3. Il giudicato e la ripartizione delle competenze tra Stati membri e Unione
3.1. Il caso Lucchini
La complessa vicenda giudiziaria (ad oggi non ancora conclusa154, avendo avuto un lungo, e per certi versi sorprendente, seguito interno155) può
152 Caso Peterbroeck, cit., par. 14; Caso Van Schijndel, cit., par. 19. 153 Caso Lucchini, cit., par. 63.
154 Il giudizio è attualmente pendente innanzi la Corte d’Appello di Roma. La prossima
udienza per la precisazione delle conclusioni è prevista per il 2 maggio 2018.
essere così sintetizzata. Nel novembre del 1985 la Lucchini presenta alla Cassa per il Mezzogiorno una domanda di agevolazioni finanziarie per l’ammodernamento di alcuni impianti siderurgici situati nel sud del Paese. In particolare, ai sensi della l. n. 183 del 1976, la società chiede un mutuo a tasso agevolato da un contributo in conto interesse e un contributo in conto capitale fino al 30% dell’investimento.
Nell’aprile 1988 le autorità competenti notificano alla Commissione il progetto di aiuto. La Commissione chiede informazioni integrative sulla natura dell’investimento sovvenzionato, nonché le condizioni esatte del prestito richiesto. Tali informazioni non vengono fornite156.
Ritenendo di dover applicare alla richiesta di finanziamento la decisione CECA n. 3483 del 1985 (che vietava pagamenti successivi al 31 dicembre 1988 e li limitava ai soli contributi in conto capitale nella misura massima del 15% dell’investimento complessivo), l’AGENSUD (succeduta alla Cassa per il Mezzogiorno), decreta nel novembre 1988 di accordare provvisoriamente alla Lucchini il contributo nel limite del 15%, subordinando l’adozione del provvedimento definitivo di concessione dell’aiuto all’approvazione della Commissione. Il contributo non viene concretamente erogato.
Con decisione del 20 giugno 1990157, la Commissione dichiara incompatibili con il mercato comune gli aiuti previsti a favore della Lucchini. La decisione diviene definitiva a seguito della sua mancata impugnazione innanzi la Corte di giustizia da parte dei soggetti interessati nel termine previsto dall’art. 33 del Trattato CECA.
Nel frattempo, la Lucchini adisce il Tribunale di Roma chiedendo che sia dichiarato il proprio diritto all’erogazione dell’intera sovvenzione originariamente richiesta (addirittura superiore al limite del 15% posto dalla
156 Tale circostanza, cui fa riferimento la sentenza della Corte di giustizia, è contestata dalla
Lucchini nel giudizio di riassunzione. La società sostiene che non solo l’amministrazione nazionale avrebbe risposto alle richieste della Commissione, ma che per l’inerzia di quest’ultima a seguito di tale risposta si sarebbe formato il silenzio assenso dell’Unione sull’aiuto richiesto.
157 Decisione 20 giugno 1990 90/555/CECA, notificata in data 20 luglio 1990 e pubblicata
decisione CECA n. 3483 del 1985). Nessuna delle parti invoca in giudizio né, in generale, la disciplina sovranazionale in materia di aiuti di Stato, né, in particolare, la decisione 20 giugno 1990 con cui la Commissione aveva già dichiarato incompatibili con il Trattato CECA gli aiuti oggetto di causa. Decidendo sulla base della sola normativa interna, il giudice ordinario, in primo e in secondo grado, dichiara che la sovvenzione spetta alla società nell’intero ammontare originariamente richiesto.
L’amministrazione, seguendo il parere dell’Avvocatura generale dello Stato, che in una nota del gennaio 1995 aveva giudicato la sentenza d’appello giuridicamente corretta, non propone ricorso per cassazione. La pronuncia, quindi, passa in giudicato il 28 febbraio 1995.
La Lucchini agisce in executivis e, nel marzo 1996, l’amministrazione le versa le somme di cui alla richiamata sentenza, con la precisazione che tali aiuti potrebbero essere revocati, in tutto in parte, in caso di decisioni comunitarie sfavorevoli in merito alla concedibilità ed erogabilità delle agevolazioni finanziarie.
A seguito del versamento, la Commissione contesta alle autorità nazionali che il pagamento delle somme da essa già dichiarate incompatibili con il mercato comune costituisce una violazione del diritto dell’Unione e invita a recuperarle, pena l’attivazione del procedimento di cui all’art. 88 del Trattato CECA. Con decreto 20 settembre 1996, n. 20357, il Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato revoca il precedente provvedimento del marzo 1996 e ordina alla Lucchini la restituzione di quanto ricevuto.
A questo punto, la Lucchini impugna il decreto di revoca innanzi il TAR del Lazio. Nel corso del giudizio amministrativo, per la prima volta, l’amministrazione invoca la normativa sovranazionale in materia di aiuti di Stato, producendo la decisione della Commissione 20 giugno 1990. Nondimeno, il TAR reputa che il giudicato non possa essere travolto dalla decisione della Commissione e accoglie il ricorso. Nel successivo giudizio d’appello, il Consiglio di Stato sospende il giudizio per chiedere alla Corte di giustizia “Se, in forza del principio del primato del diritto comunitario
immediatamente applicabile, costituito nella specie [dal terzo codice], dalla decisione [90/555], nonché dalla [nota] di intimazione del recupero dell’aiuto — atti tutti alla stregua dei quali è stato adottato l’atto di recupero impugnato nel presente processo [...] — sia giuridicamente possibile e doveroso il recupero dell’aiuto da parte dell’amministrazione interna nei confronti di un privato beneficiario, nonostante la formazione di un giudicato civile affermativo dell’obbligo incondizionato di pagamento dell’aiuto medesimo.
Ovvero se, stante il pacifico principio secondo il quale la decisione sul recupero dell’aiuto è regolata dal diritto comunitario ma la sua attuazione ed il relativo procedimento di recupero, in assenza di disposizioni comunitarie in materia, è retta dal diritto nazionale [...], il procedimento di recupero non divenga giuridicamente impossibile in forza di una concreta decisione giudiziaria, passata in cosa giudicata (art. 2909 cod. civ.) che fa stato fra privato ed amministrazione ed obbliga l’amministrazione a conformarvisi»”158.
Per rispondere alle questioni pregiudiziali la Corte di giustizia muove dalla constatazione che, “nell’ordinamento giuridico comunitario, le competenze dei giudici nazionali sono limitate sia per quanto riguarda il settore degli aiuti di Stato sia relativamente alla dichiarazione d’invalidità degli atti comunitari” 159. Nello specifico, per quanto attiene al primo profilo,
“i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune”160; per quanto concerne il secondo, “non sono […] competenti a dichiarare essi stessi l’invalidità degli atti delle istituzioni comunitarie”161.
Applicando tali princìpi al caso di specie, la Corte rileva che “né il Tribunale civile e penale di Roma né la Corte d’appello di Roma erano competenti a pronunciarsi sulla compatibilità degli aiuti di Stato richiesti dalla Lucchini con il mercato comune e che né l’uno né l’altro di questi
158 Caso Lucchini, cit., par. 40. 159 Caso Lucchini, cit., par. 49. 160 Caso Lucchini, cit., par. 51. 161 Caso Lucchini, cit., par. 53.
organi giurisdizionali avrebbe potuto constatare l’invalidità della decisione 90/555, che aveva dichiarato tali aiuti incompatibili con il detto mercato”162. Sebbene i giudici nazionali non avessero espressamente statuito su tali punti, limitandosi “solo” a pretermettere del tutto la valutazione della legittimità comunitaria dell’operazione finanziaria oggetto di causa, l’effetto preclusivo del giudicato comporta che “a una decisione di un giudice nazionale vengano attribuiti effetti che eccedono i limiti della competenza del giudice di cui trattasi, quali risultano dal diritto comunitario”, rendendo “impossibile il recupero di un aiuto di Stato”163 illegittimo.
Per tali ragioni, la Corte propone un’interpretazione della disciplina in materia di giudicato che possa consentire, in un caso come quello di specie, di riesaminare la fattispecie definita con sentenza passata in giudicato sotto profili diversi da quelli espressamente analizzati dal giudice interno. Chiarisce però che, laddove questo tentativo ermeneutico sia ritenuto dal giudice a quo non percorribile, permane “l’obbligo di garantire la piena efficacia [delle norme di diritto comunitario], disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale”164, ivi compreso “l’art 2909 del codice civile italiano, volt[o] a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata”165.
Come si accennava, la sentenza ha avuto una forte eco in dottrina. Alcuni autori hanno mostrato grande preoccupazione, ritenendo che la sentenza segnasse l’abbandono dalla cautela mostrata nei confronti del giudicato dalla giurisprudenza precedente. A questo proposito, si è parlato di un risultato “scabroso”166, che sarebbe emblematico “del doppiaggio dei valori giuridici nazionali […] ad opera di quelli dell’ordinamento dinamico giustiziale comunitario e dei suoi valori e nuovi modelli «fluidi»”167. Ancora,
162 Caso Lucchini, cit., par. 57. 163 Caso Lucchini, cit., par. 59. 164 Caso Lucchini, cit., par. 61. 165 Caso Lucchini, cit., par. 63.
166 C. CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia: quale possibile adattamento
degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?, in Riv. dir. proc., 2008, 226.
167 C. CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia: quale possibile adattamento
degli ordinamenti processuali interni e in specie del nostro?, cit., 233. Dello stesso Autore
v. anche C. CONSOLO, Il primato del diritto comunitario può spingersi fino a intaccare la
si è ritenuto che nella sentenza si assistesse al mancato utilizzo “dei canoni consueti di effettività ed equivalenza”, circostanza che avrebbe portato ad affermare un principio “nettamente antitetico”168, o comunque “in conflitto”169, con quello che pareva consolidato nelle pronunce precedenti, segnando un vero e proprio “ribaltamento”170 del principio dell’intangibilità del giudicato.
Altra parte della dottrina ha invece accolto con favore la sentenza in esame, ritenendo che la Corte “non si [sarebbe] affatto discostata dai suoi indirizzi interpretativi in materia di limiti all’autonomia procedurale degli Stati membri”, ma li avrebbe “semplicemente portati alle estreme conseguenze” in un caso di violazione del diritto dell’Unione non solo grave e palese, ma altresì “sicuramente colpevole”171. In particolare, anche nella sentenza Lucchini troverebbe applicazione il principio di effettività del diritto UE quale limite alla competenza procedurale degli Stati membri, principio che nel caso di specie avrebbe imposto al giudice nazionale l’obbligo di interpretare in maniera conforme l’art. 2909 cod. civ., nel senso di non precludere alle autorità nazionali il recupero degli aiuti illegittimamente concessi alla società beneficiaria172.
in termini di “fluidità” dell’ordinamento sovranazionale con riferimento al caso Lucchini B. CORTESE, L’incidenza del diritto comunitario sulle sentenze nazionali definitive: esclusività
del sistema giurisdizionale comunitario e nuovi limiti al principio di autonomia procedurale degli Stati membri – Il caso Lucchini, in F. SPITALERI (a cura di), L’incidenza del diritto
comunitario e della CEDU sugli atti nazionali definitivi, Milano, Giuffrè, 2009, 50 s., il quale
sottolinea, a nostro avviso correttamente, come in realtà il superamento del giudicato ivi imposto non esprima un dato programmatico dell’ordinamento sovranazionale, ma costituisca uno strumento per garantire il rispetto dalla ripartizione delle competenze tra Stati membri e Unione.
168 A. NEGRELLI, Il primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto
che si poteva evitare o risolvere altrimenti. (Brevi riflessioni in margine alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 18 luglio 2007, in causa C-119/05), in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2008, 1232 ss. L’Autore, a p. 1230, inscrive la sentenza in un “processo di
graduale, ma particolarmente incisiva, invasione del diritto processuale degli Stati membri ad opera della giurisprudenza comunitaria, in grado di influire direttamente su quelli che sono considerati gli istituti cardine del diritto nazionale” (corsivo nel testo).
169 M.T. STILE, La sentenza Lucchini sui limiti del giudicato: un traguardo inaspettato?, in
Dir. comunitario e scambi internaz., 2007, 739.
170 M.T. STILE, Il problema del giudicato di diritto interno in contrasto con l’ordinamento
comunitario o con la Cedu, in Dir. comunitario e scambi internaz., 2007, 257.
171 D.U. GALETTA, Riflessioni sulla più recente giurisprudenza comunitaria in materia di
giudicato nazionale (ovvero sull’autonomia procedurale come competenza procedurale funzionalizzata), in Il Diritto dell’Unione Europea, 2009, 970 s.
Una terza tesi, che potremmo definire mediana, ha sottolineato le peculiarità della sentenza Lucchini rispetto alle altre pronunce in materia di limiti al giudicato nazionale, osservando come la prima muovesse, a differenza dalle seconde, dall’esigenza di assicurare il rispetto delle competenze esclusive della Commissione nei confronti di indebite ingerenze degli Stati membri e dalla necessità di garantire il recupero di aiuti di Stato illegali, ristabilendo le condizioni di concorrenza anteriori alla loro concessione. Nondimeno, le peculiarità della sentenza in esame non sarebbero tali da richiederne un inquadramento autonomo rispetto alla tradizionale cornice della giurisprudenza sulle competenze procedurali degli Stati membri.
In questo senso, è stato sostenuto che la sentenza Lucchini sarebbe un caso di pura “compliance”, volto a garantire l’“effective enforcement” di obblighi posti dal diritto dell’Unione in capo agli Stati, laddove la tradizionale giurisprudenza sull’autonomia procedurale degli Stati sarebbe invece tesa a verificare che i rimedi apprestati dall’ordinamento interno garantiscano un’“effective judicial protection” delle situazioni giuridiche di vantaggio riconosciute dal diritto UE173. La differenza pur rilevata tra le due tipologie di sentenze sarebbe però di quantità e non di qualità, nel senso che la prima rispetto alla seconda sarebbe caratterizzata da un maggior interventismo della Corte174. Similmente altro Autore ha osservato che nella sentenza Lucchini verrebbero in questione il recupero di aiuti di Stato illegali e la connessa lesione della delimitazione delle competenze tra Unione e Stati membri. Ciò comporterebbe, però, soltanto “una particolare compressione” al principio dell’autonomia procedurale ovvero, in particolare, “una maggiore severità della seconda condizione, quella dell’effettività”175, senza mettere in discussione la riconducibilità della sentenza all’alveo della giurisprudenza in materia di limiti all’autonomia procedurale.
173 P. NEBBIA, Do the rules on State aid have a life of their own? National procedural
autonomy and effectiveness in the Lucchini case, in European Law Review, 2008, 435.
174 P. NEBBIA, Do the rules on State aid have a life of their own?, cit., 435.
175 G. GATTINARA, Obbligo di recupero degli aiuti illegali e incompatibili e res judicata
La tesi che qui si intende sostenere è che invece con la sentenza Lucchini la Corte di giustizia abbia inaugurato un nuovo filone giurisprudenziale, distinto da quello sull’autonomia procedurale degli Stati membri perché, mentre quest’ultimo è principalmente volto a garantire l’effetto utile, il primo ha l’obiettivo di assicurare il rispetto della ripartizione delle competenze tra Stati membri e Unione cristallizzata nei Trattati istitutivi.
Si è già avuto modo di sottolineare l’importanza che il principio di attribuzione riveste nell’individuazione delle competenze dell’Unione vis-à- vis quelle degli Stati membri176. Il riconoscimento di uno spazio di competenza dell’Unione e l’affidamento alla Corte di giustizia della competenza sulla competenza177 implicano la possibilità per la Corte di riscontrare l’eventuale travalicamento delle competenze dell’Unione da parte di un atto posto in essere dalle autorità nazionali. Ciò avviene comunemente con riferimento a norme di diritto nazionale sostanziale che si pongono in contrasto con norme di diritto dell’Unione178, ma nulla impedisce che avvenga – e questo pare essere proprio il caso Lucchini – per opera di una decisione giurisdizionale nazionale che abbia acquisito nell’ordinamento interno la forza di giudicato.
Non sembra infatti dubitabile che anche una sentenza definitiva sia capace di violare norme di riparto della competenza tra diversi livelli di governo. Come si è ampiamente visto supra179, infatti, ciò è quanto accade all’interno del nostro ordinamento nazionale quando una Regione solleva un conflitto intersoggettivo dinanzi alla Corte costituzionale avverso una
176 V. supra cap II, par. 2.
177 Quantomeno dal punto di vista del diritto dell’Unione, ché è ben possibile che, all’interno
di ciascun ordinamento nazionale, l’individuazione di chi debba avere l’ultima parola sull’interpretazione del riparto di competenze tra Stato e Unione venga risolta diversamente, in favore dell’organo di chiusura del sistema nazionale.
178 Com’è noto, quantomeno in sede di rinvio pregiudiziale interpretativo, oggetto della
cognizione della Corte è l’interpretazione da dare alle norme di diritto dell’Unione rilevanti per il giudizio a quo, mentre la Corte non ha giurisdizione per giudicare della conformità o meno di una norma nazionale al diritto dell’Unione. Nella sostanza, però, dicendo che quest’ultimo “osta” o “non osta” a una norma interna quale quella descritta nell’ordinanza di rinvio, la Corte valuta siffatta compatibilità, pur lasciando al giudice remittente il compito di trarre da tale valutazione tutte le conseguenze del caso.
sentenza definitiva. Ebbene: mutatis mutandis, nel caso Lucchini la decisione della Corte appare principalmente orientata a salvaguardare il rispetto delle competenze dell’Unione nei confronti di un’indebita ingerenza delle corti domestiche180, foriera di una violazione del diritto dell’Unione in materia di aiuti di Stato tanto grave e palese, quanto ascrivibile alla macroscopica negligenza delle autorità nazionali.
La decisione della Commissione 7 agosto 1981, n. 2320/81/CECA181, prevedeva al suo art. 8, n. 1, una procedura obbligatoria di approvazione della Commissione di tutti gli aiuti progettati che vietava agli Stati di dare attuazione a siffatte sovvenzioni in assenza di previa autorizzazione dell’esecutivo comunitario. Pertanto, se il giudice nazionale ben avrebbe potuto trovarsi nella condizione di dover interpretare il concetto di aiuto di Stato, ad esempio allo scopo di rilevare la mancata attivazione del procedimento di approvazione da parte della Commissione, questi mai avrebbe potuto dichiarare (ancorché implicitamente) la compatibilità dell’aiuto con il mercato comune182.
La questione di riparto delle competenze in materia di aiuti di Stato emerge chiaramente nella sentenza Lucchini183 e, forse con ancor maggior nitidezza, nelle conclusioni dell’Avvocato generale184. Nondimeno parte della dottrina ha cercato di ridimensionare tale profilo, ritenendo che nella
180 Nello stesso senso R. CAPONI, Corti europee e giudicati nazionali, cit., 362, secondo il
quale nel caso Lucchini “si tratta in sostanza della soluzione di un conflitto di attribuzioni”. Similmente anche U. COREA, Il giudicato come limite alle sentenze della Corte costituzionale
e delle Corti europee, in Judicium, 2017, 47.
181 Recante norme comunitarie per gli aiuti a favore dell’industria siderurgica e comunemente
nota come secondo codice degli aiuti di Stato alla siderurgia.
182 In questo senso anche P.J. MARTÍN RODRÍGUEZ, Res judicata pro veritate habetur c.
primacía del derecho comunitario: ¿un combate por librar? A propósito de la Sentencia del Tribunal de Justicia de 18 de julio de 2007, asunto C-119/05, Lucchini, in Revista española de Derecho Europeo, 2007, 549.
183 Cfr., in particolare, i parr. da 49 a 51, ove si legge, fra l’altro, che per quanto riguarda il
settore degli aiuti di Stato “le competenze dei giudici nazionali sono limitate”, non essendo “competenti a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune”.
184 L’Avvocato generale Geelhoed, infatti, puntualmente rileva che “la questione
fondamentale è, sostanzialmente, se una sentenza giuridica nazionale possa frustrare l’esercizio della competenza esclusiva della Commissione di verificare la compatibilità di un aiuto statale con il mercato comune e, se del caso, di disporre il recupero di aiuti illegittimamente erogati”; caso Lucchini, cit., conclusioni presentate il 14 settembre 2006. Sul punto v. anche X. GROUSSOT,T.MINSSEN, Res Judicata in the Court of Justice Case
sentenza in esame la Corte avesse applicato i consolidati princìpi sulla competenza procedurale degli Stati membri e non invece la primauté del diritto dell’Unione. In particolare, di primato non si sarebbe potuto parlare in un contesto in cui alla competenza dell’Unione in materia di disciplina sostanziale degli aiuti di Stato si sarebbe affiancata pur sempre una competenza degli Stati membri quanto alla “predisposizione del sistema nazionale di sanzioni […] finalizzate a perseguire l’obiettivo specifico di assicurare l’effettività del diritto comunitario sostanziale vigente in materia”185. Ciò troverebbe conferma nella sent. Deutsche Milchkontor, ove si legge che “le controversie relative alla restituzione degli importi indebitamente concessi in forza del diritto comunitario vanno risolte, ove il diritto comunitario non abbia disposto in materia, dai giudici nazionali a norma del loro diritto interno”, fatti salvi i consueti limiti dell’effettività e dell’equivalenza186. Questa tesi non convince del tutto.
Anzitutto deve osservarsi che la sent. Deutsche Milchkontor era resa nel contesto non degli aiuti di Stato, ma degli aiuti comunitari concessi ai produttori di latte scremato e latte in polvere in possesso dei requisiti di cui al Reg. (CEE) del Consiglio 27 giugno 1968, n. 804. Com’è stato correttamente osservato187, la giurisprudenza in materia di recupero di aiuti di Stato e quella relativa al recupero di sovvenzioni europee sono animate da