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CAPITOLO 2: LA VIOLENZA DI GENERE: UN QUADRO GENERALE

2.1 Più definizioni per lo stesso fenomeno

“La violenza inferta dagli uomini alle donne in quanto donne è un affronto inaccettabile alla civiltà, è un insulto gravissimo che dovrebbe scuotere tutto il genere umano. Quando quel gesto è talmente brutale da uccidere, l’insulto diventa un urlo di dolore totale ed eterno: è una morte che chiama in causa tutti, è una perdita dell’intera comunità colpevole di non essere riuscita a do- mare gli istinti barbari di chi uccide, che non ha saputo riconoscere ed acco- gliere per tempo le sofferenze di quella donna poi strappata alla vita.”64

La violenza contro le donne è un fenomeno che trae origine da pregiu- dizi e luoghi comuni radicati e diffusi nella società, e che non si limita ai drammatici casi di femminicidio. Riguarda uomini e donne di tutti gli strati sociali e culturali ed esiste in tutti i Paesi. Le definizioni di “violenza contro le donne” e “violenza di genere” sono riferite, infatti, ad una vasta gamma di abusi commessi sulle donne che hanno origine nelle disuguaglianze di genere e nella storica disparità di potere tra uomini e donne in tutte le società.

Per nominare la violenza maschile contro le donne è possibile utiliz- zare parole o definizioni diverse che sono utilizzate tanto nella letteratura quanto nel linguaggio quotidiano o comune.

Fino alla fine degli anni ’80 si parlava tout court di “violenza contro le donne”. Oggi si preferisce la locuzione “violenza di genere”65 che consente di comprendere il fenomeno e contrastare questa piaga. Nelle società attuali, sa- rebbe espressione di qualcosa che proviene da lontano, dal nostro passato, dalla lunga storia della disparità tra uomini e donne. 66 Concettualmente arric- chita del termine “genere” (che chiama apertamente in causa la matrice sto- rica, sociale e culturale) la violenza non appare nella sua dimensione compor- tamentale ma come esercizio di dominio, di un potere fondato sull’asimmetria

64 G. Lusuardi, op. cit., p.7

65 Locuzione utilizzata dai movimenti delle donne e dalle agenzie internazionali, che l’hanno adottata da metà degli anni ’90. Riflette solo la ricchezza del dibattito femminista e politico globale, ma anche la natura dei conflitti in atto. (S. Feci, L. Schettini, op. cit p.14)

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nella relazione tra i sessi, uno squilibrio che ha plasmato nel tempo le identità maschili e femminili.

La qualificazione di “genere” svela e chiama in causa la dimensione politica della violenza maschile, indicando come essa sia espressione e stru- mento di conservazione di specifici modelli di genere, essenziali per la fami- glia patriarcale e per le società che si organizzano intorno ad essa. 67

È importante esaminare i vari termini che sono stati utilizzati per defi- nire il fenomeno, termini che nel corso del tempo hanno subito delle modifi- che dettate dal contesto storico. La violenza è la manifestazione di una dispa- rità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna che ha portato al dominio dell’uomo sulla donna e alla discriminazione contro di loro, ed ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne.68

Le definizioni, che troveremo più avanti, presentano in modo chiaro la violenza nella sua dimensione di rapporti di forza tra i sessi.

Parlare di violenza di genere non significa, solo, parlare di donne, ma di tutti gli attori che animano la scena e costruire misure per contrastarla prima che produca brutti epiloghi.69

Una delle prime definizioni è quella della CEDAW70 che afferma “la

violenza di genere è una forma di discriminazione che inibisce gravemente la capacità delle donne di godere dei diritti e delle libertà su una base di prio- rità con gli uomini”. Violenza, invece, è “qualsiasi atto di violenza per mo- tivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà personale sia nella vita pubblica che pri- vata. Per violenza di genere si deve intendere, dunque, la violenza nei

67 M. Monzani, A. Giacometti, Le relazioni violente. L’esperienza dei centri antiviolenza italiani, Mi- lano, Franco Angeli, 2018, p.36

68 Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla Eliminazione della violenza contro le donne, Risoluzione dell’Assemblea Generale, dicembre 1993.

69 M.A. Cocchiara, op. cit.

70 “Convention on the Elimination of Act Form of Discrimination against Woman: è una convenzione approvata il 18 dicembre 1979. È il più importante strumento internazionale giuridicamente vincolante in materia di diritti delle donne e ha come obiettivo l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Gli Stati che ratificano la CEDAW si impegnano non solo a adeguare ad essa la loro legislazione, ma a eliminare ogni discriminazione praticata da “persone, enti e organizzazioni di ogni tipo”, nonché a prendere ogni misura adeguata a modificare costumi e pratiche consuetudinarie discri- minatorie. (www.wikipedia.it/)

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confronti di una donna per il fatto che è donna o che colpisce il sesso femmi- nile.”

Nel preambolo della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne71, adottata dall’Assemblea generale dell’Onu nel 1993 si rico- nosce infatti: “ la violenza contro le donne è una manifestazione delle rela-

zioni di potere storicamente diseguali tra uomini e donne, che ha portato alla dominazione e alla discriminazione contro le donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno avanzamento delle donne, e che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi cruciali per mezzo dei quali le donne sono co- strette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.”72

L’ONU nel 1993 definisce la violenza “ogni atto di violenza fondato

sul genere che comporti o possa comportare per una donna danno o soffe- renza fisica, psicologica o sessuale, includendo la minaccia di questi atti di coercizione o privazioni arbitrarie della libertà, che avvengano nel corso della vita pubblica o privata…” (art.1)

Nel 1996 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha sancito la seguente definizione di violenza: “uso intenzionale della forza fisica o del

potere, o la minaccia di tale uso, rivolto contro sé stessi o contro un’altra persona che produca o sia molto probabile che possa produrre lesioni fisi- che, morte, danni psicologici, danni allo sviluppo, privazioni.”

In tutte le sue manifestazioni, la violenza è sempre un esercizio di po- tere attraverso l’uso della forza ed implica l’esistenza di un “sopra” e di un “sotto” che adottano ruoli complementari (padre-figlio, uomo-donna).

Nel 2002 il Consiglio d’Europa definisce la violenza contro le donne

“qualsiasi azione di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che com- porta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica”.73

La definizione di Patrizia Romito si fonda, invece, sul fondamento della violenza nella disparità di potere che esiste a vari livelli (sociale,

71 La dichiarazione rappresentò un ulteriore tentativo di interpretazione e messa a fuoco della violenza maschile sulle donne e delle politiche e misure di contrasto rispetto alla Convenzione per l’elimina- zione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) adottata dall’Assemblea nel 1979 ed entrata in vigore nel 1981.

72 S. Feci, L. Schettini, op., cit. p.7

73 M.L. Bonura, Che genere di violenza. Conoscere e affrontare la violenza contro le donne, Trento, Erickson, 2016, p.16

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culturale, politico ed economico) tra uomini e donne spiegandone la persi- stenza con il perdurare della società patriarcale che per secoli ha permesso il controllo maschile sulla donna. Per Romito per violenza di genere si inten- dono “quelle violenze agite all’interno di un sistema patriarcale di domina-

zione degli uomini sulle donne e degli adulti, ma soprattutto degli uomini adulti sulle bambine e sui bambini.”74

In entrambi i casi l’espressione violenza di genere è equivalente a vio- lenza contro le donne.

Altra definizione è quella di Anna Costanza Baldry75, che troviamo nel libro di Antonella Cocchiara, in cui si afferma che “la violenza di genere

è caratterizzata da una serie distinta di azioni fisiche, sessuali, di coercizione economica e psicologica che hanno luogo all’interno di una relazione intima attuale o passata. Si tratta di una serie di condotte che comportano nel breve o nel lungo periodo un danno sia di natura fisica sia di tipo psicologico/esi- stenziale.”76

Per Giusti e Regazzani la violenza di genere è considerata “l’insieme

delle violenze esercitate sulle donne, in tutte le loro fasi, in qualunque conte- sto, pubblico o privato, operate per mano di uomini”.77 La violenza del part- ner o ex partner è la forma di violenza di genere più diffusa in ogni tipo di so- cietà o cultura perché “è la casa e non la strada il luogo in cui le donne cor- rono maggiori rischi di essere picchiate, violentate ed uccise.”78

74 M. A. Cocchiara, op. cit.

75 Psicologa ed esperta in criminologia. Responsabile del CESVIS e dello sportello Anti-stalking Astra del Centro per donne in difficoltà della provincia di Roma gestito dall’associazione Differenza Donna. Fa parte della rete nazionale D.i.Re (donne in rete). L’associazione D.i.Re raccoglie in un unico pro- getto 63 associazioni di donne che affrontano il tema della violenza maschile sulle donne secondo l’ottica della differenza di genere. È nota allo scopo di costruire una politica nazionale e promuove azione volte ad innescare un cambiamento culturale di trasformazione della società italiana nei ri- guarda del fenomeno della violenza. L’associazione D.i.Re intende dare visibilità ai Centri antivio- lenza e case rifugio presenti sul territorio nazionale. (Dal sito www.direcontrolaviolenza.it/ G. Lusu- ardi, op. cit., p.57)

76 M.A. Cocchiara, op. cit.

77 G. Giusti, S. Regazzani, Mi fai male, Atti del convegno Venezia, Auditorium Santa Margherita, 2008, a cura di G. Giusti e S. Regazzani p.15

78 Il fatto che sia proprio la casa il luogo in cui la donna è più a rischio è dovuto al fatto che la donna continua ad essere considerata come una proprietà personale del partner che non accetta, il suo diverso punto di vista o il tentativo di costruire un progetto di vita alternativo.

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Secondo M.A. Cocchiara la violenza di genere può comprendere, se riferita al genere femminile, tutte le manifestazioni violente ma include anche le diverse declinazioni della violenza usate contro le persone lgbt.79

Di recente si è andato poi diffondendo il neologismo “femminicidio” che viene spiegato da Barbara Spinelli80 in cui la definizione è onnicompren- siva di ogni forma di violenza o discriminazione subita dalle donne. Il femmi- nicidio si ha “in ogni contesto storico o geografico, ogni volta che la donna

subisce violenza fisica, patologica, economica, normativa, sociale, religiosa, in famiglia e fuori, quando non può esercitare i “diritti fondamentali

dell’uomo” perché donna ovvero in ragione del suo genere.”

Quindi il femminicidio è la violenza domestica esercitata dai padri pa- droni, mariti, partner, fidanzati, ex che silenziosamente uccide o fa suicidare milioni di donne nel mondo…è la morte vivente di quelle donne che subi- scono abusi in famiglia e non riescono più a riprendere una vita normale. Femminicidio è, in sostanza, ogni forma di violenza o discriminazione eserci- tata contro la donna “in quanto donna”, come forma di esercizio del potere, della sua psiche o del suo corpo, volto ad annientarla perché non è quello che l’uomo o la società vorrebbero che fosse, perché esercita la sua libera deter- minazione “rompendo gli schemi”, ribellandosi al ruolo sociale di moglie, madre, figlia, amante che le è stato attribuito dagli uomini “a loro immagine” in una società patriarcale.

A tal riguardo un altro contributo è quello di Loredana Lipperini e Mi- chela Murgia in cui si afferma che il femminicidio definisce un tipo di delitto

79 Sigla utilizzata come termine collettivo per riferirsi a persone lesbiche, gay, bisessuali, e transgen- der. L’acronimo ha lo scopo di enfatizzare la diversità delle culture basate su sessualità e identità di genere. A volte è utilizzato per riferirsi a chiunque sia non eterosessuale e non cis-gender invece di persone che sono esclusivamente lesbiche, gay, bisessuali o transgender.

80 È stata una giovane studiosa e attivista a ricostruire in un prezioso volume le origini del termine femminicidio, anzi femicide, da cui deriva il più noto femminicidio. Aprendo il suo lavoro Barbara Spinelli a tale proposito si esprime così: “l’invenzione dei vocaboli femmicidio e femminicidio, cosi come la loro introduzione nel linguaggio prima della comunità scientifica e poi di uso comune, non è stato lineare, ma piuttosto un percorso difficoltoso e frammentario, alle volte ambiguo. Ad oggi la de- finizione femminicidio, a seconda delle lingue e dei contesti in cui viene utilizzato, sta ad indicare un insieme più o meno ampio di comportamenti violenti nei confronti delle donne in quanto donne.” In sintesi, mentre Diana Russell sociologa e criminologa femminista, si può definire la teorica del fem- micidio, Marcela Lagarde, una delle prime studiose femministe, può definirsi la teorica del femminici- dio, inteso come fenomeno più complesso comprendente molteplici aspetti della violenza di genere e lesione dei diritti delle donne. (Etelina Carri, Di fronte al femminicidio. Brevi note su aspetti giuridici,

sociali e culturali, in Femminicidio. L’antico volto del dominio maschile, a cura di G. Lusuardi, Reg-

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che avviene all’interno di relazioni caratterizzate da una struttura culturale ar- caica che ancora non si dissolve.

…continuano a morire a decine e centinaia: “ti lascio, ti lascerò, vor-

rei lasciarti, ti ho lasciato, ma accetto di rivederti. E lui, quel lui così mite, e disperato arriva all’appuntamento con un coltello o con la tanica di benzina, oppure con le mani sole. O mia o di nessuno.”81

2.2 La violenza di genere in Italia: dati ed osservazioni in merito alla crescente