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Come possiamo vedere nel capitolo precedente, l’ambito di ricerca della mia indagine verte sui Servizi Sociali e sui Centri Antiviolenza della regione Toscana e della regione Puglia, in particolar modo, si considerano le città di Pisa e Lecce.

In questa parte del lavoro verrà svolta l’analisi degli elementi emersi durante le inter- viste.

Le domande si sono focalizzate sui servizi, o meglio, sugli interventi che queste strut- ture erogano nei confronti delle donne vittime di violenza, indagando sui punti di forza e le criticità dei servizi nell’affrontare questo fenomeno.

Per quanto riguarda i Servizi Sociali di Pisa, il tema della violenza sulle donne viene trattato dalla Società della Salute219 attraverso lo “Sportello Donne”. Pisa, in questo caso, ha una storia più lunga con un’integrazione più alta. Il progetto ha diversi gestori attraverso la cosiddetta “coprogettazione tra pubblico e terzo settore”. Quindi dal punto di vista dell’organizzazione è ovvio che il sistema è più complesso.

È un servizio che garantisce la reperibilità 24 h su 24 attraverso lo sportello “d’emergenza” e ciò comporta la collaborazione con case rifugio che consentono la collocazione della donna (valido solo per le donne residenti nei 9 comuni che appar- tengono alla SdS) e in caso di minori, se presenti, presso di queste che sono ad indirizzi protetto e segreto.

Il progetto è pagato a monte attraverso delle gare di appalto a differenza delle case rifugio di tutta Italia in quanto, in questo caso, è previsto il pagamento della retta da parte dei Servizi Sociali. Diversa è ancora la situazione a Roma e Cagliari che hanno finanziamenti enormi per cui accolgono gratuitamente, anche, donne non residenti in queste due città.

I Servizi Sociali e le A.S. stabiliscono con la donna vittima di violenza l’obiettivo da raggiungere: l’autonomia e l’autodeterminazione. Affinché questo venga raggiunto, oltre alla collocazione della donna in case rifugio, viene data la possibilità alla donna

219 E’ un consorzio pubblico costituito ai sensi dell’art. 31 del D. Lgs 267/2000 e degli artt. 71 bis e seguenti della legge regionale 40/2005 per lo svolgimento delle funzioni di programmazione, organiz- zazione e gestione delle attività di assistenza sanitaria e sociale assegnate agli enti. Le SdS, integrando i servizi e le attività di Comuni e Aziende Sanitarie, lavorano per offrire alle persone risposte unitarie ai bisogni sociosanitari e sociali diventando l’unico interlocutore e porta di accesso ai servizi territo- riali. (www.comune.pisa.it/)

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di essere collocata in un appartamento, non più segreto, che le consente di uscire, di lavorare per il raggiungimento, appunto, dell’autonomia. L’appartamento è condiviso con un’altra donna e viene pagato da loro attraverso l’autonomia lavorativa.

Su quest’ultima e sull’autonomia abitativa, la regione Toscana, quest’anno ha stan- ziato due fondi: quelli abitativi transitano dalla SdS, mentre quelli lavorativi vanno direttamente alle donne attraverso la normativa specifica di finanziamento dei percorsi per le donne vittime di violenza.

I Servizi Sociali in collaborazione con la SdS, dal 2012 collaborano, poi, con l’Asso- ciazione “Nuovo maschile. Uomini liberi dalla violenza”220, un luogo di ascolto, con- fronto ed espressione per tutti gli uomini, che si rivolge a:

• Uomini che agiscono violenze e desiderano cambiare;

• Uomini che hanno subito abusi in età infantile adolescenziale; • Uomini che desiderano confrontarsi con altri uomini.

L’associazione garantisce:

• Ascolto telefonico;

• Colloqui individuali: si parte con un ciclo di 5 incontri gratuiti di con- sulenza con uno psicologo dell’associazione;

• Percorsi di gruppo con uomini con gruppi psicoeducativi per chi agisce violenza nelle relazioni e desidera intraprendere un percorso di cambia- mento; e con gruppi di condivisione per confrontarsi sul proprio essere uomini, sulle relazioni e su tematiche d’interesse;

• Progetti per le scuole: organizzazione di progetti nelle scuole di ogni ordine e grado sul contrasto della violenza maschile su donne e bam- bini/e;

• Formazione e supervisione: per counselor, psicologhi/e, psicotera- peuti/e, forze dell’ordine, A.S., insegnanti e chiunque sia interessato ad acquisire strumenti di contrasto alla violenza di genere.

Collaborano, infine con il centro Sagara221 che lavora sulla mediazione interculturale.

220 Associazione di promozione sociale nata a Pisa nel 2012. (www.regione.toscana.it/)

221 Fondato nel 2010 in seguito all’incontro di professionisti accomunati da esperienze operative e for- mative in Italia e all’estero. Hanno sentito l’esigenza di un confronto interdisciplinare, affidato a uno strumento che consentisse di svolgere attività di formazione, ricerca ed intervento nell’ambito etno- psichiatrico e etno-antropologico. (www.centrosagara.it/)

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I Servizi Sociali di Lecce, invece, si presentano in modo meno complesso ri- spetto ai servizi sociali di Pisa, in quanto operano in perfetta autonomia e non è prevista nessuna collaborazione con sportelli ad hoc perché non sono previsti sul territorio.

La collaborazione avviene con la casa rifugio “Casa Nazareth”, con un’equipe creata anni fa che si occupa di abusi e maltrattamenti, con il consultorio familiare, con il Centro Anemone222 e con la Comunità madre-bambino quando vi è il coinvolgi- mento del Tribunale per i Minorenni.

Ovviamente, si deduce che l’intervento del Servizio Sociale nei confronti delle donne vittime di violenza è semplice, in quanto non è presente, cosi come per la To- scana, un consorzio pubblico come può essere la SdS.

Per quanto riguarda, invece, i centri Antiviolenza, questi sono dei punti di rife- rimento per entrambe le regioni.

Il CAV di Pisa è una struttura collegata alla rete Tosca, D.i.Re e Wave in cui operano solo ed esclusivamente donne, perché è presente una cultura di genere molto forte, ed è in collaborazione con la SdS, in quanto ne segue anche le linee guida in caso di violenza contro le donne. E’costituito da un servizio di ascolto ed accoglienza “Telefono Donna” e dalla casa rifugio. L’obiettivo delle operatrici che entrano in con- tatto con la donna è il raggiungimento dell’autonomia e autodeterminazione. Il centro è in collaborazione, anche, con il Codice Rosa.

Il CAV “Renata Fonte” fa parte dell’associazione “Donne Insieme” Onlus che garantisce assistenza sociale e sociosanitaria per donne e minori vittime di violenza.

Il centro ha una disponibilità h 24 e, anche in questo caso, operano solo ed esclusivamente donne perché l’obiettivo è quello di aiutare la donna instaurando una relazione di fiducia ma, soprattutto, una relazione tra donne per cercare di uscire dalla violenza. La donna per questo non viene mai lasciata sola.

Il CAV è in linea con la Convenzione di Istanbul e con tutte le sue linee guida cercando anche di indurre le istituzioni a rispettarle.

Oltre al recupero della donna, il CAV è impegnato in azioni di prevenzione sulle nuove generazioni nelle scuole con progetti di educazione alla legalità e alla non-violenza. In entrambe le regioni, comunque, troviamo dei servizi e degli interventi che vengono messi in atto per fronteggiare questo fenomeno con la sola differenza che, a Lecce,

222 Centro di ascolto per uomini maltrattanti, funziona da unico riferimento a livello regionale. Il servi- zio è attivato in seguito di inviti delle altre agenzie del territorio che compongono la rete: Enti Locali, Tribunali, CAV, Servizi interni alla Asl. (www.regione.puglia.it/)

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non è un fenomeno che si presenta quotidianamente o il numero delle vittime è infe- riore, rispetto a quello di Pisa, in cui il numero delle vittime, si è detto, dal 2006 al 2017 è di 108.

6.2 Misure in atto: analogie e differenze tra le due regioni

Dopo aver analizzato i vari servizi attraverso le interviste che sono state fatte alle ope- ratrici, possiamo procedere con una comparazione dettagliata delle due Regioni, evi- denziando le analogie e le differenze tra i Servizi Sociali di Pisa e Lecce e il CAV di Pisa e Lecce.

Partendo dai Servizi Sociali tra le differenze possiamo sottolineare:

• Il sistema a Pisa è più efficace ed efficiente grazie alla presenza della SdS che a Lecce non troviamo. Ciò consente di erogare una risposta integrata che coinvolge Asl più i 9 comuni della rete. Ad esempio, se una donna vittima di violenza è residente a Pisa, e nella casa rifugio non vi è disponi- bilità di posti, la donna può essere collocata in una casa rifugio in uno di questi 9 comuni. A Lecce, quando non vi sono posti disponibili, non es- sendo presenti sul territorio altre case rifugio, bisogna vedere se vi è la di- sponibilità nelle altre province della Regione;

• Altra differenza riguarda l’obiettivo del piano di recupero, del percorso di uscita dalla violenza, in quanto a Pisa viene data la possibilità alla donna, una volta che quest’ultima abbia raggiunto una propria autonomia, di essere collocata in un appartamento per due persone che devono contribuire alle spese. Ma soprattutto la donna può uscire e lavorare. A Lecce è uguale solo l’obiettivo del progetto (autodeterminazione);

• L’ultima differenza è data dal fatto che la Regione Toscana ha stanziato dei fondi per l’autonomia lavorativa e abitativa che non troviamo in Puglia. Le analogie che possiamo, invece, sottolineare sono:

• La presenza nelle due città di case rifugio che offrono protezione e so- stegno alla donna vittima di violenza e rappresentano un’ottima risorsa; • La presenza di centri di ascolto per uomini maltrattanti che cercano di

aiutare l’uomo, e cercano di capire quali siano le cause del suo essere violento. Spesso si lavora con l’uomo da solo e, se questo collabora, si lavora con il nucleo (uomo-donna) in modo separato.

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Se, invece, si considerano i CAV di Pisa e Lecce le differenze e le analogie, rispetto ai Servizi Sociali, sono molteplici.

Tra le differenze possiamo evidenziare:

• Il CAV di Lecce non è dotato di case rifugio o, meglio ancora, non gestisce case rifugio; a differenza del CAV di Pisa che gestisce, diret- tamente, la casa rifugio;

• Il CAV di Lecce è in linea con la Convenzione di Istanbul e ne segue quotidianamente le linee guida; a Pisa ciò non è stato menzionato; • Una differenza sostanziale, che per il CAV di Lecce risulta essere una

peculiarità è la testimonianza in quanto le operatrici accompagnano la donna nel percorso giudiziario come persone informate sui fatti; • Il CAV di Lecce svolge, oltre ad azioni di contrasto alla violenza di

genere, anche azioni di prevenzione per diffondere l’idea della parità tra i generi, la non discriminazione e la non-violenza;

• Infine, l’ultima differenza è data dal fatto che il CAV di Pisa è collegato al Codice Rosa, che in Puglia non esiste.

Tra le analogie possiamo sottolineare:

• La presenza nei CAV di operatrici donne che devono essere dotate di professionalità basata sull’approccio di genere e di grande empatia. Ecco i motivi per cui non sono presenti uomini perché è più facile per una donna, per una questione di genere, rapportarsi con una donna che con un uomo (che è il genere dal quale lei ha subito violenza e maltrat- tamento). Si instaura, per l’appunto, una relazione di aiuto tra donne; • Il progetto di uscita dalla violenza è uguale per entrambi i CAV. Si ve-

rifica l’accesso della donna, attraverso varie modalità; successivamente si fanno dei colloqui di accoglienza che analizzano la domanda della donna e si cerca di trovare una soluzione di uscire dalla situazione di disagio; altri colloqui con altre operatrici che hanno competenze diverse (avvocate, psicologhe); in casi di emergenza si ricorre alla collocazione della donna in case rifugio che sono ad indirizzo protetto e segreto. L’obiettivo di questo percorso rispettando, sempre, la volontà della donna è quello di supportare la libertà della donna ma, soprattutto, di

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aiutare la donna a ridisegnare un nuovo progetto di vita per sé stessa e per i suoi figli;

• Entrambi sono disponibili h 24; con l’unica differenza che a Pisa è di- sponibile h 24 la SdS, ed in caso di emergenza invia la donna al CAV. A Lecce, invece, è presente un recapito telefono all’interno del CAV, solo per le emergenze;

• Entrambi sono inseriti nella rete D.i.Re, che è la rete nazionale per quanto riguarda i CAV; con la sola differenza che il CAV di Pisa è collegato anche alla rete regionale ed europea.

Quindi, nei confronti delle donne vittima di violenza, è stata condivisa da tutte le ope- ratrici che la priorità è sicuramente la protezione della donna e dei minori, nei casi in cui essi ci siano. L’intervento di messa in protezione della donna comporta il tener conto di molti altri aspetti come quelli abitativi, economici, emotivi, sanitari, psicolo- gici, penali, civili…”

Nei confronti, invece, dell’uomo violento gli operatori, in generale, lo contattano per avere un riscontro sulla situazione di violenza che viene dichiarata.

Dalle varie analogie e differenze tra i servizi e le misure che vengono messe in atto in Toscana e Puglia si può dedurre che ogni regione ha un’organizzazione a sé. È orga- nizzata in base alle normative regionali, alle risorse disponibili sul territorio, alle si- tuazioni che si presentano di volta in volta ed ai bisogni della donna; quindi l’inter- vento non è omogeneo, uniforme per tutto il territorio nazionale ma, è ad personam, in quanto l’intervento è individualizzato.

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CONCLUSIONI

Ricevere uno schiaffo o una spinta, essere attaccata o minacciata verbalmente, venire controllata costantemente e in modo soffocante dal partner, vedersi negato l’accesso alle risorse economiche dal marito o dal compagno, essere costretta ad avere un rap- porto sessuale contro la propria volontà, stalking, violenza psicologica. Sono solo al- cuni esempi di violenza sulle donne, una violazione dei diritti umani tra le più diffuse e persistenti secondo l’ONU.

In Italia, come in tutto il resto del mondo, è presente il fenomeno della violenza e colpisce un gran numero di donne. Ciò ha portato a considerare la violenza un feno- meno multidimensionale in cui l’obiettivo è quello di trovare delle efficaci politiche di prevenzione e contrasto sia a livello nazionale che internazionale.

Sradicare la violenza contro le donne resta un’azione estremamente complessa, perché impone la presenza di un lavoro delicato capace di tener conto di molte varia- bili: aspetti individuali, sociali, culturali, politico-amministrativi e legali del problema, nonché aspetti preventivi e di riduzione del danno. È necessaria una grande operazione di rinnovamento culturale, che metta in discussione quella “cultura della violenza ma-

schile accettata”223 che è ancora oggi presente nelle istituzioni ed in particolare in alcuni attori sociali che operano a stretto contatto con le donne che subiscono violenza e che, spesso, a causa di una scarsa formazione e sensibilizzazione in prospettiva di genere, non aiutano le donne nel percorso di uscita dalla violenza.

Il punto cruciale è sempre stato il fatto che la violenza contro le donne venivano spiegate e giustificate dagli usi, dai costumi, dalle tradizioni o dalle religioni.

Perché le donne sono vittime della violenza?

Sino ad oggi, ha vinto la tesi di coloro che brandivano la tesi culturale. L’ac- cordo siglato dall’ONU il 15 Marzo 2013 dichiara che le violenze esercitate contro le donne non possono essere giustificate “da nessun costume, tradizione o considerazione religiosa”. 224

Mai come ora, c’è bisogno di un cambiamento che deve avvenire su vari fronti: da interventi preventivi nelle scuole, dall’intervento con gli uomini maltrattanti ad un nuovo modo di approcciarsi alla violenza da parte degli operatori.

223 F. Cimagalli, op. cit., p.131 224 S. Vaccaro, op. cit., p.61

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La nostra società è molto radicata sulle differenze di genere, perciò c’è bisogno di un cambiamento della stessa collettività che considera la violenza come norma.

Tale cambiamento è necessario e deve iniziare all’interno delle scuole; bisogna insegnare ai bambini l’educazione al rispetto, in particolare al rispetto delle differenze di genere.

Purtroppo, la nostra società tende a giustificare i comportamenti violenti, anche quelli sessuali, perché collegati alla natura dell’uomo che, in quanto tale, gli è per- messo tutto; per di più, considera la società patriarcale la causa della violenza maschile sulle donne perché connessa alla divisione dei ruoli della famiglia.

Ciò ha determinato la visione dell’uomo capofamiglia, mentre la donna deve essere solamente una “brava moglie e brava madre” che si deve occupare della ge- stione della casa e cura del marito e dei figli. Questa asimmetria di ruolo e di potere porta ad una relazione dei sessi squilibrata.

Nel nostro Paese, masse di donne sono colpite dalla violenza, ma si ostinano a non collegare tale violenza al pensiero patriarcale o al dominio maschile.

Negli ultimi anni, però, ci sono state delle novità in ambito legislativo e giuri- dico come ad esempio, la parità morale dei coniugi, l’auto determinazione delle donne, l’accesso alle cariche che prima erano solo maschili ma permangono, ancora, tanti ostacoli per il riconoscimento effettivo dell’essere donna.

Pertanto, un primo fondamentale elemento di prevenzione alla violenza e alle differenze di genere può essere rappresentato, appunto, da un cambiamento a livello sociale e culturale, che faccia emergere il problema dei pregiudizi e degli stereotipi sulla violenza e riconosca e valorizzi le reciprocità tra i ruoli uomo-donna.

L’altro cambiamento che deve essere messo in atto per poter sradicare la vio- lenza deve essere volto al modo di approcciarsi al fenomeno e all’autore della violenza. Deve avvenire un ribaltamento di prospettiva ovvero si deve vedere e trattare la vio- lenza come un problema maschile, in quanto è all’uomo che deve essere ricondotta la responsabilità dei comportamenti violenti ed un possibile cambiamento tramite un per- corso di trattamento.

Bisogna intervenire in maniera tempestiva quando si entra in contatto con una situazione di violenza per ridurre la possibilità di recidiva violenta da parte dell’uomo. Tutto ciò deve essere fatto per poter offrire maggiore sicurezza alle potenziali vittime di nuovi agiti violenti, donne e bambini compresi.

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Tutti questi cambiamenti si potrebbero verificare se la società civile, in gene- rale, il singolo individuo, gli operatori e le istituzioni si impegnassero, quotidiana- mente, attraverso delle azioni ah hoc, nella prevenzione e nel contrasto della violenza. Solo così la violenza potrebbe diventare solo un brutto e lontano ricordo.

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APPENDICE

(1) MONOLOGO FRANCA RAME “LO STUPRO”

“C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore…

Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girando-mele all’incontrario. La sini- stra in particolare.

Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.

Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo co- scienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione!

Come sono salita su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?

Non lo so.

È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragiona-re… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come con-gelata.

Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena… s’è seduto comodo… e mi tiene tra le sue gambe… fortemente… dal di dietro… come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.

L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? For-se è perché non grido.

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Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce… né gran spazio… forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.

Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?

Sta per succedere qualche cosa, lo sento… Respiro a fondo… due, tre volte. Non, non mi snebbio… Ho solo paura…

Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso