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IL BILANCIO DELLO STATO: ASPETTI GIURIDICI E ASPETTI ECONOMICI

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INTRODUZIONE

Questo lavoro vuole analizzare la nascita del documento di bilancio, partendo dalle teorie di Keynes arrivando ai giorni nostri. È necessario anticipare che le nuove teorie macroeconomiche dell’economista hanno condizionato e tutt’ora condizionano l’attuale economia italiana e mondiale in materia di bilancio: queste hanno determinato cambiamenti significativi in materia, apportando cambiamenti sul documento e stravolgendo le precedenti teorie della scuola classica e neo-classica. L'economia classica designa un insieme di studi economici del XVIII e XIX secolo: gli economisti che vi appartengono sono comunemente indicati come "classici". La scuola classica studia i fenomeni economici in un momento storico particolarmente dinamico, sia dal punto di vista delle innovazioni tecnologiche ( rivoluzione industriale ) e sia dei modi di produzione. Al centro delle teorie economiche classiche si può constatare la presenza di una forte fiducia nella capacità del mercato di giungere in modo naturale, senza interventi da parte dei policy maker, verso un equilibrio economico-sociale ottimale. Questi hanno sviluppato le loro teorie durante gli anni della rivoluzione industriale e per tale ragione si concentrano sui problemi della crescita e della distribuzione del reddito, piuttosto che su quelli della scarsità delle risorse e quindi della loro efficiente allocazione tra usi alternativi. La teoria economica neoclassica invece si concentra proprio sul rapporto tra risorse scarse e bisogni umani illimitati, cercando di individuare i criteri che devono guidare le scelte degli operatori economici, in modo che la collettività possa raggiungere il massimo livello di efficienza e di benessere. In quest'ottica i problemi della produzione e della distribuzione diventano secondari rispetto a quelli dello scambio. ossia del

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2 momento in cui gli individui cedono e acquistano beni e servizi, per raggiungere una posizione di maggiore vantaggio e del funzionamento del mercato, che è il luogo in cui gli individui si incontra no per rea lizzare gli scambi.

La disciplina dei bilanci pubblici è diventata dal 1978 ad oggi, anche attraverso la crisi economica, un terreno di studio e dibattito e le ragioni di questo interesse sono molteplici. Tutto è incentrato sulla consapevolezza che i risultati di bilancio e il percorso di risanamento dei conti pubblici sono fortemente influenzati, oltre che dalle scelte di politica economica e finanziaria, dal funzionamento delle istituzioni e delle procedure di bilancio. Questo si può riassumere in tre punti:

a) La distribuzione, fra Governo e Parlamento dei compiti e delle responsabilità nelle decisioni di finanza pubblica

b) La collocazione del bilancio all’interno delle procedure europee che pretendono il rispetto delle regole fiscali sui limiti di disavanzo e debito

c) L’ampia devoluzione di funzioni verso le autonomie regionali e locali, avviata nel 2001 e proseguita con la normativa sul federalismo fiscale.

È necessario ricordare che il settore dei bilanci pubblici si presenta come un territorio dove si incontrano le trasformazioni di matrice eurounitaria : la riforma 2012 in merito all’art. 81 della Costituzione si pone come l’inizio di una fase di riforma economico- finanziaria. Altri percorsi evolutivi in ambito europeo hanno portato alla direttiva europea dei cosiddetti “quadri di bilancio” e dai regolamenti, prima del six pack, in seguito del fiscal compact e del two pack che recano misure stringenti per il rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio sugli Stati membri della zona euro con riguardo alla loro stabilità finanziaria e la creazione di un vero “calendario di bilancio”

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3 comune agli Stati membri dell’Unione. In un quadro così ampio vanno infine ricordate le recenti leggi del 2016 volte a determinare ulteriori cambiamenti nello scenario italiano e in quello europeo.

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«La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente» [John Maynard Keynes]

CAPITOLO 1

LA TEORIA DI KEYNES E LE FUNZIONI DEL BILANCIO

1.1: La crisi del 1929 e la teoria Keynesiana

Il termine “Bilancio” indica un vincolo, un limite di colui che decide al suo potere di spesa: presuppone che si bilancino la somma delle spese e delle entrate ed è necessario distinguere tra le scelte dei privati consumatori e il ruolo del bilancio in riferimento alle scelte

pubbliche1. Lo Stato non incontra limiti nel disporre le risorse, in

quanto un aumento delle entrate può sempre consentire di aumentare la spesa pubblica: per questo motivo, contrariamente ai

privati, non trova “vincoli” nel suo bilancio2. Il Parlamento è l’organo

che si occupa di approvare il documento e in questi anni, nei sistemi liberal-democratici (specie negli Stati Uniti), sono state formulate richieste per limitare il potere politico in questo ambito e per ripristinare la regola del “Pareggio di Bilancio”. Questo principio, nella sua accezione più comune, afferma che l’ammontare complessivo delle spese dovrebbe essere pari all’ammontare delle entrate. Vi sono due diverse versioni dello stesso, che sono:

1

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, Il bilancio dello Stato, Le guide de Il Sole 24 ore, 2000, p. 129

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5 1. Le entrate tributarie devono essere pari alle sole spese correnti; 2. Le entrate tributarie devono essere pari a tutte le spese (spese in

conto corrente e spese in conto capitale3);

In passato, il fatto che il bilancio sia stato in pareggio è apparso come una corretta garanzia di gestione del denaro pubblico per coloro che hanno utilizzato criteri prettamente privatistici in ambito pubblico: è stato così facile, sulla base della teoria di Keynes, contrapporre a questa giustificazione del pareggio del bilancio dello Stato l’argomentazione che si è trattato di un criterio fondato su principi formali, a prescindere dalla valutazione degli effetti del bilancio sulla

situazione economica del paese4. Alla fine degli anni Venti infatti è

iniziata una crisi economica caratterizzata da un altissimo livello di disoccupazione: tale fenomeno ha colpito soprattutto i paesi più industrializzati ed è percepito nettamente dai politici, attraverso la stretta connessione tra andamento economico e beni degli stessi. Per questo motivo i Governi hanno ritenuto di dover incrementare l’occupazione attraverso l’aumento della spesa pubblica, ma Keynes ha raggiunto una conclusione più profonda, sostenendo che l’intervento dello Stato attraverso il bilancio pubblico sia lo strumento con il quale l’economia avrebbe superato la crisi, riprendendo così a funzionare. La teoria economica prekeynesiana è stata oggetto di critica da parte dell’economista, perché non da garanzia sul

conseguimento dell’equilibrio di piena occupazione5. Il principio sul

3

Come esempio di queste definizioni recenti, è possibile analizzare l’idea di un bilancio complessivamente in pareggio durante un certo numero di anni, che corrisponde al periodo di durata di un ciclo economico. Un altro esempio più recente è quello del “bilancio in piena occupazione”: al fine di applicare la teoria Keynesiana si dispone le entrate e le spese pubbliche in modo da eguagliarle, in

modo che l’economia si trovi in piena occupazione; cfr.

http://www.okpedia.it/economia_classica

4

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 131

5

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6

quale si fonda tutta la teoria è la cosidetta “Legge di Say”6, detta

anche “Legge degli Sbocchi”7. Questa “legge” è stata al centro della

critica dell’economista per dimostrarne l’infondatezza e

conseguentemente evidenziare il dovere di ricorrere all’intervento

pubblico per la stabilizzazione8: si riscontra un primo limite nel fatto di

lasciare indeterminato il valore di equilibrio del sistema, dato che la domanda globale ha la capacità di adattarsi all’offerta. Poiché all’aumento del reddito i consumi tendono ad aumentare in maniera meno che proporzionale e, quindi, il risparmio tende ad aumentare in proporzione crescente, nel sistema economico vi dovrà essere un eccesso di produzione, a meno che gli investimenti non aumentino

nella stessa misura del risparmio9.

6 In economia la legge di Say, detta anche legge degli sbocchi, fu enunciata

dall'economista francese Jean-Baptiste Say e riguarda il fenomeno delle crisi economiche. Egli sosteneva in tale legge che in regime di libero scambio non sono possibili le crisi prolungate, poiché l'offerta crea la domanda. Difatti, in una economia di libero mercato ciascun soggetto ai prezzi di mercato sceglie di essere compratore o venditore. Se in un dato momento si ha un eccesso di offerta, i prezzi tenderanno a scendere. La discesa dei prezzi renderà conveniente nuova domanda. È in tal senso che l'offerta è sempre in grado di creare la propria domanda. In caso di crisi da sovraproduzione il rimedio delle crisi non doveva perciò, secondo Say, ricercarsi in un intervento dello Stato ma in una capacità autoregolatoria del mercato. In ogni caso, poi, il libero scambio fungerebbe di per sé da rimedio, portando di necessità alla formazione di un nuovo equilibrio economico. Questa legge è detta pure legge degli sbocchi, poiché ogni produzione troverebbe sempre un naturale sbocco sul mercato. Say quindi era convinto che il mercato lasciato a se stesso tende a raggiungere l'equilibrio di piena occupazione; cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Say

7

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 133

8

https://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Say

9

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7

1.2: Funzioni di consumo e di risparmio

Nell’ambito del settore “reale” dell’economia, il consumo e l’investimento costituiscono la domanda globale, che in equilibrio dev’essere uguale all’offerta globale:

Y = C + I

Dove Y rappresenta il prodotto interno lordo (offerta globale), C si riferisce alla domanda di beni di consumo e I alla domanda di beni d’investimento, ambedue componenti della domanda globale. La funzione del consumo consiste secondo Keynes, nella relazione tra l’importo complessivo dei consumi del sistema e alcuni elementi, che sono di tre tipi:

 L’ammontare del reddito;

 Circostanze obiettive (ad esempio mutamenti tributari);

 Bisogni soggettivi, abitudini e propensioni umane di natura

psicologica;

Questi sono tre tipi di influenza che agiscono simultaneamente per cui

non è possibile distinguerli tra di loro10. Keynes aggiunge inoltre che la

variabile da cui dipendono i consumi è il reddito: nel momento in cui questo aumenta, si ha un incremento dei consumi ma proporzionalmente minore. La “funzione del consumo” può quindi essere espressa nel modo seguente:

C = C (Y)

10

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8 Con l’avvertenza che il rapporto tra incremento di consumo e incremento di reddito è denominato “propensione marginale al

consumo” e ha valore positivo e inferiore all’unità11.

Figura 1: RELAZIONE TRA CONSUMO GLOBALE DELLA COLLETTIVITÀ E PIL

La figura esprime la relazione tra consumo globale della collettività (indicato sull’asse delle ordinate) e PIL (sull’asse delle ascisse): la retta a 45° serve per una lettura facilitata dell’andamento della funzione. Ciascun punto su questa retta corrisponde a livelli di consumo e di prodotto dello stesso ammontare (anche se, ovviamente, diversi in valore assoluto, a seconda del punto considerato) e si deduce quindi che, a sinistra del punto d’incontro tra funzione di consumo e la retta,

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9 il consumo supera i prodotto interno lordo, mentre a destra del punto d’incontro il consumo è inferiore a esso; l’ammontare di reddito pari a Q* rappresenta il reddito di pareggio in cui tutto il reddito è destinato al consumo. Attraverso il grafico di evince che la collettività, per un livello di produzione inferiore al reddito di pareggio, consumerà per soddisfare i propri bisogni primari dando luogo al fenomeno del “Risparmio negativo”: se si raggiunge invece un livello di produzione

superiore al reddito di pareggi, il risparmio avrà valori positivi12.

S = Y – C (Y)

S rappresenta il risparmio ed è dato dal reddito prodotto dall’economia al netto del consumo; in termini grafici, la funzione del risparmio si ricava sottraendo dei consumi dal prodotto interno lordo, come di seguito rappresentato:

Figura 2: LA FUNZIONE DI RISPARMIO

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10 Questa funzione di risparmio suggerita da Keynes costituisce un mutamento del sistema economico come era stato considerato fino a quel momento dai “classici”. Nello specifico, questa funzione e quella dell’investimento, escludono che l’equilibrio macroeconomico possa

essere assicurato dagli automatismi del sistema13. Per capire a fondo

la teoria di Keynes è necessario analizzare anche la funzione dell’investimento: nella teoria prekeynesiana il ruolo del saggio d’interesse era fondamentale per il conseguimento dell’equilibrio tra risparmio e investimento, mentre qui viene ridimensionato. Keynes focalizza la sua analisi su come l’investimento dipenda dall’interazione tra elementi attinenti alla profittabilità dell’investimento ed elementi attinenti al suo costo. Il saggio d’interesse ha ruolo solamente come elemento di costo che riconosce la priorità delle aspettative di profitto, affermando però che quando tali prospettive sono ridotte nessuna diminuzione del saggio d’interesse potrebbe bastare ad incoraggiare nuovi investimenti. La profittabilità dell’investimento è data, nella teoria keynesiana, dall’efficienza marginale del capitale, che esprime il rapporto tra il rendimento atteso e il costo di un’unità

nazionale di bene capitale14. Dalle considerazione svolte fino ad ora

emerge una prima conferma della tesi keynesiana, riguardo l’assenza di un meccanismo riequilibratore tra domanda e offerta globali dell’economia, che assicuri il raggiungimento della piena

occupazione15.

13

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 135

14

Ivi, p. 136

15

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11 Figura 3: EQUILIBRIO DEL REDDITO CON S=I

L’incontro tra la funzione di risparmio e la funzione d’investimento stabilisce il livello di equilibrio del prodotto interno lordo (Y), ma non garantisce che esso sia quello corrispondente alla piena

occupazione16.

16

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12

1.3: La curva di domanda e di offerta aggregata

Nel libro di N. Gregory Mankiw per introdurre l’argomento si afferma che << *…+ La maggior parte degli economisti classici è convinta che la macroeconomia classica rappresenti in maniera verosimile il comportamento dell’economia nel lungo periodo, ma non nel

breve>>17: se si considera poi l’effetto della moneta sull’economia, la

maggior parte degli economisti pensa che, dopo un periodo le variazioni dell’offerta di moneta influenzano i prezzi e le altre variabili nominali ma non il PIL reale, la disoccupazione o le altre variabili reali, proprio come afferma la teoria classica. Tuttavia nello studio di periodi più brevi, le variabili nominali e reali sono strettamente correlate e le variazioni di offerta di moneta possono allontanare temporaneamente il PIL reale dal suo valore tendenziale di lungo

periodo18. Per comprendere quindi l’economia di breve periodo è

necessario costruire un nuovo modello, abbandonando la dicotomia classica e la teoria della neutralità della moneta: non è più possibile separare l’analisi delle variabili reali dall’analisi delle variabili nominali. Il modello delle fluttuazioni economiche di breve periodo si basa su due variabili:

 La produzione di beni e servizi dell’economia, misurata dal PIL

reale;

 Il livello generale dei prezzi, misurato dall’indice dei prezzi o

dal deflatore del PIL19;

Per analizzare le fluttuazioni di un sistema economico nel suo complesso è necessario un modello di domanda e offerta aggregata.

17

N. GREGORY MANKIW, Principi di economia, Zanichelli, 2007, p. 598

18

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 133

19

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13 Figura 4: MODELLO DI DOMANDA E OFFERTA AGGREGATA

La curva di domanda aggregata descrive la quantità di beni e servizi che gli individui, le imprese e lo Stato desiderano acquistare per ogni livello di prezzi, mentre la curva di offerta aggregata mostra la quantità di beni e servizi che le imprese producono e vendono per ogni livello di prezzo20.

20

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14 Figura 5: CURVA DI DOMANDA AGGREGATA

Per determinare la domanda aggregata è necessario rammentare la componente del PIL, perché determinano la formazione della stessa domanda:

Y = C + I + G + NX

Dove PIL è uguale alla somma del consumo (C), investimento (I), spesa pubblica (G) ed esportazioni nette (NX). È necessario quindi esaminare come il livello dei prezzi agisce sulla quantità di beni e sevizi domandata per consumo, investimento ed esportazioni nette, in

modo da poter spiegare la pendenza negativa della curva21. Le ragioni

per cui una diminuzione del livello generale dei prezzi provoca un aumento di quantità di beni e servizi sono tre:

21

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15

 Una diminuzione del livello generale dei prezzi fa aumentare il

valore reale della moneta e fa sentire il consumatore più ricco, stimolandolo a comprare di più;

 Una diminuzione generale dei prezzi riduce il tasso d’interesse,

incoraggiando la spesa per investimento e, quindi, la quantità domandata di beni e servizi;

 Una diminuzione generale del livello dei prezzi interno provoca

una caduta del tasso d’interesse interno e, in conseguenza, un deprezzamento del tasso di cambio reale: questo fa si che le esportazioni nette vengano stimolate, facendo così aumentare

la quantità domandata di beni e servizi22;

Per quanto riguarda la curva d’offerta, a differenza della curva di domanda, vede la relazione tra livello dei prezzi e quantità offerta dipendere dall’orizzonte temporale considerato. Nel lungo periodo la curva di offerta aggregata è verticale mentre nel breve periodo ha pendenza positiva. Nel lungo periodo infatti la produzione di beni e servizi in un’economia (il suo PIL reale) dipende dall’offerta di lavoro, capitale e risorse naturali e dalla tecnologia di produzione disponibile23.

22

N. GREGORY MANKIW, op. cit., p. 602

23

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16

1.4: La funzione dell’investimento e l’analisi del settore

monetario

È doveroso a questo punto fare considerazioni sulla politica di bilancio: infatti non esiste alcun meccanismo che assicuri automaticamente la piena occupazione. Nell’ipotesi di depressione le forze che potrebbero entrare in azione avrebbero l’effetto di ridurre automaticamente il livello di occupazione: è proprio su questo tipo di valutazione che Keynes sostiene il ricorso alla politica di bilancio indicando come prima cosa la differenza tra politica keynesiana e

politiche d’intervento24. Le teorie keynesiane sono messe subito in

pratica dai Governi di alcuni Paesi industrializzati subito dopo le ripercussioni del 1929: essa consiste nel fornire una visione articolata del funzionamento del sistema economico, consentendo un “dosaggio” di strumenti che una politica di opere pubbliche, puramente espansiva della domanda, non poteva consentire. Da qui deriva la differenza tra gli interventi keynesiani e gli altri, in quanto i primi consideravano l’aumento della domanda come strumentale rispetto all’obiettivo della stabilizzazione economica, mentre i secondi tenevano soprattutto conto della necessità di assorbire il numero più alto possibile di disoccupati senza una chiara visione degli effetti di cui il sistema economico avrebbe risentito. Il principale strumento con il quale era possibile eseguire la manovra secondo Keynes era il “moltiplicatore”, cioè il coefficiente con il quale si moltiplicano le variazioni di bilancio per avere una stima degli effetti della politica di

bilancio sul PIL e sull’occupazione25.

24

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 138

25 Strumento di analisi macroeconomica, elaborato dall'economista inglese J. M.

Keynes. Permette di individuare l'effetto di un certo livello di consumo all'interno del sistema economico sul reddito finale del sistema stesso. Il moltiplicatore misura infatti la percentuale di incremento del reddito nazionale in rapporto all'incremento

(17)

17 Accanto alla politica di bilancio, l’azione anticongiunturale può anche essere svolta attraverso meccanismi che entrino in azione automaticamente quando il sistema lo prevede, senza la decisione

delle autorità26: questo è il caso delle imposte che sono funzione del

reddito nazionale, dell’occupazione e delle altre variabili che

esprimono la situazione congiunturale dell’economia27. Per quanto

riguarda la loro efficacia, si riconosce che generalmente questi meccanismi se presi singolarmente, non sono in grado di influire in modo sensibile sull’andamento del sistema, mentre se vengono presi a livello di aliquote d’imposta e di livelli di spesa si potrebbe conseguire risultati importanti dal punto di vista congiunturale. Bisogna inoltre considerare come la politica Keynesiana si basi su strumenti di tipo “reale”, mentre gli strumenti di carattere monetario hanno l’obiettivo di non ostacolare o al massimo di aiutare l’azione svolta dalla politica fiscale28. Questo non significa che i contributi di Keynes allo studio degli aspetti monetari del sistema economico siano stati irrilevanti, anzi secondo alcuni interpreti l’introduzione della “preferenza per liquidità” costituisce uno dei più brillanti contributi alla teoria economica, anche se di fatto la letteratura successiva ha prestato maggior attenzione al settore reale nella trattazione della politica di bilancio. Fino alla pubblicazione della “General Theory” di J. M. Keynes, gli economisti considerano la moneta come “mezzo di scambio” e quindi il motivo di richiesta della stessa da parte della

di una o più variabili macroeconomiche componenti la domanda aggregata: consumi, investimenti e spesa pubblica;

cfr. http://www.okpedia.it/economia_classica

26

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 141

27 Questi strumenti automatici di stabilizzazione hanno una logica diversa da quella

della politica di bilancio perché sono fondati su una visione liberista, contraria alla penetrazione dello Stato nell’economia, in particolare agli interventi pubblico di carattere discrezionale: infatti uno dei primi sostenitori degli stabilizzatori automatici, Henry Simons ha dato al suo scritto il titolo “Regole contro le autorità”; cfr. http://www.okpedia.it/economia_classica

28

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18 popolazione riguarda la necessità di compiere transazioni. La formula che esprime questa domanda è quella della cosiddetta “Teoria quantitativa della moneta”, esposta in due forme alternative:

MV = PT

Questa prima teoria29 era costituita dall’equazione dell’economista

americano I. Fischer, definita “equazione di scambio”: partendo dal presupposto che V tende a variare molto lentamente nel corso del tempo e può essere considerata costante, dall’ipotesi che T corrisponda al livello di piena occupazione Fisher ricava la conclusione che il livello generale dei prezzi varia in proporzione alle variazioni

della quantità di moneta30. La seconda teoria è quella legata alla

“scuola di Cambridge” che non arriva a conclusioni troppo diverse rispetto alla teoria di Fisher:

M = kPT

Dove M è la quantità di moneta, P il livello dei prezzi di beni di consumo e k

è l’inverso della velocità di circolazione della moneta. Anche in questa seconda formulazione le variazioni della quantità di moneta modificano proporzionalmente i prezzi, essendo sia T che k costanti: entrambe queste impostazioni presuppongono la “neutralità” della moneta, cioè che la stessa non influisca sulle variabili reali del sistema. La teoria di Keynes invece, attribuisce alla moneta un’influenza decisiva nel determinare il saggio d’interesse: si evince

29

La teoria quantitativa della moneta è una teoria dell'economia secondo cui i prezzi generali o il valore nominale delle spese è correlato positivamente (se cresce l'uno cresce l'altra e viceversa) alla quantità di moneta. Secondo questa teoria, la quantità di moneta disponibile determina il valore della moneta stessa. In questa equazione M è la quantità di moneta in circolazione, V è la velocità di circolazione della moneta rispetto alle transazioni, P è il livello generale dei prezzi e T è il volume delle transazioni; cfr. http://www.okpedia.it/economia_classica

30

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19 che, accanto alla domanda di moneta per transazioni (alla quale egli assimila la domanda di moneta a fini precauzionali), vi sia un motivo speculativo per domandare moneta. Con la nuova componente speculativa si riesce a presentare una teoria monetaria che si integra con il settore reale, fornendo uno strumento di analisi dell’economia che appare interessante: Keynes afferma infatti che il risparmio può non essere utilizzato immediatamente in investimenti e quindi lo si

può conservare in forma monetaria31. La scelta rimane ovviamente

dell’investitore tra queste due possibilità: se il saggio d’interesse è basso e ci si aspetta che cresca è preferibile la moneta perché il “costo” è molto basso e l’aumento atteso del saggio d’interesse si presume che ridurrà il valore dei titoli. Se il saggio d’interesse è più alto del livello verso il quale tende il mercato, l’investitore non vorrà tenere moneta, perché un eventuale abbassamento del saggio d’interesse aumenterebbe il valore dei titoli, assicurando così un guadagno all’investitore. Con questo contributo Keynes ha posto le

basi per la “Teoria delle scelte di portafoglio”32 e nonostante la natura

dell’incertezza renda difficile formulare la preferenza per la liquidità, Keynes comunque è riuscito ad esprimere in funzione il saggio d’interesse corrente:

M = L(r)

Nel suo complesso la domanda aggregata di moneta, comprensiva sia

della moneta per transazioni M1 che di quella speculativa M2 è

espressa da Keynes nel seguente modo:

31 DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 144 32

Per frontiera dei portafogli si intende un qualsiasi insieme di portafogli che soddisfano un criterio di razionalità nelle scelte di investimento operate da agenti economici. Nella prospettiva della moderna teoria delle scelte di portafoglio, il termine indica in genere il luogo dei portafogli caratterizzati dalla minima varianza ammissibile per un dato livello di rendimento atteso; cfr. http://www.okpedia.it/economia_classica

(20)

20

M = M1 + M2 = L1(Y) + L2(r)

Generalmente però, viste le transazioni della “scuola di Cambridge” e sulla domanda di moneta a fini speculativi, si può aggiungere che nelle formulazioni più recenti la domanda di moneta viene di solito

espressa in modo più generale33:

M = L (r,Y)

È importante ricordare inoltre che una politica di bilancio espansionistica, oltre a far aumentare il PIL provoca un aumento del saggio d’interesse, che comporta una diminuzione degli investimenti privati: da qui deriva che l’aumento di spesa pubblica anziché aggiungersi alla domanda già esistente si limita a sostituirla

parzialmente o, a volte, integralmente34. Questo particolare effetto,

denominato crowding-out35 (tradotto in italiano come “effetto di

spiazzamento”), costituisce il primo, importante limite “interno” alla politica keynesiana di bilancio. Per superarlo si è pensato a interventi di carattere monetario che espandono l’offerta di moneta, evitando l’aumento del saggio d’interesse o almeno che lo contengano: questo è un intervento di tipo “misto” che comporta modifiche nelle aspettative degli operatori producendo effetti non facilmente

deducibili nel medio e lungo termine36. L’ipotesi consolidata della

dottrina è quella in cui la preferenza di liquidità è infinita, con un saggio d’interesse che ha raggiunto il livello minimo: in questo caso la

33 DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 145 34

Ivi, p. 147

35

Il crowding out (dall’inglese “sfollare”) è l'effetto della domanda pubblica di natura autonoma, in un sistema economico operante in regime di piena utilizzazione delle proprie risorse. Il soddisfacimento di tale domanda pubblica, implicherà un riduzione marginale (o totale) del soddisfacimento della domanda privata. Detto in altre parole, per "crowding out" si intende la riduzione della spesa privata (sia investimento sia consumo) a seguito di un aumento della spesa pubblica; cfr. http://www.okpedia.it/economia_classica

36

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21 politica monetaria non ha alcun effetto perché ogni aumento della quantità di moneta non influisce sul saggio d’interesse. Si parla di

“trappola di liquidità”37: questa ipotesi è molto favorevole alla politica

fiscale e può giustificare la tesi secondo cui sarebbe questa la tipica ipotesi “keynesiana”. È necessario però ricordare che queste teorie fanno riferimento ad un’economia che verte in uno stato di depressione, per questo motivo Keynes e gli altri economisti suoi contemporanei hanno dato priorità al superamento di questa condizione38.

37

La trappola della liquidità è una situazione in cui la politica monetaria non riesce più ad esercitare alcuna influenza sulla domanda, e dunque sull'economia. In condizioni normali, la politica monetaria ha infatti la possibilità di agevolare la crescita economica sia aumentando l'offerta di moneta in circolazione sia abbassando i tassi di interesse. Da questa operazione ne consegue che le imprese sono incentivate ad indebitarsi e quindi ad investire e, nel contempo, si riduce la propensione delle famiglie al risparmio, aumentandone la propensione al consumo; cfr. http://www.okpedia.it/economia_classica

38

(22)

22

«Il bilancio deve essere equilibrato, il tesoro ripianato, il debito pubblico ridotto […]»

[Cicerone]

CAPITOLO 2

EVOLUZIONE STORICA DEL BILANCIO

2.1: Dal Regno di Sardegna alla Costituzione del 1948

Il sistema di contabilità generale dello Stato mostra un quadro normativo molto complesso e in continua evoluzione: le problematiche relative alla tenuta di un sistema di scritture contabili e alla formazione del bilancio dello Stato cominciano ad emergere circa un secolo e mezzo fa, in seguito all’unificazione del Regno d’Italia39. Nel Regno di Sardegna, viene redatto un bilancio pubblico, mentre negli altri stati ottocenteschi come il Regno delle due Sicilie, il bilancio

era contenuto in documenti segreti40. Nel 1861, con la proclamazione

del Regno d'Italia viene estesa a tutto lo Stato la legislazione

piemontese, prima con la “Legge Bastogi”41 (R. D. 302) del medesimo

anno, successivamente poi con la legge “Cambray-Digny”42

39

A. PASSARO, Il bilancio dello Stato nella prospettiva europea, Aracne, 2013, p. 57

40

G. VEGAS, Il bilancio pubblico, Il Mulino, 2014, p. 142

41 Pietro Bastogi (Livorno, 15 marzo 1808 – Firenze, 21 febbraio 1899) è stato un

politico, finanziere e industriale italiano. Il 3 febbraio 1861 ci furono le elezioni per rinnovare il Parlamento, per permettere l'ingresso ai deputati dell'Italia meridionale, appena conquistata da Garibaldi;

cfr. http://www.lestradedellinformazione.it/site/home.html

42

Il 20 aprile 1869 il Parlamento, vista l'esigenza di una riforma amministrativa e contabile, approva il disegno di Legge presentato alla Camera dei deputati nella seduta del 4 febbraio 1868 dal Ministro delle Finanze Cambray-Digny. Detto provvedimento, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale come Legge 22 aprile 1869, n. 5026, istituisce, tra l'altro, all'interno del Ministero delle Finanze, la Ragioneria

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23 5026/1869: quest’ultima istituisce la Ragioneria Generale dello Stato, alla quale vengono affidati i compiti di tenuta delle scritture contabili e la redazione del bilancio dello Stato, nonché il controllo su tutte le amministrazioni centrali e provinciali. Si sottolinea inoltre che con questa legge inizia la concreta applicazione della partita doppia alla

contabilità europea43. Si tratta però di sistemi contabili semplificati

perché le spese si dividono tra ordinarie e straordinarie. Il bilancio del nuovo Stato parte con un debito di 446 milioni di lire, derivanti dai costi delle guerre d'Indipendenza, ma nel 1876 con la “Politica della

lesina” di Quintino Sella si arriva ad un bilancio in pareggio44. Bisogna

però attendere il 1884 per la prima vera riforma, che conferisce al bilancio una struttura più simile a quella attuale, cambiando la decorrenza dell'esercizio finanziario (dal 1 luglio al 30 giugno), si modifica il criterio di contabilizzazione passando dalla cassa alla competenza e s’introduce il bilancio di assestamento, che permette le modifiche nel corso della gestione annuale. La svolta effettiva si ha con l’emanazione della legge fondamentale di contabilità, il Regio

Generale con a capo un Direttore Generale. L'entrata in vigore di detto provvedimento, fissata il 1° gennaio 1870, viene prorogata al 1° gennaio 1871 dalla Legge 23 dicembre 1869, n. 5395, salvo alcune disposizioni relative ai contratti, alle gestioni dei cassieri e all'abolizione dei mandati provvisori. Il regolamento per l'esecuzione della citata Legge n. 5026/1869, proposto dal Ministro Sella, emanato con R.D. 4 settembre 1870, n. 5852 entra in vigore anch'esso il 1° gennaio 1871. Insieme al citato regolamento viene emanato il R.D. 4 settembre 1870, n. 5851, che provvede, provvisoriamente, a disciplinare il servizio di ragioneria presso i vari Ministeri mediante l'istituzione di una ragioneria presso ciascun Ministero e Direzione Generale; cfr. http://www.lestradedellinformazione.it/site/home.html

43 A. PASSARO, op. cit., p. 59 44

L’espressione con cui è stata definita la politica finanziaria della «destra storica» e in particolare del ministro Quintino Sella nei primi decenni dell’unità d’Italia, improntata a un severo contenimento della spesa pubblica. Impose a questo scopo una rigida politica di economie e di inasprimenti fiscali sui redditi e sui consumi, non esitando a ricorrere a provvedimenti molto duri, come l'aumento dell'imposta sul macinato, approvato nel 1870. Il conseguimento dell'ambizioso obiettivo del pareggio di bilancio fu determinato dalle sue scelte ma raggiunto sotto il mandato di Marco Minghetti nel 1875. L'opera per il riordino delle finanze statali, che egli riassumeva nelle celebri espressioni «economie fino all'osso» o guardare alle spese «con la lente dell'avaro», fu condotta a prezzo di una vasta impopolarità. Sella inoltre fu l'ideatore di altre iniziative volte al raggiungimento del pareggio di bilancio; cfr. http://www.lestradedellinformazione.it/site/home.html

(24)

24 Decreto 18 novembre 1923, n. 2440, e successivo regolamento 827/24, adottati dal ministro delle Finanze De Stefani, mentre per quanto riguarda la parte relativa al bilancio resterà invariata fino al

200945. Il provvedimento segna, come afferma A. Passaro: <<il

passaggio da un approccio ragionieristico ad uno giuridico-contrattualistico al bilancio dello Stato>>46 e fissa alcuni principi che sono rimasti validi fino ad oggi, come l’unità del bilancio e la

definizione di un riepilogo generale delle entrate e delle uscite47.

Prevale all’epoca la visione di uno Stato che si limita all’erogazione di

servizi essenziali, secondo un approccio di “finanza neutrale”48: il

sistema contabile è di carattere finanziario, fondato su rilevazioni di carattere prevalentemente revisionali di natura autorizzatoria. Altro elemento importante riguarda l’abolizione dal testo dell’obbligatorietà delle doppie scritture contabili: il Ragioniere generale dello Stato individua il modo che più si adatta alle esigenze dell’epoca. Tali disposizioni contenute nei regi decreti formano, nonostante la loro emanazione non recente, l’attuale regime giuridico dell’attività finanziaria dello Stato: il sistema contabile è fondato sul principio di competenza finanziaria anche se si riscontra un’incongruenza tra anno solare ed esercizio finanziario, che comincia il primo luglio e termina il

trenta giugno dell’anno successivo49. Per quanto riguarda la

45

Il Governo, in virtù della delega conferitagli con la legge 3 dicembre 1922, n. 1601, per il riassetto degli ordinamenti statali, con r. d. 18 dicembre 1923, n. 2440 e il relativo regolamento approvato con r. d. 23 maggio 1924, n. 827, emana le “Nuove disposizioni sul patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato”. Con il Regio Decreto – Legge 29 giugno 1924, n. 1036 – convertito nella legge 18 marzo 1926, n. 562 – e con il decreto ministeriale 12 agosto 1924, vengono emanate disposizioni per il controllo delle Ragionerie Centrali sulla gestione del patrimonio del bilancio dello Stato. In virtù di detto provvedimento è attribuito alle Ragionerie Centrali il controllo di proficuità finanziaria su tutti gli atti di spesa, prima sottoposti al solo controllo di legittimità; cfr. http://www.lestradedellinformazione.it/site/home.html

46 A. PASSARO, op. cit., p. 60 47

G. VEGAS, op. cit., p. 144

48

A. PASSARO, op. cit., p. 60

49

(25)

25 classificazione delle poste contabili, ci si riferisce alla precedente ripartizione che prevede:

 entrate e spese ordinarie e straordinarie: fondate sulla

ripetitività nel tempo de valori di bilancio;

 entrate e spese effettive e per movimenti di capitale;

Questa classificazione “aziendalistico-patrimoniale” separa le entrate e le spese modificative della sostanza patrimoniale, da quelle che hanno un semplice effetto di scambio della composizione patrimoniale50.

Successivamente, in particolare dopo la crisi del 1929 si passa da un modello di “Finanza Neutrale” ad un modello di “Finanza funzionale o congiunturale”, dove prevale una concezione della finanza pubblica come uno strumento di programmazione economica: per questo motivo il legislatore cerca di avvicinare bilancio di competenza finanziaria alle logiche e ai criteri di redazione del bilancio economico nazionale. Le questioni relative alla legge di bilancio sono affrontate anche dalla commissione economica appartenente all’Assemblea Costituente, al punto che si è deciso di trattare la materia anche nella Costituzione Repubblicana: essa infatti fornisce la gerarchia per la

legislazione contabile51. L’articolo che si occupa del bilancio è il

numero 81 della nostra Costituzione52 di seguito rubricato e fin dal

1948 oggetto di interpretazioni continue ed intense, di natura sia politica che dottrinale:

“Le camere approvano ogni anno i bilanci ed il rendiconto consuntivo

presentati dal governo.

50 A. PASSARO, op. cit., p. 60 51

G. VEGAS, op. cit., p. 144

52

Sostituito poi dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1; cfr. http://www.parlamento.it/parlam/leggi/97094l.htm

(26)

26

L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.

Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”

Va ricordato che negli anni Cinquanta e Sessanta prevale l’idea che l’obbligo di copertura sottenda un criterio di pareggio contabile per il bilancio dello Stato, anche se fin da subito questa posizione è apparsa problematica, a causa delle complessità delle questioni poste dall’intervento pubblico nella fase di ricostruzione del paese e della

circostanza che il bilancio stesso fosse in disavanzo53.

53

(27)

27

2.2: Dalla legge 62/64 (Legge Curti) alla legge n. 468/78

Dalla metà degli anni Sessanta invece, si afferma nella cultura contabile ed economico-finanziaria una concezione funzionale dell’uso del bilancio. Esso viene visto come lo strumento giusto per l’attuazione di politiche economiche: queste sono improntate su leve monetarie e su forme di copertura di disavanzo a livello di pressione

fiscale inferiori alla media54. Il cambiamento per avvicinare la

competenza finanziaria alle logiche del periodo si ebbe con la riforma

realizzata dalla L. 62/6455 (cosiddetta “Legge Curti”): con solamente

sei articoli trasforma radicalmente la struttura del rendiconto, la legge di approvazione del bilancio e le scansioni temporali dei documenti finanziari che il Governo deve presentare all’approvazione del Parlamento; l’interesse del legislatore passa dalla consistenza aziendale del patrimonio allo studio delle funzioni e degli effetti che originano dalla finanza pubblica. Ha inciso notevolmente nella natura e nella portata del bilancio statale, determinando nuove considerazioni da parte della dottrina in ordine alla funzione di strumento di politica economica, che è andato sempre più assumendo negli ultimi decenni il bilancio statale in rapporto allo studio degli

effetti economici delle entrate e delle spese pubbliche56. Le più

significative innovazioni apportate possono essere così classificate:

 Coincidenza dell’esercizio finanziario con l’anno solare:

l’esercizio finanziario convenzionale dello Stato, che andava dal 1° luglio di ogni anno al 30 giugno dell’anno successivo. Il ritorno all’anno solare come periodo dell’esercizio finanziario

54

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 218

55 Legge 1 marzo 1964, n. 62 “Modificazioni al Regio Decreto 18 novembre 1923, n.

2440, per quanto concerne il bilancio dello Stato, e norma relativa ai bilanci degli enti pubblici”; cfr. http://www.parlamento.it/parlam/leggi/97094l.htm

56

(28)

28

era giustificato da esigenze legislative e

tecnico-amministrative, che si possono così sintetizzare:

a) necessità di adeguare il periodo dell’esercizio finanziario dello Stato a quello degli altri Paesi della C.E.E.;

b) l’inserimento del bilancio dello Stato nella contabilità economica nazionale;

c) necessità di collegare la gestione del bilancio statale a quella dei più importanti enti pubblici (Province e Comuni), degli enti parastatali e delle imprese private.

 Introduzione di due criteri di bilancio che rispondono ad

esigenze di finanza pubblica e di raccordo tra bilancio dello Stato e conti nazionali: la classificazione, impropriamente detta “economica” in base alla quale entrate e spese sono divise in conto corrente e conto capitale; vi è inoltre un’ulteriore classificazione di tipo funzionale per settori d’intervento, volta ad individuare le principali finalità della gestione a prescindere dalla struttura organizzativa presso la

quale si accentrano le risorse57. La classificazione economica

raggruppa le voci del bilancio in relazione agli effetti che i singoli aggregati di entrata e di spesa determinano sull’economia nazionale: questo tipo di classificazione trasporta sul piano della contabilità pubblica, le suddivisioni in flussi economici in cui è stata distinta la contabilità nazionale, agevolando l’inserimento del bilancio dello Stato nel bilancio economico nazionale. La classificazione funzionale, invece, raggruppa le spese in relazione alla finalità alla quale è rivolta l’azione dell’Amministrazione: quest’ultima è più consona alle moderne funzioni dello Stato che si immedesima nella società

57

(29)

29 stessa, alla quale fornisce servizi e chiede prestazioni, che influisce sull’economia del Paese in rapporto agli obiettivi di politica economica e sociale. La normativa della legge n. 62 venne poi estesa ai comuni e alle province attraverso i DPR n. 670 e n. 1422 del 1965 realizzando in tal modo il coordinamento dei bilanci degli enti territoriali allora esistenti;

Con l’emanazione della legge 62/64 lo stato di previsione dell’entrata e gli stati di previsione della spesa con il quadro generale riassuntivo formano oggetto di un unico provvedimento legislativo: questa riforma si rende necessaria per restituire al bilancio l’organizzazione unitaria, che deve essere alla base di qualsiasi volontà di programmazione, consentendo una visione globale della politica finanziaria del Governo che acquista sempre maggior rilievo. Il bilancio avrebbe dovuto rappresentare l’espressione qualitativa e

finale dell’intera politica economico-finanziaria dell’esecutivo58. Nel

1970 cessa di avere efficacia il primo e unico programma economico quinquennale approvato dal Parlamento: scaduto, quindi, il piano per il quinquennio 1966-1970 e preso atto che il provvedimento che

avrebbe dovuto interessare l’intera organizzazione

dell’amministrazione pubblica non ha conseguito gli obiettivi di indirizzo tendenti a eliminare gli squilibri sia territoriali che sociali, si cerca di modificare il sistema di programmazione complessivo e generale con un sistema settoriale per aree di intervento. I “rilievi” principali riguardano le cause dell’eccessiva divergenza tra bilancio di competenza e bilancio di cassa, la mancata inclusione in bilancio di tutti gli oneri destinati a gravare sullo Stato, l’eccessiva rigidità delle spese a carico degli esercizi futuri derivante dai piani pluriennali approvati, la dispersione in troppe voci di bilancio nonché l’assenza di coordinamento degli incentivi a favore dell’attività economica. La

58

(30)

30 stretta correlazione tra bilancio e programmazione è rappresentata dal fatto che il primo, per sua stessa natura, contiene una valutazione prospettica dell’azione da svolgere in vista del conseguimento dei fini fissati e l’altra non ha nessuna possibilità di concreta attuazione se è “avulsa” dalle risorse finanziarie che ne costituiscono il necessario

supporto59. Il problema del collegamento tra bilancio economico

nazionale e bilancio finanziario fu ampiamente ripreso nel “Progetto 80” che suggeriva l’adozione di un nuovo metodo di formulazione e di presentazione del bilancio dello Stato proponendo di inserire nel programma economico un bilancio previsionale quinquennale, al fine di offrire il necessario punto di riferimento per la copertura. Un passo ulteriore nel senso di coordinare il metodo della programmazione allo strumento del bilancio pluriennale è stato avanzato precedentemente nel 1970 da Onofri, il quale sostiene l’opportunità di un bilancio pluriennale che: <<non sostituisce quello annuale, *…+ ma che semplicemente fa da orientamento dando istruzioni vincolanti ma non superiori a quelli propri degli elementi del programma economico nazionale>>60. La sutura così effettuata tra bilancio pluriennale e metodo di programmazione, ha consentito successivamente la costruzione di un nuovo metodo di programmazione economica. Si è trattato di una sorta di “rivoluzione copernicana”: la previsione pluriennale non serve più unicamente alla mera legittimazione delle leggi di spesa ma diviene il momento principale della

programmazione61. Utilizzazione, quindi, del bilancio non solo come

specchio delle scelte già effettuate, ma piuttosto come quadro prospettico delle attività da intraprendere all’interno di una più vasta azione programmatica: viene così meno, già sul piano teorico, la rinuncia implicita all’uso di uno strumento eccezionalmente

59 http://ssai.interno.it/download/allegati1/quaderni_16.pdf 60 Ibidem 61 Ibidem

(31)

31 importante dal punto di vista delle risorse gestite. Il documento che ha ravvisato la necessità di porre freno a questa evoluzione è il

cosiddetto “Piano Pandolfi”62 del 1978, periodo non a caso

coincidente con quello dell’approvazione parlamentare della legge di riforma della contabilità di Stato. La crisi economica e finanziaria degli anni Settanta e le pressioni esterne della Comunità Europea e del Fondo Monetario Internazionale hanno fatto sì che nel corso della VII Legislatura fosse varata la legge di riforma della contabilità dello Stato. La legge n. 468/78 affronta e cerca di risolvere una pluralità di questioni attraverso un disegno unitario che ispira tutte le modifiche: trasformare il bilancio da documento eminentemente giuridico-contabile in strumento di politica economica, funzionale alla conoscenza e all’intervento statale nell’economia generale del Paese. La questione centrale è di conferire al bilancio dello Stato un più ampio margine di manovrabilità e di significatività ai fini del raggiungimento degli obiettivi di politica economica di breve e medio

termine63: questa è la diretta conseguenza dell’affermarsi in Europa

delle teorie economiche di stampo Keynesiano che determinano la

dilatazione della spesa pubblica, del debito e dell’amministrazione64.

La portata innovativa della legge riguarda soprattutto lo strumento di adattamento dei valori di bilancio agli obiettivi che stabiliva il Governo e questo per cercare di rimediare da una parte alla rigidità del bilancio come previsto dall’art. 81, comma 3 Cost. e dall’altra per rimandare il

62

Filippo Maria Pandolfi fu Ministro del tesoro nei governi Andreotti IV e V tra il 1978 e il 1979, riformò le regole di analisi e redazione del bilancio dello stato e nel 1977 introdusse il sistema del versamento d'acconto delle imposte. Si occupò ampiamente dell'IVA, partecipò ai negoziati per l'istituzione del Sistema monetario europeo e condusse l'Italia ad aderire all'accordo di cambio dello SME, secondo il cosiddetto "Piano Pandolfi" da lui presentato il 31 agosto 1978. Propose l'introduzione della lira pesante, ma senza successo, e nel 1977 introdusse il sistema del versamento d'acconto delle imposte;

cfr. http://ssai.interno.it/download/allegati1/quaderni_16.pdf

63

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 218

64

(32)

32

tutto ad un unico momento la manovra annuale di finanza pubblica65.

Un’ ulteriore innovazione è stata la creazione di uno strumento di programmazione finanziaria di medio periodo, un aiuto al bilancio di previsione, non avente funzione autorizzatoria: il bilancio pluriennale di previsione, dove sono elencate le entrate che si presume accertare e le spese che si pensa di impegnare in un periodo che varia da un minimo di tre ad un massimo di cinque anni. Per quanto riguarda la redazione del Bilancio si introduce il criterio di cassa che si accosta a quello della competenza finanziaria, per formulare previsioni. È necessario quindi dire che l’art. 81 Costituzione, deve essere letto

come una “norma sulla produzione di norme”66, perché stabilisce una

separazione procedurale tra norme che producono all’interno dell’ordinamento innovazioni dei titoli giuridici e l’atto che fissa l’equilibrio dei conti dello Stato costituito dalla legge di approvazione del bilancio. Leggendo l’articolo in questa chiave si nota un obbligo di

copertura67, elemento che serve a garantire la competenza materiale

del procedimento per determinare un equilibrio finanziario: quindi tutti gli atti e tutti i nuovi titoli giuridici devono, prima anche dell’approvazione del Governo, fornire la copertura necessaria a non

peggiorare la situazione68. Negli anni sessanta, dopo la sentenza n.1

del 196669 dove la Corte tenta di dare un’interpretazione dell’art. 81,

65 A. PASSARO, op. cit., p. 63 66

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 218

67

Si traduce nel divieto di peggiorare l’equilibrio espresso dal bilancio votato; in presenza di un progetto di bilancio già presentato alle Camere, tale divieto è esteso anche a quel progetto;

cfr. http://ssai.interno.it/download/allegati1/quaderni_16.pdf

68 DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 220 69

L’interpretazione data dalla Corte Costituzionale si sviluppa su due punti: il primo che l'obbligo riguardi esclusivamente le leggi che, promulgate dopo l'approvazione del bilancio preventivo, ne alterino l'equilibrio e che tale obbligo abbia riferimento e debba essere osservato nei confronti di qualsiasi altra legge che immuti in materia di spese non già di fronte alla legge di bilancio, o non soltanto di fronte a questa, ma di fronte alla legislazione preesistente. Il secondo è quello conforme alla lettera e allo spirito della Costituzione, in quanto la limitazione della "copertura" al solo esercizio in corso si ridurrebbe ad una vanificazione dell'obbligo stesso, che invece, deve essere rispettato dal legislatore ordinario anche nei confronti di spese nuove o

(33)

33 diviene prevalentemente una lettura dell’obbligo di copertura che rimette a fuoco il rapporto tra legislazione sostanziale e legge di bilancio. Il punto fondamentale dell’analisi è mettere in evidenza l’obbligo di assolvere al reperimento dei mezzi di copertura nello stesso procedimento legislativo di spesa, che diventa attivo solo nel momento in cui vi sono poteri che sono conferiti alle Pubbliche Amministrazioni e che configurano come esercizio di attività dovuta: si evince così che l’obbligo di copertura scatta tutte le volte che la disposizione legislativa conferisce un potere alla P. A. determinando la

scelta del suo esercizio70. Fino al 1978 quindi tale obbligo viene

assolto in modo “puntuale e rigoroso”, con riferimento all’esercizio finanziario nel quale la legge entra in vigore o a quello successivo, se il

progetto di bilancio è stato già presentato al Parlamento71. È così

necessaria un’analisi della natura dei mezzi di copertura. Per quanto riguarda i mezzi esterni:

 Introduzione di nuovi tributi od oneri contributivi, oppure

l’inasprimento di quelli che già esistono;

 Il maggior gettito che deriva dalle entrate dei primi due titoli,

rispetto alle previsioni iniziali, sulla base della legislazione in vigore e dell’evoluzione dei rendimenti dei cespiti;

 L’accessione di debiti a medio-lungo termine (debito

patrimoniale);

maggiori che la legge prevede siano inserite negli stati di previsione della spesa di esercizi futuri. Si deve, quindi, ammettere la possibilità di ricorrere, nei confronti della copertura di spese future, oltre che ai mezzi consueti, anche alla previsione di maggiori entrate, tutte le volte che essa si dimostri sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale, in un equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare negli esercizi futuri, e non in contraddizione con le previsioni del Governo, quali risultano dalla relazione della situazione economica e dal programma di sviluppo del paese, sui quali punti la Corte costituzionale potrà portare il suo esame, nei limiti della sua competenza; cfr. http://ssai.interno.it/download/allegati1/quaderni_16.pdf

70

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 222

71

(34)

34 Questi sono classificati come esterni, perché si riferiscono a disponibilità che non sono state prese in considerazione nella definizione di un equilibrio determinato: esse si aggiungono a risorse

nuove che migliorano le previsioni di entrata72. Per quanto riguarda i

mezzi interni invece abbiamo:

 Utilizzo di specifiche risorse accantonate, in fondi speciali di

bilancio, a copertura di disegni di legge in discussione;

 La riduzione diretta di capitoli di spesa le cui dotazioni si sono

rivelate esuberanti;

 La riduzione di precedenti autorizzazioni legislative sostanziali

di spesa, con contestuale ridimensionamento di determinate linee d’intervento;

Questi mezzi sono classificati come interni in quanto fanno già parte di un equilibrio di bilancio: non aggiungono nuove risorse, ma

operano compensazioni tra diverse voci di spesa73.

Sempre parlando della riforma del 1978 che ha dato origine all’istituto della “legge finanziaria” è necessario fare ancora qualche precisazione, in quanto determina alcuni elementi di decisiva importanza dell’equilibrio complessivo dei conti statali, definiti da

alcuni studiosi come “necessari” ai fini della decisione di bilancio74:

 Determinazione del saldo netto da finanziare;

 Quantificazione delle risorse destinate alla copertura dei

provvedimenti che saranno approvati nel corso dell’anno, i cosiddetti “fondi speciali”;

 Quota annuale delle leggi pluriennali di spesa;

72

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 223

73

Ivi, p. 226

74

(35)

35 Con questi elementi la legge costituisce uno strumento normativo che compone il bilancio con una funzione integrativa e attuale dello stesso. Nonostante ciò il legislatore apre due questioni di necessaria importanza: la prima riguarda il contenuto, cioè il doppio confine tra le disposizioni della finanziaria e quelle della legge di bilancio e tra queste disposizioni e l’ordinamento giuridico. La seconda questione invece riguarda la copertura finanziaria che si realizza in relazione a un equilibrio che lei stessa contribuisce a creare, direttamente attraverso il “contenuto necessario” e indirettamente attraverso le

norme sostanziali che modificano l’equilibrio di bilancio75.

75

(36)

36

2.3: Le modifiche della legge 362/88 e la legge 196/2009

Con il tempo però la finanziaria diventa uno strumento di crescita della spesa e non di controllo sulla stessa; per questo negli anni successivi alla sua formazione la spesa cresce a dismisura, al punto che, è finanziata con l’aumento del debito pubblico e non con l’aumento del prelievo fiscale, portando il rapporto debito pubblico/PIL a superare il 100%. Viene così approvata la legge n. 362 del 1988, con l’obbiettivo di riportare la finanziaria alle sue origini e

rendendo più rigorosa la copertura delle nuove leggi76. Con la 362

tutti gli strumenti previsti (legge finanziaria, disegno di legge del bilancio e bilancio pluriennale) fanno riferimento al Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, un atto politico con cui l’Esecutivo espone al Parlamento le linee fondamentali della manovra economico-finanziaria di medio termine (triennale) e che costituisce probabilmente la più rilevante innovazione introdotta con la nuova legge. La programmazione non si basa più sul bilancio pluriennale programmatico bensì sul D.P.E.F. che deve essere presentato al Parlamento entro il 15 maggio di ogni anno, temporalmente prima che lo stesso Governo predisponga tutti gli altri documenti. Questi ultimi acquistano così la funzione di tradurre in disposizioni legislative

i programmi e le coordinate di fondo contenuti nel D.P.E.F.77. Il

bilancio pluriennale è conservato con la funzione di convertire, per il triennio, in valori aggregati di bilancio gli andamenti programmati a legislazione vigente. L’esperienza acquisita induce a limitare il contenuto di legge sostanziale alle sole variazioni quantitative proiettate per il triennio con efficacia immediata, ovvero quale limite per le scelte successive; le correzioni normative necessarie rifluiscono, a loro volta, in disegni di legge ordinaria collegati alla manovra della

76

G. VEGAS, op. cit., p. 144

77

(37)

37 finanza pubblica. La sessione autunnale è riordinata (artt. 1 e 2) nell’esame del bilancio a legislazione vigente annuale e triennale, per isolare gli andamenti tendenziali, e, successivamente, della legge finanziaria e dei ddl. collegati, operando ciascuno di questi strumenti all’attuazione degli obiettivi indicati nel D.P.E.F. In questa sequenza la decisione sull’indebitamento segue quella sulle entrate disponibili a legislazione vigente, contenuta nella legge di bilancio e che risulta da

quest’ultima condizionata78. Attraverso fasi specializzate e connesse si

tende dunque ad assicurare una regola di coerenza complessiva delle scelte attraverso il Documento di Programmazione che viene, poi, tradotta in termini di bilancio con le leggi e la finanziaria e da quest’ultima trasmessa alla legislazione ordinaria tramite la determinazione preliminare delle risorse e la loro ripartizione nei fondi speciali. La legge 362 struttura la formazione delle leggi di spesa in tre procedimenti relativi:

 alla quantificazione attendibile degli oneri;

 al riscontro rigoroso delle risorse di copertura;

 alla garanzia che la copertura dei fondi speciali sia

commisurata in coerenza con gli obiettivi programmati e, ad

ogni modo, non finanziata con deficit per la parte corrente79;

Si è stabilito che il Governo debba esplicitare per primo le proprie valutazioni, anche su testi di elaborazione parlamentare, per l’intreccio tra la sua responsabilità istituzionale nella formazione e applicazione delle leggi e il suo controllo, spesso esclusivo, dei dati di base necessari. Ma si è anche previsto che il Parlamento debba riscontrare a fondo tali valutazioni per la loro convalida o modifica,

78

DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 237

79

(38)

38 assumendosi proprie responsabilità nel contraddittorio con il

Governo80.

Successivamente nel 1997, la legge n. 9481 (Legge Ciampi) modifica la

struttura di bilancio, per renderlo più facilmente leggibile: si riduce il voto parlamentare, accorpando il numero delle unità elementari del bilancio, che passano all’unità di base, cercando di semplificare le tabelle di bilancio e offrendo un riferimento più diretto

all’amministrazione competente82 (approfondiremo questo

argomento nel successivo capitolo). La legge n. 362/88 ha consentito di perseguire gli obiettivi di risanamento della finanza pubblica resi necessari dalla situazione economica e poi dal trattato di Maastricht. Superato il momento di rigidità decisionale e dopo aver deciso di includere l’Italia tra i paesi partecipanti alla moneta unica europea, anche la legislazione contabile si avvia verso una situazione più tranquilla. L’elemento di novità è costituito dal fatto che la copertura della “finanziaria” risulta ottenuta con risorse preordinate in provvedimenti collegati: questo fino alla legge 208 del 1999. Questa ha eliminato dalla sessione di bilancio un rapporto di pregiudizialità

tra le misure organizzate dal Governo83: si includono misure di

80 DA EMPOLI – DE IONNA – VEGAS, op. cit., p. 238

81 Con la Legge cambia, prima di tutto, la struttura del bilancio poiché si prevede la

ripartizione delle entrate in: titoli, a seconda che siano di natura tributaria, extra tributaria o che provengano dall’alienazione e dall’ammortamento di beni patrimoniali, dalla riscossione di crediti o dall’accensione di prestiti; unità previsionali di base, stabilite in modo che a ciascuna attività corrisponda un unico centro di responsabilità amministrativa cui è affidata la relativa gestione; esse raggruppano aree omogenee di attività relative alle competenze istituzionali di ciascun Ministero; categorie, secondo la natura dei cespiti; capitoli, che non sono oggetto di approvazione parlamentare come in passato, distinguono le voci secondo il rispettivo oggetto (ai fini della rendicontazione);

cfr. http://www.rgs.tesoro.it/VERSIONE-I/La-Ragione/L-istituzione-della-ragioneria-generale-dello-stato.html

82 G. VEGAS, op. cit., p. 146 83

La Legge n. 208 del 1999 ha definito l'attuale assetto normativo introducendo alcune modifiche di rilievo al contenuto del DPEF e della legge finanziaria e rimodulando i termini di presentazione dei documenti di programmazione

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