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CAPITOLO 1: LA VIOLENZA MASCHILE CONTRO LE DONNE

1.7 Dallo stupro alla violenza sessuale

Comunque, lo si definisca- stupro, violenza carnale, violenza sessuale o altro- gli effetti sulla vittima sono molteplici e devastanti. A prescindere dal nome, qualsiasi forma di violenza sessuale può influenzare negativamente la salute

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fisica e psichica delle vittime. A renderlo odioso è la violazione della libertà sessuale, l’essere costretta a subire un atto sessuale non voluto. Per paura delle ritorsioni, per vergogna, per immotivati sensi di colpa, le donne troppo volte preferiscono non denunciare e non dare vita a un iter processuale.

Lo stupro è uno dei modi più ignobili di usare violenza contro una donna.

Per Susan Brownmiller nel suo libro “Contro la volontà. Uomini, donne

e violenza sessuale” lo stupro diventò “la fondamentale arma offensiva dell’uomo contro la donna, il principale agente del volere di lui e della paura di lei.”47

In latino “stuprum” significa onta, disonore, vergogna. Per il diritto ro- mano lo stupro era un reato ma aveva un significato diverso da quello attuale. Non era sinonimo di violenza carnale indicava, invece, un qualunque rapporto sessuale al di fuori del matrimonio, consensuale con la donna nubile o vedova che fosse anche onesta ed ingenua. A determinare la punibilità del fatto era la “qualità” della donna.

Lo stupro è stato storicamente percepito e sanzionato non come crimine contro l’integrità fisica di una donna ma come delitto contro la proprietà ma- schile. È il nodo su cui si basa il principio dell’onore: elemento intangibile ma strettamente correlato al corpo delle donne, sebbene sia connesso alle virtù femminili, esso non appartiene solo alle donne che ne sono depositarie, “con- tenitori passivi”.48

“Se partiamo dal significato di stuprum risulta chiaro che l’offesa non riguarda solo la donna ma anche la famiglia in quanto l’integrità fisica di cui è portatrice, ha valore, in particolare per il padre e il marito ai quali la donna appartiene”.49

La sanzione per lo stupro “consensuale” differiva in base alla posizione. Qualora, invece, il rapporto sessuale fosse stato commesso con violenza su un uomo o una donna si parlava di pena capitale, se la posizione era bassa, o di

47 S. Mantioni, Homo mulieri lupus. Susan Brownmiller e la demistificazione della “cultura solidale

con lo stupro” in “La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto, a

cura di S. Feci, L. Schettini, Roma, Viella, 2017, p.140 48 Ibidem

49 R. Biancheri, La violenza sessuale, in Mi fai male, Atti del convegno Venezia, Auditorium Santa Margherita, 2008, a cura di G. Giusti e S. Regazzani

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deportazione, se la posizione era nobile. La violenza rappresentava un ele- mento costitutivo di un autonomo titolo di reato.

Nella seconda metà dell’800 il penalista toscano Francesco Carrara50 ricordava con ammirazione queste norme riprendendo una citazione del libro della Cocchiara in cui “il grido di una donna portava ad intervenire immedia-

tamente in sua difesa.”

La dottrina di diritto comune considerava stuprum ogni rapporto illecito e finiva, poi, per circoscriverlo all’ipotesi della congiunzione carnale con donna libera, vergine o vedova nelle sue tradizionali articolazioni dello “stupro volontario” o “semplice” e dello “stupro violento”. A queste tipologie si sa- rebbe aggiunto lo “stupro con seduzione” o “stupro con frode”. Lo stupro vio- lento viene poi sostituito dalla violenza carnale, fisica o morale, vera e pre- sunta.

Nel XVIII secolo la dottrina presumeva lo stupro violento e chiedeva per il reo il massimo rigore punitivo quando la vittima non aveva la capacità di consentire o di resistere. Mentre, negli altri casi, mostrava analoga serietà verso la presunta vittima che, perché lo stupro fosse giudicato violento, doveva pro- vare la propria tenace, assoluta resistenza e soprattutto la condizione di vergine o di vedova onesta.

Qualche mese dopo Ferdinando promulgava “De Stupro” in cui l’og- getto di tutela non erano le donne ma l’onore e la tranquillità della famiglia turbate dai matrimoni forzati.

Divenuto granduca Pietro Leopoldo la sua legge riaffermava la tutela penale per i casi di seduzione e individuava tre tipi di stupro:

1. Semplice;

2. Con qualificata seduzione;

3. Qualificato con promessa di matrimonio.

Nel secolo dei lumi si continuava a non tutelare la donna ma la sua ver- ginità ed onestà. Successivamente il codice penale di Verona collocava il reato di stupro insieme alla bestemmia, adulterio, incesto e poligamia.

50 Francesco Carrara (1805-1888) è stato un giurista e politico italiano di ispirazione liberale. È stato uno fra i primi studiosi di diritto criminale a voler abolire la pena di morte in Europa. (www.wikipe- dia.it/)

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Il primo codice introdotto in Italia era quello del Regno delle due Sicilie che disciplinava lo stupro insieme all’adulterio e puniva solo lo stupro violento, presumeva la violenza nei casi di incapacità o impossibilità di resistere, preve- deva aggravanti per abuso di autorità, di fiducia o di relazioni domestiche.

Anche i codici penali sardi del 1839 e del 1859 e quello toscano del 1853 qualificavano lo stupro come un reato che colpiva l’ordine della famiglia. Il primo codice penale italiano, Zanardelli, disciplinava il reato di vio- lenza carnale tra i reati di incontinenza.

Il codice fu, poi, sostituito con il codice Rocco dove era mantenuta la distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenti. Era ribadita l’equipa- razione tra rapporto sessuale imposto coattivamente e tutte quelle ipotesi ricon- dotte alla violenza presunta; era confermata, a tutela della riservatezza femmi- nile, la querela di parte che divenne irrevocabile. Il codice introduceva, poi, la congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale.

Si parla, anche, di seduzione con promessa di matrimonio commessa da persona coniugata con la condanna di reclusione da tre mesi a due anni dell’uomo coniugato che avesse sedotto una minorenne promettendole di spo- sarla dopo averla indotta in errore circa il proprio stato civile.

Più significativa era la modifica relativa alla collocazione del reato che spezzava il legame tra buon costume e ordine della famiglia e collocava il reato tra i Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume insieme agli atti di libidine.

Tra la fine della Seconda guerra mondiale e il periodo costituente l’Ita- lia viveva un periodo di transizione istituzionale verso la democrazia e le donne diventavano cittadine a pieno titolo. Continuava a vigere, comunque, la disci- plina del codice Rocco.

Negli anni 70 non si parla di stupro o violenza carnale ma di “questione della violenza sessuale”.

Nel 1976, considerato l’anno del femminismo italiano, le problematiche del corpo femminile diventano strumento e misura della consapevolezza di sé e la violenza sessuale e la sessualità erano assunte a oggetto di discussione pubblica. Ciò porta a far crescere la consapevolezza di sé, dei valori di dignità, autonomia e autodeterminazione del proprio corpo.

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Dal 1977 in poi prendevano il via una serie di iniziative legislative avanzate da donne parlamentari e da movimenti femministi per riformare la materia con una nuova legge. Si arriva così, dopo un percorso tumultuoso, alla legge n. 66/1996.

La prima tappa, un disegno di legge intitolato “Nuove norme a tutela della libertà sessuale” introduceva tante novità disciplinando la violenza ses- suale quasi si trattasse di un delitto contro la persona.

Il femminismo radicale riteneva inaccettabile la procedura d’ufficio prevista dal progetto di legge che avrebbe obbligato le vittime ad entrare in un’aula di tribunale anche senza volerlo. Alle critiche si controbatteva in quanto la procedibilità d’ufficio era considerata necessaria perché il reato era grave.

Furono avanzante, poi, altre proposte: unificazione dei reati di violenza carnale e atti di libidine; la previsione della nuova figura criminosa della “vio- lenza di gruppo”; l’abolizione delle disposizioni sulla rilevanza penale della “causa d’onore”; inoltre, cancellava qualunque ipotesi di “violenza presunta” intesa a criminalizzare i rapporti sessuali consensuali tra i minori e con infermi di mente. Introduceva, infine, una serie di modifiche riguardanti il processo.

La proposta è stata in seguito definita “una tappa di grandissimo ri- lievo”. Essa era caratterizzata da due punti cardine:

• violenza intesa come manifestazione di dominio sull’altro; • consenso che non poteva essere presunto cosi come non poteva

esserlo il non consenso.

Quindi, si poteva ritenere attuata la legge n.66/1996.

Una precisazione da fare è quella relativa alla differenza tra abuso sessuale e violenza sessuale o stupro.

Per “abuso sessuale” si intende ogni tipo di contatto sessuale non con- sensuale. Le vittime possono essere donne o uomini di tutte le età. L’abuso sessuale da parte del partner o di una persona intima può includere l’uso di parole dispregiative, rifiuto di utilizzare metodi contraccettivi, contagiare il partner con malattie infettive.

La “violenza sessuale o stupro” è un delitto commesso da chi usa in modo illecito la propria forza, la propria autorità o un mezzo di sopraffazione

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costringendo con atti, prevaricazione o minaccia, a compiere o a subire atti contro la propria volontà. La violenza sessuale è un termine generico che in- clude:

• lo stupro;

• qualsiasi contatto sessuale indesiderato; • incesto;

• molestia sessuale.

Lo stupro, in particolare, presenta una o più caratteristiche:

• manca il consenso di una delle persone che partecipa all’atto; • il consenso viene ottenuto con l’utilizzo della forza fisica; • la vittima è incapace di intendere;

• la vittima non è completamente cosciente; • la vittima è addormentata o incosciente.

Uno degli elementi più critici riguardo allo stupro è il consenso.

Un contributo importante riguardo, quindi, il tema dello stupro o violenza ses- suale è quello di Franca Rame51 che ha sempre dato voce alle donne. Si ricorda per “Lo Stupro”, il monologo che scrisse nel 1975 e che poi portò, coraggiosa- mente, in teatro (vedere Appendice).

Aveva subito uno stupro in prima persona: la sera del 9 Marzo 1973, a Milano, fu caricata in un furgone, stuprata per ore, a turno, da cinque uomini. Le spaccarono gli occhiali, le tagliarono viso e corpo con una lametta, le bru- ciarono la pelle con le sigarette e la violentarono.

Fu uno stupro punitivo: i violentatori era neofascisti, volevano farla pa- gare per le sue idee politiche ma scelsero di punirla in quanto donna. Non fu- rono mai arrestati, nonostante molti anni dopo un pentito avesse fatto i loro nomi, perché il reato era ormai prescritto. Ma Franca Rame ha sconfitto la vio- lenza con la parola. Invece di accettare l’obbligo al silenzio esistenziale e po- litico, ha dimostrato con la sua arte che era più forte dei suoi violentatori.52

Franca Rame non ha mai smesso di difendere le donne violentate, di denunciare lo schifo di chi ti ruba qualcosa che non si può vedere: la dignità.

51 Franca Rame (1929-2013) è stata un’attrice teatrale, drammaturga e politica italiana.

52 E. Tebano, “Lo stupro”, il monologo di Franca Rame sulla violenza alle donne, maggio/2103, www.ventisettesimaora.corriere.it

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