minacce di compiere tali atti, la coercizione e la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”. Invita, poi, gli stati aderenti ad inserire nelle loro costituzioni il principio di parità tra i sessi vie-tando la discriminazione nei confronti delle donne e procedendo all’applica-zione di sanzioni, in quanto, riconosce che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi. Invita a adottare tutte le “misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei compor-tamenti socioculturali delle donne e degli uomini al fine di eliminare i pregiu-dizi e qualsiasi altra cosa basata sull’idea di inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini. Infine, invita a prevenire,

(31)

31

combattere e perseguire tutte le forme di violenza e proteggere ed assistere le vittime;

• Legge n. 199/2013: conversione in legge, con modificazioni, del de-creto-legge n. 93/2013 recante “disposizioni urgenti in materia di

sicu-rezza e per il contrasto alla violenza di genere, nonché in tema di pro-tezione civile e di commissariamento delle province”. È stata approvata

a seguito del susseguirsi di omicidi di donne. Il governo, quindi, è in-tervenuto utilizzando lo strumento del decreto-legge di urgenza conver-tito in legge che comprende le norme per contrastare la violenza di ge-nere. La legge è ricordata come la legge sul cosiddetto “femminicidio.” • Conferenza Mondiale delle Donne Milano 2015 (Pechino vent’anni dopo): l’obiettivo è riflettere su cosa è successo vent’anni dopo la con-ferenza di Pechino per delineare proposte, per disegnare prospettive di cambiamento e soprattutto costruire politiche per ridare lavoro alle donne, nell’economia della crisi. L’elemento costitutivo della confe-renza è la partecipazione fondata sull’idea che per affrontare in modo efficace il problema del lavoro delle donne sia necessario fornire un’in-formazione completa e dettagliata a tutti gli attori coinvolti.

A ben guardare l’evoluzione normativa non sembra, però, abbia sedotto gli italiani visto le terrificanti notizie che quotidianamente riempiono giornali e telegiornali. Sono ancora tanti, troppi i fidanzati, i mariti e gli amanti gelosi che pensano di poter legittimamente esercitare varie forme di abuso e violenza, arrogandosi un inesistente diritto di “possesso” e di “controllo” sulle donne che sostengono di amare.

In definitiva, il filo rosso che lega il delitto d’onore al femminicidio sembra non essersi mai del tutto spezzato nonostante siano trascorsi anni da quel 1981. La strada, insomma, sembra essere ancora in salita e piena di ostacoli.

1.7 Dallo stupro alla violenza sessuale

Comunque, lo si definisca- stupro, violenza carnale, violenza sessuale o altro- gli effetti sulla vittima sono molteplici e devastanti. A prescindere dal nome, qualsiasi forma di violenza sessuale può influenzare negativamente la salute

Riferimenti

Documenti correlati

Il Consiglio Nazionale Forense partecipa alle attività di formazione del Programma del Consiglio d’Europa per la formazione dei professionisti sui diritti umani

Due video sono espressamente dedicati alla presentazione del Servizio Sociale (nel lavoro con donne che hanno subito violenza e in situazioni nelle quali sono presenti bambine

La prevenzione non può che affidarsi all’educazione; nel caso della violenza alle donne, il retroterra sembra costituito dalla misoginia, una parte importante della

il candidato è stato escluso per mancanza di requisiti/ritardo

il candidato è stato escluso per mancanza di requisiti/ritardo

Per dare continuità al lavoro di prevenzione dei conflitti (intesi nel senso sopra descritto), volendo offrire la possibilità ai giovani italiani di sperimentarsi

Per dare continuità al lavoro di prevenzione dei conflitti (intesi nel senso sopra descritto), volendo offrire la possibilità ai giovani italiani di sperimentarsi

Per dare continuità al lavoro di prevenzione dei conflitti (intesi nel senso sopra descritto), volendo offrire la possibilità ai giovani italiani di sperimentarsi