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Le sorti dell'ente e i riflessi nel procedimento ai sensi del d. lgs. 231/2001

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INDICE

INTRODUZIONE

………... 1

CAPITOLO I

LA NASCITA DELLA RESPONSABILITÀ DA REATO

DELLE PERSONE GIURIDICHE

1.1 Il principio “societas delinquere non potest”: un dogma

ingombrante ……….. 2

1.2 Uno sguardo fuori dai confini nazionali ……… 7 1.3.1 L’introduzione della legge delega 300/2000 …………... 11 1.3.2 Aspetti di conformità e difformità tra legge delega e

decreto legislativo ………. 12

2.1 Considerazioni preliminari sul d.lgs. 231/2001………….. 15 2.2 La controversa natura della responsabilità ……….. 16 2.3 I presupposti della responsabilità dell’ente ………. 20 2.4 I profili sanzionatori ……… 23 3.1 L’ente nel processo: la disciplina di riferimento …………. 27 3.2 Il rapporto tra decreto e codice di rito ………. 28

(3)

CAPITOLO II

LE VICENDE MODIFICATIVE DELL’ENTE: I

PROFILI SOSTANZIALI

1.1 Le vicende modificative dell’ente: inquadramento

generale ………. 31

2.1 La trasformazione societaria ………... 35 2.2.1 La fusione: l’evoluzione nel diritto societario …………. 38 2.2.2 La fusione nel decreto legislativo 231/2001 ……… 40 2.2.3 I problemi applicativi dell’art 29 ……… 44 2.3.1 La scissione societaria: profili generali ……… 47 2.3.2 La scissione societaria come disciplinata all’art 30 d.lgs

231/2001 ………... 49

3.1 Aspetti sanzionatori comuni alla fusione e scissione …….. 55 3.2 La disciplina della reiterazione in caso di vicenda

modificativa ……….. 59

3.3.1 La cessione e il conferimento di azienda: considerazioni

introduttive ……… 61

3.3.2 La cessione e il conferimento di azienda: analisi dei

commi ………... 64

CAPITOLO III

LE VICENDE MODIFICATIVE DELL’ENTE:

LE PROBLEMATICHE PROCESSUALI

1.1 Considerazioni introduttive sulle problematiche

processuali ………. 67

(4)

2.1.2 L’art 42 tra interpretazioni letterali e possibili censure ... 72 2.2.1 L’ente tra contumacia e assenza: perplessità

sull’applicazione della l. 67/2014 ………. 75

2.2.2 Il giudice deve dichiarare la contumacia dell’ente? …… 77 2.3 Il nuovo ente: criticità in tema di diritto alla prova ……… 78 2.4 La trasformazione nel processo ……….. 82 2.5 L’ente risultante dalla fusione: aspetti processuali ………. 84 2.6.1 La scissione parziale e le falle dell’art 42 ……… 85 2.6.2 La scissione totale e l’accentuazione delle

problematiche ……… 87

3.1 Le varie tipologie di sentenza regolate nel decreto

231/2001 ………... 88

3.2.1 Riflessioni generali sull’art 70 d.lgs. 231/2001 ………... 90 3.2.2 Le problematiche dei due commi della disposizione …... 92 4.1 Le disposizioni del Capo III applicate alla cessione e

conferimento di azienda ……… 96

CAPITOLO IV

L’ESTINZIONE E IL FALLIMENTO DELLA

SOCIETA’ IN PENDENZA DI PROCEDIMENTO:

DUE PROBLEMI IRRISOLTI

1.1 Qualche considerazione in via di premessa ……… 98 2.1 L’estinzione della società disciplinata nel codice civile …. 100 2.2 L’estinzione della società nel decreto legislativo

231/2001: il silenzio del legislatore ……….. 101

2.3.1 Alcune soluzioni prospettate da dottrina e

(5)

2.3.2 Vicende modificative ed estinzione dell’ente: un

difficile punto di incontro ………. 107

3.1 Il fallimento nel decreto legislativo: un’assenza che pesa .. 110 3.2 La pronuncia della V Sezione: un importante punto di

svolta ………. 112

3.3 Il procedimento nei confronti della società fallita:

problemi e possibili soluzioni ………... 115

3.4 Le sorti delle sanzioni nei confronti dell’ente fallito ……. 118

CONCLUSIONI

………. 123

BIBLIOGRAFIA

………... 127

(6)

Introduzione

Questa tesi si propone di analizzare il difficile rapporto tra alcuni fenomeni regolati dal diritto societario e il procedimento penale. La problematica sorge dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 8 Giugno 2001 n. 231, che ha introdotto nel nostro ordinamento la responsabilità da reato delle persone giuridiche; in un’ottica di assoluta novità, il legislatore delegato ha infatti scelto il procedimento penale come sede per l’accertamento della colpevolezza della persona giuridica.

Se tale scelta è stata pensata per garantire all’ente imputato tutte le garanzie che solo un procedimento penale può fornire, essa ha costretto il giudice a confrontarsi con fenomeni che possono minare sia i diritti dell’imputato sia il buon andamento della procedura.

Tenendo ferma questa premessa, verranno analizzate in primo luogo la trasformazione, la fusione e la scissione societaria, altrimenti note come vicende modificative; dopo una puntuale analisi degli aspetti sostanziali di tali fenomeni, si procederà allo studio della loro incidenza sul procedimento in corso ai sensi del decreto e sulle problematiche ad esso sottese.

In chiusura, l’attenzione verrà spostata sull’estinzione e sul fallimento dell’ente, due eventi altrettanto importanti e altrettanto capaci di creare problemi al giudice penale deputato all’accertamento della responsabilità da reato; con l’aggravante, in questo caso, dell’assenza di una regolamentazione espressa all’interno del decreto.

(7)

CAPITOLO I

LA NASCITA DELLA RESPONSABILITÀ

DA REATO DELLE PERSONE

GIURIDICHE

SOMMARIO: 1.1 Il principio “societas delinquere non

potest”: un dogma ingombrante. - 1.2 Uno sguardo fuori dai

confini nazionali. - 1.3.1 L’introduzione della legge delega

300/2000. 1.3.1 Aspetti di conformità e difformità tra legge

delega e decreto legislativo. - 2.1 Considerazioni preliminari

sul d.lgs. 231/2001. - 2.2 La controversa natura della

responsabilità. - 2.3 I presupposti della responsabilità

dell’ente. - 2.4 I profili sanzionatori. - 3.1 L’ente nel

processo: la disciplina di riferimento. - 3.2 Il rapporto tra

decreto e codice di rito.

1.1 Il principio “societas delinquere non potest”: un

dogma ingombrante

Per poter cogliere pienamente la portata innovativa del decreto legislativo 231/2001 è necessario un breve inquadramento storico del panorama giuridico antecedente alla sua entrata in vigore.

Come è noto, infatti, la cultura giuridica occidentale ha sposato per secoli il principio “societas delinquere non potest”, negando la possibilità di configurare una responsabilità diretta nei confronti delle persone giuridiche. Va detto, in realtà, che il noto brocardo affonda le

(8)

sue radici nel XVIII secolo e non, come si potrebbe pensare, in tempi assai più remoti.1

In epoca romana, infatti, gli enti associativi non avevano alcuna configurazione autonoma né, tantomeno, ad essi poteva essere imputata alcuna forma di responsabilità. Era quindi pacifico che gli unici destinatari di sanzioni fossero le persone fisiche e non si sentiva l’esigenza di un principio che lo andasse ad esplicitare.2

Il dibattito intorno agli enti collettivi prende vigore con l'avvento del Medioevo, per opera dei glossatori che per primi percepirono la persona giuridica come concetto reale oltre che teorico, identificata nella collettività e per questo capace di delinquere e di essere sanzionata. Alla stessa conclusione, se pur attraverso una strada affatto diversa, arrivò anche il diritto canonico e in particolare Papa Innocenzo IV, secondo cui la persona giuridica non sarebbe altro che una finzione creata dai giuristi, distinta dai singoli individui che ne fanno parte ma non per questo priva di una propria personalità e di una autonoma capacità di delinquere e di essere, conseguentemente, sottoposta a sanzioni.3

Questo quadro comincia a mutare col diritto moderno e soprattutto con la nascita del pensiero illuminista, che si pone in antitesi rispetto a qualunque forma di responsabilità collettiva: solo il singolo è titolare

1

Per un’ampia disamina in merito MARINUCCI, La responsabilità delle persone

giuridiche: uno schizzo storico-dogmatico, in Rivista italiana di diritto e procedura

penale, 2/3, 2007

2 Per approfondimenti, ORESTANO , Il problema delle persone giuridiche in diritto

romano, Torino 1968

3

Per un quadro completo e organico dal punto di vista storico si vedano MANZINI,

Tratt. dir. penale it., I, V ed., Milano 1981, p. 577 ss. ;MANTOVANI, Diritto penale Parte generale, III ed., Padova 1992, p. 149 ss.

(9)

di rapporti giuridici e solo il singolo può essere destinatario di sanzioni. 4

Le teorie della finzione di matrice canonista furono riprese da Savigny, che però arrivò alla conclusione opposta rispetto a quella di Papa Innocenzo IV: la persona giuridica non ha un’anima né un corpo e ad essa non corrisponde alcuna materialità, di conseguenza non può delinquere, non può commettere reati né può essere punita. Il principio “societas delinquere non potest” raggiunge in questa fase storica la massima fioritura, e occorrerà attendere il XX secolo per un cambio di rotta in Europa continentale.

Limitando momentaneamente la nostra analisi all’esperienza italiana, fu la dottrina che per prima cominciò a sollevare perplessità in merito al principio di non punibilità delle persone giuridiche; nei reati d’impresa, infatti, difficilmente la condotta criminosa è opera di un singolo, quasi sempre l’agente agisce come longa manus della società, che è la prima - e di frequente l’unica - a trarre profitto dall’illecito. Gli autori materiali del reato si rivelano spesso delle semplici teste di

legno in mano alla società, pedine intercambiabili prontamente

rimosse e sostituite con altre per poter perpetrare la condotta criminosa.5

Queste osservazioni furono promosse anche dal celebre giurista Franco Bricola, che nel 1970 nel suo famoso saggio “Il costo del principio

societas delinquere non potest”6 ragiona, appunto, sui costi a livello

sociale e criminologico che il principio ha portato con sé. Concepire i

4 Si ricorda, a titolo di esempio, l’aspra critica che Cesare Beccaria, nel celebre Dei delitti e delle pene, compie nei confronti della confisca, una pena a suo dire ingiusta

in quanto capace di colpire anche soggetti estranei all’illecito

5

Come osserva MARINUCCI in AA.VV. (a cura di Palazzo), Societas puniri potest, Cedam, 2003, 297 ss

6

(10)

crimini d’impresa come episodi isolati, di matrice individuale, slegati dal contesto collettivo nel quale sono calati, porta ad una inevitabile inefficienza del sistema repressivo.

Se tutto questo è vero, gli scogli dogmatici che impedivano un cambiamento di rotta non erano facili da superare. Primariamente, veniva evidenziato come il diritto penale fosse “concepito esclusivamente per l’uomo”7 ed avesse bisogno di un

referente persona fisica sul quale ritagliare le categorie psicologiche della colpevolezza; a supporto di tale argomentazione, si era soliti riferirsi all’art 197 cp, che attribuiva all’ente il ruolo di civilmente obbligato per la pena pecuniaria per i reati commessi dai suoi amministratori, dipendenti o rappresentanti. Ebbene, la previsione di una mera obbligazione di garanzia nei confronti dell’ente veniva considerata come una netta presa di posizione del legislatore contro l’introduzione di una vera e propria responsabilità. 8

Su altro piano, veniva considerato inaccettabile il coinvolgimento dei cosiddetti “soci innocenti”, che sarebbero stati travolti dalla sanzione irrogata nei confronti dell’ente. A questa obiezione, per altro, si rispondeva che tale rischio poteva essere senza alcun problema collocato nella più ampia categoria del “rischio d’impresa”, che ogni individuo assume su di sé nel momento in cui sceglie di entrare a far parte di una compagine sociale.9

7

L’espressione è di GRASSO, La responsabilità amministrativa dipendente da reato

delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica, in Contratto e Impresa n. 3, 2001

8

GALLO, Capacità penale, in Nov. Dig. it., vol. II, Torino, 882 ss.; ANTOLISEI,

Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2000, 599.

9

La legge delega 300/2000 ha previsto, alle lettere t, u, v e z del comma 1 dell’art 11, il diritto di recesso a favore del socio o dell’azionista, esercitabile successivamente all’accertamento dell’illecito; tale previsione non è stata recepita dal legislatore delegato. Per osservazioni in merito BUSSON, Responsabilità patrimoniale e

(11)

In ultimo, l’art 27 della Costituzione è sempre stato considerato un ostacolo insormontabile all’introduzione di una responsabilità collettiva, quantomeno di carattere squisitamente penale; il carattere personale della responsabilità penale, infatti, riporta alla necessità di una “partecipazione psichica” del soggetto agente, che difficilmente può essere identificabile in una persona giuridica.10

Anche il terzo comma della stessa disposizione costituzionale andrebbe nella stessa direzione: come potrebbe un ente - realtà priva di quei connotati psichici poc’anzi citati - recepire la funzione rieducativa della pena? E’ necessario precisare che tutte queste riflessioni erano, ab origine, ancorate alle già nota teoria della finzione, che considerava la persona giuridica un’entità non realmente esistente se non come creazione di matrice giuridico-positiva.

Queste argomentazioni apparentemente così solide vennero, in un primo momento, scalfite dalla progressiva intolleranza della dottrina verso un principio che appariva, come sopra illustrato, ormai obsoleto e anacronistico. Inoltre, alla teoria della finzione di matrice tedesca se ne accostò un’altra, che potremmo chiamare “teoria della realtà”, la quale considerava gli enti collettivi al pari delle persone fisiche, capaci quindi di essere titolari di diritti e obblighi.11

Questa nuova teoria, non priva comunque di pericolose forzature, 12

aprì la strada ad una

vicende modificative dell’ente, in AA.VV., Responsabilita` degli enti per illeciti

amministrativi dipendenti da reato, (a cura di) Garuti, Padova, 2002

10

Per approfondimenti si vedano DI GIOVINE Lineamenti sostanziali del nuovo

illecito punitivo, in LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti, Milano,

2010, 20 ss; GRASSO G. La responsabilità amministrativa dipendente

da reato delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni prive di personalità giuridica op cit pag 1429 ss

11

Per approfondimenti si veda GIORGI, La dottrina delle persone giuridiche o corpi

morali, Firenze 1889; DE RUGGERO, Istituzioni di diritto civile, VI ed., Messina

1933, p. 411 ss.

12

Concependo la persona giuridica come un’entità viva e la persona fisica come mero organo della stessa, si potrebbe arrivare a negare un’autonoma responsabilità del soggetto agente, riconoscendo la società come unico autore del reato.

(12)

rivalutazione sistematica del problema, quantomeno sul piano prettamente teorico.

Inoltre, furono alcune tragiche vicende a risvegliare le coscienze e a dimostrare, purtroppo non senza il costo di vite umane, l’inattualità del principio; nel 1963, in quello che è da tutti ricordato come disastro del Vajont, franò un pendio del monte Toc, nel bellunese, causando l’esondazione di tonnellate d’acqua provenienti dalla diga sottostante, che si riversarono nei paesi vicini portandosi dietro quasi duemila morti.

Un’altra vicenda che ha segnato il ragionamento giuridico fin qua tracciato fu il disastro di Seveso, nel 1976; l’incidente al reattore chimico della centrale nucleare causò la fuoriuscita di una nube tossica, con danni a persone e vegetazione.

In ultimo, come si avrà modo di osservare, l’Italia subì le pressioni dell’Europa che con varie direttive mostrò la sua premura affinché il nostro paese si adattasse a quello che sembrava ormai essere il pensiero comune degli altri Stati membri : societas delinquere et puniri

potest.

1.2 Uno sguardo fuori dai confini nazionali

Ci si soffermerà brevemente sulle esperienze di altri paesi europei, considerato il ruolo che hanno avuto nelle scelte del legislatore italiano. L’analisi partirà dai paesi anglosassoni per poi avvicinarsi agli ordinamenti di civil law, cercando di sottolineare continuità e differenze con le regole ad oggi contenute nel d.lgs. 231/2001.

Tali osservazioni sono condivise anche da DI GIOVINE Lineamenti sostanziali del

(13)

I paesi di common law detengono un importante primato: sono stati i primi ad abbandonare il principio del “societas delinquere non potest”; tale scelta, quindi, non è stata frutto di pressioni esterne o di direttive comunitarie, ma solo di una cultura giuridica e di una tradizione scolpita nel più assoluto pragmatismo, volta a risolvere problemi concreti più che a rispettare principi e dogmi tramandati nel tempo. Sul piano storico, l’avvento della rivoluzione industriale ha accelerato i tempi costringendo questi ordinamenti a fronteggiare fenomeni quali la corruzione d’impresa assai prematuramente rispetto ai paesi continentali.

Negli Stati Uniti, in particolare, il noto brocardo latino inizia a vacillare già nel 1905 con la sentenza New York Central adv Stati

Uniti, che apre la strada ad una innovazione giurisprudenziale volta

verso la punibilità degli enti collettivi; un’altra tappa importante è da ricercarsi nel “Foreign Corrupt Practice Act”, introdotto nel 1977 successivamente agli scandali finanziari che coinvolsero diverse società americane.13

Cercando di riassumere i punti chiave della responsabilità delle

corporation negli Stati Uniti, possiamo dire che il sistema ruota attorno

al principio del respondeat superior, per cui l’ente risponde dell’illecito perpetrato da soggetti a lui connessi in virtù della sua posizione di “controllore superiore” nei loro confronti. Non è rilevante la posizione del soggetto agente all’interno della società, ciò che conta è piuttosto l’appartenenza del soggetto all’ente stesso.14

13

Approfondisce queste tematiche EPIDENDIO in Bassi-Epidendio, Enti e

responsabilità da reato, Giuffrè 2006

14

Un tale assetto impedisce eventuali aggiramenti normativi, che si realizzano facendo commettere l’illecito a sottoposti che, in quanto tali, non sono legati alla società tramite un rapporto di immedesimazione. Chiarisce ancora EPIDENDIO op cit pag 23

(14)

Il modello statunitense deve essere inoltre ricordato per l’adozione dei

compliance program, dai quali poi hanno preso spunto i nostri modelli

di organizzazione e gestione. 15

Passando ora al sistema anglosassone, in un primo momento venne prevista la responsabilità per comportamenti omissivi, e solo successivamente venne estesa anche a quelli attivi. Merita di essere ricordato il Justice Act del 1948, che ha permesso di convertire le pene detentive in pene pecuniarie; da sottolineare che in Inghilterra la responsabilità delle persone giuridiche ha carattere penale, è accertata infatti con rito penale e non è possibile ricorrere all’oblazione. 16

E veniamo ora agli ordinamenti di civil law, il cui quadro risulta estremamente variegato.

Il sistema spagnolo è vicino al nostro in quanto la responsabilità delle persone giuridiche è stata introdotta, nel 1995, solo per un numero ristretto di reati. Le sanzioni17

possono essere direttamente applicabili alla persona giuridica, visto che anche in Spagna vige il principio di separazione tra l’illecito del soggetto agente e quello della società. A seguito di un progetto di riforma del Codigo Penal, l’ordinamento iberico ha chiarito che la responsabilità delle persone giuridiche ha natura penale, differenziandosi in questo senso rispetto all’Italia.

15

Per un ulteriore approfondimento si vedanoDE MAGLIE, Sanzioni pecuniarie e

tecniche di controllo dell’impresa (crisi e innovazione del diritto penale statuniten- se), in. Riv trim. dir. proc. pen., 1995, p. 88 ss.; STELLA, Criminalità d’impresa: lotta di sumo e lotta di judo, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1998, p. 459 ss.

16

Per approfondimenti vedi LEIGH, The criminal liability of corporations and other

groups with special reference to English law, in AA.VV., La responsabilità penale

delle persone giuridiche in diritto comunitario, Giuffré, Messina, 1981

17

L’art 129 del Codigo Penal prevede le seguenti categorie di sanzioni: chiusura dell’impresa, dissoluzione della società, sospensione dell’attività, divieto di compiere attività uguali a quelle attraverso cui è stato commesso l’illecito e amministrazione giudiziale dell’impresa.

(15)

Merita di essere ricordata anche l’esperienza tedesca, che al contrario nega sistematicamente il carattere penale della responsabilità delle persone giuridiche; la dottrina maggioritaria ha infatti sempre sostenuto che soltanto la persona fisica può commettere reati e quindi può essere punita; anche la colpevolezza è un concetto che non può essere accostato all’ente, perché necessita di un substrato psicologico attribuibile soltanto ad un essere umano. In virtù di questo, ad oggi nei confronti della società possono essere esperiti soltanto rimedi e sanzioni di carattere amministrativo.

In Francia la responsabilità penale delle persone giuridiche è stata introdotta nel Code Penal nel 1994, all’art 121.218

. Il sistema prevede che l’illecito sia commesso per conto delle società da parte dei suoi rappresentanti o dirigenti.

Il modello francese, come il nostro, propone un elenco di reati presupposto che all’inizio risultò piuttosto carente e venne infatti integrato nel 2001 con l’introduzione dei reati di borsa; osserviamo anche che una parte della dottrina si pone criticamente verso tale

numerus clausus di reati, preferendo un sistema aperto e

generalizzato.19

In chiusura meritano una citazione anche i Paesi Bassi, essendo stati i primi, in Europa occidentale, ad introdurre la punibilità delle persone giuridiche.20

18

Per una ricostruzione della vigente disciplina francese si cita tra i tanti DE SIMONE, Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes

morales, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 189 ss.

19

O. SAUTEL, La mise en oeuvre de la responsabilité pénale des personnes morales

entre litanie et liturgie, Dalloz, 2002 n 14, 1147

20Per un esaustivo approfondimento si veda VERVAELE, La responsabilità penale

della persona giuridica nei Paesi Bassi. Storia e sviluppi recenti in Societas Puniri

(16)

1.3.1 L’introduzione della legge delega 300/2000

E’ opportuno soffermarsi sull’excursus che ha portato all’approvazione della legge delega 300/2000, la cui intitolazione richiama l’esecuzione e la ratifica di una lunga lista di atti internazionali di varia natura, a loro volta riconducibili alla lotta contro la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nei rapporti commerciali tra stati.21

Nello specifico, la legge ha ratificato la convenzione di Bruxelles del 26 Luglio 1995, in materia di interessi finanziari della Comunità europea, la convenzione del 26 Maggio 1997 relativa al contrasto dei fenomeni corruttivi riguardanti funzionari della Comunità europea e degli Stati membri, e la celebre convenzione OCSE di Parigi, del 17 Settembre 1997, strumento di lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri 22

. Da non dimenticare anche la ratifica di due protocolli, del 27 settembre e 29 novembre 1996, riguardanti l’interpretazione in via pregiudiziale della Convenzione di Bruxelles.

Un altro importante atto internazionale è la Raccomandazione n. 88 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 20 Ottobre 1988, che aveva incoraggiato gli Stati a introdurre forme di responsabilità delle

personnes morales23

La convenzione OCSE, in particolare, contemplava già la responsabilità degli enti collettivi e obbligava gli Stati contraenti a mettere a punto “le misure necessarie, secondo i propri principi

giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche per la corruzione di pubblici ufficiali stranieri”.24

21

Così BERNASCONI, in Manuale della responsabilità degli enti, Giuffrè 2013

22 DRAETTA, La nuova convenzione OECD e la lotta alla corruzione delle

operazioni commerciali internazionali, in Dir. scambi e comm. int., 1998, p. 968 ss. 23

Anche questo osservato da BERNASCONI, Manuale op cit, il quale puntualizza che se pur privo di forza cogente, anche tale atto è servito per convincere il legislatore italiano

24

(17)

Il vero destinatario dell’attenzione comunitaria era proprio l’Italia, ragion per cui l’allora ministro della giustizia formò un apposito gruppo di lavoro per discutere delle questioni più delicate in merito alla possibile riforma; malgrado l’impegno, il governo preferì volgere lo sguardo altrove sostenendo che non fossero ancora maturi i tempi per una tale modifica normativa, e scelse così di presentare un disegno di legge25

che dette adito a molte perplessità.26

Fortunatamente il Parlamento non volle tergiversare ulteriormente e partorì, non senza difficoltà, la legge 29 Settembre 2000, n. 300, il cui art 11 delegava il governo nella stesura di un testo normativo che introducesse la responsabilità delle persone giuridiche.

1.3.2 Aspetti di conformità e difformità tra legge delega e

decreto legislativo

Si cercherà adesso di analizzare il difficile rapporto tra la l. 300/2000 e il successivo d.lgs. 231/2001, evidenziando i profili di conformità e difformità.

Nella prima versione del decreto la responsabilità era circoscritta ai soli reati previsti dagli art 24-25 della legge delega, nonostante quest’ultima presentasse un ben più nutrito elenco di fattispecie27. Il

Governo preferì attuare solo parzialmente la lista dei reati presupposto, lasciando fuori -tra gli altri- i reati ambientali e quelli contro l’incolumità pubblica. Senza alcuna pretesa di assolutezza, si ritiene che le ragioni di tale -forse eccessiva- iniziale prudenza siano da

25

n°5491 C, 4 Dicembre 1998

26

All’art 6 veniva infatti previsto che “La legge stabilisce i casi nei quali le persone

giuridiche sono autonomamente responsabili dei reati di corruzione attiva e istigazione alla corruzione previsti dagli articoli 321, 322, primo e secondo comma, e 322bis del codice penale, e le sanzioni ad essi applicabili”

27

Segnatamente, l’elenco dei reati presupposto era organizzato in ben 21 articoli (art 24-39)

(18)

ricercarsi nel clima di diffidenza che avvolgeva le discussioni parlamentari di quei mesi, nonché in una certa ostilità proveniente da Confindustria28

.

Tale prudenza, però, non poteva sopravvivere per lungo tempo ed infatti ben presto il ventaglio di reati si allargò, portando sorprendentemente al risultato opposto: un elenco fin troppo nutrito di fattispecie incriminatrici, difficilmente inquadrabili nelle maglie e nei presupposti del testo di legge.29

Su altro versante, si registra la totale assenza nella legge delega di qualsiasi riferimento ai modelli di organizzazione e gestione, che hanno invece un ruolo chiave nel decreto, rappresentando la “via di fuga” che permette alla società, assieme al rispetto di altri parametri, di evitare le sanzioni.

Proseguendo, l’art 26 del decreto prevede una riduzione, che va da un terzo alla metà, per le sanzioni interdittive e pecuniarie, per i soli delitti tentati; nella legge delega non vi è alcun riferimento alla fattispecie del tentativo.

Ancora, il legislatore delegato ha previsto la netta separazione tra la responsabilità della società e quella dell’autore materiale del reato30

, malgrado la legge delega tacesse sul punto; sebbene la Relazione al decreto asserisca che tale previsione sia stata introdotta solo per esigenze di completezza, più di un dubbio permane sui risvolti pratici dell’art 8: come si può ritenere responsabile la persona giuridica quando è ignoto l’autore materiale del reato, senza sapere quindi se si

28

Si cercò, quindi, di mitigare il carattere repressivo del decreto limitando al massimo la lista dei reati presupposto

29

Fra tutte le problematiche in tal senso, si ricorda l’introduzione, nel 2006, dei reati colposi di evento all’art 25 septies. Per un’ampia analisi della questione si veda GARGANI, Responsabilità collettiva da delitto colposo di evento: i criteri di

imputazione nel diritto vivente, in Legislazione Penale, 2016

30

L’art 8 d.lgs. 231/2001 prevede infatti che “La responsabilità dell’ente sussiste

(19)

tratta di un apicale o di un subordinato? Ancora, come si potrebbe accertare il requisito dell’interesse o vantaggio?

Altro esempio di difformità è rappresentato dalle vicende modificative dell’ente, vale a dire quelle operazioni di riorganizzazione societaria come la fusione, la scissione e l’incorporazione; il legislatore delegato non ha trovato alcun riferimento a tali realtà nella l. 300/2000, scegliendo così di elaborare autonomamente un microsistema di regole, previste al capo II per quanto riguarda gli aspetti sanzionatori e in alcune singole norme del capo III per quanto concerne gli aspetti più spiccatamente processuali.

Un simile “atteggiamento interventista”31

del legislatore era necessario data il ruolo di assoluto primo piano che le vicende modificative hanno rivestito nelle dinamiche societarie degli ultimi anni, sia prima che dopo la riforma del diritto societario.

Ancora, la legge delega aveva previsto il diritto di recesso in favore degli azionisti e dei soci innocenti, evitando che essi venissero travolti dalle vicende processuali della società.

Non ci fu però continuità nel decreto perché il meccanismo si rivelò di difficile attuazione soprattutto in sede giudiziale. 32

In conclusione, come appare evidente, il legislatore delegato è sembrato talvolta eccessivamente prudente, scegliendo di attuare limitatamente - o non attuare affatto - la legge delega; altre volte un atteggiamento marcatamente innovativo ha rischiato di trascinare dietro di sé accuse di eccesso di delega.

Un leitmotiv rivelatore delle incertezze diffuse, che per anni non hanno abbandonato tecnici e teorici del diritto.

31

Così NAPOLEONI, Le vicende modificative dell’ente, in Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti, Giuffrè 2010

32

(20)

2.1 Considerazioni preliminari sul d.lgs. 231/2001

L’8 Giugno 2001 viene approvato il decreto 231, la cui intestazione recita “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone

giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300”33

.

Tale corpus normativo è diviso in quattro capi, che trattano rispettivamente i principi generali, la responsabilità patrimoniale e le vicende modificative dell’ente, i profili processuali e le disposizioni di attuazione e coordinamento.

La disciplina non è rivolta solo verso gli enti con personalità giuridica, ma anche a quelli che ne sono sprovvisti, purché non si tratti di enti pubblici non economici o di enti di rilievo costituzionale34.

Anche se il testo non lo esplicita, non è da considerarsi destinatario della disciplina l’imprenditore individuale, che in caso contrario rischierebbe di incorrere in un doppio giudizio, uno in quanto autore materiale del reato e uno in quanto soggetto che ne ha tratto interesse o vantaggio. E’ da tenere presente, comunque, che tale esclusione rappresenta una libera scelta del legislatore italiano, che non ha seguito l'esempio di altri ordinamenti - quale quello svizzero - che invece ha inserito l’imprenditore persona fisica nell’elenco dei destinatari.

Il sistema punitivo del decreto è stato, a ragione, definito “chiuso”35

, in quanto strettamente dipendente da un tassativo elenco di reati

33

Per un primo commento al testo si veda Guida dir, 7 luglio 2001 34Specificamente, il secondo e terzo comma dell’art 1 recitano:

“Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica

e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.

Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.”

35

(21)

presupposto, inizialmente assai limitato e successivamente rivisto e arricchito.

La responsabilità della persona giuridica poggia su due presupposti, uno oggettivo e l’altro soggettivo, previsti agli art 5, 6 e 7 del decreto. L’apparato sanzionatorio prevede sanzioni pecuniarie, interdittive e “infamanti”, che possono essere, in parte, anticipate attraverso lo strumento delle misure cautelari.

E’ stato scelto il procedimento penale come scenario per dirimere le controversie in materia, la cognizione è quindi affidata ad un giudice penale così come penali sono le garanzie offerte all’imputato, in quanto compatibili con la sua particolare natura.

2.2 La controversa natura della responsabilità

La prima questione che verrà affrontata attiene alla natura della responsabilità dell’ente, sulla quale è nato un dibattito di assoluta importanza e di difficile soluzione; non si tratta infatti di un semplice conflitto teorico, poiché optando per il carattere penale della responsabilità la si sottopone al vaglio - e alle potenziali censure - di alcuni importanti principi costituzionali .36

La questione desta interesse anche sul piano sovranazionale, nel senso che solo la natura penale della responsabilità rende possibile l’applicazione delle garanzie previste dalla Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali. 37

36

Il riferimento è ai primi due commi dell’art 2, all’art 27, 111 e 112 della carta fondamentale, come osserva anche DE SIMONE in La responsabilità da reato degli

enti: natura giuridica e criteri di imputazione, in www.penalecontemporaneo.it, 2010

37

Garanzie quali il diritto all’informazione sui motivi di accusa, il diritto all’interprete, il diritto al risarcimento del danno in caso di errore giudiziario. Così ricordadi O. DI GIOVINE, in Lineamenti sostanziali op cit pag 11

(22)

Chiarita quindi l’importanza della querelle, in via di premessa occorre tenere fermi due punti: la scelta del legislatore delegato nel definire la responsabilità come amministrativa e l’attuale orientamento dottrinale maggioritario che, nonostante ciò, propende per una qualificazione penale.38

Si cercherà quindi di illustrare le ragioni addotte dai due schieramenti, senza tralasciare poi la cosiddetta teoria del tertium

genus.

Chi sostiene il carattere penale della responsabilità, osserva in primis che quest’ultima viene definita come “dipendente da reato”39

; un elemento letterale, quindi, dal quale però deriva una conclusione di carattere sistematico: quale altra natura potrebbe avere, se non penale, una responsabilità discendente dalla commissione di un reato? E ciò, si badi, a prescindere dall’autore, visto che ciò che qualifica un comportamento antigiuridico come reato è l’interesse sotteso che è stato leso, e non l’identità di chi pone in essere la condotta.40

Andando oltre il dato letterale, le sanzioni previste dal testo di legge rivelano un grado di afflittività tipico del diritto penale: in particolare le sanzioni interdittive e la misura infamante della pubblicazione della sentenza di condanna; sanzioni che, per altro, si avvicinano molto a quelle di altri paesi europei nei quali è pacifica la natura penale della responsabilità.41

38

Sono di questo avviso, trai tanti, MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità

tra pene pecuniarie e misure interdittive, in Dir e giust, 2001, 23, 8; PADOVANI, Il nome dei principi ed il principio dei nomi: la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, in AA.VV. (a cura di G. DE FRANCESCO), La responsabilità degli enti: un nuovo modello di giustizia “punitiva”, Giappichelli, 2004, 13 ss

39

Osserva ancora O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali op cit, p 12 ma anche DE SIMONE La responsabilità op cit pag 15

40

Osservazione promossa da una larga parte della dottrina, fra i tanti si cita A. FALZEA, La responsabilità penale delle persone giuridiche, in AA.VV., La responsabilità penale delle persone giuridiche in diritto comunitario, Giuffrè, Milano, 1981, p. 141

41

(23)

Come già accennato, l’art 26 del decreto disciplina l’ipotesi del tentativo, figura sconosciuta al diritto amministrativo; si rifletta anche sul fatto che la legge delega non accenna alla fattispecie, il legislatore delegato ha quindi scelto autonomamente di prevederla, quasi volendo suggerire l’effettiva natura penale della responsabilità malgrado la lettera dell’intestazione.

Sempre analizzando le singole norme, devono essere menzionati l’art 3 sulla successione di leggi nel tempo e l’art 4 sui reati commessi all’estero; entrambi questi istituti sono mutuati dal codice penale e si allontanano notevolmente dai principi di diritto amministrativo.

Sul piano processuale, sembra assai arduo non dare rilevanza al fatto che un pubblico ministero svolga le indagini nei confronti dell’ente, ad un giudice penale sia attribuita la cognizione dell’illecito42

, così come penale è il processo, con tutte le garanzie previste dal codice di rito in quanto applicabili. Eppure orientamenti dottrinali opposti provarono a sminuire la forza argomentativa di tali regole processuali, sostenendo che il giudice penale sia stato scelto solo perché, in quanto già competente per il reato presupposto, avrebbe una conoscenza adeguata del caso e sarebbe riuscito ad accertare meglio i presupposti della colpa di organizzazione.

Tale obiezione, se pur non infondata a priori, vacilla di fronte al permanere della cognizione del giudice anche nel caso di non doversi procedere nei confronti della persona fisica, e si sgretola contro l’art 8 d.lgs. 231/2001, ai sensi del quale la responsabilità dell’ente prescinde dalla mancata individuazione della persona fisica.43

42

Ai sensi dell’art 36 la competenza appartiene allo stesso giudice competente per il reato presupposto

43

DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali op cit pag 13 si sofferma puntualmente su questo passaggio argomentativo

(24)

Passando alle argomentazioni a favore della natura amministrativa, autorevole dottrina ha messo in luce le discrasie tra l’istituto della prescrizione così come previsto nel codice penale e quello disciplinato dal d.lgs. 231/2001 all’art 22, che prevede un unico termine quinquennale per tutti i reati presupposto, avvicinandosi così al modello di disciplina previsto all’art 24 della l. 689/198144

Su altro versante, il capo relativo alle vicende modificative dell’ente sembrerebbe prevedere un traslazione della responsabilità incompatibile con l’art 27 C 45

, configurando una sorta di responsabilità per fatto altrui di matrice civilistica. Il problema è tutt’oggi irrisolto e verrà trattato nei prossimi capitoli, al momento preme portare all’attenzione la ratio sottesa alle regole del capo II: evitare che le vicende modificative dell’ente diventassero uno strumento di elusione delle sanzioni.46

Il dato letterale, preso come scudo da illustre dottrina47

, non sembrerebbe essere sufficiente per provare la “teoria amministrativista”: se è vero che la lettera della legge deve essere tenuta in considerazione, è ancor più vero che occorre andare oltre ad essa. Ed ecco che allora, proprio in virtù di quel clima di diffidenza e ostilità che è stato più volte evidenziato in precedenza, non sembra così inverosimile ritenere che il Governo abbia voluto, con il termine “amministrativa” nell’intestazione del decreto, sedare gli animi di chi non avrebbe mai accettato un riferimento espresso alla natura penale della “nuova” responsabilità.

44

Così MARINUCCI, in Societas puniri potest, CEDAM 2003

45

Insistono su questo punto, tra gli altri G. MARINUCCI, op. cit. ; C. DE MAGLIE,

L’etica e il mercato, Giuffrè 2002, p. 329; ALESSANDRI, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2002, 56

46

Così NAPOLEONI, Le vicende modificative op cit pag 309

47

(25)

Si inserisce a questo punto la teoria del tertium genus, secondo la quale la responsabilità in esame presenterebbe tratti tipici sia del diritto penale che del diritto amministrativo; una convivenza dovuta alla peculiarità del soggetto di riferimento, ossia una persona giuridica e non fisica.48

Se pur capace di unire posizioni all’apparenza inconciliabili, tale teoria sembrerebbe essere eccessivamente accomodante; si potrebbe azzardare di conseguenza un’altra soluzione, secondo la quale questo

“sistema geneticamente modificato con sembianze ibride”49

rimane

comunque improntato secondo le regole e i principi penalistici, che sono però stati plasmati dal legislatore per essere funzionali al destinatario della normativa, ossia una persona giuridica. Un sistema penale che, per esigenze di concretezza e effettività, talvolta ha dovuto adottare regole tipiche di un sistema giuridico come quello amministrativo che invece era abituato già da molti anni a relazionarsi a soggetti giuridici collettivi, e dietro il quale ci si è rifugiati in virtù della sua minore afflittività.

2.3 I presupposti della responsabilità dell’ente

48

Fra i tanti, MEZZETTI-RONCO, Diritto penale dell’impresa, 2a ediz., Zanichelli, Bologna, 2009, p. 41; I. CARACCIOLI, Osservazioni sulla responsabilità penale

“propria” delle persone giuridiche, in AA.VV., Studi in onore di M. Gallo,

Giappichelli, Torino, 2004, p. 86; O. DI GIOVINE, Lineamenti sostanziali op cit pag 16 s.; G. FLORA, Le sanzioni punitive nei confronti delle persone giuridiche: un

esempio di “metamorfosi” della sanzione penale?, in Dir. pen. e proc., 2003, p.

1399; G. FORTI, Sulla definizione della colpa nel progetto di riforma del codice

penale, in DE MAGLIE-SEMINARA (a cura di), La riforma del codice penale,

Giuffrè, Milano, 2002, p. 102;

49

(26)

Per motivi sistematici non sarà possibile analizzare la questione come meriterebbe, tuttavia è imprescindibile quantomeno un accenno data la sua importanza.

In via di premessa è necessario tenere ben fermo un principio: l’illecito della persona giuridica non corrisponde a quello commesso dalla persona fisica, che è solo uno degli elementi fondanti la condotta delittuosa dell’ente. E’ necessario infatti che tale reato sia posto in essere da un soggetto qualificato, nell’interesse o vantaggio della società, in presenza di un deficit prevenzionistico diversamente declinato a seconda della qualifica ricoperta dal soggetto agente.50

L’art 5 dispone che il reato debba essere commesso nell’interesse o

vantaggio dell’ente, e che il soggetto agente rientri in una delle due

categorie che lo stesso prevede: sinteticamente, soggetti in posizione apicale e soggetti in posizione subordinata.

Nella prima categoria rientrano gli amministratori delegati e non delegati, esecutivi e non esecutivi51, così come i direttori generali.

Sono invece esclusi i sindaci, dato che non viene fatta alcuna menzione della funzione di controllo, così come - negli altri sistemi societari - i membri del consiglio di sorveglianza (art 2049-duodecies ss cc). Per quanto concerne i soggetti di cui alla lettera b, si precisa che non è necessario un rapporto di lavoro subordinato52

, il che permette di includere - oltre ai classici sottoposti inseriti nell’organigramma

50

Tutto ciò è stato puntualizzato anche dalla Cassazione, sezione VI, 5 Ottobre 2010, O.M.S. Salieri s.p.a., come precisato in CERESA-GASTALDO, Procedura penale

delle società, Giappichelli 2015 pag 11

51PISANI, Struttura dell’illecito e criteri di imputazione, in A. D’AVIRRO- DI

AMATO (a cura di), La responsabilità da reato degli enti, Cedam, Padova, 2009, p. 81

52

La norma infatti si limita a parlare della direzione o vigilanza di uno dei soggetti indicati alla lettera a)

(27)

interno - anche soggetti esterni quali gli agenti di commercio, i commissionari di vendita e i consulenti.53

E veniamo ora all’interesse o vantaggio, formula che ha portato non pochi problemi di interpretazione; si possono distinguere due diverse posizioni riguardo all’interpretazione dell’espressione: la prima, concepisce l’interesse e il vantaggio come due concetti ben distinti tra loro, declinati diversamente. 54

Secondo altri, invece, l’espressione è da considerarsi un’endiadi e servirebbe ad estendere l’interesse anche in senso oggettivo. 55

Passando adesso all’analisi del requisito soggettivo, gli art 6 e 7 prevedono regole diverse a seconda che l’autore del reato presupposto sia un apicale o un subordinato. L’art 6 d.lgs. 231/2001 si occupa dell’ipotesi in cui il reato sia commesso da uno dei soggetti di cui alla lettera a dell’art 5, prevedendo in tale situazione un’inversione dell’onere probatorio in virtù del rapporto di immedesimazione organica che legherebbe il soggetto apicale alla società. Sinteticamente, la persona giuridica dovrebbe dimostrare la messa a punto di modelli di organizzazione e gestione, un corretto controllo degli stessi da parte dell’organismo di vigilanza, nonché una condotta fraudolenta in capo all’autore materiale volta all’elusione di tali modelli. Una probatio diabolica ulteriormente aggravata dal fatto che i

53

E’ di questo avviso anche CAPECCHI, La responsabilità amministrativa degli enti

per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato: note di inquadramento sistematico e problematiche imperative, in Dir. Comm. int., 2006

54

Soprattutto nei lavori preparatori, ci si preoccupò di precisare che mentre l’interesse è un concetto finalistico, identificabile quindi ex ante, il vantaggio sarebbe riscontrabile solo ex post, e può derivare da un reato che è stato commesso non nell’interesse dell’ente, che tuttavia se ne è avvantaggiato. In questo senso anche DE MAGLIE, op cit, pag 332

55

Questa seconda opinione è molto diffusa in dottrina, tra i tanti si cita DE VERO, op cit, pag 159; PULITANO’, op cit, pag 425

(28)

giudici tendono a dare quasi per scontato il requisito oggettivo quando è un apicale a commettere il reato, “scaricando” subito sull’imputato l’onere di dimostrare la propria innocenza. Vedremo come questo aspetto crei una serie di problemi di ordine interpretativo.

L’onere della prova torna ad essere a carico dell’accusatore quando il reato è stato commesso da un soggetto in posizione subordinata; ai sensi dell’art 7 infatti l’ente è responsabile se il reato è stato realizzato in virtù dell’inosservanza degli obblighi di vigilanza. Tale difetto viene però sistematicamente escluso se l’ente prima della commissione dell’illecito ha posto in essere un modello idoneo a prevenire reati della stessa specie.

2.4 I profili sanzionatori

Ai fini della successiva trattazione è necessario analizzare brevemente i profili sanzionatori del decreto; l’art 9 elenca i tipi di sanzioni previste: pecuniaria, interdittiva, confisca e pubblicazione della sentenza di condanna.

Le sanzioni pecuniarie sono applicate ai sensi dell’art 10 ss, sulla base di quote calcolate secondo scaglioni proporzionali in base alla gravità del reato e ad alcuni parametri legati alla situazione patrimoniale dell’ente.56

56

L’art 11 d.lgs. 231/2001 dispone:

“Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell´ente nonchè dell´attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

L´importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell´ente allo scopo di assicurare l´efficacia della sanzione.

Nei casi previsti dall´articolo 12, comma 1, l´importo della quota è sempre di lire duecentomila”

(29)

Il legislatore delegato ha previsto dei rimedi premiali nei confronti della società che, successivamente alla realizzazione del reato, si attivi per rimuove le conseguenze negative e metta a punto un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi: l’art 12 disciplina infatti la riduzione della pena pecuniaria da un terzo alla metà al verificarsi delle condizioni sopra elencate57

.

L’unico soggetto che risponde delle sanzioni pecuniarie è l’ente col suo patrimonio, come precisa l’art 27 del decreto in apertura del capo II.

Per quanto riguarda le sanzioni interdittive, la principale differenza rispetto a quelle pecuniarie sta nel fatto che vengono applicate solamente al verificarsi di alcune condizioni, disciplinate all’art 13 d.lgs. 231/200158

; inoltre, il terzo comma richiama la norma precedente, escludendo l’applicazione delle sanzioni interdittive quando il reato è commesso nell’interesse del soggetto agente e quando l’ente ne ha ricavato un vantaggio minimo. L’adozione di un regime meno aspro rispetto alle sanzioni pecuniarie sta nella maggiore portata afflittiva delle misure interdittive, in grado di creare problemi a

57

La stessa norma prevede anche la riduzione della metà se il reato è commesso nel prevalente interesse del soggetto agente e se la società ne ha tratto un vantaggio minimo. Art 12 1° comma d.lgs. 231/2001

58

Il primo comma dell’art 13 d.lgs. 231/2001 recita così:

“Le sanzioni interdittive si applicano in relazione ai reati per i quali sono espressamente previste, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni: a) l´ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all´altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;

(30)

volte irreparabili all’ente e che quindi necessitano di condizioni più gravi per poter essere applicate.59

In chiusura, l’art 14 detta i criteri di scelta delle sanzioni interdittive, che devono essere applicate tenendo conto tenendo conto “della particolare attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente”60

L’art 19 d.lgs. 231/2001 ha dato attuazione alla lettera i dell’art 11 della legga delega, che prevedeva la confisca tra le sanzioni a carico della società. La norma del decreto dispone quindi che la confisca del prezzo o del profitto del reato è sempre disposta, assieme alla sentenza di condanna. Il secondo comma disciplina l’ipotesi in cui non sia possibile procedere alla confisca a norma del primo comma, indicando nel caso di specie il ricorso alla forma per equivalente.

Il dato che salta subito agli occhi è la differenza rispetto alla disciplina penalistica, ai sensi della quale la confisca non è una sanzione ma una misura di sicurezza patrimoniale61

; il legislatore delegato la considera invece una vera e propria sanzione, per altro sempre applicabile come quella pecuniaria.

Da sottolineare che nei beni confiscabili deve essere sottratta “la parte

che può essere restituita al danneggiato” e i diritti acquisiti dai terzi in

buona fede, ai sensi del primo comma dell’art 19. A proposito di quest’ultima disposizione, le Sezioni Unite sono intervenute per

59

L’art 9 comma 2 d.lgs. 231/2001 elenca le misure interdittive: - l´interdizione dall’esercizio dell’attività;

- la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

- divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

- l´esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l´eventuale revoca di quelli già concessi;

- il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

60

Si veda il testo dell’art 14 d.lgs. 231/2001

61

(31)

l’ipotesi in cui la persona giuridica sia fallita successivamente all’accertamento dell’illecito, chiarendo che tra i beni acquisiti dai terzi in buona fede non rientrano i diritti di credito.

La confisca ricorre anche in altre circostanza, che verranno di seguito sinteticamente elencate: l’art 23 la prevede nel caso di inosservanza delle sanzioni interdittive, mentre l’art 15 - che disciplina il commissariamento dell’ente - dispone la confisca per il profitto che deriva dalla prosecuzione dell’attività. In quest’ultimo caso la confisca sostituisce la sanzione interdittiva.

Si accenna anche ad un dibattito dottrinale e giurisprudenziale a proposito dell’accezione di profitto confiscabile nel caso di rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive; contrasto diramato dalle Sezioni Unite le quali hanno puntualizzato che non sempre il profitto confiscabile corrisponde all’intero profitto conseguito tramite il rapporto contrattuale. Nel caso dei cosiddetti “reati in contratto”, infatti, occorre distinguere il vantaggio economico che è direttamente collegabile alla condotta illecita e che quindi deve essere oggetto di confisca, con ciò che si è lecitamente conseguito a seguito di una prestazione contrattuale. 62

Da ricordare anche le prestazioni riparatorie, grazie alle quali l’ente può evitare di subire la sanzione interdittiva, fermo restando l’applicazione di quella pecuniaria. In particolare l’art 17 del decreto sottopone tale trattamento premiale all’assolvimento di una serie di comportamenti, tra cui l’eliminazione delle carenze organizzative e la rimozione delle conseguenze dannose del reato.

62

Per approfondire tutti questi aspetti si veda CERESA-GASTALDO

(32)

Nella stessa direzione si muove l’art 65, che disciplina una peculiare ipotesi di sospensione del processo, se l’ente assolve i compiti di cui all’art 17.

Sulla stessa linea è anche l’art 49, che dispone la sospensione delle misure cautelari previo assolvimento delle prestazioni riparatore; su questo ultimo punto è interessante far presente che la norma ha sollevato non poche critiche, in merito al fatto che l’ente si troverebbe costretto a tenere una serie di comportamenti, non senza dispendio di risorse, in una fase del procedimento ancora “acerba”, e soprattutto con ancora la possibilità che il pubblico ministero archivi le indagini.

3.1 L’ente nel processo: la disciplina di riferimento

Si è già accennato alla scelta del procedimento penale come strumento per l’accertamento della responsabilità della persona giuridica, ma è necessario approfondire meglio il tema.

Il legislatore delegato si è adeguato alle direttive della legge delega63,

dettando un microsistema processuale di chiara ispirazione penalistica al capo III del decreto legislativo (art 34-82). La norma di apertura del capo rimanda alle norme del codice di rito, laddove sia possibile applicarle.

Imitando lo stile di alcuni rinvii alla disciplina ordinaria previsti nel codice per il rito monocratico o per il procedimento di fronte al giudice di pace 64

, anche qua il legislatore ha chiesto all’interprete di valutare volta per volta la compatibilità delle norme processuali con i dettami

63

La lettera q della l. 300/2000 ordina infatti di “prevedere, che le sanzioni

amministrative a carico degli enti sono applicate dal giudice competente a conoscere del reato e che per il procedimento di accertamento della responsabilita' si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale, assicurando l'effettiva partecipazione e difesa degli enti nelle diverse fasi del procedimento penale”

64

(33)

del decreto; oltre al rinvio generale ex art 34, l’apparato normativo contiene una serie di rimandi specifici agli istituti processuali, come l’art 35 che dispone l’estensione all’ente della disciplina e delle garanzie previste per l’imputato.

Vi sono poi contesti nei quali al processo penale si preferisce un’altra sede dirimente, in virtù delle caratteristiche dell’ente in oggetto; è il caso ad esempio dell’art 97 del t.u.b. che prevede regole particolari per i procedimenti a carico delle banche, oppure dell’art 60-bis t.u.f. per i procedimenti riguardanti gli illeciti amministrativi di SIM, SGR, Sicav e Sicaf.

Al di là di queste eccezioni, nel capo III troviamo gran parte degli istruiti previsti nel codice di rito: le indagini preliminari, l’udienza preliminare, le misure cautelari, la disciplina sulle prove e sul dibattimento, le impugnazioni e l’esecuzione della sentenza.

3.2 Il rapporto tra decreto e codice di rito

Analizzando il capo III è chiaro che con il rinvio alle norme processual penalistiche il legislatore abbia voluto disporre delle garanzie e degli strumenti tipici di tale procedura. E’ stato così assicurato il diritto di difesa all’ente fin dalle prime indagini65

, ma soprattutto si è garantito un accertamento egualmente attendibile di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità dell’ente. Solo il procedimento penale possiede mezzi di indagine così penetranti dei quali dispone una figura ad hoc quale il pubblico ministero, nonché di strumenti coercitivi idonei ad arginare le conseguenze dannose dell’illecito, come le misure cautelari. D’altro canto, non mancano le discrasie tra il sistema processual penalistico e la disciplina speciale del d.lgs. 231/2001: la più

65

(34)

macroscopica è l’inversione dell’onere della prova, di cui è stata data notizia in precedenza. Senza dubbio la disciplina dell’art 6 d.lgs. 231/2001 risulta in forte contrasto con l’art 27 C, dal quale discende il principio per cui è l’accusatore ad avere l’onere di provare la colpevolezza dell’accusato; la dottrina ha provato a trovare una soluzione66

, tuttavia la questione resta un vero punctum dolens del decreto.

A proposito di alterità, si pone l’accento anche sull’art 42 - che verrà trattato con attenzione in seguito - il quale dispone che in caso di vicende modificative dell’ente il processo continua nei confronti dei soggetti risultanti da tali vicende. Anche questa previsione ha destato una serie di problematiche, soprattutto in merito alla scissione e alla fusione.

Un’altra difformità riguarda la disciplina dell’archiviazione, che nel decreto 231/2001 è disposta dal pubblico ministero con decreto motivato, senza bisogno di alcun controllo giudiziale.

Tutto questo ha portato a sollevare dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art 34 d.lgs 231/2001, che invece di un rinvio condizionato alla libera discrezionalità dell’interprete, avrebbe dovuto prevedere un rimando integrale al codice di rito.

La questione è stata respinta dai giudici di merito67

con la motivazione secondo cui il legislatore delegato avrebbe semplicemente adattato alcune norme processuali alla peculiare natura del soggetto e alle nuove esigenze che il decreto 231/2001 promuove. Una conclusione che non convince parte della dottrina che vede invece delle “vere e

66

Una soluzione dottrinale suggerisce che i principi costituzionali in merito al processo penale sarebbero confezionati esclusivamente per la persona fisica, ed è una libera scelta del legislatore la loro adozione o meno nei confronti di un imputato persona giuridica. Così GROSSO, Il principio di colpevolezza nello schema di delega

legislativa per l'emanazione del nuovo codice penale, in Cass. pen., 1995, 1885

67

(35)

proprie deroghe ai principi cardine del processo penale, non autorizzate dalla legge delega e a volte in contrasto con essa.” 68

Così come non convince la tendenza diffusa del legislatore delegato nel voler arrivare, utilizzando il processo penale, a soluzioni concordate della controversia e a promuovere condotte riparatorie dell’ente che impongono al giudice valutazioni di carattere aziendalistico, economico e prevenzionistico che esulano dalla sua area di competenza e che distorcerebbero troppo il suo ruolo.

A fronte di tutto ciò, si ritiene che la pronuncia del tribunale in merito alla presunta illegittimità costituzionale dell’art 34 centri bene il punto: si tratta di adattamento, necessario di fronte alla peculiarità di un referente che non è una persona fisica. Il codice penale e di procedura penale non sono stati pensati per un soggetto collettivo, ma una volta chiarito questo punto è necessario andare oltre e cercare di fare il possibile per trovare una linea di continuità, senza rinunciare a tutto ciò che il procedimento penale offre e che è assolutamente necessario per fronteggiare un fenomeno così spiccatamente di primo piano come la criminalità di impresa.

Certamente questo non significa stravolgere completamente i pilastri del sistema penale del nostro ordinamento, piuttosto occorrerebbe uno sforzo da parte di tutti - operatori del diritto, dottrina e giurisprudenza - nel cercare di conciliare esigenze così nuove ma così importanti, con la ferma convinzione che anche il diritto penale si adatta e si evolve nel tempo in virtù dei nuovi interessi ad esso sottesi.

68

(36)

CAPITOLO II

LE VICENDE MODIFICATIVE

DELL’ENTE: I PROFILI SOSTANZIALI

SOMMARIO: 1.1 Le vicende modificative dell’ente:

inquadramento generale. - 2.1 La trasformazione societaria. -

2.2.1 La fusione: l’evoluzione nel diritto societario. - 2.2.2

La fusione nel decreto legislativo 231/2001. - 2.2.3 I

problemi applicativi dell’art 29 - 2.3.1 La scissione

societaria: profili generali. - 2.3.2 La scissione societaria

come disciplinata all’art 30 d.lgs 231/2001. - 3.1 Aspetti

sanzionatori comuni alla fusione e scissione. - 3.2 La

disciplina della reiterazione in caso di vicenda modificativa.

- 3.3.1 La cessione e il conferimento di azienda:

considerazioni introduttive. - 3.3.2 La cessione e il

conferimento di azienda: analisi dei commi.

1.1 Le vicende modificative dell’ente: inquadramento

generale

Con l’espressione “vicende modificative dell’ente” si vuole fare riferimento alla trasformazione, fusione e scissione societaria; questi fenomeni di riorganizzazione aziendale sono disciplinati

(37)

primariamente al capo X del libro V del codice civile, e sono stati investiti in larga parte dalla riforma del diritto societario del 2003.69

Il d.lgs. 231/2001 ha dedicato alle vicende modificative la seconda parte del capo II per ciò che attiene i profili sostanziali, nonché alcune norme sparse nel capo III per quanto riguarda gli aspetti processuali. In questa parte del lavoro verranno affrontate le norme del capo II, la cui analisi è imprescindibile per comprendere pienamente le dinamiche processuali.

Il primo dato che deve essere tenuto in considerazione è l’assenza nella legge delega di un riferimento specifico alle vicende modificative; in virtù dell’importanza che il fenomeno riveste nello scenario del diritto societario moderno, il legislatore delegato ha comunque scelto di regolarizzarlo, dovendo per altro fronteggiare accuse di eccesso di delega che arrivarono da diversi fronti. Tali critiche sono tuttavia da respingere: si può al più discutere sulla bontà delle singole previsioni adottate, ma non certo sul fatto che fosse necessario un intervento del legislatore delegato70; in più, non si dimentichi che la lettera f dell’art

11 della legge 300/2000 chiedeva al Governo di prevedere sanzioni che fossero “efficaci, proporzionate e dissuasive”, richiamando implicitamente una regolamentazione di operazioni come quelle in esame, potenzialmente idonee a mettere a rischio la buona riuscita del nuovo sistema sanzionatorio 71

.

A legittimare ulteriormente la scelta del legislatore delegato, si osserva che già in altre esperienze normative era stato affrontato il tema delle vicende modificative; un esempio è l’art 123 del Progetto Grosso, che

69

Si fa riferimento alla riforma apportata mediante i decreti legislativi n° 5-6 del 17 Gennaio 2003

70

Dello steso avviso NAPOLEONI, Le vicende modificative op cit pag 309

71

Osserva così MASUCCI, “Identità giuridica” e “continuità economica” nelle

vicende da responsabilità “da reato” dell’ente. Evoluzione e circolazione dei modelli, in Riv. trim. dir. pen. econ. 3-4/2014

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