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Panoramica sui farmaci antivirali utilizzati per la cura e la profilassi delle infezioni virali piu comuni

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Academic year: 2021

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A mio padre e a mia madre

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INDICE

1. INTRODUZIONE 5

1.1. Il virus 5

1.2. Anatomia dei virus 5

1.3. Ciclo replicativo virale 7

2. FARAMACI ANTIVIRALI 13

2.1. Classificazione 13

3. HCV 15

3.1. HCV 15

3.2. Diffusione di HCV 16

3.3. Infezione acuta e cronica 16

3.4. Terapia 19 3.4.1. Interferone (IFN) 19 3.4.2. Ribavirina 22 3.4.3. DAAs 25 4. HBV 31 4.1. HBV 31 4.2. Diffusione di HBV 32

4.3. Infezione acuta e cronica 33

4.4. Terapia 36

4.4.1. Interferone (IFN) 36

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4.4.4. Tenofovir 39 4.4.5. Telbivudina 40 4.4.6. Emtricitabina 40 4.4.7. Entecavir 41 5. HERPES VIRUS 42 5.1. Classificazione 42 5.2. HSV-1 e HSV-2 42 5.3. VZV 44 5.4. HCMV 44 5.5. HHV-6 45 5.6. EBV e KSHV (HHV-8) 45 5.7. Terapia 46

5.7.1. Iodoxuridina, Trifluoridina e Brivudina 46

5.7.2. Acyclovir 47 5.7.3. Valaciclovir 48 5.7.4. Penciclovir e Famciclovir 48 5.7.5 Ganciclovir e Valganciclovir 48 5.7.6. Cidofovir 49 5.7.7. Foscarnet 49

5.8. Recenti progressi nella terapia 50

5.8.1. Nuovi analoghi nucleosidici (Brincidofovir, Valomaciclovir, FV-

100 50

5.8.2. Inibitori elicasi-primasi (Amenamevir, Pritelivir) 51

5.8.3. Altre molecole (Tenofovir) 52

6. ORTHOMYXOVIRUS o VIRUS INFLUENZALE 53

6.1. Virus dell’influenza 53

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6.3. Profilassi e terapia 59

6.3.1. Inibitori della neuramminidasi 60

6.3.2. Inibitori della proteina transmembrana M2 63

6.3.3. Nuovi target farmacologici 66

7. HIV: HUMAN IMMUNODEFICIENCY VIRUS 68

7.1. Storia del virus 68

7.2. HIV 68 7.3. Diffusione di HIV 72 7.4. Terapia 73 7.4.1. Zidovudina (AZT) 73 7.4.2. Lamivudina (3TC) 74 7.4.3. Stavudina 75 7.4.4. Tenofovir 75

7.4.5. CRIs (CO-receptors Inhibitors) 76

7.4.6. HAART 77 8. NUOVI APPROCCI 79 8.1. Il sistema EVAC 79 9. CONCLUSIONI 81 10. BIBLIOGRAFIA 82 11. RINGRAZIAMENTI 94

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1. INTRODUZIONE 1.1. Il virus

Un virus (dal latino virus, veleno) è una piccola struttura cellulare (da 18 a 300 nanometri), molto semplice, che non riesce a replicarsi autonomamente, quindi può essere considerato un parassita [1]. Il virus necessita di una cellula ospite, in cui penetra e ne sfrutta le strutture in modo da duplicare il proprio materiale genetico, costituito da un filamento di DNA o di RNA. La cellula ospite risulta pertanto contaminata, infettata appunto, ed il suo genoma alterato.

Fig.1 Batteriofago T4. É tra i fagi più grandi e codifica per circa 200 geni. É un virus a doppio filamento di DNA (dsDNA) che infetta E. coli. T4 è stato ampiamente studiato ed ha una ricca storia nel progresso della genetica (Moh Lan Yap and Michael G. Rossmann).

1.2. Anatomia dei virus

Un virus è costituito dal materiale genetico rivestito da un involucro proteico, detto capside, che lo protegge e ne conferisce forma e stabilità.

Il capside è costituito dalla ripetizione di subunità proteiche dette capsomeri, a loro volta formati da due o più proteine.

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Il tutto è tenuto insieme da interazioni: - proteina-proteina

- proteina-dna o rna - proteina-lipidi

Le interazioni proteina-DNA o RNA determinano la formazione di una struttura detta core. L’insieme di acido nucleico e capside viene definito nucleocapside.

Il capside virale può presentare conformazioni di diverso tipo (Fig.2):

- icosaedrica o poliedrica: i monomeri si uniscono regolarmente formando pentoni o esoni, che legandosi originano un icosaedro (esempio: fago T4)

- elicoidale o bastoncellare: i monomeri si dispongono a spirale intorno ad un asse come a formare un cilindro cavo che racchiude il genoma (esempio: Poxvirus)

- forme complesse: presentano struttura mista ed asimmetrica (esempio: HIV)

Fig.2 Geometrie del capside

Alcuni virus vengono detti “rivestiti” [2] (Fig.3) perchè, uscendo dalla cellula (a seguito della replicazione), si portano dietro uno strato di fosfolipidi, polisaccaridi e glicoproteine derivanti dalla membrana plasmatica, che viene chiamato envelope o pericapside, al di sotto del quale si trovano anche proteine strutturali di matrice o proteine M.

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I virus che possiedono solamente il capside vengono detti “nudi” [2] (Fig.3) e presentano sul capside stesso proteine recettoriali, dette spicule o spikes, che gli permettono di legarsi all’ospite. Per formare una particella completa, chiamata virione, il virus necessita di alcuni enzimi fondamentali come la polimerasi, la integrasi o la trascrittasi inversa (se si tratta di un retrovirus).

Alcuni virus possono presentare altri elementi distintivi, come una coda proteica o strutture molecolari specializzate per inserire il genoma nell’ospite.

Tutti però mancano di strutture specifiche come i ribosomi o di meccanismi metabolici per produrre ATP. Tutto ciò fa del virus una struttura non autosufficiente ed è per questo che sono parassiti obbligati.

Fig.3 Virus nudo e rivestito

1.3. Ciclo replicativo virale

Una volta all’interno dell’ospite, un virus perde la sua struttura base ed assume il controllo delle attività biosintetiche cellulari, allo scopo di generare nuovi virioni e quindi di replicarsi. Il genoma, una volta all’interno dell’ospite è detto provirus.

Il ciclo replicativo (Fig.4) del virus prevede diverse fasi [2,3]:

1) ADSORBIMENTO: detto anche attacco, consiste nella fase di riconoscimento specifico tra anti-recettore virale ed il recettore cellulare. E’ un passaggio indispensabile affinché il virus penetri all'interno della cellula ospite. Gli anti-recettori virali possono legarsi a molecole di diverso tipo, quali proteine, carboidrati e lipidi. A seconda che sia un recettore specifico o aspecifico, il virus può andare ad infettare

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determinati tessuti. Alcuni esempi di recettore sono immunoglobuline, immunoglobuline-like, canali transmembrana (Fig.5).

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2) PENETRAZIONE: è il processo di ingresso del virus, che può avvenire per fusione o per endocitosi in base alla presenza o meno del pericapside. Un virus rivestito necessita infatti di fondere la propria membrana con quella della cellula ospite, attraverso l’ausilio di proteine virali di fusione (comuni nel virus dell’influenza), mentre nel caso di virus privi di envelope, si verifica il meccanismo pù comune, ossia quello di internalizzazione di vescicole rivestite a livello della membrane celluare (Fig.6). Il processo non necessita di proteine di fusione.

Fig.6 Meccanismi di penetrazione: fusione ed endocitosi

3) SPOLIAZIONE: è l’evento che segue l’entrata del virus nella cellula ospite, attraverso il quale il genoma virale si separa dalla capsula proteica che lo riveste (se presente) e libera il materiale genetico grazie alle proteasi cellulari o agli enzimi lisosomiali. Nel virus influenzale questa fase è determinata dal canale ionico M2 che promuove l’acidificazione del vacuolo ed il distacco delle componenti del pericapside (Fig.7).

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Fig.7 Spoliazione del virus dell’influenza

4) REPLICAZIONE: processo che varia secondo il tipo di virus, ovvero in base alla classificazione di Baltimore [4](Fig.8). Si tratta della classificazione dei virus proposta dal biologo David Baltimore (premio Nobel per la medicina nel 1975) basata sulla natura e sulla polarità dei genomi virali. I vari gruppi di virus vengono suddivisi in famiglie a seconda della natura del loro genoma (sia esso DNA o RNA, a singolo o a doppio filamento) e del tipo di replicazione (Fig.9). Questo tipo di classificazione quindi, permette, oltre che di distinguere il virus dalle proprie caratteristiche genetiche, di poterne identificare il metodo e le vie di replicazione.

Classe I: Virus a DNA a doppio filamento. Questi virus necessitano di utilizzare la RNA polimerasi cellulare, quindi per replicarsi devono trovarsi nel nucleo di una cellula in attiva replicazione (esempio: Herpesviridae)

Classe II: Virus a DNA a singolo filamento. Sono per lo più genomi circolari, e solitamente il ciclo di replicazione passa attraverso un intermedio a doppio filamento (esempio: Parvoviridae).

Classe III: Virus a RNA a doppio filamento. Questi virus replicano nel citoplasma e generalmente non necessitano della polimerasi dell'ospite (esempio: Reoviridae). Classe IV e V: Virus a RNA a singolo filamento rispettivamente a senso positivo e negativo. Come gli altri virus ad RNA, questi sono meno dipendenti dal ciclo cellulare dell'ospite (esempi: Picornaviridae, Hepadnaviridae).

Classe VI: Virus a RNA a singolo filamento a senso positivo con intermedio DNA. Utilizzano la trascrittasi inversa per tradurre il loro genoma ad RNA in un intermedio a DNA che viene replicato nel nucleo

cellulare (esempio: Retroviridae).

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intermedio ad RNA ed utilizzano la trascrittasi inversa per ritradurlo in DNA (esempio: Hepadnaviridae).

Fig.8 Classificazione di Baltimore

Fig.9 Meccanismi di replicazione in base al tipo di genoma virale

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5) MATURAZIONE: è lo stato che consente al virus di essere infettivo. Prevede cambiamenti strutturali e conformazionali, in cui sono coinvolte principalmente le polimerasi virali. Durante questa fase tutti i componenti necessari alla formazione del virione vengono assemblati.

6) LIBERAZIONE: è il passaggio terminale grazie al quale il virione maturo esce dalla cellula ospite. La maggior parte dei virus privi di pericapside compiono un ciclo litico, cioè dopo essersi riprodotti vanno incontro a lisi, liberando la progenie. Un virus di questo tipo viene definito virulento. Per i virus con pericapside che compiono un ciclo lisogeno invece, cioè inseriscono il proprio acido nucleico nel genoma della cellula ospite, la liberazione avviene per esocitosi o gemmazione [5] (Fig.10).

Fig.10 Esempio di liberazione per gemmazione (a) e per esocitosi (b)

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2. FARMACI ANTIVIRALI: 2.1. Classificazione

Un farmaco antivirale ha l’obiettivo di attaccare selettivamente la struttura virale senza danneggiare l’ospite.

Per fare questo, teoricamente ogni stadio del ciclo vitale virale sarebbe un possibile bersaglio (Fig.11):

- attacco (impediscono l’attacco tra proteine e recettore cellulare) - decapsidazione o uncoating

- integrazione del genoma - coating virale

- formazione di nuove particelle virali

Fig.11 Fasi bersaglio dei farmaci antivirali

Di fatto, distinguere i processi virali da quelli cellulari non è così semplice. Quindi la tossicità nei confronti del virus potrebbe essere equivalente a quella verso la cellula ospite. Per questo motive bisogna valutare per ogni farmaco il suo indice terapeutico (IT):

I.T. : dose tossica 50% dose efficace 50%

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Inoltre, l’azione di un antivirale, per quanto questo sia efficace, può essere limitata

dall’instaurarsi di resistenze, specialmente in pazienti affetti da infezione cronica, a seguito di ripetute e durature terapie.

In certi casi dunque, è il farmaco stesso ad indurre il fenomeno di resistenza, in relazione alla mutazione del virus.

I farmaci utilizzati per la chemioterapia antivirale sono sia antivirali veri e propri, sia sostanze mirate all’immunostimolazione dei soggetti colpiti. Di rilevante importanza risultano le associazioni di entrambe le categorie.

I farmaci antivirali si distinguono in:

- Inibitori enzimatici analoghi dei nucleosidi e dei nucleotidi: bloccano selettivamente specifiche attività enzimatiche per la replicazione virale. Esempi: Iododesossiuridina (IDU), Trifluorotimidina (TFT), Vidarabina (Ara-A), Acyclovir (ACV), Ganciclovir, Penciclovir, Lamivudina, Ribavirina, Cidofovir.

- Inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa: subiscono il processo di attivazione tramite fosforilazione, sono quindi riconosciuti come nucleotidi normali dalla trascrittasi inversa del virus e vengono inseriti al posto dei nucleosidi nella catena di DNA virale in formazione, determinando il danno cellulare. Esempi: Zidovudina (AZT).

- Inibitori della proteasi: il bersaglio è rappresentato dai processi post-traduttivi che portano alla sintesi delle singole proteine virali, essenziali per il proseguimento della replicazione e per la maturazione. Sono tutti inibitori peptidomimetici.

Mimando il substrato inibiscono l’azione dell’enzima (proteasi HIV, HCV) mediante un meccanismo di tipo competitivo. Esempi: Saquinavir (Fortovase®), Ritornavir (Norvir®).

- Altri tipi di farmaci antivirali: sono per lo più inibitori della fusione e dell’un-coating. Esempi: Amantadina, Rimantadina.

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3. HCV 3.1. HCV

É un agente infettivo che fa parte della famiglia dei Flaviviridae, nello specifico è un Hepacivirus, ed è causa di epatite C (dal greco hepato, fegato, e itis, infiammazione). É un virus epatico (Fig.12a) propriamente detto, scoperto nel 1989 e inizialmente definito come “non A non B” (NANB) [6].

Fig.12a Virus HCV

Da allora sono state identificate 6 varianti virali (da 1 a 6) che differiscono per il loro genotipo e 90 sottotipi (a, b, c, ecc.). Il genotipo 1 è il più diffuso nel mondo, nonché il più resistente e più difficile da trattare, insieme al 4. In particolare l’1b è il più comune in Europa, tanto da rappresentare circa il 66% dei casi totali, senza considerare che l’infezione da HCV è attualmente in aumento.

Solo in Italia, nei soggetti affetti da HCV, il 51% ha contratto il genotipo 1b. [7]

Il virus attacca il fegato, causando la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica) che vengono sostituite da nuovo tessuto cicatriziale. Si tratta di un danno funzionale e strutturale molto grave che induce un processo di fibrosi epatica con conseguente compromissione dell’attività dell’organo. La malattia può evolvere in cirrosi epatica, tumore e morte (Fig.12b).

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3.2. Diffusione di HCV

In Italia il diffondersi della malattia ha raggiunto livelli molto alti tra gli anni ’60 e la metà degli anni ’80, per poi diminuire con il miglioramento dei livelli igienico-sanitari (in special modo durante le trasfusioni).

Oggi il virus si trasmette per lo più tramite la tossicodipendenza, trattamenti estetici, tatuaggi e piercing effettuati con materiali non sterili. Si pensa che almeno il 3% della popolazione italiana sia venuto in contatto con il virus, di cui 1.000.000 sono portatori cronici del virus. [7]

Molti di questi soggetti sono deceduti, molti altri ancora lottano contro le patologie che ne scaturisce (cirrosi, tumore, ecc.), altri hanno risolto l’infezione, ma molti ancora non sanno di essere infetti.

Dalle ultime stime, l’epatite C in Italia causa principalmente [7]: 1. epatiti croniche

2. cirrosi

3. epatocarcinoma

4. decessi nei malati co-infetti da HIV

HCV può per questi motivi considerarsi responsabile del maggior numero di decessi tra le malattie infettive trasmissibili.

Il nostro paese presenta il più alto tasso di soggetti infetti da HCV ed è tra i primi posti per i trapianti di fegato. A livello globale, la World Health Organization (WHO) ha stimato che 130-150 milioni sono i soggetti infetti da HCV cronica, di cui molti sviluppano cirrosi o epatocarcinoma. Sono approssimativamente 700,000 i casi di decesso che si registrano ogni anno a causa delle malattie croniche a carico del fegato. I farmaci antivirali possono curare circa il 90% dei soggetti affetti da epatite C, al fine di ridurre lo sviluppo di cirrosi e tumori al fegato. Tuttavia l’accesso alla terapia è limitato ai casi più gravi [8].

3.3. Infezione acuta e cronica

I meccanismi infettivi di questo virus, che ha un’elevata patogenicità, ad oggi non sono del tutto chiariti. Un fattore limitante nella piena comprensione di questi processi è la mancanza di sistemi di coltura adeguati. Attualmente ci si basa per lo più su modelli in vitro o su virus surrogati.

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avere un ruolo di mediazione nell’interazione del virus con queste glicoproteine, nonostante non ci siano prove sufficienti per confermare che il loro legame tra queste strutture porti ad un’infezione produttiva [10].

Dopo l’endocitosi mediata da recettori, l’envelope si fonde con la membrane della cellula ospite grazie ad un meccanismo pH dipendente [11] e rilascia l’RNA nel citoplasma. Qui la proteina p7, appartenente alla famiglia delle viroporine, gioca un ruolo molto importante in quanto forma un canale ionico indispensabile al rilascio del genoma nel citoplasma dell’ospite [12]. A rilascio avvenuto, la subunità 40s del ribosoma inizia la sintesi di nuove proteine virali, in particolare grazie al legame dell’mRNA con il sito IRES (Internal Ribosome Entry Site) [13]. Il microscopio elettronico, la cristallizzazione a raggi X e la risonanza magnetica nucleare hanno stabilito la vera struttura 3D di questo sito, e rappresenta quindi un possibile bersaglio per la progettazione di farmaci antivirali.

E’ noto che l’entrata di un agente estraneo nel nostro organismo, quale ad esempio un virus, attiva il nostro sistema immunitario, che lo riconosce come molecola non-self (o antigene) [14] e risponde in modo sia aspecifico, che specifico. Infatti in base al tipo di risposta possiamo parlare di sistema immunitario innato e acquisito (o adattativo).

La risposta innata si attiva grazie al riconoscimento degli agenti esterni da parte dei recettori per il riconoscimento dei profili (Pattern Recognition Receptors, PRR) [15]. Questo meccanismo è del tutto aspecifico [14], quindi non conferisce immunità duratura verso quell’organismo potenzialmente patogeno. Esempi di risposta innata sono l’infiammazione, il sistema del complemento, i leucociti [16].

La risposta del sistema immunitario acquisito è antigene-specifica, ovvero richiede il riconoscimento degli agenti non-self attraverso un processo di presentazione dell’antigene [17] che genera risposte specifiche per ogni agente patogeno. Questo avviene grazie a cellule particolari dette cellule di memoria, che sono per lo più cellule della linea linfoide (serie T e B) [18].

L’infezione virale acuta innesca una risposta immunitaria aspecifica che coinvolge soprattutto gli interferoni (IFN) e le cellule natural killer (NK) [19], ma non in quantità tali da arginare l’infezione. In particolare, i dati rilevati in relazione all’infezione da HCV hanno dimostrato che questo tipo di virus altera le difese dell’ospite, in particolar modo l’immunità innata, facilitando l’insorgere dell’infezione cronica. Un esempio è fornito dal legame tra E2 e CD8 che inibisce non solo la proliferazione delle cellule NK, ma anche la

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loro capacità di produrre IFN dopo essere state attivate [20].

Gli anticorpi sono anti-HVR1, ovvero per la regione ipervariabile 1 della glicoproteina E2. Le scoperte più recenti suggeriscono che anche le infezioni persistenti conservano le proprietà chimico-fisiche e conformazionali di questa struttura [21].

Gli anticorpi dell’epatite C si rilevano da 7 a 31 settimane dopo l’infezione, ma la malattia ha per lo più un decorso asintomatico, anche per anni. A seguito della fase asintomatica, può avvenire un episodio acuto, caratterizzato da ittero, dolore al fianco destro, malessere e stanchezza. Allo stesso tempo si registra un picco delle transaminasi e si diviene positivi a HCV-RNA.

La fase acuta è seguita da quella remissiva, che però non è sempre risolutiva. Infatti il virus può ripresentarsi anche dopo alcune settimane. Dopo un periodo di circa 6 mesi/1 anno si può constatare la guarigione, con conseguente scomparsa di HCV-RNA e rientro a valori normali delle transaminasi, in particolare di alanina ammino transferasi (ALT), che rappresenta uno tra i primi segnali di infezione. Gli anticorpi anti-HCV possono rimanere per tutta la vita (Fig.13).

Fig.13 Infezione acuta e risoluzione: nel grafico si nota come nei sei mesi che caratterizzano la fase acuta ci sia un picco dei valori di HVC-RNA e ALT. Mano a mano che ci si avvia verso la risoluzione dell’infezione questi valori rientrano mentre quelli degli anticorpi anti-HCV salgono, quale indice di guarigione.

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Anche il meccanismo che provoca lesioni infiammatorie croniche a carico del fegato non è ben noto. L’unica lesione attribuita al virus è la steatosi [22]. Solamente l’immunodepressione ha dimostrato essere direttamente responsabile di un danno epatico più grave come conseguenza di un alto livello di replicazione virale [23]. I danni principali della forma virale cronica sono rappresentati dall’infiltrazione linfoide (soprattutto linfociti CD4 e CD8), dalle lesioni lobulari e dalla necrosi degli epatociti [24]. La fibrosi è la complicazione maggiore nei casi di epatite C, nonchè la causa principale di mortalità dei soggetti infetti. Il tessuto è soggetto a significativo aumento di collagene (ed altre componenti della matrice) in un processo detto fibrogenesi che induce la formazione di setti fibrosi e conseguente distruzione del tessuto epatico. É proprio l’infezione ed il processo infiammatorio a cui è soggetto l’organo che porta alla produzione delle componenti della matrice extracellulare [25]. Da tener presente che molti fattori esogeni quali il consumo moderato o cronico di alcool, la co-infezione da virus HIV, il diabete e l’obesità influisconono sull’immunodepressione del soggetto e ne aggravano il quadro clinico. L’ultimo stadio a cui porta l’epatite di tipo C è il carcinoma epatocellulare. Sia la cirrosi che i fattori esogeni possono contribuire all’insorgere di questa forma tumorale. Inoltre, anche le proteine del core NS3-4A e NS5B in collaborazione con fattori oncogeni, possono trasformare alcune linee cellulari [26].

L’epatite cronica (Fig.14) è accompagnata spesso da malessere persistente, dolori muscolari, annebbiamento mentale, ed in alcuni casi depressione ed ansia.

Chi va in corso a cronicizzazione, sono solitamente i soggetti più anziani che presumibilmente hanno contratto la malattia in passato a causa della scarsa igiene applicata durante le trasfusioni di sangue.

Fig.14 Infezione cronica: dal grafico si nota che, superati i sei mesi caratteristici dell’infezione acuta, sia i valori di HCV-RNA che di ALT permangono nel siero, anche per anni.

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3.4. Terapia

Attualmente si cerca, non solo di eliminare l’infezione, ma anche di limitarne i sintomi e di prevenirne le complicanze (cirrosi, epatocarcinoma).

La chemioterapia più utilizzata prevede l’associazione di Interferone pegilato e Ribavirina [27]. Si tratta di un’associazione tra farmaci appartenenti a due classi distinte: un antivirale ed un immunostimolante.

Entrambi sono stati definiti “molecule of all seasons” [28].

3.4.1. Interferone (IFN)

L’interferone (Fig.15), meglio detto sistema interferone, è un importante meccanismo aspecifico indotto soprattutto da infezioni virali. É costutito da un’insieme di proteine che una volta secrete si legano alle cellule e ne inducono diversi effetti biologici, come quello antivirale.

Fig.15 Interferone

L’IFN è stato scoperto da Isaac e Lindenmann nel 1957 [29] (deve il suo nome all’interferenza che esplica nei confronti del virus) attraverso uno studio di cellule in coltura infette dal virus dell’influenza inattivato. Si notò che queste cellule rilasciavano un fattore solubile che le rendeva resistenti al virus, sia a DNA che ad RNA. I mammiferi producono tre tipi di IFN che differiscono per struttura, azione e meccanismo di produzione. Ognuno esercita il proprio ruolo in modo distinto:

- IFN α: detto anche IFN leucocitario, perchè prodotto dalla serie bianca del sangue, i leucociti. Può essere indotto da virus, da batteri e cellule tumorali a seguito dell’interazione di questi ultimi con la membrana cellulare, senza bisogno di essere internalizzati. Il contatto con cellule infette ne induce una produzione ancora maggiore. É un fattore che protegge i leucociti dalle infezioni e che aumenta l’efficacia delle barriere naturali (ematoencefalica ed ematopolmonare). Viene somministrato per via intramuscolare, quindi raggiunge il torrente circolatorio, dove presenta livelli

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- IFN β: detto anche IFN fibroblastico perchè prodotto dalle cellule del tessuto connettivo e delle mucose. É stato il primo tipo di IFN ad essere stato scoperto. É indotto molto rapidamente (entro 30 secondi dal contatto con il virus) ma ha bisogno che il virus sia internalizzato perchè è sensibile all’esposizione del materiale genetico virale. L’IFN β non si diffonde nei tessuti, ma permane nel sito in cui è stato prodotto. Se somministrato per via intramuscolo presenta livelli plasmatici molto bassi. La sua azione non è dunque quella di proteggere i tessuti, ma di circoscrivere l’infezione controllando la replicazione del virus.

- IFN γ: è prodotto dai linfociti T a seguito di uno stimolo antigenico. Nello specifico è indotto da un’ossidazione dei residui di galattosio dei macrofagi, i quali liberano mediatori solubili e attivano un flusso di ioni Ca++ attraverso la membrana del linfocita. L’IFN γ si attiva più lentamente ed ha un potenziale antivirale inferiore rispetto ad α e β, ma può agire in modo sinergico potenziandone l’attività. IFN γ stimola inoltre la funzione dei macrofagi attivando il Macrophage Activating Factor (MAF).

Una volta indotti, gli IFN devono legarsi a recettori specifici posti sulla cellula bersaglio (ormoni, lipoproteine, anticorpi, tossine o virus). Questo legame induce la cellula sia ad esprimere i geni per le proteine effettrici, sia ad attivare precursori già presenti in forma inattiva. Grazie a questi processi metabolici a cascata viene esplicata l’azione antivirale e/o antiutmorale [30].

Gli IFN hanno trovato largo impiego non non solo nelle infezioni virali ma anche, ad esempio, nella sclerosi multipla (MS) [31].

I molteplici effetti benefici, sono affiancati da ben noti effetti indesiderati, che nel 10% dei soggetti in terapia determina l’abbandono del trattamento: si può avere la comparsa nel 90% dei casi di sindrome febbrile simil influenzale caratterizzata da aumento della temperatura (39-40°C), cefalea, astenia, anoressia e artromialgie. Questi disturbi si attenuano con il proseguire della terapia e sono trattabili con Paracetamolo. Tuttavia, possono aggiungersi altre manifestazioni, quali nausea, vomito, diarrea, aritmia, sonnolenza e confusione mentale. Le proprietà mielosoppressive degli IFN possono causare inoltre leucopenia e piastrinopenia. Sono stati osservati anche distiroidismi, neuropatie periferiche e proteinuria. Alcune analogie con la struttura ormonale polipeptidica fa si che gli IFN si possano legare agli stessi recettori delle sostanze ormonali o dei neurotrasmettitori (ACTH e adrenalina ad esempio) determinando effetti simili [32].

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3.4.2. Ribavirina

Conosciuta anche come Virazolo (1-β-D-ribofuranosil-1,2,4-triazol-3-carbossiammide, (Fig.16), è stato il primo analogo nucleosidico sintetico (1972) della guanosina, attivo nei confronti di molti virus a DNA e ad RNA [33].

Fig.16 Ribavirina

É stata approvata nel 1985 per il trattamento del Virus Respiratorio Sinciziale (RSV) sotto forma di aerosol, ed è utilizzata off-label nella cura della febbre di Lassa. Il meccanismo virustatico della Ribavirina è differente a seconda del virus a cui è diretta. Possiamo distinguere cinque meccanismi distinti, classificabili in:

- diretti

1) inibizione della polimerasi, 2) interferenza con l’RNA

3) azioni mutageniche e teratogene

- indiretti

4) inibizione dell’inosina monofosfato deidrogenasi 5) effetti immunomodulatori

Tutti questi meccanismi fanno di Ribavirina una molecola che non ha solamente effetti antivirali, ma bensì immunosoppressivi e antitumorali.

La forma monofosfato del farmaco inibisce un enzima chiave nella biosintesi del GTP, che è l’inosina monofosfato deidrogenasi, determinando un’alterazione della composizione del pool nucleotidico. Il suo meccanismo d’azione principale (Fig.17) si basa dunque sull’interferenza nel meccanismo di conversione dell’IMP in XMP per la biosintesi di GMP, GDP e GTP.

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Fig.17 Meccanismo d’azione della Ribavirina

Il farmaco è stato approvato per la cura dell’epatite cronica C in associazione con Interferone pegilato. Le combinazioni di agenti antivirali sono spesso alla base della cura di malattie infettive croniche, allo scopo di migliorare i tassi di risposta e ridurre al minimo la resistenza ai farmaci. La terapia standard prevede Peg-Interferone alfa-2b (alla dose di 1.5 µg/kg/settimana) oppure Peg-Interferone alfa-2a (180 µg/settimana in dose fissa) e Ribavirina 15mg/Kg al giorno per i soggetti infetti da genotipi 1 e 4 o 800mg/die in dose fissa per i soggetti infetti da genotipi 2 e 3 (bassa risposta al trattamento) [34].

La Ribavirina è ben assorbita per via orale ed è in genere somministrata in dosi da 1.000 a 1.200 mg/die. Studi randomizzati con placebo condotti su oltre 150 pazienti hanno dimostrato che il trattamento con Ribavirina per un periodo che varia da 24 a 48 settimane ha prodotto una significativa riduzione dei livelli sierici di alanina amminotransferasi (ALT) durante la terapia. Tuttavia, la terapia con sola Ribavirina non ha portato ad una sostanziale riduzione dei livelli di HCV-RNA. Quasi tutti i pazienti sono rimasti viremici, con livelli sierici di ALT aumentati dopo l’interruzione del trattamento. L'evento avverso più comune era una moderata e reversibile emolisi che causava una diminuzione dell'emoglobina dal 10% al 20% rispetto ai livelli basali. La terapia combinata

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somministrata tre volte alla settimana per 6 mesi ha dimostrato, sia in studi pilota che in studi randomizzati, di poter migliorare significativamente i tassi di risposta biochimica e virologica sostenuta rispetto al solo Interferone. La terapia combinata è superiore alla terapia con il solo IFNα, come è stato dimostrato dalla risposta biochimica e da quella virologica, ma la combinazione presenta superiorità netta solo nei pazienti con profili sfavorevoli per una risposta all'Interferone, in particolare i pazienti con livelli elevati di HCV-RNA. (EPATOLOGIA 1997; 26. Suppl. 1. 108S-111S).

Il principale effetto avverso indotto da Ribavirina è l’emolisi, accompagnata da altri sintomi aspecifici quali stanchezza, depressione, insonnia, vertigini, anoressia, nausea, congestione nasale e prurito.

Negli ultimi anni l’esigenza di un trattamento meglio tollerato e più efficace ha stimolato la ricerca verso la sintesi di nuovi farmaci [35]. Gli sforzi compiuti sono stati indirizzati verso nuovi targets farmacologici, tra cui alcune proteine non strutturali ma essenziali per la replicazione del virus, come la serina proteasi NS3/4A e la proteina RNA polimerasi RNA dipendente (RdRp) NS5B.

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Il genoma di HCV è costituito da due regioni non codificanti e da una codificante una poliproteina. Le proteasi virali e cellulari scindono la poliproteina in proteine più piccole (Fig.18), ciascuna con una funzione specifica: le glicoproteine E1 e E2 che costituiscono il pericapside e conferiscono la variabilità genetica, la proteina C che costituisce il nucleocapside, le due proteine transmembrana NS1 e NS2, la proteasi (ed elicasi) NS3 ed i relativi co-fattori NS4A e NS4B, la proteina di resistenza agli IFN e la polimerasi virale NS5B [36].

La proteina non strutturale NS3, detta anche p-70 (70KDa) agisce come una serina proteasi scindendo i legami peptidici delle proteine, dove l’amminoacido serina agisce da nucleofilo nel sito attivo dell’enzima [37].

Insieme al co-fattore NS4A forma il complesso proteico NS3-4A che media la proteolisi di HCV, processo indispensabile per la replicazione [38]. I farmaci NS3/4A inibitori sono tra i più studiati.

Negli ultimi 5 anni, questo tipo di inibitori ha coadiuvato la terapia a base di Peg-IFN e Ribavirina. Più recentemente, tutte quelle terapie di associazione con NS3/4A inibitori che presentavano una percentuale di guarigione superiore al 90% hanno eliminato l’IFN. Ad oggi la terapia prevede diverse combinazioni di NS3/4A e NS5B inibitori, meglio conosciuti come Directly Acting Antivirals (DAAs) [39].

3.4.3. DAAs

I DAAs si suddividono in tre gruppi:

1) inibitori della proteasi virale NS3/4A (terminano in -previr) 2) inibitori della proteina NS5B RdRp (terminano in -buvir) 3) inibitori della proteina NS5A (terminano in -asvir)

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Boceprevir (Victrelis®): fa parte della prima generazione degli inibitori della proteasi NS3/4A in associazione alla terapia standard. In particolare, si lega al sito attivo della proteina non strutturale NS3. É stato approvato dall’FDA nel maggio 2011 [40]. (Fig.19)

Fig.19 Boceprevir

Telaprevir (Incivo®): come Boceprevir fa parte della prima generazione di inibitori della proteasi NS3/4A. É stato approvato per l'impiego in associazione con la terapia standard (Peg-IFNα e Ribavirina) per il

trattamento dei pazienti adulti affetti da epatite C cronica di genotipo 1, che rappresenta il 60% delle infezioni globali. Il farmaco è disponibile dall'aprile 2013 (Fig.20).

Fig.20 Telaprevir

Studi clinici di fase III hanno dimostrato che un regime a base di Telaprevir su 2.290 pazienti è più efficace rispetto al solo trattamento standard, anche se è possibile la comparsa di più effetti collaterali (in particolare la comparsa di eruzioni cutanee anche gravi e di un fastidio ano-rettale) nella maggior parte dei casi gestibili con un attento monitoraggio del paziente e opportuni aggiustamenti di dose della Ribavirina [41].

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Sofosbuvir (SOF; Sovaldi®): é un analogo nucleotidico che agisce da terminatore di catena durante la replicazione, inibendo la NS5B polimerasi. Il suo spettro d’azione comprende tutti i genotipi e non induce fenomeni di resistenza. É somministrato una volta al giorno con buona tollerabilità, senza manifestare interferenze con altre sostanze [42]. Non può essere somministrato da solo ma in associazione con Ribavirina (Fig.21).

Fig.21 Sofosbuvir

Simeprevir (SMV; Olysio®): fa parte della seconda generazione di inibitori della proteasi NS3/4A e mostra effetti prevalentemente sui genotipi 4 e 6. É stato approvato per uso orale in dose unica da 150mg (anche in combinazioni con Sofosbuvir da 400mg) per il trattamento delle infezioni da genotipo 1a e 1b per le quali è stata registrata una risposta virologica sostenuta maggiore del 90% dopo 12 settimane ditrattamento (2014). Non può essere somministrato da solo ma in associazione con Ribavirina (Fi g.22) [43].

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Daclatasvir (DCV; Daklinza®): è un inibitore della proteina NS5A che presenta buona attività verso i genotipi 1, 3 e 4. Simeprevir è somministrato una volta al giorno in associazione con la terapia standard nel trattamento dei soggetti affetti da epatite C cronica che presentano scompensi epatici, come la cirrosi ad esempio, o la co-infezione da HIV in cui L’IFN non ha mostrato risultati evidenti.

Come gli altri antivirali di nuova generazione, inibisce direttamente la replicazione. Daclatasvir è stato il primo inibitore autorizzato dall'Unione Europea e assunto in combinazione con altri DAAs, garantisce una durata di trattamento più breve

.

In combinazione con Sofosbuvir, costituisce un regime orale interferone-free che negli studi clinici ha fornito tassi di guarigione fino al 100%, inclusi i pazienti con malattia epatica avanzata, nel genotipo 3 [44]. Non può essere somministrato da solo ma in associazione con Ribavirina (Fig.23).

Fig.23 Daclatasvir Ledipasvir + Sofosbuvir (LDV+SOF;

Harvoni®): ha ottenuto una Risposta Virologica Sostenuta (SVR) del 98% per il genotipo 1 anche nei pazienti HIV-HCV coinfetti ed è per questo da considerarsi il trattamento di prima scelta (da considerare le interazio ni con i farmaci antiretrovirali) [45]. Questa associazione non obbliga ad aggiungere Ribavirina.

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Ombitasvir/Paritaprevir/Ritonavir (OBV/PTV/R; Viekirax®) + o - Dasabuvir (OBV/PTV/R + o - DSV; Exviera®) [46]: consiste in una combinazione a dose fissa di Paritaprevir 150mg, inibitore della proteasi NS3/4A, Ritonavir 100mg e Ombitasvir 25mg, NS5A inibitori, in associazione con Dasabuvir 250mg, inibitore non nucleosidico della polimerasi NS5B (Fig.25). Questa associazione non obbliga ad aggiungere Ribavirina.

Fig.25 Esempio di DAAs in associazione

L’associazione Sofosbuvir + Ribavirina è quella principalmente utilizzata tra le associazioni DAA interferon-free, in base alla Risposta Virologica Sostenuta (SVR), specialmente nei confronti dei soggetti infetti da genotipo 2. I casi più critici da trattare comprendono pazienti con cirrosi epatica ed i trapiantati, che non hanno dimostrato un’evidente risposta virologica.

Da considerare il fatto che Sofosbuvir viene eliminato principalmente per filtrazione glomerulare, quindi inadatto per pazienti con insufficienza renale o in dialisi [47].

Ombitasvir Paritaprevir

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Secondo i dati più recenti, la Commissione Europea ha approvato la combinazione Elbasvir/Grazoprevir (Zepatier®, MSD) con o senza Ribavirina, per genotipi 1 e 4 a dose fissa Elbasvir 50mg - Grazoprevir 100mg /die. L’azione è mirata ad inibire le protesi NS5A e NS3/4A.

Il farmaco (Fig.30) verrà lanciato tra l’ultimo trimestre 2016 e il primo trimestre 2017 e in Europa per tutto il 2017. Sarà commercializzato nei 28 paesi dell’Unione Europea e negli Stati membri dell’Area Economica Europea quali Islanda, Liechtenstein e Norvegia.

Studi a supporto e trial clinici hanno dimostrato [48]:

1) Risposta Virologica Sostenuta (SVR) dopo 12 settimane nel 96% dei casi affetti dal genotipo 1

2) cura effettiva dopo 12 settimane nel 93% dei casi affetti da genotipo 1a e nel 95% dopo 16 settimane in associazione con ribavirina.

3) cura effettiva dopo 12 settimane nel 94% dei casi affetti dal fenotipo 4 e 100% dopo 16 settimane in associazione con ribavirina.

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4. HEPATITIS B VIRUS 4.1. HBV

HBV è un virus della famiglia degli Hepadnaviridae, con genoma a DNA. Il virus è costituito da quella che viene chiamata particella di Dane (unica forma infettante delle tre presenti nel siero), caratterizzata dai seguenti componenti (Fig.31):

- HBsAg o proteina s: è la proteina principale dell'involucro nonchè il marker dell’infezione, rilevabile già poche settimane dopo l’infezione.

- HBcAg: proteina all’interno dell’involucro, nota come core, che rappresenta un secondo rivestimento e contiene il DNA, la polimerasi virale ed altre proteine ad attività enzimatica.

- HBeAg: o terzo antigene, è una proteina nota come proteina del precore (per la posizione del suo gene corrispondente all’interno del DNA virale) la cui presenza nel siero è indice di replicazione attiva del virus [49].

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Il virus fu scoperto nel 1965 da Baruch Blumberg, che identificò l’antigene del virus (HBsAg) nel sangue degli aborigeni australiani e per questo è stato soprannominato “antigene Australia” [50].

L’ HBV è un virus temibile perché, al pari dell’HCV, si integra nel DNA degli epatociti e ne altera la replicazione, portando alla formazione di cellule alterate.

I virioni di HBV si legano attraverso l’HBsAg e recettori non ancora ben noti, per poi essere internalizzati per endocitosi [51]. Ciascuno degli antigeni scatena una reazione anticorpale e la conseguente comparsa dei seguenti fattori:

- l’anti-HBs, che indica la risoluzione dell’infezione.

- l’anti-HBc, prodotto sia durante che a seguito dell’infezione, rappresenta una generica esposizione al virus.

- l’anti-HBe, che indica in presenza di HBsAg positivo una diminuzione dell’attività replicativa virale.

Da notare che le IgM anti-HBc sono fattori che permettono di diagnosticare l’infezione primaria [52].

4.2. Diffusione di HBV

In Italia, l'incidenza di epatite B per anno ed età è progressivamente in calo (SEIEVA, 2002). Circa il 50% dei portatori cronici di HBV presenta una replicazione attiva, e sono a maggior rischio di cirrosi, che si sviluppa nel 15-20% dei casi entro 5 anni. Nel mondo sono 400 milioni le persone con epatite cronica HBV correlata di cui la maggior parte cittadini asiatici.

La percentuale di infezione più elevata si rileva in Africa, dove quasi tutti i soggetti sono infettati alla nascita per trasmissione verticale dalla madre, o entro i due anni di età, per trasmissione dalla madre, da fratelli o parenti stretti e conviventi. Questi bambini possono essere trattati con anticorpi del virus dell'epatite B (HBIg) che vengono somministrati entro 12 ore dalla nascita, riducendo il rischio di contrarre l'epatite B del 90%. La terapia consente inoltre a una madre di allattare il suo bambino in modo sicuro.

L’epidemiologia da HBV nel Mondo Occidentale è diversa, infatti l'infezione si contrae durante l'adolescenza o in età adulta, per lo più attraverso contatti sessuali a rischio o con aghi infetti nel caso dei tossicodipendenti [53].

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4.3. Infezione acuta e cronica

Analogamente al virus dell’epatite C, l’infezione da HBV conduce ad un ampio spettro di malattie a carico del fegato, quali:

- epatite acuta (compresi casi di insufficienza epatica fulminante) - epatite cronica

- cirrosi

- carcinoma epatocellulare (HCC)

Circa 2/3 delle infezioni da HBV hanno un decorso totalmente asintomatico e subclinico. Il periodo di incubazione, cioè il periodo che intercorre tra esposizione al virus e la comparsa dei sintomi clinici, varia dai 60 ai 180 giorni [54] ed è seguito da un breve periodo caratterizzato da lievi sintomi quali febbre, stanchezza, malessere generale, nausea, vomito, dolori articolari e muscolari. Questa fase precede quella itterica caratterizzata da urine scure e colorazione gialla di cute, mucose e sclere dovuta ad un aumento della bilirubina nel sangue oltre valori di 3mg/100ml, che dura circa 1-2 settimane [55]. A seguito dell’infezione è possibile rilevare nel siero un certo numero di antigeni virali e di rispettivi anticorpi. La corretta interpretazione di questi valori è fondamentale per una diagnosi corretta dello stadio dell’infezione. I primi marker sierici si rilevano già dopo 6 settimane dal contagio e sono rappresentati dalla presenza di DNA virale e in seguito di HBsAg e HBeAg [56], di cui HBsAg si rileva già 1-2 settimane dopo il contagio e la sua persistenza è indice di cronicità. HBeAg invece, è correlato ad alti livelli replicativi del virus [57]. A livello clinico, i primi segnali di infezione sono dati dal notevole aumento sia della alanina ammino transferasi (ALT) che delle aspartato amino transferasi (AST) e l’eventuale comparsa di ittero. Il grafico di Fig.31 riporta il tipico andamento di un infezione da HBV.

Fig.31 Andamento dei valori dei diversi antigeni del virus HBV.

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L’epatite B acuta viene diagnosticata con la comparsa di IgM anti-HBc nel siero in contemporanea ai primi sintomi e dura meno di 6 mesi, il tempo necessario che impiega il sistema immunitario ad eliminare il virus. Le IgM anti-HBc persistono per anni (o addirittura per tutta la vita) mentre l’antigene anti-HBs si manifesta ad ultimo ed è segno di guarigione.

Raramente l’infezione acuta si evolve in insufficienza epatica grave o epatite fulminante (un’encefalopatia epatica, caratterizzata da uno stato di confusione mentale che può arrivare fino al coma che si può verificare entro 8 settimane dall'inizio dei sintomi). Altrettanto rara è la comparsa di nefropatie, neuropatie, pericardite e pancreatite.

In generale i disturbi e le complicanze sono più frequenti in relazione all’età del soggetto, Infatti le infezioni acquisite alla nascita sono asintomatiche mentre i caratteri tipici si presentano nei bambini da 1 a 5 anni, negli adolescenti e negli adulti [58]. Il restante 1/3 dei soggetti che contraggono l’HBV può sviluppare complicanze.

I livelli di HBV-DNA sono utili per valutare il decorso della malattia, soprattutto per evitare che si evolva in epatite cronica, e possono essere monitorati grazie al test HBV-DNA. I markers sierologici che indicano l’instaurarsi della forma cronica corrispondono inizialmente a quelli dell’infezione acuta, l’unica differenza è che si nota la presenza di HBsAg senza la comparsa delle IgM anti-HBc per un periodo superiore a 6 mesi (Fig.32) [59].

Fig.32 Andamento dei valori caratteristici dell’infezione da HBV durante la fase cronica della malattia.

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La forma cronica dell’infezione conduce, oltre che a cirrosi epatica ed epatocarcinoma, a gravi manifestazioni extraepatiche, quali:

- Sindrome da siero caratterizzata da febbre, eruzioni cutanee e poliartrite, che generalmente scompare con la diminuzione della viremia.

- Vasculite necrotizzante acuta e poliartrite nodosa [60].

- Acrodermatitis Papular (Sindrome Gianotti-Crosti), sindrome della durata di 15-20 giorni che porta nei bambini a lesioni della pelle, su faccia ed estremità accompagnate da linfoadenopatia ed epatomegalia [61].

Il rischio di cronicizzazione è correlato a due fattori: - l’età di acquisizione dell'infezione

- le condizioni immunitarie del soggetto che viene a contatto col virus.

Il rischio di cronicizzazione dopo infezione è basso (< 5%) nei soggetti adulti immunocompetenti, ossia in cui il sistema immunitario è maturo ed efficace per eliminare il virus. Il rischio si alza soprattutto nei pazienti che hanno subito trapianto e che sono immunidepressi, senza contare i bambini ma soprattutto i neonati, con sistema immunitario ancora immaturo. Le forme croniche sono meno frequenti nei pazienti adulti in cui si manifestano per lo più forme acute.

Tre sono le strategie principali per prevenire l'infezione da HBV:

1. modificazioni comportamentali per limitare la trasmissione (uso di profilattici, utilizzo di siringhe monouso, miglioramento dello screening dei donatori e degli emoderivati nelle banche del sangue, ecc.).

2. immunoprofilassi passiva tramite somministrazione di immunoglobuline contro HBV. Solo in situazioni specifiche: neonati con madri infette HBsAg positivo (entro le prime 12 h dal parto insieme alla prima dose di vaccino per una protezione superiore al 90%), puntura con aghi infetti, contatti sessuali (entro 48 h e non più di 7 giorni dopo, contemporaneamente al vaccino), dopo trapianto in soggetti HBsAg positivi.

3. immunizzazione attiva (vaccino): Il vaccino è sicuro ed efficace (95%).

Si tratta di vaccini ricombinanti DNA-derivati estremamente sicuri che vengono comunemente utilizzati da più di due decenni e sono somministrati in serie per un totale di tre dosi di vaccino [62]. Per valutare l’efficacia della risposta al vaccino si sfrutta il test anti-HBs, in quanto la presenza di questo anticorpo è associata all’immunità ad HBV (AIFA).

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Nonostante l’importanza del vaccino, è importante definire un trattamento per tutte quelle persone HBV-positive che rischiano il progredire della malattia.

L’HBV è trattato al pari dell’HCV, con associazione di immunistimolanti e antivirali propriamente detti, in particolare di analoghi nucleotidici e nucleosidici.

Si tratta della terapia convenzionale che mira a ritardare il processo di cirrosi e diminuire il rischio di epatocarcinoma.

4.4. Terapia

L’AIFA ha approvato i seguenti trattamenti per l’epatite B (AIFA): - Peg-Interferone alfa-2a - Peg-Interferone alfa-2b - Lamivudina - Adefovir dipivoxil - Tenofovir - Telbivudina - Emtricitabina - Entecavir 4.4.1. Interferone (IFN)

Fino a poco tempo fa, l’interferone alfa (2a o 2b) ha rappresentato l’unica terapia per l’epatite cronica B [63]. La terapia prevede la somministrazione di 180mg/settimana di Interferone pegilato per 12-18 mesi durante i quali avviene un monitoraggio dei livelli di HBV-DNA, in cui si deve osservare un calo delle transaminasi (sia ALT che AST). L’interferone non si dimostra sempre efficace (solamente il 30-40% presenta una risposta importante) e presenta diversi svantaggi:

1) somministrazione per iniezione

2) non efficace nel 50% dei soggetti trattati

3) effetti collaterali molto frequentementi e abbastanza fastidiosi (affaticamento, cefalea, febbre, brividi, disturbi del sonno, calo dell'appetito, depressione, perdita dei capelli, calo di peso, calo di piastrine e di globuli bianchi) anche se tendono ad attenuarsi ed a scomparire al termine del trattamento.

4) svariate controindicazioni, quali cirrosi scompensata, malattie della tiroide, malattie autoimmuni, coronariche, gravidanza, ecc.

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Inoltre, studi a lungo termine hanno dimostrato che non solo la maggior parte dei pazienti in cura con IFN presentava ancora valori sierici di HBV-DNA, ma non vi era alcuna prova che il trattamento riducesse l’incidenza di epatocarcinoma [64].

L'altro gruppo di farmaci utilizzabili sono gli analoghi nucleosidici e nucleotidici.

4.4.2. Lamivudina

L’ uso di Lamivudina (Fig.33) nella terapia dell’epatite di tipo B è legata alla ricerca farmacologica sull’AIDS. Si osservò infatti che la Lamivudina, oltre ad inibire la replicazione del virus HIV, era anche capace di reprimere la sintesi dell’HBV nei pazienti sieropositivi coinfettati da epatite B. Lamivudina é

l’enantiomero (-) della 2-deossi-3-tiacidina. All’interno della cellula, Lamivudina è fosforilata nei suoi metaboliti attivi, monofosfato (L-MP) e Lamiduvina trifosfato (L-TP) da parte di enzimi cellulari, in particolare dalle chinasi. La sua configurazione (-) ha minima affinità per le proteine umane che invece reagiscono in modo preferenziale la configurazione enantiomerica (+).

Fig.33 Lamivudina

La Lamivudina interagisce selettivamente con la trascrittasi inversa sia dell’HIV che dell’HBV, bloccando la sintesi del DNA virale. L’effetto inibitorio è dovuto alla sua incorporazione nella catena di DNA nascente di cui termina prematuramente l’estensione [65].

É un farmaco estremamente efficace e, diversamente dall'Interferone, la sua azione non coinvolge la risposta immunitaria dell'ospite, ma blocca selettivamente la sintesi del DNA virale. La dose ottimale risulta quella di 100 mg in un’unica somministrazione giornaliera. Con questo dosaggio si ottiene un rapido declino dell’HBV-DNA dopo circa due settimane accompagnato dalla normalizzazione delle transaminasi, e non si assiste alla comparsa di gravi effetti collaterali. Dosi maggiori, pur ben tollerate, non hanno prodotto risultati superiori [66].

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La terapia con Lamivudina è certamente più pratica e maneggevole di quella con Interferone, tuttavia, il limite di questo farmaco è quello di poter suscitare la comparsa di mutazioni e quindi resistenza alla molecola, con conseguente peggioramento della malattia.

4.4.3. Adefovir dipivoxil

Adefovir dipivoxil

([9-(2-phosphonylmethoxyethyl)adenine] o PMEA), commercializzato come Hepsera® (Fig.34), é stato approvato dall’FDA per la cura dell’epatite B nel 2002. É la forma esterea di Adefovir, un analogo nucleotidico che blocca la replicazione del virus agendo come terminatore di catena nella polimerasi virale. Poichè Adefovir non presentava buona biodisponibilità per via orale, è stato commercializzato come profarmaco.

Fig.34 Adefovir dipivoxil

L’Adefovir dipivoxil e’ attivo principalmente nei confronti dei retrovirus (HIV compreso, ma per il quale è nefrotossico a lungo termine) ma anche degli hepadnavirus. Adefovir non presentava buona biodisponibilità per via orale, e perciò viene commercializzato come profarmaco. Trova indicazione in pazienti affetti da epatite cronica in cui la terapia con Lamivudina ha determinato la comparsa di resistenza (e quindi un incremento dei valori di HBV-DNA e transaminasi) ed è considerato come il farmaco di prima scelta nel trattamento di questo tipo di infezione. Adefovir dipivoxil alla dose di 10 mg/die è solitamente ben tollerato e determina un notevole miglioramento delle condizioni dei soggetti con epatite B, sia in quelli HBeAg-positivi che HBeAg-negativi dopo 48 settimane di trattamento. Inoltre, sono stati registrati pochi casi di resistenze al farmaco. Bisogna porre particolare attenzione nell'uso di questo farmaco in caso di insufficienza renale. I pazienti con HBV in fase cronica resistenti alla Lamivudina, e trattati con questo farmaco, hanno presentato valori più bassi di HBV-DNA rispetto ai pazienti in terapia con Lamivudina. Adefovir dipivoxil si è dimostrato valido anche in pazienti co-infettati da HIV e in pazienti pre o post-trapiantati di fegato.

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Adefovir dipivoxil un farmaco molto promettente nella cura di HBV [67].

4.4.4. Tenofovir

Tenofovir (TFV;

[(R)-9-(2-phosphonylmethoxypropyl)adenine] o PMPA), è commercializzato come Viread® (Fig.35). É stato descritto nel 1993 da Holý & De Clerq come il primo agente antiretrovirale. É un analogo nucleotidico dell’adenina ed è stato approvato per il trattamento dei pazienti con coinfezione da HBV e HIV. Tenofovir è infatti un inibitore specifico dei retrovirus, quali HIV e HBV.

Fig.35 Tenofovir disopropil fumarato Il meccanismo d’azione risulta identico a quello di Adefovir: una volta a contatto con la mucosa gastrointestinale viene convertito nella sua forma attiva trifosfato per poi essere incorporato nella DNA polimerasi RNA dipendente, nella quale agisce come terminatore di catena. É usato anche in combinazione con altri antivirali soprattutto nel caso compaiano episodi di resistenza [68]. Tenofovir non è molto biodisponibile per via orale, per questo è stato convertito nel profarmaco Tenofovir Disoproxil Fumarato (TDF), che è idrolizzato come tale nella mucosa gastrointestinale per poi essere rilasciato nel torrente circolatorio. TDF ad alte concentrazioni plasmatiche può causare tossicità renale ed ossea. Attualmente Gilead Sciences stanno portando avanti studi riguardo un nuovo profarmaco di Tenofovir: Tenofovir Alafenamide Fumarato (TAF, forma esterea di Tenofovir). Alle stesse concentrazioni del suo precursore, questa molecola sembra ridurre del 90% la concentrazione ematica di Tenofovir, ottimizzando l’attività antivirale grazie alla sua migliore distribuzione ed alla ridotta nefrotossicità, tipica di TFV [69]. Attualmente l’associazione di TAF con altri antivirali è alla base della terapia anti-HIV.

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4.4.5. Telbivudina

Telbivudina (Fig.36) è un farmaco appartenente alla categoria degli analoghi nucleosidici. É l’enantiomero L della timidina, ed è stato approvato

nel 2006 dall’FDA per il trattamento di infezione da HBV nei confronti del quale presenta attività antivirale altamente specifica, più potente della Lamivudina. La Telbivudina viene fosforilata nel suo metabolita attivo, Telbivudina trifosfato, e compete con la timidina per l'incorporazione nel DNA virale, provocando l'interruzione della catena del DNA, inibendo la HBV-DNA polimerasi (una RT) e quindi

bloccando la replicazione. Fig.36 Telbivudina

Tuttavia l’uso di Telbivudina sembra sia associato ad una elevata percentuale di resistenza al farmaco e questo ne limita l’uso in terapia singola [70]. Sia l’American Association for the Study of Liver Disease (AASLD) che l’European Association for the Study of the Liver (EASL) sconsigliano l’uso di questo farmaco come trattamento di prima scelta, proprio per la frequente insorgenza di resistenze legate ad un uso prolungato [71].

4.4.6. Emtricitabina

Emtricitabina (5-Fluoro-1-[(2R,5S)-2-(hydroxymethyl)-[1,3]oxathiolan-5-yl]cytosine, FTC) è un analogo pirimidinico della citosina che agisce sul virus HBV ma anche su HIV-1 (Fig.37). Emtricitabina inibisce l’HBV-DNA polimerasi e la trascrittasi inversa di HBV sia in vitro che in vivo. É metabolizzato nella sua forma attiva trifosfato.

Fig.37 Emtricitabina

Studi a riguardo hanno dimostrato la potente azione sia su soggetti HBeAg positivi che negativi alla dose di 200mg al giorno per un massimo di 2 anni. A questo dosaggio il

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soggetti trattati. Un’interessante associazione di Emtricitabina è quella con il Tenofovir nella forma di Truvada® (Tenofovir 300 mg/Emtricitabina 200 mg). È stato anche dimostrato che la resistenza alla Lamivudina o all’Adefovir non influenzava l’azione di Truvada® [72].

4.4.7. Entecavir

É un analogo nucleosidico sintetico della guanosina, è stato approvato dall’FDA nel 2005 per il trattamento delle infezioni croniche da HBV (Fig.38).

Entecavir è anch’esso attivato in vivo nella sua forma trifosfato che compete con la deossiguanosina trifosfato, substrato naturale di GTP, per l'incorporazione nel DNA virale.

Fig.38 Entecavir

L'incorporazione del metabolita attivo inibisce la trascrittasi inversa (RT) virale, l’HBV DNA polimerasi RNA dipendente e di conseguenza, la replicazione del DNA virale e quindi la trascrizione. Il profilo di sicurezza simile a quello di Lamivudina, ed il suo basso indice di resistenza rendono Entecavir un farmaco “ideale” nel trattamento opzionale per quegli individui che non rispondono alla terapia standard, raccomandato anche da AASLD e EASL [73].

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5. HERPES VIRUS 5.1. Classificazione

Con il termine herpes si intende una grande varietà di virus, classificati sin dagli anni ’70 dall’International Commitee on Taxonomy of Viruses (ICTV) secondo le caratteristiche dei diversi genomi, delle dimensioni e della struttura.

La famiglia degli Herpesviridae può essere divisa in tre sottofamiglie:

1. Alfaherpesvirinae: Herpes Simplex Virus (HSV-1 e HSV-2), Varicella Zoster Virus (VZV)

2. Betaherpesvirinae: Human Cytomegalovirus (HCMV), Herpes Virus 6 (sesta malattia) e 7 (HHV-7)

3. Gammaherpesvirinae: Epstein-Barr Virus (EBV o HHV-4), Herpes Virus associato al Sarcoma di Kaposi (KSHV o HHV-8)

Generalmente gli herpes virus (Fig.39) presentano virioni con struttura sferica costituita da capside icosaedrico, core ed envelope. Il genoma è per tutti lineare a doppio filamento di DNA (dsDNA), ma differisce per dimensioni e orientamento dei geni [74].

Fig.39 Struttura del virione di Herpesvirus

5.2. HSV-1 e HSV-2

Gli alfaherpesvirus HSV-1, HSV-2 (herpes genitale), e VZV hanno una struttura genomica simile. Infettano e si replicano in cellule mucoepiteliali (nei fibroblasti e nelle cellule epiteliali come mucose e pelle, comprese le zone genitali, zone del corpo che costituiscono punti di uscita per il virus) causando infezioni litiche. Mantengono poi un’infezione latente nei neuroni che innervano l’area infettata (gangli sensoriali).

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L’HSV-1 entra nell’ospite legandosi all’eparansolfato (un proteoglicano di superficie tipico di molte cellule) per poi interagire con un recettore proteico adiacente. Dopo la fusione e la penetrazione nella cellula ospite, il virione viene rilasciato nel citoplasma e inizia la trascrizione di una protein-chinasi virale e proteine citotossiche che verranno rilasciate nel nucleo dell’ospite.

Queste proteine sono di tipo:

- precocissime (α): regolano la trascrizione

- precoci (β): stimolano fattori di trascrizione ed enzimi come la DNA polimerasi RNA dipendente e la timidina chinasi

- tardive (γ): proteine strutturali

Durante un’infezione latente di Herpes Virus umani (HHV), vengono prodotti dei filamenti di RNA che si accumulano nella cellula ospite detti Latency Associated Transcript o HHV LAT. Sono prodotti per trascrizione da una determinata area del DNA virale e interferiscono con la normale attività biologica della cellula ospite. Questi RNA non sono tradotti in proteine.

A seguito dell’espressione delle proteine invece, la cellula va incontro a morte per infezione litica.

Così come accade per gli altri alfaherpesvirus, HSV codifica per una timidina chinasi (TK) per favorire la replicazione nelle cellule che non si replicano (come i neuroni), e questo può costituire un interessante bersaglio dei farmaci antivirali.

I virus HSV-1 e HSV-2 causano malattia nel sito d’infezione (rispettivamente parte superiore e inferiore del corpo) penetrando nella cute, dove creano lesioni e vescicole, ovvero lesioni erpetiche primarie. Percorrono poi in senso retrogrado l’assone fino al ganglio (trigemino o sacrale) dove stabiliscono l’infezione latente.

Il nostro sistema immunitario provvede solitamente a risolvere l’infezione grazie a cellule Natural Killer (NK), linfociti T ed IFNγ. Tuttavia l’infezione latente può ripresentarsi a seguito di stress, traumi o immunodepressione. Quando l’infezione si estende si può andare incontro a encefalite erpetica (HSV-1) e meningite (HSV-2).

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5.3. VZV

Per quanto riguarda VZV, il virus è causa di una delle sei malattie esantematiche infantili: la varicella. Questa manifestazione costituita da papule associate a liquido e prurito, rappresenta solo la fase acuta dell’infezione. Una volta risolta, il virus rimane latente nelle radici dorsali e nei gangli dei nervi craniali e può riattivarsi (dipendentemente dalla condizione del nostro sistema immunitario) causando quello che viene chiamato fuoco di Sant’Antonio.

La malattia causa dolore acuto associato ad eritema, lesioni maculo-papulari e vescicole nelle zone innervate dai neuroni infetti e dopo queste manifestazioni, della durata di pochi giorni, Herpes Zoster può manifestare complicanze, quali nevralgia posterpetica, che persiste anche per mesi/anni.

5.4. HCMV

Tra i betaherpesvirus, HCMV è quello che presenta dimensioni maggiori tra tutti i componenti della famiglia degli herpes virus.

Per entrare nell’ospite sfrutta il legame con eparan-solfato e proteina gB, per poi fondersi direttamente con la membrana.

L’infezione coinvolge le cellule mieloide, in particolare i monociti-macrofagi, e come di consueto per questo tipo di parassita, instaura un’infezione latente che può riattivarsi a seguito di fattori di vario tipo, primo dei quali l’immunodepressione.

L’infezione è pressoché asintomatica in età adulta per un soggetto sano, ed il virus viene generalmente eliminato da un sistema immunitario efficiente.

Tuttavia, HCMV può provocare gravi danni quando l’infezione è di tipo congenito per trasmissione verticale dalla madre (sia in caso di primo infezione che di reinfezione). Questo tipo di infezione può avvenire alla nascita o già nel feto, ed il bambino alla nascita presenterà i segni clinici tipici (se non andrà incontro a morte), quali ritardo mentale, microcefalia, ittero, rash, epato-splenomegalia, ecc.

Gravi problemi possono aversi anche nei soggetti immunocompromessi in cui questo virus può causare una malattia sintomatica ricorrente che porta a manifestazioni come retinite, encefalite, polmonite interstiziale.

Attualmente si cerca di immunizzare anche le madri CMV-negative tramite un vaccino attenuato, con la speranza di poter salvaguardare il feto o il neonato dalla trasmissione vertical [75].

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5.5. HHV-6

HHV-6 o Rosolia Infantum (meglio conosciuto come sesta malattia) viene contratto entro il 3° anno di età. É una delle malattie esantematiche infantili e si presenta con esantema cutaneo generalizzato (a partire dalla nuca) e febbre, della durata di qualche giorno.

L’adulto che non sviluppa l’infezione facilmente ne presenta gli anticorpi.

5.6. EBV e KSHV (HHV-8)

Epstein-Barr Virus (EBV) e Herpes Virus associato al Sarcoma di Kaposi (KSHV) sono Gammaherpesvirinae.

Entrambi sono virus che generano latenza nell’ospite e possono riattivarsi in base alle condizioni immunitarie del soggetto infetto.

L’infezione coinvolge soprattutto i linfociti, in particolare modo T-cells, B-cells, cellule natural killer (NK-cells) ma anche le cellule epiteliali [74].

L’EBV, meglio conosciuto come “malattia del bacio” proprio perché la sua trasmissione avviene per lo più attraverso lo scambio di saliva (contatto orale) o utensili. In realtà può anche essere trasmesso per via genital o trasfusionale.

É un’infezione latente che una volta conclamata si manifesta con una risposta immunitaria iperattiva. É tipica nei bambini e negli adolescenti ed è quasi asintomatica, oppure si presenta con febbre, tipica faringite, ingrossamento dei linfonodi (tonsille in particolare) e affaticamento.

Coinvolgendo in primo luogo i linfociti B, dalle tonsille il virus può facilmente distribuirsi nella saliva, nel tessuto linfoide e nel sangue.

Solitamente l’infezione si risolve da sola grazie all’intervento dei linfociti T (anticorpi EBVA confermano la guarigione), tuttavia, il virus è mutageno per la linea cellulare B e può portare a disordini che sfociano in gravi conseguenze, con il coinvolgimento di altri organi. Nei pazienti con immunodeficienza o in presenza di fattori genetici e geografici predisponenti, il virus può portare a: epatite, carcinoma naso-faringeo, cancro dello stomaco o linfoma di non Hodgkin.

Il virus KSHV (HH-8) è stato ritrovato per la prima volta nel sarcoma di Kaposi (circa il 95% dei soggetti che presentano questo tumore sono positivi a HHV-8). É un cancro raro che si presenta sotto forma di papule o noduli rosso-violacei a livello di bocca, polmoni, fegato e tratto gastrointestinale [76].

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5.7. Terapia e profilassi

Gli antierpetici più diffusi rientrano per lo più nella categoria degli analoghi nucleosidici, e sono: - Iodoxuridina (IDU) - Trifluoridina (TFT) - Brivudina (BVDU) - Acyclovir (ACV) - Valaciclovir - Famciclovir - Penciclovir - Ganciclovir - Valganciclovir - Cidofovir

altri presentano strutture differenti, come: - Foscarnet

Ognuno di loro è più o meno specifico per uno o più tipi di herpesvirus.

5.7.1. Iodoxuridina, Trifluoridina e Brivudina

I primi trattamenti nel campo antivirale risalgono agli anni ’50 ed erano indirizzati alla cura della cheratite erpetica oculare. A questo scopo si utilizzavano, e si utilizzano tutt’oggi, composti quali la Iodoxuridina (IDU) e la Trifluoridina (TFT), entrambi analoghi della timidina. Entrambi i farmaci vengono impiegati anche per HSV.

IDU comparve già nel ’64 sul British Medical Journal ( To-Day’s Drugs: Idoxuridine, Br Med J. 1964 May 30) con il nome di Keracid® nel quale si descrivono le proprietà ma anche la tossicità della molecola, per la quale l’uso veniva limitato all’epitelio corneale, sotto forma di gocce oculari, ed escludeva quello sistemico. Questo ha posto però le basi per il successivo sviluppo di derivati della 2’-deossiuridina, 5-sostituiti.

Tra questi la Brivudina (BVDU), che si è dimostrata molto interessante per la sua alta specificità nei confronti di HSV-1 e VZV.

L’unico limite di questi farmaci è la loro tossicità legata all’inibizione del metabolismo del 5-fluorouracile che quindi ne ostacola la prescrizione in combinazione con 5-fluorouracile con i suoi profarmaci [77].

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