L’esigenza di assicurare la piena operatività del meccanismo pregiudiziale costituisce la terza ratio decidendi che ha guidato la Corte di giustizia nell’individuare nuovi limiti al giudicato nazionale235. Il punto di partenza per l’analisi di questa giurisprudenza è che in talune circostanze i sistemi processuali nazionali impongono ai giudici di attenersi all’accertamento in punto di diritto contenuto in decisioni di altri giudici di grado superiore. Per effetto di questi vincoli, l’eventuale violazione del diritto dell’Unione da parte del giudice di ultimo grado non potrebbe trovare rimedio nella fase successiva del procedimento innanzi al giudice di grado inferiore. Quale mero esecutore dell’ordine impartito, quest’ultimo verrebbe privato del potere di promuovere un rinvio pregiudiziale per verificare la compatibilità con il diritto dell’Unione della soluzione fornitagli dal giudice di ultimo grado.
Alcuni giudici “ribelli” sospettano che tali vincoli siano incompatibili con l’art. 267 TFUE e si rivolgono alla Corte di giustizia per chiederle di accertarlo. La Corte, con una giurisprudenza granitica, accoglie tali istanze ed esclude che il diritto nazionale possa rimettere in discussione il potere, spettante a tutti i giudici nazionali, di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale, ancorché una norma processuale interna imporrebbe loro di attenersi all’accertamento contenuto nella decisione del giudice di grado superiore.
Tale principio è stato affermato fin dagli anni ‘70, con riferimento a un ventaglio di istituti processuali estremamente variegato. Nella sent. Rheinmühlen236, si trattava del vincolo al rispetto della valutazione giuridica
235 La necessità di porre rimedio alla violazione dell’obbligo di sollevare una questione
pregiudiziale era già stata sottolineata, nel par. 2.1.1, in riferimento alla giurisprudenza sul riesame di provvedimenti amministrativi definitivi oggetto di sentenza passata in giudicato. Quei casi, però, a differenza di quelli che verranno adesso esaminati, sono riconducibili al fenomeno di funzionalizzazione di istituti procedurali già contemplati nel diritto interno, dal momento che la Corte si era limitata a imporre che, nel caso di sentenza di ultimo grado passata in giudicato senza che il giudice nazionale avesse sottoposto una questione pregiudiziale, la facoltà di riesaminare il provvedimento amministrativo definitivo prevista dal diritto interno doveva ritenersi fondare, ai sensi del diritto dell’Unione, un vero e proprio
obbligo di procedere in tal senso.
236 Caso C-166/73, Rheinmühlen Düsseldorf/Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und
su cui si fondava la sentenza cassatoria del Bundesfinanzhof, Corte federale di ultima istanza in materia fiscale, nei confronti del giudice innanzi al quale la controversia era riassunta. Similmente in Elchinov237, la questione pregiudiziale era sollevata dal Tribunale amministrativo di Sofia, in sede di riesame della controversia a seguito di annullamento con rinvio da parte del Tribunale supremo amministrativo bulgaro.
Diversi i casi Interedil238, in cui l’accertamento vincolante per il Tribunale civile di Bari era contenuto in un’ordinanza della Corte di cassazione emessa in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, e Križan239, dove l’effetto di vincolo sul giudice del rinvio promanava da una sentenza della Corte costituzionale slovacca, che aveva annullato una precedente sentenza del giudice comune di ultima istanza, rimettendogli la causa per una nuova valutazione della controversia.
Più recentemente, nel caso PFE240, la Corte di giustizia ha applicato il medesimo principio alla norma che impone alle sezioni del Consiglio di Stato di conformarsi al principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria, a meno di rimettere a quest’ultima la decisione del ricorso. Il giudice sovranazionale ha escluso che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, dubitando della compatibilità con il diritto dell’Unione di un principio enunciato dall’adunanza plenaria, avrebbe dovuto comunque rivolgersi a quest’ultima, riconoscendogli il potere di sollevare direttamente una questione pregiudiziale.
Questa rapida carrellata di casi dimostra come non sempre la Corte di giustizia si sia trovata di fronte ad accertamenti da parte di giudici di grado superiore forniti nel giudizio a quo della forza di cosa giudicata. Certamente così non era nella sentenza PFE, in cui il vincolo al rispetto del principio di diritto enunciato dall’adunanza plenaria non discendeva dalla sua definitività rispetto alla concreta fattispecie sottoposta al giudice del rinvio, ma soltanto da una norma processuale volta a rafforzare la funzione nomofilattica
237 Caso C-173/09, Elchinov, EU:C:2010:581. 238 Caso C-396/09, Interedil, EU:C:2011:671. 239 Caso C-416/10, Križan e a., EU:C:2013:8. 240 Caso C-689/13, PFE, EU:C:2016:199.
dell’organo241. Di giudicato, poi, non potrebbe a rigore parlarsi, quantomeno nel diritto italiano, neanche con riferimento alla portata vincolante del principio di diritto enunciato nelle sentenze di annullamento con rinvio. Tale vincolo, infatti, incontra un limite nello ius superveniens, inteso, in senso lato, come comprensivo non solo delle leggi retroattive, ma altresì delle pronunce di illegittimità costituzionale e dei mutamenti interpretativi sopravvenuti nella giurisprudenza della Corte di giustizia242.
In altri casi, invece, sull’accertamento del giudice di ultimo grado si era formato, ai sensi del diritto interno, un vero e proprio giudicato con efficacia vincolante sulle successive fasi del processo. E’ il caso Interedil, in cui la statuizione sulla giurisdizione resa dalla Corte di cassazione in sede di regolamento preventivo ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ. assumeva nel processo innanzi il Tribunale di Bari efficacia di cosa giudicata243. Ed è altresì il caso della sentenza Križan, in cui la pronuncia della Corte costituzionale
241 Con riferimento all’omologo istituto previsto dall’art. 374, comma 3, cod. proc. civ., ne
sottolinea l’utilità al fine di garantire la certezza interpretativa ed applicativa della legge B. SASSANI, Il nuovo giudizio di cassazione, in Riv. dir. proc., 2006, 233 ss. Rimane il fatto che
il vincolo, già ai sensi del diritto interno e a prescindere dalla sentenza della Corte di giustizia in esame, è tutt’altro che assoluto. A parte, infatti, il difetto di un apparato sanzionatorio per il suo mancato rispetto, sicché la sentenza eventualmente emessa in sua violazione sarebbe comunque efficace e suscettibile di passare in giudicato, la sezione semplice potrebbe comunque scavalcare l’adunanza plenaria anche sollevando una questione di legittimità costituzionale; in questo senso, in relazione all’omologo istituto processualcivilistico, G. MONTELEONE, Il nuovo volto della Cassazione civile, in Riv. dir. proc., 2006, 952. A ben vedere, dunque, la sent. PFE non si discosta da quanto potrebbe accadere, ai sensi del diritto interno, nel caso in cui il giudice della sezione dubitasse della costituzionalità della norma posta a fondamento del principio di diritto enunciato dall’adunanza pleanaria.
242 Cfr. C. PUNZI, Il processo civile. Sistema e problematiche, vol. II, La fase di cognizione
nella tutela dei diritti, II ed., Torino, Giappichelli, 2010, 536; nello stesso senso anche R.
CAPONI, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, cit., 353. La Corte costituzionale ha
peraltro ammesso la possibilità che il giudice del rinvio sollevi dubbi di legittimità costituzionale sull’interpretazione della norma risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione all’esito del giudizio rescindente; cfr. ordd. nn. 11 del 1999 e 501 del 2000.
243 Anche se l’art. 382 cod. proc. civ. non fa espresso riferimento al giudicato, come invece
faceva l’art. 3 della l. n. 3761 del 1877 (ai sensi del quale la relativa decisione costituiva “giudicato irrevocabile”), il principio che la statuizione pronunciata dalle Sezioni unite costituisce giudicato con efficacia vincolante nel processo al cui interno tale statuizione è stata domandata si desume dagli artt. 382 e 386 cod. proc. civ., oltre che dalla funzione stessa del regolamento di giurisdizione; in questo senso, E.M. BARBIERI, Il regolamento preventivo
di giurisdizione, la rimessione del ricorso giurisdizionale amministrativo all’adunanza plenaria ed il diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2011, 1365, e G. PUGLIESE,
voce Giudicato civile (diritto vigente), cit., 839. Il principio è del resto pacifico in
giurisprudenza; v., ex multis, Cass., Sez. Un., nn. 13567 del 2015, 7930 del 2013, 20504 del 2006 e 2739 del 1997.
aveva acquisito la forza di cosa giudicata ai sensi del diritto slovacco244, vincolando il giudice del rinvio al rispetto dell’accertamento in punto di diritto ivi contenuto. E’ opportuno quindi analizzare più approfonditamente queste due pronunce, pur tenendo a mente che esse si iscrivono in un filone giurisprudenziale più ampio di quello che specificamente concerne il giudicato nazionale, relativo più in generale all’efficacia endoprocessuale degli accertamenti in punto di diritto da parte dei giudici di ultima istanza.
La società Interedil trasferiva la propria sede statutaria nel Regno Unito, ponendo in essere, contestualmente al trasferimento, una serie di transazioni consistenti nella sua acquisizione da parte di un gruppo britannico e nella conclusione di contratti di cessione d’azienda. Dopo circa due anni dal trasferimento, l’Intesa Gestione Crediti adiva il Tribunale di Bari per chiedere l’avvio della procedura di fallimento della società. L’Interedil contestava allora la giurisdizione del giudice italiano, proponendo un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 cod. proc. civ. Il Tribunale di Bari, ritenendo manifestamente infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione, dichiarava il fallimento dell’Interedil senza attendere la decisione della Corte di cassazione.
La società proponeva opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento245. Pendente il giudizio di opposizione, le Sezioni Unite statuivano con ordinanza sul regolamento preventivo, dichiarando la giurisdizione del giudice italiano. In particolare, la Cassazione riteneva che l’art. 3, par. 1, del
244 Ai sensi dell’art. 133 della Costituzione, infatti, “There shall be no appeal against a
decision of the Constitutional Court”. Inoltre, ai sensi dell’art. 56, comma 6, della legge
sull’organizzazione della Corte e sui procedimenti dinanzi ad essa (l. n. 38 del 1993), “If the
final judgement, measure or other intervention is being quashed or if the case is being reverted by the Constitutional Court for further proceedings, the party who has issued the decision, decided on the measure or caused other intervention shall be liable to rehear the case and to decide it again. In such proceedings or procedure the concerned authority shall
be bound by the Constitutional Court’s legal opinion”; cors. ns. Le traduzioni sono tratte dal sito della Corte costituzionale della Repubblica slovacca, all’indirizzo
www.ustavnysud.sk/en/o-ustavnom-sude-slovenskej-republiky.
245 La disciplina allora vigente prevedeva ancora l’incardinamento del giudizio di
opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento dinanzi al medesimo tribunale che l’aveva pronunciata. Oggi il reclamo è invece proposto innanzi alla Corte d’Appello, ai sensi della novella introdotta dai dd.lgss. nn. 5 del 2006 e 169 del 2007.
regolamento relativo alle procedure di insolvenza246 andasse interpretato nel senso che la presunzione ivi contenuta247 poteva essere superata in ragione di varie circostanze, quali la presenza, in Italia, di beni immobili della società, l’esistenza di un contratto di affitto relativo a due complessi alberghieri e di un contratto stipulato con un istituto bancario, nonché l’omessa comunicazione al registro delle imprese di Bari del trasferimento della sede statutaria.
Successivamente a tale pronuncia, però, la Corte di giustizia si pronunciava sul punto con la sent. Eurofood248, in cui interpretava in maniera più restrittiva di quanto avesse fatto la Cassazione italiana le condizioni per il superamento della presunzione di cui all’art. 3, n. 1, seconda frase, del regolamento relativo alle procedure di insolvenza.
Il Tribunale di Bari, in sede di giudizio di opposizione, nutre dubbi sulla correttezza dell’interpretazione della Cassazione alla luce dei criteri enucleati dalla Corte di giustizia nel caso Eurofood e solleva una serie di questioni pregiudiziali sull’interpretazione da dare all’art. 3 del regolamento richiamato nel caso sottoposto al giudizio. In particolare, accanto alle questioni attinenti al contenuto normativo dell’articolo, che qui non interessa approfondire, il Tribunale si chiede se, nel caso in cui la statuizione sulla giurisdizione resa dalla Cassazione si basi su un’interpretazione errata dell’art. 3 del regolamento, “osti all’applicazione della detta disposizione comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia, l’art. 382 del codice di procedura civile italiano in base al quale la Corte [suprema] di Cassazione statuisce sulla giurisdizione in maniera definitiva e vincolante”249.
La questione pregiudiziale è dunque sollevata con riferimento all’art. 3 del regolamento, norma la cui applicazione sarebbe nel caso di specie
246 Regolamento (CE) del Consiglio 29 maggio 2000, n. 1346, pubblicato sulla GU L 160 del
30 giugno 2000, p. 1. L’art. 3, par. 1, recita: “Sono competenti ad aprire la procedura di
insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria”.
247 Secondo cui il centro degli interessi principali corrisponde al luogo in cui si trova la sede
statutaria.
248 Caso C-341/04, Eurofood IFSC, EU:C:2006:281. 249 Caso Interedil, cit., par. 17.
impedita dal vincolo posto in capo al Tribunale di Bari dalla disciplina interna sul regolamento preventivo di giurisdizione. La Corte, però, ribalta il ragionamento del giudice a quo, spostando l’asse del giudizio dalla necessità di dare piena attuazione all’art. 3 del regolamento, all’esigenza di garantire la piena operatività del meccanismo pregiudiziale. Nell’inquadrare la questione sottopostale, infatti, la Corte ricorda di aver già stabilito che “l’esistenza di una norma di procedura nazionale non può rimettere in discussione la facoltà, spettante ai giudici nazionali non di ultima istanza, di investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale qualora essi nutrano dubbi, come nella causa principale, in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione”250. Corollario di tale principio è che, una volta che la facoltà di cui all’art. 267 TFUE sia stata in concreto esercitata, il giudice remittente “è vincolato, per la definizione della controversia principale, dall’interpretazione delle disposizioni in questione fornita dalla Corte e deve eventualmente discostarsi dalle valutazioni dell’organo giurisdizionale di grado superiore qualora esso ritenga, in considerazione di detta interpretazione, che queste ultime non siano conformi al diritto dell’Unione”251.
Emerge dunque con chiarezza dalla motivazione della sentenza che la disapplicazione dell’art. 382 cod. proc. civ. non è richiesta a garanzia dell’effetto utile dell’art. 3 del regolamento, secondo la ratio decidendi propria della giurisprudenza sull’autonomia procedurale252, ma è imposta quale necessaria conseguenza dell’incondizionata operatività del meccanismo pregiudiziale.
Solo in questo senso può comprendersi la leggerezza con cui la Corte di giustizia arriva ad affermare il principio opposto a quello della tendenziale intangibilità del giudicato, che, come si è visto, costituisce il mantra della
250 Caso Interedil, cit., par. 35. 251 Caso Interedil, cit., par. 37.
252 La non riconducibilità della ratio decidendi della sentenza a un’applicazione del
tradizionale criterio dell’effettività, secondo i canoni dell’autonomia procedurale degli Stati membri, è motivo di un’aspra critica della pronuncia da parte di E.M. BARBIERI,
Considerazioni sull’autorità del giudicato nazionale nel diritto comunitario dopo il caso Interedil, in Dir. proc. amm., 2012, 360.
giurisprudenza sull’autonomia procedurale in materia. A ben guardare, anzi, la Corte risolve la questione senza neanche indagare se in punto di giurisdizione si fosse formato o meno un giudicato interno, limitandosi ad affermare che “il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli debba attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore, qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte”253. In definitiva, per la Corte, non si tratta di verificare se i limiti imposti all’effetto utile dell’art. 3 del regolamento dalle norme processuali nazionali254 siano compatibili con i princìpi di equivalenza ed effettività, ma piuttosto di garantire che il rimedio processuale previsto dai Trattati per l’esatta e uniforme applicazione del diritto UE prevalga, sempre e comunque, sulle regole procedurali nazionali che dovessero porsi in rotta di collisione con la sua piena efficacia255.
Nella stessa direzione pare muoversi la sent. Križan. Nel corso di un processo amministrativo avente ad oggetto la legittimità di un’autorizzazione alla costruzione e gestione di una discarica di rifiuti, la Corte di cassazione slovacca accoglieva il gravame dei controinteressati nel procedimento amministrativo (gli abitanti del luogo in cui avrebbe dovuto operare la discarica). L’annullamento dei provvedimenti impugnati veniva motivato essenzialmente con riferimento al mancato rispetto da parte delle autorità competenti delle norme sulla partecipazione del pubblico alla procedura integrata, nonché all’insufficiente valutazione dell’impatto ambientale.
La società titolare dell’autorizzazione proponeva ricorso alla Corte costituzionale, la quale, con sent. 27 maggio 2010, statuiva che la Corte di cassazione aveva violato il diritto fondamentale della società alla tutela
253 Caso Interedil, cit., par. 39.
254 E, in particolare, dalla norma sulla formazione del giudicato interno in punto di
giurisdizione a seguito del regolamento preventivo di cui all’art. 41 cod. proc. civ.
255 Correttamente riconduce la ratio della pronuncia alla necessità di far operare il
meccanismo di cui all’art. 267 TFUE, onde conseguire l’obiettivo della nomofilachia a livello europeo, E. D’ALESSANDRO, L’ordinanza conclusiva del regolamento di giurisdizione
capitola dinanzi alla “primauté” del diritto dell’Unione europea, in Foro it., 2011, parte IV,
giurisdizionale, il diritto di proprietà, nonché il pacifico godimento dei suoi beni, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU. In particolare, la Cassazione non avrebbe tenuto conto di tutti i princìpi applicabili in materia di procedimento amministrativo e avrebbe ecceduto i propri poteri esaminando la legittimità del procedimento e della decisione di valutazione dell’impatto ambientale, nonostante i ricorrenti non avessero mosso contestazioni al riguardo e detto giudice non fosse competente a pronunciarsi in ordine a tale aspetto. La Corte costituzionale annullava quindi la sentenza e rinviava la causa dinanzi alla Corte di cassazione per una nuova decisione.
La Corte di cassazione, vincolata alla legal opinion espressa nella sentenza del giudice costituzionale ai sensi dell’art. 56, comma 6, della l. n. 38 del 1993256, dubita nondimeno della sua compatibilità con il diritto dell’Unione. Conseguentemente (e preliminarmente rispetto alle questioni attinenti al merito della controversia sottoposta al suo giudizio), chiede alla Corte di giustizia “Se il diritto [dell’Unione] (segnatamente l’articolo 267 TFUE) obblighi oppure consenta alla Corte suprema di cassazione di uno Stato membro di proporre d’ufficio […] una domanda di pronuncia pregiudiziale anche in una fase del procedimento principale nella quale la Corte costituzionale abbia annullato la sentenza della Corte suprema di cassazione, fondata principalmente sull’applicazione della normativa [dell’Unione] in materia di tutela dell’ambiente, imponendo a quest’ultimo giudice l’obbligo di attenersi alle valutazioni giuridiche di detta Corte costituzionale fondate sulla violazione dei diritti costituzionali processuali e sostanziali di una parte del procedimento giurisdizionale, senza punto considerare i profili di diritto [dell’Unione] della controversia – vale a dire nel caso in cui la Corte costituzionale, in veste di giudice di ultima istanza, non sia giunta in tale procedimento alla conclusione di dover sottoporre […] una questione pregiudiziale e abbia provvisoriamente escluso l’applicazione nel procedimento principale del diritto ad un ambiente adeguato e alla sua tutela”257.
256 Il cui testo è richiamato supra. 257 Caso Križan, cit., par. 47.
La questione pregiudiziale, come si vede, individua l’art. 267 TFUE come parametro per la verifica della compatibilità con il diritto dell’Unione. La Corte segue il percorso argomentativo del giudice a quo e ribadisce che “una norma di diritto nazionale in virtù della quale le valutazioni formulate da un organo giurisdizionale superiore vincolano un altro giudice nazionale non può privare quest’ultimo della facoltà di sottoporre alla Corte questioni riguardanti l’interpretazione del diritto dell’Unione interessato da dette valutazioni in diritto”. Tale giudice, infatti, ove ritenga che la valutazione in diritto compiuta nel grado superiore potrebbe indurlo ad emettere una decisione contraria al diritto dell’Unione, “deve essere libero di sottoporre