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Il giudizio sulle leggi e l’efficacia delle sentenze di accoglimento su

3. Le frizioni fra il giudicato e la legalità costituzionale

3.1. Il giudizio sulle leggi e l’efficacia delle sentenze di accoglimento su

83 Sent. n. 17 del 1986; in senso critico, giacché la sentenza offrirebbe un incentivo a una

gymnastique à l’infini, E. FAZZALARI, Voce “Revocazione”, in Enc. dir., Milano, Giuffrè,

1989, 294. Ulteriori estensioni del rimedio revocatorio sono state operate dalle sentt. nn. 558 del 1989, 36 del 1991, 51 del 1995 e 207 del 2009.

L’introduzione del sindacato di legittimità costituzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge pone l’ordinamento dinanzi alla scelta di decidere il destino dei rapporti giuridici nei confronti dei quali la legge dichiarata incostituzionale abbia già trovato applicazione con provvedimento dell’autorità giudiziaria passato in giudicato.

Il problema, a livello costituzionale, si pone almeno sotto due profili: il primo, che potremmo definire formale, attiene al regime degli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale. Difatti, la natura dell’invalidità che vizia la legge incostituzionale si riflette sul grado di pervasività della caducazione di quest’ultima nei confronti dei rapporti pregressi.

Il secondo, che opera invece sul piano sostanziale, impone di verificare se, tra i principi costituzionali, ve ne siano alcuni la cui preminenza è tale da imporne la piena affermazione anche nei confronti dei rapporti coperti dal giudicato. In questi casi, la forza espansiva della caducazione della legge va oltre (e non dipende da) le regole che governano gli effetti delle sentenze di accoglimento. E’ il singolo principio costituzionale, piuttosto, a richiedere che sia consentita la celebrazione di un nuovo giudizio o la cessazione degli effetti del precedente, ogniqualvolta la caducazione della legge incostituzionale abbia messo in luce l’esistenza di una situazione incompatibile con la piena affermazione del principio de quo.

Similmente a quanto si è osservato nei confronti della tutela costituzionale del giudicato, anche sui rapporti tra l’istituto e gli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale la Costituzione è silente. E’ noto, infatti, che i costituenti scelsero di demandare alcune scelte essenziali circa il funzionamento della Corte e, in particolare, circa gli effetti del sincadato di costituzionalità, alla futura determinazione del legislatore costituzionale e ordinario. La soluzione alle questioni poste all’inizio di questo paragrafo deve pertanto essere ricostruita in via sistematica, con l’ausilio dell’attuazione normativa che è stata data alle scarne indicazioni costituzionali, dell’elaborazione dottrinale e della giurisprudenza costituzionale.

Quanto agli effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, è noto che l’art. 136 Cost. stabilisce soltanto che la norma

dichiarata incostituzionale “cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. Nonostante all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione sia stata sostenuta anche la tesi dell’efficacia ex nunc della caducazione della legge incostituzionale84, è ormai pacifico che tale disposizione vada interpretata nel senso che la norma incostituzionale non possa più trovare applicazione dal momento della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale e che, pertanto, quest’ultima produca i suoi effetti ex tunc.

La scelta del meccanismo incidentale operata dall’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948 e la connessa necessità di tutelare i diritti lesi dalla norma incostituzionale anzitutto nel giudizio a quo hanno portato da tempo la dottrina a propendere per la tesi della c.d. “retroattività”85 delle sentenze della Corte costituzionale e a ritenere che l’art. 30, comma 3, della l. n. 87 del 1953, laddove specifica che “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”, si limiti in realtà a esprimere “con maggior chiarezza”86 un contenuto già interamente desumibile dal sistema del sindacato incidentale di legittimità costituzionale87. Da quanto precede, discende altrettanto pacificamente che

84 In particolare da P. CALAMANDREI, La illegittimità costituzionale delle leggi nel processo

civile. Con una lettera dedicatoria al Prof. Enrico Redenti, Padova, Cedam, 1950, 92 s.

85 In realtà, come è stato correttamente rilevato, il termine “retroattività” è improprio, in

quanto la capacità della sentenza di accoglimento di incidere anche sulle situazioni pregresse non deriva da una retrovalutazione di queste, ma dalla cessazione di efficacia della norma che l’art. 136 Cost. riconduce alla dichiarazione di incostituzionalità; cfr., sul punto, F. POLITI, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale,

Padova, Cedam, 1997, 8.

86 Così V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, Le fonti. La Corte

costituzionale, Padova, Cedam, 1984, 387.

87 In questo senso si è espressa anche la stessa Corte costituzionale con la sent. n. 127 del

1966, come recentemente ricordato da R. ROMBOLI, L’“obbligo” per il giudice di applicare

nel processo a quo la norma dichiarata incostituzionale ab origine: natura incidentale del giudizio costituzionale e tutela dei diritti, in Forum di Quaderni costituzionali – Rassegna,

6 aprile 2005, 5, che ricostruisce la non applicazione della norma dichiarata incostituzionale come “logica conseguenza della cessazione di efficacia”. Secondo l’illustre Autore, il meccanismo incidentale si coordinerebbe perfettamente con il tipo di effetti conseguenti alla declaratoria di incostituzionalità. Rileva che l’efficacia retroattiva che si desume dall’art. 30, comma 3, della l. n. 87 del 1953 è coerente con la scelta in favore dell’accesso alla Corte in via incidentale anche G. MONACO,Situazioni soggettive e interesse pubblico nel giudizio

incidentale sulle leggi, Libellula Edizioni, Tricase, 2012, che valorizza tale efficacia quale

sintomo della vocazione del giudizio costituzionale sulle leggi alla tutela delle posizioni giuridiche fatte valere nel giudizio principale.

alla cessazione dell’efficacia di cui all’art. 136 Cost. sono in principio insensibili i c.d. “rapporti esauriti”.

L’incidenza della sentenza di accoglimento sui rapporti sorti precedentemente alla sua pubblicazione può essere solo atecnicamente descritta in termini di retroattività, costituendo piuttosto conseguenza della cessazione di efficacia della norma, quale caratteristica specifica e assolutamente peculiare del regime di invalidità della legge dichiarata incostituzionale. Tale cessazione di efficacia, infatti, può operare solo nei confronti di tutti quei rapporti all’interno dei quali la norma incostituzionale “continua” a produrre i propri effetti, giacché, evidentemente, se tali effetti si fossero già definitivamente prodotti, non vi sarebbe alcuna nuova applicazione della norma che la sentenza della Corte dovrebbe essere chiamata a impedire88. Per utilizzare le parole della Corte, è “nella logica del giudizio costituzionale incidentale che - ferma restando la perdita di efficacia della norma dichiarata incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, e la sua inapplicabilità nel giudizio a quo e in tutti quelli ancora pendenti, anche in relazione a situazioni determinatesi antecedentemente - la retroattività delle pronunce d’incostituzionalità trovi un limite nei rapporti ormai esauriti”89.

E’ dunque riconducibile al peculiare regime dell’invalidità della norma incostituzionale la circostanza che la pervasività della sentenza di accoglimento sui rapporti pregressi incontri un limite nelle fattispecie in cui la norma caducata non può più essere oggetto di applicazione, tanto per motivi processuali, quanto per ragioni sostanziali. Tra questi, emblematico è il caso dei rapporti coperti dal giudicato90.

88 In questo senso F. POLITI, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte

costituzionale, cit., 29, e, similmente, G. MATUCCI, Giudicato civile e declaratoria

d’incostituzionalità, cit., 394, che rileva che l’intangibilità del giudicato civile a fronte della

dichiarazione d’incostituzionalità muove da ragioni di ordine logico, prima ancora che giuridico, posto che, nella fattispecie, la norma censurata è già stata applicata in via definitiva.

89 Sent. n. 3 del 1996.

90 Sul punto, la manualistica è unanime. V., ex multis, F. MODUGNO (a cura di), Diritto

pubblico, II ed., Torino, Giappichelli, 2015, 724; G.ZAGREBELSKY,V.MARCENÒ, Giustizia

costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2012, 352; G.U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico,

XV ed., Bologna, Zanichelli, 2014, 467; T. MARTINES, Diritto costituzionale, XII ed. riveduta da G. Silvestri, Milano, Giuffré, 2010, 495; E. MALFATTI,S.PANIZZA,R.ROMBOLI,

Come è stato correttamente rilevato, peraltro, la definizione delle condizioni alle quali un rapporto giuridico può reputarsi “esaurito” non attiene al diritto costituzionale (processuale), ma ai diversi settori dell’ordinamento che lo disciplinano, sul piano sostanziale quanto su quello processuale. Spetta, allora, al legislatore ordinario fissare le condizioni alle quali un determinato rapporto giuridico pregresso può essere raggiunto dagli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale91. In questo contesto, un ruolo di amplissima rilevanza è assunto dalla giurisprudenza comune nell’interpretazione delle norme che fissano le condizioni alle quali un rapporto più ritenersi “esaurito”, giacché, com’è stato efficacemente dimostrato, dalle oscillazioni giurisprudenziali può dipendere in larga misura il concreto atteggiarsi della forza espansiva nel tempo delle decisioni di accoglimento della Corte costituzionale92.

Quanto si è detto dimostra che deriva dal regime degli effetti della declaratoria di illegittimità costituzionale, così come positivamente disciplinato nel nostro sistema costituzionale, l’incapacità delle sentenze di accoglimento di travolgere i rapporti giuridici coperti dal giudicato. Occorre adesso verificare se il quadro fin qui descritto debba essere integrato dal riconoscimento di puntuali eccezioni al principio dell’intangibilità del giudicato da parte delle sentenze di accoglimento della Corte, che impongano la piena operatività di peculiari principi di diritto costituzionale sostanziale anche nei confronti dei rapporti esauriti.

Parte della dottrina ha negato che siffatte eccezioni trovino copertura costituzionale, nel senso che la loro eventuale previsione a livello di legislazione ordinaria sarebbe ammessa, ma non imposta, dal dettato costituzionale93. Altra parte della dottrina ha invece osservato che la

Giustizia costituzionale, V ed., Torino, Giappichelli, 2016, 139; A. RUGGERI –A.SPADARO,

Lineamenti di giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2014, 153.

91 Lo rileva G.ZAGREBELSKY,V.MARCENÒ, Giustizia costituzionale, cit., 353. In senso

adesivo E. MALFATTI,S.PANIZZA,R.ROMBOLI, Giustizia costituzionale, cit., 139.

92 V., sul punto, l’accurata analisi della giurisprudenza civile, penale e amministrativa di F.

POLITI, Gli effetti nel tempo delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale, cit.,

75 ss.

93 Secondo G.ZAGREBELSKY,V.MARCENÒ, Giustizia costituzionale, cit., 353, in particolare,

“gli effetti «retroattivi» ulteriori […] non hanno garanzia costituzionale, rappresentando, per così dire, un sovrappiù rispetto a quanto discende come conseguenza necessaria dal sistema

cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna quale conseguenza della dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice troverebbe conforto nella “particolare tutela della libertà personale voluta dalla nostra Costituzione”94. E’ stato sottilineato che sarebbe “intollerabile, infatti, mantenere in stato di detenzione chi, in ossequio ai principi costituzionali, non avrebbe dovuto essere privato della libertà personale, anche se ha ormai esaurito le azioni a tutela dei propri diritti”, dovendo “il principio di certezza del diritto cede[re] al principio del favor per la libertà personale”95.

In effetti, nella parte in cui la sentenza di condanna implica l’esecuzione di una pena costituzionalmente illegittima, ancor più quando essa si traduca in una limitazione della libertà personale, il combinato disposto degli artt. 2, 13 e 25 Cost. non sembra accontentarsi di rimettere al legislatore la scelta di interrompere gli effetti dell’ingiusta detenzione, ma pare imporre l’esperibilità di strumenti volti alla cessazione dell’esecuzione della condanna e all’immediato ripristino della libertà personale96. Del pari, il principio di legalità in materia penale e il diritto alla libertà personale, letti in una col principio di eguaglianza, sembrano rendere necessaria l’estensione di eventuali casi di cessazione dell’esecuzione della condanna detentiva per effetto dell’esecuzione delle sentenze della Corte EDU anche a coloro i quali, pur non avendo esperito lo strumento internazionale, si trovino nell’identica situazione sostanziale del ricorrente vittorioso a Strasburgo97.

In definitiva, il principio di legalità in materia penale e la libertà personale ricoprono una posizione così preminente nel quadro valoriale della Costituzione 98, da imporre la previsione di strumenti di cessazione della detenzione comminata sulla base di norma dichiarata incostituzionale, anche

instaurativo adottato”. Nello stesso senso, più recentemente, M. BIGNAMI, Il giudicato e le

libertà fondamentali: le Sezioni Unite concludono la vicenda Scoppola-Ercolano, in Dir. pen. cont., 14 maggio 2014, 5 ss.

94 T. MARTINES, Diritto costituzionale, cit., 495. 95 F. MODUGNO (a cura di), Diritto pubblico, cit., 724.

96 In questo senso anche G. MATUCCI, Giudicato civile e declaratoria d’incostituzionalità,

cit., 391.

97 In questo senso pare muoversi la sent. Corte cost. n. 210 del 2013. Sul punto si tornerà più

ampiamente infra, al cap. III.

in presenza di un giudicato. Ne deriva che l’art. 30, comma 4, della l. n. 87 del 1953, nella parte in cui dispone la cessazione dell’esecuzione e di tutti gli effetti penali della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata in applicazione della norma dichiarata incostituzionale, oltre a esprimere un’opzione certamente percorribile dal legislatore, come unanimemente ammesso dalla dottrina, dà altresì attuazione, almeno in parte, a un bilanciamento costituzionalmente necessario, quello tra principio di legalità in materia penale e libertà personale, da un lato, e certezza del diritto, dall’altro.

L’esatta portata del principio, peraltro, è stata oggetto di una profonda evoluzione giurisprudenziale. La Corte di cassazione ha progressivamente esteso gli effetti dell’art. 30, comma 4, della l. n. 87 del 1953 dalle sole ipotesi di declaratoria di incostituzionalità delle norme incriminatrici a quelle relative anche alle norme penali sanzionatorie. Le Sezioni Unite, con una serie di pronunce emanate a partire dal 2014, hanno statuito che “è certamente vero che la portata valoriale del giudicato, nel quale sono insite preminenti ragioni di certezza del diritto e di stabilità nell’assetto dei rapporti giuridici, è presidiata costituzionalmente e non è, del resto, neppure estranea alla CEDU”. Tuttavia, vi sono argomenti “di innegabile solidità che si oppongono all’esecuzione di una sanzione penale rivelatasi, successivamente al giudicato, convenzionalmente e costituzionalmente illegittima. L’istanza di legalità della pena, per il vero, è un tema che, in fase esecutiva, deve ritenersi costantemente sub iudice e non ostacolata dal dato formale della c.d. «situazione esaurita», che tale sostanzialmente non è, non potendosi tollerare che uno Stato democratico di diritto assista inerte all’esecuzione di pene non conformi alla CEDU e, quindi, alla Carta fondamentale”. La restrizione della libertà personale del condannato, infatti, “deve essere legittimata, durante l’intero arco della sua durata, da una legge conforme alla Costituzione (art. 13, comma 2, art. 25, comma 2) e deve assolvere la funzione rieducativa imposta dall’art. 27, comma terzo, Cost., profili che vengono sicuramente vanificati dalla declaratoria d’incostituzionalità della normativa nazionale di riferimento”. Si impone, allora, “un bilanciamento tra il valore

costituzionale della intangibilità del giudicato e altri valori, pure costituzionalmente presidiati, quale il diritto fondamentale e inviolabile alla libertà personale, la cui tutela deve ragionevolmente prevalere sul primo”99. Nella recente sent. n. 43 del 2017, peraltro, la Corte costituzionale ha tracciato la linea di discrimine tra la deroga che l’art. 30, comma 4, della l. n. 87 del 1953 prevede, “in considerazione della gravità con cui le sanzioni penali incidono sulla libertà o su altri interessi fondamentali della persona”, e ciò che rimane, invece, disciplinato dalla regola generale dell’intangibilità del giudicato. La Corte è stata chiamata a giudicare della pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 30, comma 4, della l. n. 87 del 1953, nella parte in cui la norma non si applica anche alle sentenze irrevocabili con le quali è stata inflitta una sanzione amministrativa qualificata come “penale” ai sensi della CEDU. Essa, tuttavia, ha escluso che la norma oggetto di sindacato di costituzionalità si ponga in contrasto sia con il parametro convenzionale invocato (art. 7 CEDU, quale norma interposta ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.), sia con quelli puramente interni (artt. 3 e 25 Cost.).

Quanto ai primi, dopo aver opportunamente ricordato che il riconoscimento della natura sostanzialmente penale di una sanzione amministrativa che soddisfa i cc.dd. criteri Engel trascina con sé “tutte e soltanto le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni della Convenzione, come elaborate dalla Corte di Strasburgo” e non le ulteriori tutele predisposte dal diritto nazionale per i precetti e le sanzioni che l’ordinamento interno, secondo criteri propri, riconduce alla potestà punitiva dello Stato, la Corte ha escluso che nella giurisprudenza della Corte EDU sia allo stato reperibile un principio volto a precludere l’esecuzione di una sanzione sostanzialmente penale, anche se inflitta con sentenza passata in giudicato, “qualora la norma che la prevedeva sia stata dichiarata costituzionalmente illegittima o altrimenti invalida ex tunc”. In particolare tale corollario non sarebbe riconducibile al principio del nullum crimen sine lege di cui all’art. 7 CEDU, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di Strasburgo, che si

99 Così la sent. Cass. Pen., Sez. Un., n. 18821 del 2014; in senso sostanzialmente analogo,

limiterebbe a richiedere l’accessibilità e la prevedibilità della norma penale e l’applicabilità della lex mitior, ma non oltre il raggiungimento di una sentenza irrevocabile.

La Corte ha escluso la fondatezza della questione anche con riferimento ai parametri interni di cui agli artt. 25 e 3 Cost. Poiché l’ordinamento nazionale può apprestare garanzie ulteriori rispetto a quelle convenzionali, riservandole alle sole sanzioni penali, così come qualificate dall’ordinamento interno, la distinzione che l’art. 30, comma 4, della l. n. 87 del 1953 pone tra le ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di norme penali, da un lato, e di norme amministrative sostanzialmente “penali” ai sensi del diritto convenzionale, dall’altro, è ragionevole ai sensi dell’art. 3 Cost. Qualche difficoltà in più mostra la Corte nel rigettare la questione prospettata relativamente all’art. 25 Cost., in ragione delle oscillazioni della propria giurisprudenza circa la riconducibilità della norma a garanzia anche nei confronti delle sanzioni amministrative. La Corte sceglie di non prendere una posizione definitiva sul punto, limitandosi a escludere che dall’occasionale estensione del contenuto essenziale dell’art. 25, comma 2, Cost. anche a misure sanzionatorie diverse dalle pene in senso stretto possa inferirsi l’applicabilità alle sanzioni amministrative di tutte le garanzie previste dalla legge per le sanzioni penali e, in particolare, di quella disciplinata dall’art. 30, comma 4, della l. n. 87 del 1953.

Affermare che la cessazione degli effetti del giudicato penale sia l’unica ipotesi costituzionalmente necessaria di “iperretroattività” delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale non significa negare che, al di fuori di questa ipotesi, il legislatore sia libero di prevedere ulteriori casi di cedevolezza del giudicato applicativo di norma incostituzionale. Proprio il caso delle sanzioni amministrative (a maggior ragione se sostanzialmente “penali” ai sensi della CEDU) o quello, più in generale, dell’esercizio autoritativo del potere pubblico sulla base di una norma successivamente dichiarata incostituzionale sembrano fornire esempi in cui un bilanciamento

favorevole alle esigenze della legalità costituzionale parebbe rimanere nella disponibilità del legislatore ordinario100.

L’esperienza tedesca, del resto, dimostra come anche in sistemi di giustizia costituzionale affini le scelte di diritto positivo in materia possano differire. Così, similmente alla soluzione adottata nel nostro ordinamento, il primo comma dell’art. 79 della legge sul Tribunale costituzionale federale prevede che la sentenza di condanna emessa in base a norma dichiarata incostituzionale debba in ogni caso poter essere impugnata; il comma 2, invece, precisa che negli altri casi le sentenze definitive restano tali, ma la loro esecuzione non è ammessa 101. Il giudicato civile, pertanto, rimane formalmente fermo, ma la declaratoria di incostituzionalità della legge costituisce legittimo motivo di opposizione all’esecuzione.

Nel nostro ordinamento, pertanto, gli artt. 2, 13 e 25 Cost. impongono che nel bilanciamento tra legalità costituzionale e certezza del diritto prevalga la prima. Al di fuori della sfera penale, invece, il legislatore gode di una certa discrezionalità nel fissare il punto di equilibrio tra i due poli. Tale discrezionalità, però, non deve essere sopravvalutata: anche nel disciplinare le ipotesi di superamento del giudicato incostituzionale il legislatore è tenuto al rispetto dei numerosi principi costituzionali che militano in favore delle esigenze di stabilità dell’ordinamento giuridico. Primi fra tutti, come si è

100 Proprio con riferimento ai casi del provvedimento amministrativo definitivo e

inoppugnabile e della sentenza del giudice amministrativo emessa sulla base di legge dichiarata incostituzionale, F. MODUGNO, Introduzione, in F. MODUGNO (a cura di),

Giudicato e funzione legislativa, in Giur. it., 2009, 2818, si domanda se “non si potrebbe

pensare invece ad una riapertura dei termini per ricorrere e, comunque sia, ad un ribaltamento del giudicato”.

101 L’art. 79 così recita: “(1) E’ ammessa la riapertura del procedimento secondo le norme

del codice di procedura penale, nei confronti di una sentenza penale passata in giudicato, fondata su una norma dichiarata incompatibile con la Legge fondamentale o nulla ai sensi del § 78, ovvero fondata sull’interpretazione di una norma dichiarata incompatibile con la Legge fondamentale dal Tribunale costituzionale federale. (2) Per il resto rimangono intangibili, con riserva della norma di cui al § 95, comma 2, o di una disciplina legislativa particolare, le decisioni non più impugnabili, fondate su una norma dichiarata nulla ai sensi del § 78. L’esecuzione di una tale decisione non è ammissibile. Se si addiviene all’esecuzione