• Non ci sono risultati.

Osservazioni di sintesi sulla giurisprudenza della Corte di giustizia in

2. L’autonomia procedurale degli Stati membri: fondamento normativo e recent

2.2. Osservazioni di sintesi sulla giurisprudenza della Corte di giustizia in

membri.

La prima conclusione che sembra potersi trarre dall’analisi della giurisprudenza in materia di giudicato prodotta dalla Corte di giustizia nell’ambito del più ampio filone relativo all’autonomia procedurale degli Stati membri è che, in questo contesto, il fondamento normativo per le limitazioni alla disciplina nazionale del giudicato va individuato nel principio di leale collaborazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE119 e non nel principio della primauté del diritto dell’Unione. Com’è stato correttamente osservato, infatti, “primacy is essentially a rule of conflict”, che costituisce “the guideline for choosing between functionally equal rules”120. La primauté impone di non dare applicazione a una norma nazionale incompatibile con una norma UE, ma, per operare, necessita che le due norme poste a confronto siano funzionalmente equivalenti. Ciò potrebbe avvenire, in ipotesi, ove esistessero norme dell’Unione disciplinanti l’istituto del giudicato nazionale, ma non nell’ipotesi di sussistenza di un giudicato violativo di norme sostanziali dell’Unione. A ben vedere, infatti, quando si osserva che una sentenza passata in giudicato si pone in contrasto con una determinata norma di diritto sostanziale dell’Unione, si fa riferimento a una non corretta applicazione del diritto UE che è avvenuta all’interno del processo. La decisione del giudice circa la norma di diritto sostanziale cui dare applicazione precede la formazione del giudicato e costituisce il momento in cui il principio di primazia avrebbe dovuto trovare applicazione. Una volta che la questione di diritto sostanziale sia stata risolta in maniera non conforme al diritto UE, la primazia non è più pertinente, dovendosi guardare agli strumenti che il diritto

119 Sul punto v. K. LENAERTS, The Rule of Law and the Coherence of the Judicial System of

the European Union, in Common Market Law Review, 2007, 1645.

120 A. KORNEZOV, Res Judicata of National Judgements Incompatible with EU Law: Time

(nazionale e sovranazionale) predispone per la riparazione degli errori giudiziari. Questo, pertanto, “is not a supremacy issue, but one of legality”121.

Fondare sulla primauté del diritto dell’Unione i limiti all’autorità della cosa giudicata nazionale, del resto, significherebbe imporre la riapertura di potenzialmente tutte le questioni giuridiche definite con sentenza passata in giudicato, sulla base della loro pretesa contrarietà al diritto dell’Unione. Ciò creerebbe “disastrous results” o “sistemic problems”, come rileva anche la dottrina più sensibile alle esigenze di legalità nell’ordinamento dell’Unione122. Tuttavia, come si è visto, questo è un risultato espressamente escluso dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale, al contrario, ha chiarito che il diritto UE in principio non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme attributive dell’autorità di cosa giudicata, anche se ciò fosse necessario per poter esaminare questioni di diritto dell’Unione non vagliate dal giudice nazionale o per porre rimedio a una sua violazione.

La circostanza che l’autonomia processuale non sia in rapporto di antitesi con la primazia del diritto sovranazionale trova poi conferma nella giurisprudenza della Corte di giustizia sugli effetti temporali delle sue pronunce interpretative. È noto, infatti, che tali pronunce hanno natura dichiarativa e, conseguentemente, i loro effetti retroagiscono al tempo in cui la norma interpretata è entrata in vigore. Cionondimeno, se l’interpretazione resa in una sentenza della Corte di giustizia deve essere applicata dal giudice nazionale anche a fatti ad essa precedenti, l’effetto retroattivo opera nella misura in cui si trovano ad esser soddisfatte tutte le condizioni cui è subordinata l’azione innanzi al giudice nazionale competente. L’applicazione delle regole procedurali nazionali, allora, non va confusa con una limitazione degli effetti nel tempo di una sentenza della Corte di giustizia. Detto

121 Così, con riferimento all’omologa questione del riesame del provvedimento

amministrativo definitivo, F. BECKER, Application of Community Law by Member States’

Public Authorities: Between Autonomy and Effectiveness, in Common Market Law Review,

2007, 1045.

122 A. KORNEZOV, Res Judicata of National Judgements Incompatible with EU Law: Time

altrimenti, non vi è antitesi tra primazia e autonomia procedurale123, ma piuttosto un rapporto di complementarietà tra un meccanismo per la soluzione di conflitti tra “functionally equal rules” (quali sono, in particolare, le norme sostanziali nazionali e quelle dell’Unione) e la predisposizione di strumenti procedurali che ne consentano la concreta applicazione nelle aule di giustizia. A ulteriore dimostrazione di quanto detto, deve osservarsi che la Corte non si è mostrata sensibile ad argomentazioni che fanno leva sulla natura (imperativa o dispositiva) della norma sostanziale violata124, ma ha impostato il problema dei limiti al giudicato nella prospettiva del necessario rispetto dei princìpi di equivalenza ed effettività. Così, ad esempio, nel caso Fallimento Olimpiclub, la Corte di giustizia si è rifiutata di seguire la distinzione proposta dalla Corte di cassazione italiana tra controversie aventi esclusivamente ad oggetto diritti disponibili (per le quali sarebbero stati pienamente operanti gli strumenti processuali apprestati dal diritto nazionale) e quelle che coinvolgono il rispetto da parte dello Stato membro di norme UE imperative (per le quali il primato del diritto dell’Unione avrebbe comportato il disconoscimento del giudicato nazionale). La questione, infatti, è stata risolta non già facendo appello alla particolare importanza che le norme in materia di IVA ricoprono nell’ordinamento dell’Unione, ma verificando se, nel concreto, la disciplina italiana rendesse praticamente impossibile l’applicazione della norma sostanziale dell’Unione, a prescindere dalla sua natura imperativa o dispositiva.

Anche nel campo della tutela dei consumatori, in cui lo sviluppo di una specifica disciplina di armonizzazione ha portato la Corte di giustizia a introdurre alcune variazioni al test di effettività delle norme procedurali nazionali125, la valorizzazione delle peculiarità della disciplina sostanziale

123 A. BIONDI, The European Court of Justice and certain national procedural limitations:

Not such a tough relationship, cit., 1283.

124 In questo senso anche B. GENCARELLI, Alcune riflessioni conclusive sui rapporti tra

diritto comunitario e atti nazionali definitivi, cit., 121.

125 Così A. BIONDI, R.S. MEHTA, EU Procedural Law, cit., 6. Un esempio di questo

adattamento è rinvenibile nel caso Mostaza Claro, già analizzato nel par. 2.1.2, nel quale la Corte ricava dall’esigenza di far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori il necessario riconoscimento al giudice della facoltà di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale. Anche E. CANNIZZARO, Effettività del diritto dell’Unione e rimedi processuali nazionali, cit., 661,

non è arrivata al punto di far recedere il giudicato formatosi su un determinato rapporto tra professionista e consumatore. La Corte, infatti, ha escluso che la ratio che ricava dalla norma di diritto sostanziale l’esigenza di apprestare particolari tutele procedurali al contraente debole possa trovare applicazione nel caso in cui il rapporto abbia ormai trovato definizione con autorità di cosa giudicata126 e ha riscontrato una limitazione alle norme sul giudicato soltanto in presenza di una violazione del principio di effettività, inteso nella sua nozione più tradizionale di astratta chance di tutela dei diritti garantiti dal diritto dell’Unione127.

Occorre poi sottolineare la natura cooperativa della cornice concettuale dell’autonomia procedurale degli Stati membri, rispetto a quella più apertamente conflittuale del principio di primazia. L’introduzione per via giurisprudenziale di limitazioni al giudicato nazionale è operazione non priva di conseguenze sullo stato dei rapporti tra Corte di giustizia e giudici interni. Decidere di porre nel nulla una decisione passata in giudicato significa incidere pesantemente sull’esercizio del potere giurisdizionale da parte dei tribunali nazionali e, fra questi, di quelli di ultima istanza in particolare. Ingerenze di questo tipo possono risultare poco gradite ai giudici nazionali e minare il rapporto di collaborazione e reciproca fiducia che costituisce il terreno indispensabile per la corretta operatività del meccanismo pregiudiziale. In questo contesto, riconoscere che gli Stati membri sono in principio liberi di stabilire le proprie norme in materia di giudicato contribuisce a preservare i rapporti tra Corte di giustizia e giurisdizioni nazionali e, dunque, a salvaguardare al contempo l’uniformità dell’interpretazione e la piena applicazione del diritto UE attraverso il ricorso al rinvio pregiudiziale.

La peculiare attenzione per il mantenimento dei rapporti di cooperazione con i giudici nazionali traspare altresì dal self-restraint che guida la Corte nell’applicare i princìpi di equivalenza ed effettività all’istituto

individua nel campo della tutela dei consumatori una tecnica di integrazione processuale peculiare, tesa a valorizzare “la funzione delle norme sostanziali, dirette a compensare lo squilibrio fra la posizione del consumatore e quella del professionista”.

126 Caso Asturcom, cit. 127 Caso Finanmadrid, cit.

in esame. Se, come tendenza generale, si osserva un’incidenza sempre più netta della Corte di giustizia nella fissazione di limiti all’autonomia procedurale degli Stati membri128, questa tendenza pare arrestarsi di fronte all’istituto del giudicato, rispetto al quale la Corte preferisce attingere alle interpretazioni più risalenti (e meno intrusive) dei princìpi di equivalenza ed effettività.

Quanto al principio di equivalenza, la Corte si mostra particolarmente attenta a rispettare le competenze del giudice a quo nell’individuazione di cosa costituisca un’azione “analoga” ai sensi del diritto interno, lasciandogli il compito di comparare le norme procedurali predisposte dal diritto interno con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive di origine prettamente nazionale con quelle applicabili nei confronti delle norme sostanziali di diritto UE129.

Il self-restraint della Corte di giustizia nell’affrontare il problema dei limiti all’autorità della cosa giudicata emerge altresì dall’interpretazione ristretta data al principio di effettività. Per un verso, nei casi aventi ad oggetto il giudicato nazionale, la Corte pare mantenere la sua analisi sul piano del dato normativo, calibrando su di esso, e non su eventuali peculiarità dei fatti di causa, la soluzione del caso concreto. Per l’altro, nell’applicazione della rule of reason per la valutazione della compatibilità con il diritto dell’Unione di norme procedurali nazionali che pongono limitazioni all’effetto utile, la Corte attribuisce un peso preponderante alla certezza del diritto quale fine legittimo e principio fondante degli ordinamenti nazionali e dell’Unione.

Di conseguenza, una violazione del principio di effettività è riscontrata solo nei casi in cui la norma sul giudicato rende praticamente impossibile (e non solo eccessivamente difficile) porre rimedio alla violazione del diritto UE sostanziale, come avviene allorquando la violazione possa automaticamente estendersi a un numero indefinito di casi susseguenti a quello definito con

128 Tanto da far dubitare parte della dottrina circa la sopravvivenza stessa del principio, come

sottolinea A. WALLERMAN, Towards an EU Law Doctrine on the Exercise of Discretion in

national Courts?, cit., 339, spec. nota 2.

sentenza passata in giudicato130 ovvero trovare origine in un procedimento di cognizione conclusosi senza l’intervento di alcun giudice131.

Occorre adesso analizzare nel merito i risultati cui giunge la Corte di giustizia, distinguendo le indicazioni che essa fornisce quanto all’estensione del giudicato materiale da quelle concernenti la possibilità di chiedere la revisione del giudicato formale. Con riferimento al primo profilo, rilevante ai fini del diritto dell’Unione per sancire la portata del giudicato esterno sul contenzioso susseguente alla definizione di una controversia, la Corte pare adottare nel già citato caso Fallimento Olimpiclub una nozione minima di giudicato, che attribuisce rilevanza solo al dispositivo e non alla motivazione circa i presupposti logici o di fatto posti a fondamento della decisione132. Seguendo sul punto le conclusioni dell’Avvocato generale, che avevano indicato essere “comunemente interpretata” la cosa giudicata come riferita solo “all’oggetto, al fondamento normativo e alle parti in causa”133, la Corte rileva che il giudicato del quale si intendeva far valere l’effetto preclusivo si riferiva in realtà a un esercizio fiscale diverso, sicché tale estensione oltre il limite minimo dell’identità dell’oggetto era da considerarsi incompatibile con il principio di effettività.

La nozione di cosa giudicata materiale fatta propria dalla Corte di giustizia nell’ambito della giurisprudenza sull’autonomia procedurale degli Stati appare pertanto particolarmente ristretta e ciò non tanto per deferenza a una nozione dell’istituto pretesamente dominante tra gli Stati membri, quanto, più pragmaticamente, per estendere quanto più possibile l’effettiva

130 Così nel caso Fallimento Olimpiclub, cit. 131 Sent. Finanmadrid, cit.

132 In questo senso anche A. KORNEZOV, Res Judicata of National Judgements Incompatible

with EU Law: Time for a Major Rethink?, cit., 822 s.

133 Caso Fallimento Olimpiclub, cit., conclusioni dell’Avvocato generale, par. 68. Nello

stesso senso anche le conclusioni relative al caso Köbler, cit., par. 101, in cui si fa riferimento a una pretesa “concezione tradizionale dominante” della cosa giudicata, che implicherebbe la “triplice identità — di oggetto, di causa e di parti — tra una controversia già risolta e una controversia sopravvenuta successivamente”. In realtà, il quadro comparatistico è di ben più complesso, come dimostrano A. ZEUNER,H.KOCH, Effects of Judgements (Res Judicata), cit., spec. 23 ss.

applicazione del diritto dell’Unione anche a casi che, alla stregua del diritto nazionale, sarebbero stati considerati coperti dal giudicato134.

Lasciando per il momento da parte l’analisi delle conseguenze sull’ordinamento interno di questa ridefinizione dell’estensione della cosa giudicata materiale, in principio limitata a operare per le sole fattispecie di origine sovranazionale135, occorre osservare che in dottrina è stato posto l’accento sul fatto che, quale che sia la nozione minima di cosa giudicata ritenuta compatibile con il principio di effettività, quest’ultima dovrebbe risultare non meno ampia dell’omologa nozione di cosa giudicata elaborata dalla Corte di giustizia con riferimento alla portata delle decisioni proprie e degli altri organi giurisdizionali dell’Unione.

Tale dottrina muove dall’idea che gli strumenti procedurali apprestati dalla Corte di giustizia in ordine alla garanzia delle posizioni soggettive riconosciute dal diritto UE e, più in generale, alla piena ed effettiva applicazione del diritto sostanziale dell’Unione, garantiscono uno standard di tutela elevato, accessibile e nel complesso soddisfacente. Con la conseguenza che, se gli omologhi istituti degli Stati membri risultassero a loro volta analoghi a quelli dell’Unione (nel caso di specie: estensione della cosa giudicata materiale non superiore a quella riconosciuta dalla Corte di giustizia alle pronunce dei medesimi giudici UE), il vaglio alla stregua del principio di effettività dovrebbe ritenersi necessariamente superato. Infatti, ricorrendone i presupposti analogici o, come tale dottrina li ha definiti, “di equivalenza verticale” 136, nessuno potrebbe accusare uno Stato membro di aver apprestato strumenti di tutela inadeguati, né di aver violato il principio di leale collaborazione, trattandosi di un principio bilaterale, operante anche nei confronti delle istituzioni dell’Unione.

Altra parte della dottrina nega, invece, che gli istituti processuali descritti nei Trattati o ricostruiti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia possano fungere da modelli per valutare la rispondenza degli omologhi istituti

134 Lo rileva anche A. KORNEZOV, Res Judicata of National Judgements Incompatible with

EU Law: Time for a Major Rethink?, cit., 822.

135 Sul punto si tornerà infra al par. 6.

136 G. GRECO, Illegittimità comunitaria e pari dignità degli ordinamenti, in Riv. ital. dir.

nazionali al principio di effettività, ritenendo che un’idea siffatta “sarebbe legata più a considerazioni di opportunità politica (intesa nei termini di «desiderabilità» di un’equivalenza siffatta)”137 che non a considerazioni attinenti al regime giuridico del principio di leale collaborazione e dell’autonomia procedurale degli Stati che su di esso si fonda. Ciò in quanto le regole di procedura previste per il controllo giurisdizionale degli atti pubblici dell’UE giocherebbero un ruolo affatto diverso da quelle facenti parte dei sistemi processuali nazionali, essendo estranea alle prime la preoccupazione di salvaguardare l’effetto utile del diritto sostanziale dell’Unione.

Quest’ultima impostazione non convince del tutto. Se è certamente vero che il rispetto del principio di leale collaborazione sub specie del principio dell’effetto utile è oggetto di controllo da parte della Corte di giustizia relativamente alle sole regole di procedura nazionali, è altrettanto vero che difficilmente la Corte potrebbe ritenere che una norma nazionale, modellata su un’omologa norma del sistema processuale UE, sia tale da rendere praticamente impossibile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione. Ciò non soltanto per le ragioni di opportunità “politica” cui sopra si faceva cenno, ma anche per ragioni prettamente giuridiche. In primo luogo, si può osservare che le norme che governano l’interpretazione impongono alla Corte di giustizia di garantire la coerenza interna dell’ordinamento dell’Unione e il rispetto del principio di non contraddizione. Coerenza e non contraddizione verrebbero meno se una determinata regola processuale fosse ritenuta, per un verso, perfettamente compatibile con i princìpi dell’ordinamento dell’Unione e, per l’altro, tale da rendere in pratica impossibile l’esercizio dei diritti da questo garantiti138. Difatti, la Corte di giustizia ha utilizzato nella propria giurisprudenza norme procedurali del diritto UE quale parametro per valutare la rispondenza o meno di omologhe norme procedurali interne al principio di effettività. Tale argomentare è ad

137 D.U. GALETTA, L’autonomia procedurale degli Stati membri, cit., 30.

138 La necessità di preservare la coerenza nel trattamento giuridico di istituti sovranazionali

e dei loro omologhi nazionali è sottolineata anche dall’Avvocato generale Szpunar, nelle conclusioni rese l’11 novembre 2015 sul caso Finanmadrid, cit., par. 59.

esempio presente nella sent. Upjohn, in cui la Corte ritiene che il diritto dell’Unione “non impone che gli Stati membri istituiscano un rimedio giurisdizionale contro le decisioni nazionali di revoca delle autorizzazioni all’immissione in commercio [delle specialità medicinali] comportante un controllo più ampio di quello esercitato dalla Corte in casi analoghi”139. Ancora, la circostanza che la Corte abbia in mente una nozione unica di giudicato è testimoniata dalla giurisprudenza che, nel ricordare “l’importanza che il principio dell’autorità di cosa giudicata riveste”140, richiama indistintamente precedenti sentenze relative al giudicato interno o a quello sovranazionale, con ciò dimostrando che i medesimi princìpi valgono sia per l’uno che per l’altro141.

A ciò potrebbe obiettarsi che non vi sarebbe in realtà contraddizione perché estensione del giudicato nazionale ed estensione del giudicato sovranazionale sarebbero concetti da riferire a diversi ambiti di applicazione. Quest’osservazione, però, più che escludere la necessità che la Corte di giustizia rispetti, nell’esercizio della sua attività interpretativa, i princìpi di coerenza e non contraddizione, pare mettere in luce l’esigenza che il confronto tra giudicato sovranazionale e giudicato nazionale sia operato sempre nel contesto di procedimenti giurisdizionali strutturalmente analoghi, come potrebbero essere il giudizio impugnatorio innanzi il giudice amministrativo interno e il giudizio per l’annullamento di un atto innanzi la Corte di giustizia.

Appare inoltre condivisibile la posizione di chi sostiene che la Corte di giustizia non potrebbe lealmente pretendere dagli Stati membri una tutela del diritto UE più accentuata o, comunque, più intensa rispetto a quella accordata dallo stesso diritto procedurale dell’Unione, giacché una pretesa di tal fatta

139 Caso C-120/97, Upjohn, EU:C:1999:14, par. 35. Richiama questi riferimenti di tipo

analogico alle regole procedurali dell’Unione S. AMADEO, L’effettività del diritto

comunitario sostanziale nel processo interno: verso un approccio di sistema?, cit., 124 e

139. Sul punto anche D. DE PRETIS, La tutela giurisdizionale amministrativa in Europa fra

integrazione e diversità, in Riv. ital. dir. pubbl. com., 2005, 27.

140 Caso C-526/08, Commissione c. Lussemburgo, EU:C:2010:379, par. 26.

141 Cfr. ex multis, caso Commissione c. Lussemburgo, cit., parr. 26 – 28; caso C-352/09 P,

ThyssenKrupp Nirosta c. Commissione, EU:C:2011:191, par. 123; caso Impresa Pizzarotti,

esorbiterebbe dal principio di leale collaborazione e finirebbe per realizzare una discriminazione rovesciata142.

Per tali ragioni, con particolare riferimento al contenzioso amministrativo interno, si potrebbe individuare nel confronto con gli omologhi istituti presenti nel sistema processuale dell’Unione e, in particolare, nel suo regime annullatorio dell’atto amministrativo, uno strumento di valutazione della compatibilità delle norme procedurali interne in materia di estensione della cosa giudicata con il principio di effettività143.