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Il tema della violenza è una questione di salute sottovalutata, ancora oggi, dalle istitu- zioni sanitarie. Finora si sono occupate della violenza soprattutto le donne delle asso- ciazioni e dei movimenti che hanno puntato sulla formazione degli operatori sociali, sanitari e delle forze dell’ordine.

La lotta alla violenza coinvolge tutti, ciascuno nel proprio settore e, tutti in- sieme, in reti di collaborazione e interscambio, devono dare il proprio contributo per l’avanzamento dei diritti e del benessere delle donne.181

Si può dedurre, quindi, che la risposta alla violenza non è solo sanitaria, ma è una risposta che introduce la difesa dei diritti delle donne e attraversa vari piani:

• Sul piano politico, le istituzioni devono assumere su di sé la responsabilità principale della lotta alla violenza promuovendo e incentivando tutte le azioni di contrasto;

• Sul piano sociale, la risposta deve essere mirata a correggere stereotipi, pregiu- dizi e strumentalizzazioni;

• Sul piano dell’assistenza, del sostegno e della riduzione del danno, la donna maltrattata e abusata deve trovare una risposta forte ai suoi disagi: una rete specifica di servizi di assistenza, dai centri di ascolto alle case di accoglienza. In molte città sono stati avviati protocolli di intesa per ottimizzare le risposte di più istituzioni coinvolte nel processo di aiuto alle vittime: istituzioni sanitarie, giudiziarie, sociali e educative.182

Nello specifico, in questo capitolo, verrà trattato l’intervento dei soggetti che, a livello territoriale, mettono in atto interventi e misure che aiutano la donna ad uscire dalla violenza o a contrastare questo fenomeno. I soggetti che si analizze- ranno, sono: il Servizio Sociale Territoriale e i Centri Antiviolenza che aiutano a supportare l’azione di riconoscimento della violenza da parte della donna. Un paragrafo sarà, poi, dedicato al ruolo che svolge Amnesty International.

181 E. Reale, Maltrattamento e violenza. La risposta dei servizi sanitari, Milano, Franco Angeli, 2016, p.7

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Tra le misure più importanti, da menzionare, ci sono gli ordini di protezione che si vedranno nello specifico.

4.1 Servizio Sociale Territoriale

Il Servizio Sociale Territoriale, per ragioni diverse, entra in contatto con donne che appartengono alle fasce sociali culturalmente e socialmente più svantaggiate, dove le aggressioni verbali e fisiche, le umiliazioni, le prevaricazioni, sono considerate “socialmente accettabili” e non è raro individuare donne che accettano e giustifi- cano il partner violento.

Il Servizio Sociale può essere considerato l’elemento catalizzatore per promuo- vere il cambiamento sociale e culturale per varie ragioni:

1. Una famiglia dove la donna è oggetto di violenza propone ai figli un mo- dello relazionale che facilmente verrà reiterato; promuovere il cambia- mento di questo tipo di cultura rientra tra i compiti e gli obiettivi dell’assi- stente sociale;

2. L’assistente sociale del territorio ha la possibilità di contribuire a far emer- gere il problema della violenza sulle donne;

3. Gli interventi di assistenza economica sono occasioni per entrare nelle fa- miglie, conoscere lo stile di vita e stabilire con le donne una relazione di fiducia che può facilitare la comunicazione e fare emergere il problema della violenza esperita.

L’accoglienza e il primo contatto con l’assistente sociale sono momenti fonda- mentali: la donna, durante il colloquio, può aprirsi, trovare uno spazio per rac- contare la violenza taciuta. Resta alla vittima la scelta se intraprendere o meno il percorso di uscita da una situazione di violenza.

La costruzione di un rapporto di fiducia con l’assistente sociale è alla base per stimolare nella donna il pensiero del cambiamento, la possibilità di migliorare la propria condizione, e per valutare i disagi e i danni arrecati dal permanere dentro una relazione violenta.

L’intervento del Servizio Sociale intende dare risposta ai bisogni di ascolto e accompagnamento della donna, per tale motivo il segreto della donna maltrattata è sempre tutelato.

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L’atteggiamento professionale, partecipativo ed empatico, permette alla donna di considerare l’assistente sociale un punto di riferimento stabile, in grado di accompagnarla nel suo percorso di autonomia e libertà. Quindi, la co- struzione di una relazione d’aiuto efficace diventa l’obiettivo primario.

Durante l’incontro è importante:

• Avere un atteggiamento rassicurante ed accogliente;

• Avere un atteggiamento empatico, di dialogo e non giudicante; • Utilizzare domande aperte;

• Dare informazioni sulle risorse disponibili, possibili azioni a sua tutela. La donna dovrà essere informata sugli obblighi che ha l’assistente, previsti dalla legge, in materia di tutela dei mi- nori e rispetto ai reati dove vi è procedibilità d’ufficio;

• Rispettare le decisioni della donna anche se richiederanno tempi di maturazione lunghi.

Bisogna, poi, considerare l’allontanamento della donna dal maltrattante in cui si prevede il coinvolgimento di più operatori per un sostegno sociale, psicologico e legale che le consenta di ricostruire il proprio percorso.

L’assistente sociale può essere supportata dall’equipe che si occupa dei casi di abuso e maltrattamento presenti sul territorio; offre il suo sostegno at- traverso attività informative, colloqui di empowerment, invio ai servizi sanitari e specialistici. Si occupa, inoltre, di progetti di prevenzione coinvolgendo tutte le fasce d’età e tutti i contesti sociali.

Un’ipotesi di lavoro realizzabile da un servizio sociale territoriale nei confronti di un utente vittima di violenza potrebbe prevedere il sostegno la for- mulazione del progetto di allontanamento183. A proposito, il secondo comma dell’art. 342 bis c.c.184 stabilisce che il giudice può disporre, altresì, l’intervento

183 L’allontanamento può essere ipotizzato in emergenza o programmato. L’assistente sociale deve ve- dere l’allontanamento come un punto da cui partire piuttosto che un punto di arrivo, affinché la donna possa arrivare gradualmente all’autonomia, cioè quella complessa capacità personale di ritrovare den- tro di sé le risorse per intraprendere una strada che le consenta di ricostruire il proprio percorso. Nei casi di emergenza il percorso di allontanamento può comprendere un progetto di ospitalità in una rete amicale, parentale e l’inserimento in struttura. Nei casi, invece, di allontanamento programmato si può prevedere un primo momento in cui il Servizio Sociale offre presidi e tutela per il tempo necessario alla creazione di un progetto su misura per garantire l’autonomia della donna e di eventuali figli. (Linee guida per l’intervento e la costruzione di rete tra i servizi sociali dei comuni e i centri Antivio- lenza, a cura di D.i.Re, p.70, www.direcontrolaviolenza.it/ )

184 “Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fi- sica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non

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dei servizi sociali del territorio. Ciò naturalmente avviene quando vi sono figli minori, ed occorre garantire, una volta attuato l’allontanamento dalla casa fa- miliare, i contatti del genitore allontanato con i figli. L’intervento si rivela pre- zioso per garantire i rapporti tra genitori e figli in situazioni di sicurezza prima dell’adozione di provvedimenti relativi all’affidamento dei figli e alle modalità di visita in sede di separazione o divorzio. Non di rado al servizio sociale è demandata la decisione in toto sulla frequenza e modalità delle visite e, spesso, è richiesta una valutazione sulla genitorialità.

In conclusione, il Servizio Sociale è da considerarsi come il nodo cen- trale della rete poiché è l’unico ente o servizio che segue la donna nell’intero percorso, dalla rilevazione della violenza al progetto di vita. Ha, come abbiamo detto, le competenze per promuovere il cambiamento sociale e culturale. L’as- sistente sociale deve diventare una figura di riferimento e una presenza costante nella vita della donna, poiché in grado di attivare varie tipologie di interventi sulla donna e sulla famiglia in generale. 185

4.2 Centri Antiviolenza

Purtroppo, nonostante le politiche di contrasto alla violenza di genere, il fenomeno continua ad essere un’emergenza. Bisogna intervenire da subito soprattutto a li- vello economico, assicurando il sostegno dei centri antiviolenza e garantendo un’equa distribuzione dei centri su tutto il territorio nazionale per offrire ospitalità, assistenza e protezione alle donne vittime di violenza e ai loro figli.

Ascoltare, accogliere, mettersi in relazione con altre donne che subiscono vio- lenza è una pratica costante e quotidiana dei centri.186

I centri antiviolenza sono “luoghi predisposti per accogliere le donne che

hanno subito violenza di genere, in qualsiasi forma essa si concretizzi, indipen- dentemente dalla loro nazionalità, etnia, religione, orientamento sessuale, stato

costituisca reato perseguibile d’ufficio,] su istanza di parte, può adottare con un decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter.”

185 Sesto Rapporto sulla violenza di genere in Toscana. Un’analisi dei dati dei Centri Antiviolenza,

Anno 2014, p.90, www.servizi.regione.toscana.it/

186 Nel nostro Paese, non si è creata una netta differenziazione fra Centri Antistupro che si occupano di violenze sessuali e case rifugio che lavorano quasi esclusivamente con donne che subiscono vio- lenza domestica, com’è accaduto in Inghilterra con i Rape Crisis Centres e i rifugi delle federazioni Women’s Aid. Né si è costituita una struttura centralizzata, o parzialmente centralizzata, di riferi- mento per tutti i centri. (P. Romito, op. cit., p.68)

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civile, credo politico e condizione economica. Sono gestiti da organizzazioni di donne, attive ed esperte nell’accoglienza, offrono protezione, sostegno a donne vittime di violenza intra ed extrafamiliare e ai loro figli minori.”187

In Europa già tra il XVI e il XVII secolo esistevano rifugi per le donne. Negli anni ’70-80 sull’onda delle mobilitazioni femministe e grazie alle analisi svilup- pate dal movimento femminista, la violenza iniziò ad emergere come fenomeno strutturale. Da allora si iniziarono a creare strutture per aiutare e sostenere le donne e minori in percorsi di fuoriuscita dalla violenza. La questione della violenza di genere si iniziò a presentare alle istituzioni come un vero e proprio problema so- ciale.

Nel 1991 quando i centri erano pochi e alle prime armi nell’accoglienza si è costituita la Rete dei Centri Antiviolenza.

Una svolta notevole è avvenuta il 21 Gennaio 2006 quando è stata siglata a Roma, da parte di 56 Centri Antiviolenza autonomi, la “Carta dei Centri Antivio- lenza” al fine di dotarsi di valori comuni sulla base dei quali orientare il proprio operato. La carta si riferisce ad alcuni dei principi che identificano l’identità e la metodologia dei Centri tra i quali: il considerare la violenza maschile alle donne come un fenomeno che ha radici nella disparità di potere tra i sessi; che i Centri sono costituiti e gestiti da sole donne; che viene garantito alle donne anonimato e sicurezza.

Con l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul il Dipartimento Pari Op- portunità ha messo in atto politiche, in contrasto alla violenza contro le donne, che sostengono parzialmente i centri come aiuto concreto alle donne che subiscono violenza.

Lo strumento principale per far emergere le situazioni di violenza è un collo- quio ben condotto che deve:

• Essere condotto da un’operatrice donna che possa dare riconoscimento in una condizione di riservatezza;

• Essere svolto senza preconcetti; • Essere confidenziale;

• Svolgersi usando il più possibile lo stesso linguaggio della donna;

187 Raccomandazioni del Forum delle Esperte della Conferenza dell’UE sulla violenza contro le donne, Colonia, 1999; manuale WAVE per l’apertura e la gestione dei centri antiviolenza, p.62,

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• Agire solo con il consenso della donna.

Empatia, negoziazione e consenso dovrebbero guidare i colloqui con una donna vittima di violenza.

Occorre, poi, una sensibilità, creare un clima di fiducia e dare risposte. Molti professionisti incontrano nel loro lavoro donne che hanno subito violenza che non la dichiarano, perché solitamente temono che lo svelamento peggiorerà la loro situazione e le metterà maggiormente a rischio. In genere, anche la paura delle operatrici è quella di non avere gli strumenti necessari per intervenire.

È importante, quindi:

• Provare ad accoglierla da sola per creare uno spazio in cui poter parlare liberamente;

• Garantire la riservatezza;

• È necessario riconoscere alla donna il tempo necessario per ascoltarla e fornire risposte in maniera adeguata;

• Credere alla donna quando esprime il suo bisogno di sicurezza anche perché il momento della separazione è quello che la espone ad una si- tuazione di rischio rispetto alla propria incolumità;

• Discutere con la donna le possibili implicazioni considerando priorita- ria la sua sicurezza;

• Ricordare che se la donna subisce non è colpa sua; • Dirle tutto quello che è pericoloso per lei e i suoi figli.

Accertato che si tratta di un caso di violenza è importante avere chiaro l’obiet- tivo dell’intervento che non è quello di indurre la donna a seguire un percorso di violenza, ma dare supporto e informazioni, ascoltare la donna e validare la sua esperienza, trovare una soluzione sia se lei decida di allontanarsi, sia che rimanga nella situazione.

La figura chiave di un centro è l’operatrice di accoglienza.188

Le altre operatrici, sia volontarie che retribuite, devono avere una formazione specifica sulla violenza, continui aggiornamenti e una supervisione periodica atta a proteggerle dal rischio di burn-out e di traumatizzazione secondaria.

188 Ha una formazione specifica sulla costruzione di percorsi di uscita dalla violenza. (M. L. Bonura,

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La relazione tra donne può innescare un processo virtuoso di reciproco ricono- scimento e sostegno.

Tutte le operatrici si impegnano a rispettare l’anonimato, la segretezza e la ri- servatezza delle informazioni personali, relative alle donne e ad attenersi all’obbligo morale di seguire i principi ispiratori dell’intervento.

Per quanto riguarda i servizi offerti si possono menzionare:

• Ascolto telefonico per individuare i bisogni e fornire le prime informa- zioni;

• Colloqui di accoglienza: finalizzati all’analisi della situazione e dei bi- sogni e a strutturare il percorso di uscita dalla violenza definendo gli obiettivi;

• Ospitalità: presso strutture protette/case rifugio in cui sono accolte le donne con i loro figli;

• Servizi specifici per donne migranti e per donne vittime di sfruttamento sessuale e tratta;

• Consulenza legale: con le avvocate che collaborano con il Centro; • Consulenza psicologica: nel caso in cui le operatrici e la donna ne rile-

vino la necessità;

• Gruppo di auto-mutuo aiuto: per lavorare attraverso un approccio so- ciale al fenomeno e non concentrarsi sulle difficoltà della donna; per ridurre l’isolamento e favorire l’instaurazione di legami sociali; offrire spazio sicuro e facilitare lo sviluppo di legami che consentono alle donne di parlare di ciò che è loro accaduto;

• Accompagnamento: per la ricerca di una soluzione abitativa e lavora- tiva;

• Servizi per minori;

• Affiancamento: nella fruizione dei sevizi, nelle procedure amministra- tive-burocratiche e nel percorso giudiziario;

• Attività di rete e coordinamento: con i servizi pubblici e privati al fine di ottimizzare il percorso di uscita dalla violenza;

• Attività di sensibilizzazione: attività nelle scuole, promozione di eventi. In altre parole, oltre a predisporre azioni necessarie al fronteggiamento dell’emergenza, i centri antiviolenza perseguono obiettivi legati alla

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costruzione del futuro affiancando la donna nella realizzazione di un percorso di libertà attraverso la promozione di risorse e capacità progettuali.189

Si può dedurre che grazie al movimento politico delle donne e alla na- scita dei centri antiviolenza si è modificata la visione della donna all’interno della famiglia, nella società e nelle relazioni di affetto e di amore; ma si è mo- dificata, anche, la visione della violenza all’interno della famiglia.

Infatti, se prima la violenza era considerata un fenomeno “quasi nor- male”, oggi, invece, è vista come un fenomeno non più accettabile. Ciò ha por- tato anche una modifica all’impianto generale delle istituzioni in quanto ave- vano assunto una posizione neutrale non vedendo la violenza laddove essa era tacitamente presente.190

Le case rifugio e i centri antiviolenza, si può dedurre, rappresentano un osservatorio privilegiato sul problema della violenza contro le donne, che da sempre hanno messo al primo posto il punto di vista, i vissuti e le percezioni delle donne, accolte sulla violenza e che, a partire da questo, hanno elaborato strumenti e strategie di intervento.191

In conclusione, si può affermare che il centro antiviolenza e il servizio sociale territoriale rappresentano i “nodi della rete” indispensabili per accom- pagnare la donna che subisce o ha subito violenza verso la decisione consape- vole di interrompere il ciclo della violenza, tutelare il diritto di cittadinanza ed integrazione sociale, a costruire il percorso di vita alternativo alla condizione di violenza subita e a realizzare il progetto di autonomia.

È quindi auspicabile che a livello locale tra il centro antiviolenza e il servizio territoriale del comune competente si formalizzi un accordo di rete in cui si definiscano ruoli e funzioni, i criteri per l’accesso alla rete, le procedure e le modalità per il contatto e la presa in carico, gli standard qualitativi dei servizi offerti.

4.3 Ordini di protezione

189 M. L. Bonura, op. cit. p.198 190 M. Monzani, op. cit., p.53 191 P. Romito, op. cit., p.67

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Ricorrenti fatti di cronaca ripropongono quotidianamente il problema della vio- lenza fra le mura domestiche. Da oltre un decennio, il legislatore, come si vedrà successivamente, per cercare di prevenire questa vera e propria piaga sociale, ha introdotto un nuovo istituto giuridico: gli ordini di protezione disciplinati dagli artt. 342 bis e 342 ter del codice civile.

Sono stati introdotti con la legge n. 154/2001, che è intervenuta nel nostro or- dinamento introducendo misure specifiche contro la violenza nelle relazioni fa- miliari.

Il bene giuridico protetto che gli ordini di protezione mirano a ripristinare, è costituito dalla serenità familiare e dal prevalere dell’interesse del singolo ri- spetto a quello dei membri della famiglia.

Essi sono stati definiti come misure cautelari civili tipiche, che non rispettano le garanzie già richieste dal diritto processuale penale ai fini dell’emanazione dei provvedimenti cautelari che vengono disposti in tale sede.192

L’ordine di protezione contro gli abusi familiari, cioè contro i maltrattamenti, può essere emesso “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro co- niuge o convivente.”

Il presupposto oggettivo è dunque una condotta costituente maltrattamento, che leda i diritti fondamentali della persona. Qualsiasi condotta che produca tali ef- fetti, dunque, può essere il presupposto oggettivo di un ordine di protezione.193 Essi vengono emessi con decreto dal Tribunale e si sostanziano nell’ordine di al- lontanarsi dalla casa familiare e, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitual- mente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia di origine, o al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre per- sone ed in prossimità dei luoghi d’istruzione dei figli della coppia, salvo che il destinatario non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.

La loro durata è in genere non superiore ad un anno ma può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrono gravi motivi e per il tempo strettamente necessario.

192www.giuricivile.it/

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A questo punto, di fondamentale importanza è individuare cosa debba inten- dersi per violenza “giuridicamente rilevante”194 per poter applicare gli ordini di protezione.

Come si è detto poc’anzi, la violenza in ambito familiare è stata riconosciuta un decennio prima della legge 154/2001. Prima dell’entrata in vigore della legge in esame, gli strumenti di tutela del nostro ordinamento giuridico erano assoluta- mente inadeguati a fronteggiare il fenomeno della violenza. Una delle strade più percorse era quella della separazione personale al fine di ottenere l’allontana- mento del coniuge con provvedimento emesso dal Presidente del Tribunale e con il conseguente addebito della separazione con la sentenza che definiva il giudizio.

Invece, l’obiettivo della nuova legge è stato quello di fornire un ventaglio di mezzi cautelari di carattere personale e patrimoniale che consentisse alle vittime degli abusi di rompere il silenzio senza subire le pesanti conseguenze determinate dal forzato allontanamento dalla casa familiare.

Chiunque viola l’ordine di protezione è punito con la pena stabilita dall’art. 388 c.p.195

La violazione non legittima le forze dell’ordine a adottare fermi o arresti, né comporta conseguenze immediate di risposta dell’ordinamento. Naturalmente la violazione legittima la proroga dell’ordine o la richiesta dell’emissione di un nuovo ordine e può, quantomeno, allertare le forze dell’ordine e consentire il loro immediato intervento a fronte di una nuova segnalazione di pericolo.196

In conclusione, gli ordini di protezione sono delle misure personali coercitive,