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Verso Basilea IV? Critiche dell'attuale framework e possibili prospettive

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea

Verso Basilea IV?

Critiche all’attuale framework e possibili

prospettive

Relatore

Candidata

Prof.ssa Paola Ferretti Alessandra Petruzza

Matricola 540352

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“Quando sai quello che vuoi,

e lo vuoi con abbastanza forza,

troverai un modo per averlo”.

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3

Indice

Introduzione

...5

Capitolo 1 L’attuale framework di vigilanza prudenziale: Basilea III

...8

1.1 L’evoluzione regolamentare: da Basilea I a Basilea III ...8

1.2 I principali ambiti d’intervento di Basilea III ...16

1.2.1 La revisione del capitale, l’introduzione di riserve e il contenimento della prociclicità ...20

1.2.2 La copertura dei rischi ...27

1.2.3 La leva finanziaria ...30

1.2.4 La liquidità ...34

1.3 I limiti e le criticità di Basilea III ...37

Capitolo 2 Verso Basilea IV: tra adattamenti e proposte

...41

2.1 L’inattendibilità dei Risk-Weighted Assets e la focalizzazione sul Leverage Ratio ...41

2.2 Le proposte di Basilea IV ...48

2.3 Gli effetti per il rischio di credito ...55

2.3.1 Il possibile abbandono dell’Internal Ratings-Based Approach ...57

2.4 Gli effetti per il rischio operativo ...59

2.4.1 La previsione di un nuovo modello: lo Standardised Measurement Approach ...60

2.5 Gli effetti per il rischio di mercato e il Fundamental Review of the Trading Book ...63

2.5.1 La previsione di un nuovo modello: il Sensitivity Based Approach ...66

2.5.2 La migrazione dal Value at Risk all’Expected Shortfall ...68

2.5.3 Una marcata distinzione tra trading book e banking book ...70

2.6 Gli effetti per il rischio di controparte ...71

2.6.1 L’abbandono dei modelli interni per il Credit Valuation Adjustment ...73

2.7 Un confronto tra Basilea III e Basilea IV ...75

Capitolo 3 Focus sulle novità di Basilea IV

...78

3.1 La predisposizione all’utilizzo di modelli standardizzati maggiormente risk-sensitive ...78

3.2 Il possibile aumento dei requisiti di capitale e la previsione di capital add-on nel Pillar 2 ...82

3.3 Il miglioramento e le disposizioni sul Total-Loss Absorbing Capacity ...84

3.4 L’intensificazione degli stress test ...88

3.5 La volontà di limitare gli effetti sul rischio sovrano ...91

3.6 La misurazione e il controllo dei grandi fidi e della concentrazione ...94

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4

3.8 La previsione di un accrescimento degli obblighi informativi ...100

Capitolo 4 Le principali implicazioni operative e strategiche di Basilea IV

...105

4.1 L’impatto sulle singole banche ...105

4.2 L’impatto sull’economia globale: un confronto tra banche europee e banche americane ...108

4.3 La contestuale applicazione dell’IFRS 9: analisi e conseguenze sull’economia internazionale ...112

Conclusioni

...117

Bibliografia

...119

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5

Introduzione

L’obiettivo della tesi è di analizzare le proposte che sono state suggerite e presentate negli ultimi anni dal Comitato di Basilea e che hanno riscontato una consistenza tale nel numero, nella complessità e nella rilevanza da essere definite come non la semplice “ricalibrazione” di Basilea III, ma piuttosto la formulazione di un nuovo quadro di vigilanza bancaria: Basilea IV. Si esaminano, quindi, le diverse iniziative, partendo però dall’interpretazione delle ragioni che hanno condotto la Vigilanza a tali scelte e a tali necessità di rivisitazione.

Il primo capitolo approfondisce l’excursus normativo in materia di vigilanza bancaria che inizia con il “Primo Accordo” e giunge fino all’introduzione dell’attuale quadro di vigilanza: Basilea III. Si esaminano le ragioni che hanno spinto le Autorità di Vigilanza ai diversi cambiamenti regolamentari, soffermandosi in particolar modo, su quelle che hanno condotto all’approvazione di Basilea III, in primis la crisi finanziaria del 2007, che ha messo in luce alcuni limiti dei quadri regolamentari precedenti, determinando la necessità di avviare un intenso processo di revisione. La crisi finanziaria, propagatasi negli Stati Uniti prima e all’intero sistema finanziario dopo, ha dimostrato quanto le banche a livello internazionale non fossero in realtà capaci di gestire efficacemente le diverse tipologie di rischio e di reagire prontamente a situazioni di criticità. L’attuale quadro di vigilanza si arricchisce di importanti novità e dirige la propria azione revisoria a correggere alcuni fra i principali difetti delle regolamentazioni precedenti, dotando le Autorità di Vigilanza di poteri più incisivi per il controllo sulle banche. Basilea III ha sicuramente soddisfatto le diverse esigenze relative alla copertura delle lacune emerse dai quadri normativi precedenti, tuttavia fin dalla sua istituzione ha manifestato una serie di punti di debolezza, da qui la volontà del Comitato di Basilea di produrre una serie di documenti di consultazione e di discussione che indicano un significativo riesame del quadro di Basilea III. Il numero, l’importanza e la complessità delle revisioni previste hanno però aperto alla prospettiva di un nuovo quadro regolamentare: Basilea IV.

Il secondo capitolo affronta innanzitutto la tematica dell’inaffidabilità degli attivi ponderati per il rischio, la disciplina di Basilea II ha infatti consentito un numero particolarmente elevato di discrezionalità nazionali, che hanno impattato sulle regole di calcolo degli RWA, minando in questo modo all’omogeneità tra le prassi internazionali e alla comparabilità. Basilea III, per ovviare a ciò, ha introdotto un rapporto minimo di leverage al fine di "limitare l'accumulo di eccessiva leva finanziaria nel settore bancario ed evitare processi che possono danneggiare il sistema finanziario e l'economia".

Ad oggi, nel disegnare il nuovo accordo sul capitale, i regolatori hanno, infatti, posto grande enfasi sul rafforzamento – quantitativo e qualitativo – delle risorse patrimoniali che le banche

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6

devono detenere a fronte dei rischi. La strada maestra indicata dal Comitato sembra essere quella di semplificare i modelli interni promuovendo un ricorso crescente a quelli di tipo standardizzato, resi maggiormente risk-sensitive rispetto al passato. Questa tendenza si è concretizzata su una serie di interventi a carico di tutti i rischi finanziari, e nella previsione di un’accurata gamma di novità, concernenti: i requisiti di capacità di assorbimento delle perdite totali, gli stress test, le disposizioni sul rischio sovrano, la disciplina sulle grandi esposizioni e sulla concentrazione, le regole sulla cartolarizzazione, gli strumenti macroprudenziali supplementari, l’aumento degli obblighi di informativa al pubblico, la maggiore attenzione al rischio di liquidità, il Fundamental Review of Trading Book, la previsione di capitale aggiuntivo nel secondo pilastro, un confine più marcato tra banking book e trading book, la gestione e la supervisione del rischio di tasso d’interesse sul banking book.

Nel terzo capitolo, si esaminano più da vicino alcune tra le proposte di Basilea IV; diventa essenziale esporre l’analisi TRIM condotta dalla BCE a partire dal 2015 a proposito della conformità ai requisiti patrimoniali dei modelli interni, attualmente utilizzati dagli intermediari, ma non solo, è altresì basilare introdurre le tematiche della previsione di capitale aggiuntivo nel secondo pilastro e della capacità di assorbimento delle perdite totali per gli intermediari a rilevanza sistemica. In questo senso, viene approfondita anche la necessità di intensificare gli stress test, divenuti fondamentali a seguito della crisi finanziaria, così come di rivedere le disposizioni in materia di rischio sovrano. E poi ancora, analizzata la disciplina sui grandi fidi e le novità in materia di cartolarizzazione, ed infine, ma non meno importante, le disposizioni in materia di informativa al pubblico, diventa, infatti, per la Vigilanza sempre più considerevole far sì che gli intermediari diffondano informazioni chiare, complete, tempestive, al fine di assicurare comparabilità e trasparenza nel sistema finanziario, e accrescere la fiducia degli stakeholders.

Nel quarto capitolo, si considerano gli effetti della possibile attuazione di Basilea IV sia sul singolo intermediario che sull’economia globale. Non solo, si cerca di distinguere il diverso gradimento della futura regolamentazione in Europa e negli Stati Uniti, subordinato all’utilizzo di differenti modelli per la determinazione del capitale da accantonare.

In ultimo, viene analizzato il possibile impatto congiunto derivante dalla futura, e ancora indeterminata e non del tutto definita, attuazione di Basilea IV e dall’implementazione del nuovo principio contabile internazionale IFRS 9, la cui applicazione è prevista per il 1° Gennaio 2018. Diventa importante, infatti, cercare di analizzare preventivamente i costi a cui gli intermediari saranno esposti, in quanto il nuovo framework è destinato a modificare nuovamente i modelli che le banche hanno finora elaborato ed implementato, questo comporterà

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7

certamente il sostenimento di costi assai onerosi dovuti alla necessità di adeguamento e di conformità alle future nuove regole di vigilanza.

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8

Capitolo 1

L’attuale framework di vigilanza prudenziale:Basilea III

1.1 L’evoluzione regolamentare: da Basilea I a Basilea III

Gli Accordi di Basilea rappresentano un complesso di norme di vigilanza prudenziale, elaborate dal Comitato di Basilea sotto la supervisione del Financial Stability Board, aventi ad oggetto la stabilità del sistema bancario. Il Comitato di Basilea è un organismo di consultazione, il cui scopo è quello di rafforzare la cooperazione tra le Autorità di Vigilanza, nell’ottica di una maggiore stabilità del sistema bancario internazionale, sviluppando linee guida e requisiti standard per gli istituti creditizi, favorendo la convergenza tra sistemi regolamentari internazionali.

Gli Accordi di Basilea non hanno natura vincolante, rappresentano il tentativo di promuovere delle regole comuni per il sistema bancario internazionale: tali regole, infatti, vengono poi recepite su base volontaria dai Paesi aderenti allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.

Il primo Accordo, noto come Basilea I, risale al 1988. «Alla base vi è un sistema di misurazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche, con la previsione di requisiti minimi di capitale a fronte, in particolare, del rischio di credito. L’inadeguatezza dimostrata dall’Accordo nel saper allineare i requisiti di capitale con i rischi sopportati dalle banche, ha condotto a un ridisegno della regolamentazione avvenuto con il Nuovo Accordo di Basilea, noto come Basilea II,

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9

pubblicato nel Giugno 2004, successivamente completato nel 2006 ed entrato in vigore definitivamente nel 2008»1.

L’ultimo framework, Basilea III, si è reso necessario a seguito della crisi del sistema finanziario del 2007-2008, che ha messo in luce la debolezza dei requisiti patrimoniali delle banche fissati negli accordi precedenti.

L’accordo sul capitale denominato Basilea I, scaturiva dall’esigenza di uno schema normativo omogeneo in tema di adeguatezza patrimoniale delle banche. Nel 1988 il Comitato raggiunse un primo accordo sui requisiti patrimoniali minimi delle banche, con lo scopo di limitare la condotta molto “aggressiva” di alcuni istituti di credito, liberi di agire in contesti normativi poco regolamentati. Si definì pertanto il concetto di “capitale di vigilanza”2 e le autorità monetarie stabilirono l’8% quale valore percentuale congruo per la valutazione. La somma sulla quale veniva calcolato il capitale di vigilanza era comunque “pesata” in base al grado di rischio del credito concesso. Questo 8%, quindi, non era semplicemente calcolato sul totale del credito erogato, ma sull’attivo ponderato del rischio di credito, dove l’attivo ponderato non rappresentava altro che il valore totale dell’operazione creditizia o finanziaria, moltiplicata per alcuni coefficienti stabiliti dall’Autorità.

«Apparve subito evidente che all’interno di una medesima classe (che corrisponde ad una tipologia di clientela) non era prevista alcuna differenziazione del rischio. Questo non permetteva di collegare l’eventuale rischio di insolvenza specifico, ad esempio di una impresa, alla relativa quota di patrimonio da accantonare. Le banche erano pertanto incentivate all’erogazione di crediti verso clienti a più alto rischio reale, ma che garantivano maggiori ritorni per la banca»3.

Effettivamente, il punto debole di Basilea I era quello di prevedere coefficienti di ponderazione del rischio rigidi e che non tenevano conto dell’effettiva qualità di una controparte o di un credito nell’attivo della banca, e il risultato è stato quello di produrre effetti distorsivi, dovuti all’incentivo per il finanziamento di imprese più rischiose.

«Un altro limite evidente dell’Accordo risiedeva nel fatto che l’analisi del rischio non teneva conto dei tempi di scadenza del prestito erogato, e un credito a un mese assorbiva in termini di capitale di vigilanza quanto un credito a 10 anni. Inoltre, non veniva considerata la diversificazione del portafoglio quale elemento di riduzione del rischio stesso: ingenti perdite

1 Fondazione Culturale Responsabilità Etica Onlus, «Gli Accordi di Basilea sulla vigilanza bancaria»,

Febbraio 2011.

2

Il capitale di vigilanza (o patrimonio di vigilanza) corrisponde alla quantità di patrimonio che la banca deve tenere a garanzia di ogni sua attività finanziaria o creditizia.

3 VitadImpresa.it, Informazione e approfondimento per un sano sviluppo d'Impresa: «Basilea 1», (Per

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comportano, infatti, una minore disponibilità di liquidità e questo ha avuto come effetto immediato una forte stretta da parte delle banche sull’erogazione di linee di credito»4

.

Vi erano poi ulteriori fattori di debolezza, tra cui la considerazione inadeguata delle forme di garanzia; il mancato riconoscimento delle varie forme di mitigazione e trasferimento del credito; la mancata considerazione dei rischi operativi e dei rischi di mercato, ai fini della determinazione del patrimonio di vigilanza.

Complessivamente, Basilea I portava a definire un’allocazione di capitale non sufficientemente sensibile al livello dei rischi presenti in un’operazione di credito, nella posizione complessiva verso una controparte e, in sintesi, nell’intero portafoglio crediti della banca. Gli effetti distorsivi, oltre a quelli chiaramente già definiti, potevano essere dati dal fatto che una banca rischiava gravemente di sottocapitalizzarsi, e che la distorsione, dovuta all’allocazione di capitale non congrua, poteva portare ad un pricing inadeguato, ossia troppo costoso per i prenditori migliori e viceversa. «Se da un lato l’accordo di Basilea I ha quindi costituito un passaggio fondamentale nella regolamentazione e nella vigilanza dell’intero sistema bancario internazionale e nella tutela del singolo risparmiatore, allo stesso tempo ha avuto delle pesanti ripercussioni, forse non previste né avvertite a sufficienza, e non ha affatto creato un contesto competitivo uniforme»4.

Il Comitato di Basilea, dopo il 1988, ha svolto un accurato processo di revisione con l’obiettivo di colmare le lacune che con il tempo erano emerse. Questa complessa opera di revisione portò, nel Giugno 2004, all’approvazione da parte del Comitato di un nuovo accordo sul capitale, noto come Basilea II; il 28 Giugno 2004, il Comitato approvò la versione definitiva dell’accordo, entrato definitivamente in vigore l’1 Gennaio 2008.

Basilea II «aveva come obiettivo quello di superare i limiti che il precedente accordo, Basilea I, aveva evidenziato»5. Questo insieme di nuove regole aveva l’obiettivo di assicurare una misurazione più accurata di un ampio novero di rischi6 e costituire una dotazione patrimoniale più strettamente adeguata all’effettivo grado di esposizione al rischio di ciascun intermediario. Incoraggiava, inoltre, gli istituti di credito a migliorare le prassi gestionali e le tecniche di misurazione dei rischi, anche in ragione dei possibili risparmi patrimoniali; metteva in risalto, infine, il ruolo disciplinante del mercato con l’introduzione di specifici obblighi di informativa al pubblico.

4 VitadImpresa.it, Informazione e approfondimento per un sano sviluppo d'Impresa: «Basilea 1», (Per

approfondimenti: http://www.vitadimpresa.it/?page_id=2155).

5 VitadImpresa.it, Informazione e approfondimento per un sano sviluppo d'Impresa: «Basilea 2», (Per

approfondimenti: http://www.vitadimpresa.it/?page_id=1843).

6 È di fatto con Basilea 2 che per la prima volta vengono ad essere disciplinati i rischi operativi e i rischi

di mercato, con la pubblicazione, per quanto riguarda quest’ultimi de “L’emendamento dell’Accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali per incorporarvi i rischi di mercato” del Gennaio 1996.

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«L’elemento innovativo del vecchio impianto normativo, che stabiliva per le banche la disponibilità di un patrimonio a garanzia del rischio assunto in operazioni finanziarie o creditizie, venne integrato con norme più sofisticate relative alle metodologie di valutazione e gestione del rischio. Si cercava, con Basilea II, di determinare una procedura più trasparente di erogazione dei finanziamenti, riducendo l’ampio margine di discrezionalità delle banche e incrementando ulteriormente la stabilità di tutto il sistema finanziario»7.

Gli obiettivi di Basilea II possono essere così sintetizzati:

- assicurare che l’assorbimento di capitale delle banche sia maggiormente risk-sensitive; - introdurre requisiti patrimoniali per il rischio operativo;

- migliorare il livello di convergenza tra capitale economico (assorbito) e capitale di vigilanza (assorbito);

- incoraggiare le banche all’utilizzo di sistemi interni per il calcolo dei rischi.

L’accordo di Basilea II viene comunemente rappresentato come un’architettura normativa basata su 3 pilastri fondamentali:

Figura 1 - I pilastri di Basilea II.

(Fonte: VitadImpresa.it,, Informazione e approfondimento per un sano sviluppo d'Impresa: Basilea II.)

Nel primo pilastro vengono definite le modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a copertura dei rischi insiti nell’attività bancaria. «Il patrimonio di vigilanza, introdotto dall’accordo di Basilea I, non deve essere inferiore all’8%; cambia però la determinazione dell’attivo ponderato sottoposto a rischio, cioè la quantità di capitale sulla quale la percentuale viene calcolata. Il sistema calcolo prevede una serie di fattori correttivi, stabiliti dall’autorità di

7 VitadImpresa.it, Informazione e approfondimento per un sano sviluppo d'Impresa: «Basilea 2», (Per

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vigilanza, che permettono di pesare il valore totale delle attività poste in essere dalla banca sul loro reale grado di rischiosità. In formula:

Patrimonio di Vigilanza ≥ 8% Attivo ponderato sottoposto a rischio x coefficienti correttivi

Accanto al rischio di credito - ossia la probabilità che la banca incorra in perdite dovute all’insolvenza dei clienti - e al rischio di mercato, legato alla variabilità dei prezzi degli investimenti effettuati, viene introdotto il rischio operativo, che si riferisce a tutte quelle eventuali perdite causate da inadeguatezza o disfunzioni interne alla banca, oppure scaturite da eventi di origine esterna. Il patrimonio di vigilanza deve garantire alla banca la copertura da tutte e tre le tipologie di rischio. Si introduce, per il rischio di credito, l’utilizzo di giudizi o rating che la banca assegna ad ogni singolo cliente, sia pubblico che privato.

A seconda del rating attribuito, si procede al calcolo del capitale minimo che la banca dovrà accantonare a copertura del rischio sul finanziamento da erogare.

Complessivamente, vengono individuate tre metodologie di calcolo che le banche o le agenzie intermediarie possono scegliere a seconda della propria struttura e complessità, mantenendo accesso a sistemi di calcolo più avanzati:

› metodo standard (il rating viene definito da agenzie certificate);

› metodo IRB base (per banche con limitata esperienza nella definizione del rating); › metodo IRB avanzato (per gli istituti di credito che dimostrano di aver sviluppato

affidabili strumenti di controllo)»8.

È importante sottolineare che le variabili del rischio di credito sono la perdita attesa9, che è la stima di perdita che più verosimilmente avrà luogo in un anno, e la perdita inattesa che riflette la variabilità della perdita attesa e rappresenta la massima perdita ottenibile con un certo intervallo di confidenza.

Nell’Approccio Standard, così come avveniva con Basilea I, non viene effettuata una esplicita distinzione fra perdita attesa e perdita inattesa, tuttavia è prevista una modalità di calcolo per tener conto degli accantonamenti generici (“general provisions”) e degli accantonamenti specifici (“specific provisions”).

8 VitadImpresa.it, Informazione e approfondimento per un sano sviluppo d'Impresa: «Basilea 2», (Per

approfondimenti: http://www.vitadimpresa.it/?page_id=1843).

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Analiticamente: PA = PD * LGD * EAD, dove PA = perdita attesa, PD = probabilità di default, LGD = tasso di perdita data l’insolvenza, EAD = esposizione al momento del default. Essendo attesa, non costituisce rischio in senso stretto; è in teoria possibile incorporarla nel pricing del credito al pari degli altri elementi di costo, quali i costi operativi.

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Nell’approccio IRB, invece, ci si basa unicamente sulle misure della perdita attesa e della perdita inattesa.

Il Comitato di Basilea genera i requisiti patrimoniali, sulla base delle funzioni di ponderazione del rischio, tenendo conto solo delle perdite inattese, mentre le perdite attese sono trattate separatamente. È fondamentale tener conto sempre delle perdite inattese, se infatti la banca non si preoccupasse di quest’ultime, in un anno di recessione potrebbero non esserci sufficienti riserve per fare fronte alle perdite iscritte in conto economico, questo potrebbe dunque far incorrere a propria volta l’intermediario in una nuova crisi.

A fronte di ciò, è evidente che l’Autorità di Vigilanza non può accettare che le banche non tengano in considerazione un simile rischio e richiede loro quindi che dimensionino il proprio patrimonio in modo tale da coprire tali perdite inattese.

Per quanto riguarda i rischi di mercato non vi sono sostanziali differenze rispetto a quanto già in vigore.

Il secondo pilastro riguarda, invece, il controllo prudenziale. Con Basilea II si introducono nuove linee guida per accrescere il controllo delle Autorità di Vigilanza sulle banche, allo scopo di verificare l’adeguatezza patrimoniale e il corretto utilizzo delle metodologie di valutazione dei rischi. Il secondo pilastro è il pilastro in cui si realizza la massima comunicazione tra gli intermediari e le Autorità di Vigilanza, quest’ultime devono validare le politiche, le procedure e le attività poste in essere dalla banca, nonché le strutture organizzative, gli strumenti, e i processi finalizzati alla gestione del rischio. Le Autorità hanno, inoltre, la facoltà di imporre agli istituti di credito, al verificarsi di particolari condizioni, un accantonamento di capitale superiore rispetto a quanto previsto e calcolato inizialmente dall’istituto stesso. Infine, nel secondo pilastro, accanto ai rischi definiti dal primo pilastro, vengono individuate altre tipologie di rischio che la banca deve considerare, provvedendo eventualmente ad accantonare le necessarie risorse a copertura degli stessi (rischio di controparte, di concentrazione, di tasso di interesse, di liquidità, reputazionale, derivante da cartolarizzazioni, strategico e residuo).

Il terzo pilastro riguarda, invece, la disciplina di mercato, infatti vengono elaborate regole di trasparenza, tempestività e chiarezza informativa nei confronti del pubblico, che mirano ad informare in modo più efficace il mercato circa il profilo di rischio della banca.

Le banche devono rendere pubbliche le informazioni sulle tecniche di allocazione del capitale e sul processo di controllo e gestione dei rischi. La disciplina di mercato può rinforzare la regolamentazione e gli sforzi delle Autorità di Vigilanza per garantire solidità e sicurezza delle istituzioni creditizie.

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Si parte dal presupposto che il “mercato” tenderà a privilegiare le banche più virtuose e trasparenti, che avranno di conseguenza maggiori possibilità di ricevere finanziamenti e di ottenerli a condizioni più vantaggiose.

L’accordo di Basilea II ha senza dubbio introdotto degli aspetti innovativi: appare evidente che, dovendo gli istituti di credito vincolare del capitale a fronte dei rischi connessi alla loro attività, questi dipenderanno anche dal rischio di credito relativo alle imprese affidate, e conseguentemente le banche chiederanno alle imprese di ridurre il loro rischio finanziario per migliorare il rating (riducendo così il rischio di credito), al fine di accantonare minor capitale di rischio a fronte dei prestiti alla clientela.

Tuttavia, lo scoppio della crisi finanziaria nel 2007 ha manifestato i punti di debolezza di questo framework, inducendo il Comitato di Basilea, nel 2010, ad intervenire con una necessaria revisione, resa nota poi come “Basilea III”.

«Di fatto, nella moderna regolamentazione finanziaria, fino alla recente crisi, il principio ispiratore è stato quello di una scarsa incisività dell’azione di supervisione, con diversi gradi di rigore nelle diverse giurisdizioni»10.

In Italia la circolare 263 della Banca d’Italia rappresenta la declinazione applicativa della disciplina di Basilea II, che entrò in vigore poi definitivamente nel 2008, quando oramai la crisi finanziaria era già scoppiata. Ciò sta ad indicare che, a causa del dilatato tempo di recepimento di Basilea II, alcuni intermediari, soprattutto quelli più grandi dimensionalmente, si sono mossi in un contesto di grande liberismo e di deregolamentazione. Ecco perché attribuire le ragioni della crisi finanziaria all’allora framework regolamentare Basilea II appare del tutto inesatto, in quanto Basilea II è divenuta effettiva a crisi già scoppiata: sono quindi da ricondurre, piuttosto, all’inadeguatezza delle regole di vigilanza prudenziali già in vigore con Basilea I.

Inoltre, «mentre i mercati finanziari tendevano sempre più ad integrarsi, le regole e le prassi di vigilanza restavano segmentate in base alle giurisdizioni nazionali. Ciò ha favorito comportamenti concorrenziali volti ad accrescere l’attrazione di alcune piazze finanziarie dove si adottavano sistemi di vigilanza meno intrusivi. Inoltre nel sistema erano, di fatto, assenti meccanismi istituzionali di gestione delle crisi per soggetti di interesse transnazionale, come i grandi gruppi bancari cross-border. È stato però chiaramente dimostrato che nei paesi in cui le Autorità sono state più incisive nella loro attività di regolamentazione e vigilanza la frequenza e la gravità con cui si sono verificate le crisi bancarie è stata minore. L’attività di regolamentazione si è basata, in ogni caso, prevalentemente sul controllo dei rischi della singola istituzione finanziaria, il presupposto di fondo è stato che gli intermediari, agendo

10 Istituto per ricerche ed attività educative (IPE), «Il passaggio da Basilea 2 a Basilea 3: gli effetti sui

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razionalmente erano nella condizione di valutare e soprattutto gestire i rischi, ma poco attenzione è stata posta ai rischi sul sistema finanziario nel suo complesso, alla correlazione fra i rischi delle diverse istituzioni ed in particolar modo ai rischi di contagio»11.

L’origine della crisi finanziaria è attribuita al collasso del mercato bancario statunitense dei mutui subprime che, attraverso il settore bancario, si è trasmesso ad altri intermediari finanziari non bancari e quindi all’intero sistema finanziario. La causa è da ricondurre al fatto che molti dei mutui subprime erano stati oggetto di cartolarizzazione ed, in seguito, erano stati trasferiti dal sistema bancario a tutta una serie di intermediari. Per di più, nel momento in cui alcuni intermediari hanno iniziato a riscontrare una certa difficoltà nel riscuotere i mutui subprime presenti nei loro portafogli, questo ha iniziato a far sorgere dei dubbi anche sull’effettiva consistenza dei titoli aventi come sottostanti tali mutui. Tutto questo, a sua volta, ha determinato:

 un aumento improvviso dei tassi di interesse;

 una drastica riduzione della liquidità con effetti negativi sull’economia reale;

 un deterioramento delle finanze pubbliche di molti paesi, i cui governi sono stati costretti ad intervenire con salvataggi attraverso rifinanziamenti da parte delle banche e, in alcuni casi, con nazionalizzazioni di vasti segmenti del sistema bancario e quindi attraverso il passaggio di proprietà delle banche a favore dello Stato.

Come ulteriore conseguenza di ciò si è verificata la crisi dei debiti sovrani, sebbene, come nel caso dell’Italia, tale crisi sia scaturita da ragioni più profonde da ricercare nell’elevato rapporto debito/PIL e nella perenne instabilità del sistema politico nazionale.

Ovviamente, tutto questo ha quindi determinato una crisi di fiducia nel mercato bancario, è complessivamente nel sistema finanziario.

Le regole di Basilea II avrebbero dovuto, in linea di principio, assicurare un’adeguata capitalizzazione, ma nella realtà così non è stato.

Tuttavia, la crisi ha altresì evidenziato due ulteriori aspetti della gestione delle banche che Basilea II non considerava in modo adeguato: la leva finanziaria e la gestione della liquidità. Da qui l’introduzione di requisiti minimi, in Basilea III, degli indici di leverage e di liquidità. Nel Luglio 2011 la Commissione europea avvia l’attuazione del progetto definito nel Consiglio europeo nel Giugno 2009 del Single Rulebook, relativo alla disciplina unica e di armonizzazione delle normative prudenziali degli stati membri; nel 2013 la pubblicazione della

11 Istituto per ricerche ed attività educative (IPE), «Il passaggio da Basilea 2 a Basilea 3: gli effetti sui

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CRD IV12 (che riguarda, fra l'altro, le condizioni per l'accesso all'attività bancaria, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, il processo di controllo prudenziale, le riserve patrimoniali addizionali), e altresì la pubblicazione del CRR13 che disciplina i temi di vigilanza prudenziale del Primo Pilastro e le regole sull’informativa al pubblico.

In prospettiva, il Single Rulebook costituisce la cornice normativa nella quale il Meccanismo di vigilanza unico (Single Supervisory Mechanism – SSM) esercita le proprie funzioni di vigilanza con l’obiettivo di assicurarne l’omogenea applicazione nei paesi dell'area dell'euro e negli altri Stati membri aderenti.

«La crisi recente ha spinto le Autorità di Vigilanza dei paesi maggiormente industrializzati a riflettere sulla validità dei principi di base che ispiravano l’attività di supervisione e un nuovo approccio di supervisione si va ora delineando. […] In particolare, è emerso che alcune variabili, che non sono mai state oggetto di particolare attenzione dell’attività di vigilanza microprudenziale, come il livello di indebitamento del sistema, la dinamica dei prezzi delle attività finanziarie, l’ampliamento dell’attività creditizia, le interconnessioni tra istituzioni, mercati e infrastrutture finanziarie, devono invece essere maggiormente monitorate in quanto in grado di accrescere l’instabilità nell’intero sistema»14

.

La revisione da parte del Comitato di Basilea del vigente regime di adeguatezza patrimoniale delle banche, che ha portato a Basilea III, rappresenta l’intervento di maggiore portata, ma non è l’unica risposta data alla crisi dalle autorità internazionali. Le nuove regole, che sono state oggetto di un’ampia consultazione con l’industria bancaria, sono entrate in vigore all’inizio del 2013, «l’obiettivo che si persegue con questa riforma è di prevenire l’eccessiva assunzione di rischi da parte degli operatori, rendere il sistema finanziario più solido, stabilire un terreno di gioco davvero uniforme»15.

1.2 I principali ambiti d’intervento di Basilea III

Basilea III mantiene l’approccio basato su tre Pilastri di Basilea II, integrandolo e rafforzandolo per accrescere quantità e qualità della dotazione di capitale degli intermediari. Introduce strumenti di vigilanza anticiclici, norme sulla gestione del rischio di liquidità e sul contenimento

12 Vedi Direttiva 2013/36/UE del 26 Giugno 2013 (CRD IV). 13 Vedi Regolamento (UE) n. 575/2013 del 26 Giugno 2013 (CRR). 14

Istituto per ricerche ed attività educative (IPE), «Il passaggio da Basilea 2 a Basilea 3: gli effetti sui mercati e sui bilanci bancari», De Frede Editore, Napoli, 2011.

15Lamboglia R., «Il controllo della reputazione finanziaria nel sottosistema delle relazioni

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della leva finanziaria, si concentra, dunque, su un lavoro di riesame e di completamento delle evidenti lacune dell’accordo precedente.

L’obiettivo di questi strumenti è il rafforzamento della capacità delle banche di assorbire shock derivanti da tensioni finanziarie ed economiche, indipendentemente dalla loro origine, riducendo in tal modo il rischio di contagio dal settore finanziario all’economia reale.

Alla luce della crisi, dal primo Gennaio 2009 sono operativi in Europa nuovi organismi:

 il Comitato Europeo per il Rischio Sistemico (European Systemic Risk Board – ESRB) con il compito di individuare in tempo fenomeni d’instabilità sistemica e di fornire raccomandazioni per interventi correttivi;

 l’Autorità di Vigilanza Microprudenziale (European Supervisory Authorities – ESA) con il compito di realizzare un’integrazione tra le istituzioni finanziarie dei Paesi membri dell’Unione Europea elaborando tecniche comuni direttamente applicabili in tutti gli Stati dell’Unione Europea.

L’ESA è articolata al proprio interno in:

› European Banking Authority (EBA), per il settore bancario, i cui principali compiti sono di coordinare le autorità di supervisione nazionali per attuare un trattamento prudenziale omogeneo dei gruppi europei, per gestire le crisi dei gruppi cross-border, per proteggere i consumatori controllando lo sviluppo delle attività finanziarie;

› European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA), per le assicurazioni;

› European Securities and Markets Authority (ESMA), per i mercati mobiliari.

La crisi ha inoltre messo in evidenza l’importanza della gestione degli intermediari finanziari sistematicamente rilevanti (SIFIs – Systematically Important Financial Institutions) sia in tempi normali, sia in tempi di crisi, consentendo loro di uscire dal mercato in modo ordinato e senza ricorso ai fondi pubblici.

In quest’ottica, il Financial Stability Board ha delegato al comitato di riformare i “Basel Core Principles” per permettere alle autorità di vigilanza nazionali di prevedere eventuali situazioni di emergenza delle SIFIs16. Con questo impianto, il Comitato di Basilea si propone di disegnare un regime prudenziale che sia coerente al proprio interno e che raggiunga un equilibrio fra

16 In particolare sono stati richiesti: • requisiti addizionali di capitale, per ridurre la probabilità e l’impatto

di un loro fallimento; • un quadro istituzionale adeguato per ogni paese, in modo che la liquidazione avvenga in modo ordinato e senza ricorso ai fondi pubblici; • predisposizione, da parte delle SIFIs, dei Recovery and Resolution Plans (RRPs), volti a valutare la loro capacità di fronteggiare situazioni di emergenza; • potenziamento della vigilanza sui gruppi cross-border, attraverso una valutazione congiunta dei profili di rischio a livello consolidato ed una definizione degli interventi di vigilanza da effettuare.

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l’obiettivo di ridurre i rischi di instabilità sistemica e quello di sostenere la crescita dell’economia.

Tabella 1 - Obiettivi di riforma di Basilea III.

(Fonte: Basel Committee on Banking Supervision, «Basel III: international regulatory framework for banks», Bank for International Settlement.)

La riforma si basa sull’introduzione di standard minimi di liquidità, sulla definizione di capitale regolamentare che innalza sia la qualità che la quantità della base patrimoniale, unitamente alla fissazione di più elevati requisiti patrimoniali, su una migliore copertura dei rischi di mercato e di controparte, sulla previsione di un indice di leva finanziaria (leverage ratio), che va a integrare i coefficienti patrimoniali basati sul rischio al fine di contenere l’accumulo eccessivo di leva nel sistema bancario e di fornire un presidio supplementare contro il rischio da modello17 e i possibili relativi errori di misurazione, sulla previsione di misure anticicliche per ridurre la “prociclicità” delle regole prudenziali così come rappresentato dalla Tabella 1.

Le nuove regole riguardano sia la regolamentazione microprudenziale che la dimensione macroprudenziale, entrambi gli approcci di vigilanza, micro e macroprudenziale, sono

17 Con “rischio da modello” si intende il rischio causato da un utilizzo errato o improprio dei risultati dei

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chiaramente interconnessi, poiché una migliore tenuta a livello di singole banche riduce il rischio di shock di portata sistemica. Rafforzare il patrimonio delle banche ed evitare crisi globali future: questo in estrema sintesi l'obiettivo dell'accordo di Basilea III approvato dal comitato di Basilea il 12 Settembre 2010.

Il Comitato introduce nello schema patrimoniale una serie di elementi macroprudenziali che dovrebbero contribuire a contenere i rischi sistemici

derivanti dal grado di prociclicità e dalle interconnessioni fra istituzioni finanziarie. L'entrata in vigore del nuovo Accordo è stata graduale: dal 1° Gennaio 2013 per arrivare alla piena attuazione al 1° Gennaio 2019.

I nuovi requisiti saranno dunque pienamente a regime solo nel 2020 e gli strumenti non più computabili nel patrimonio saranno completamente esclusi solo a partire dal 2021.

La forte gradualità dell'applicazione delle norme è stata concepita per venire incontro alle richieste degli istituti bancari, dando loro il tempo per reperire le risorse con cui irrobustire i patrimoni degli istituti stessi.

«L'Unione Europea è stata la prima ad attuare le raccomandazioni di Basilea III, ha sottolineato Barnier, ribadendo che queste nuove regole sono necessarie per mettere il sistema bancario al riparo da nuove crisi»18.

Dopo la crisi del 2007, l’Autorità di Vigilanza ha giudicato indispensabile un’opera di revisione della regolamentazione prudenziale. Le proposte prevedono una più adeguata calibrazione del peso di alcuni rischi e, quindi, del patrimonio che le banche devono detenere per farvi fronte, nonché il miglioramento della qualità degli strumenti finanziari che possono essere inclusi nel patrimonio di vigilanza. Si è poi anche dimostrato come i rischi, in particolare quelli di mercato e di controparte, insiti in alcune tipologie di esposizione, fossero ampiamente sottostimati, e come il rischio di liquidità, ad esempio, non fosse pienamente considerato nella sua effettiva rischiosità.

La necessità di “riequilibrare” le ponderazioni è divenuta dunque prioritaria. Con l’esperienza maturata durante la crisi del 2007-2008, lo scopo dei regolatori vuole essere quello di migliorare la gestione del rischio e la governance delle banche, nonché rafforzare la loro trasparenza e l’informativa nei confronti dei principali stakeholders.

18 Il Sole 24 Ore, «Barnier: sì a tasse sulle banche per salvare la Grecia. Presentata la proposta Ue su

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1.2.1 La revisione del capitale, l’introduzione di riserve e il contenimento

della prociclicità

La crisi finanziaria del 2007 ha reso indispensabile una profonda riflessione sull’assetto regolamentare e sulla supervisione del settore finanziario.

Il Comitato di Basilea ha iniziato a lavorare al nuovo Accordo Basilea III a partire dal 2010, prevedendone la possibile introduzione dal 2013 al 2015; tuttavia, le modifiche a partire dal 1° Aprile 2013 sono state estese fino al 31 Marzo 2018 e sono state ulteriormente prorogate al 31 Marzo 2019.

L’obiettivo del nuovo accordo è di rafforzare il patrimonio delle banche ed evitare altre situazioni di crisi.

Le banche hanno condiviso la necessità di rinnovare il quadro di regole prudenziali per garantire una maggiore stabilità e per gestire al meglio i rischi. È essenziale che le banche detengano una base patrimoniale di elevata qualità a fronte delle proprie esposizioni di rischio.

«La crisi ha dimostrato che le perdite su crediti e i relativi accantonamenti riducono le riserve di utili che fanno parte del patrimonio di qualità primaria delle banche.

La crisi ha altresì posto in evidenza le differenze nella definizione di patrimonio tra le varie giurisdizioni e la mancanza di informazioni che non consentono agli operatori di valutare e confrontare compiutamente la qualità del capitale tra le diverse istituzioni.

A tal fine, si è stabilito che il patrimonio di base (Tier 1)19 deve essere costituito in misura preponderante da azioni ordinarie e riserve di utili non distribuiti (Common Equity).

Questo requisito è rafforzato tramite una serie di principi che possono essere adeguati al contesto delle banche costituite in forma diversa dalle società per azioni (non-joint stock companies), affinché detengano livelli comparabili di patrimonio di base di elevata qualità. Le deduzioni dal capitale e i filtri prudenziali sono stati armonizzati su scala internazionale e sono ora generalmente applicati a livello di common equity o della componente patrimoniale equivalente nel caso delle non-joint stock companies»20.

19 La misura del Capitale è il Tier 1, che, come si vedrà successivamente, è costituito da : Common

Equity Tier1 (azioni ordinarie, o strumenti equivalenti per le banche costituite in forma diversa dalla società per azioni; sovrapprezzo azioni derivante dall’emissione di strumenti ricompresi nel Common Equity Tier 1; riserve di utili; riserve da valutazione; azioni ordinarie emesse da filiazioni consolidate della banca e detenute da soggetti terzi (ossia interessi di minoranza); aggiustamenti regolamentari applicati nel calcolo del CET1) e Tier1 Aggiuntivo (strumenti emessi dalla banca che soddisfano i criteri di computabilità nel Tier 1 aggiuntivo (sovrapprezzo azioni derivante dall’emissione di strumenti ricompresi nel Tier 1 aggiuntivo; strumenti emessi da filiazioni consolidate della banca e detenuti da soggetti terzi che soddisfano i criteri di computabilità nel Tier 1 aggiuntivo e non sono ricompresi nel Common Equity Tier 1;aggiustamenti regolamentari applicati nel calcolo del Tier 1 aggiuntivo).

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Relativamente al capitale, si possono individuare due principali novità legate all’introduzione di Basilea III:

 variazioni nella composizione del Patrimonio di Vigilanza: è stato eliminato il Tier 3 (che comunque già con Basilea II poteva essere utilizzato soltanto a copertura dei rischi di mercato); è stata aumentata la qualità degli strumenti utilizzabili con particolare riferimento al Common Equity Tier 1 (CET1); sono state ridefinite le percentuali minime di copertura dei rischi che devono avere i diversi livelli di patrimonio, che a regime dovranno essere: 4,5% per il CET1, 6% per il Tier 1, 8% per il Total capital (somma di Tier 1 e Tier 2);

 inclusione di due nuovi buffer patrimoniali (coutercyclical buffer e capital conservation buffer): il capital conservation buffer (pari al 2.5%) costituisce un’ulteriore requisito sul CET 1 che, pertanto, si distribuisce anche sugli altri livelli di patrimonio portandoli al 7%, 8,5%, 10,5%; il counterciclycal buffer, che rappresenta un ulteriore livello di capitale composto da strumenti di CET 1, può arrivare fino ad un ulteriore 2,5% aggiuntivo di capitale.

Sul capitale c’è un problema di ammontare, di dimensione, ma soprattutto di qualità e di composizione. Il patrimonio a cui si faceva riferimento con Basilea II faceva a sua volta riferimento alle regole precedenti a Basilea II: il patrimonio di vigilanza21 era cioè composto da patrimonio di base, patrimonio supplementare, patrimonio di terzo livello e deduzioni, un patrimonio di vigilanza che di fatto, almeno nella forma, presentava tutte le caratteristiche per garantire la stabilità dell’intermediario, ma nella sostanza poi non era esattamente così. Molte delle banche che hanno più sofferto durante la crisi presentavano un coefficiente patrimoniale più elevato dell’8%22

; anche il Tier 1 ratio23 dei grandi gruppi bancari europei a fine 2006 era in media pari all’8%, quando il limite regolamentare era almeno pari al 4%. Il punto era che il patrimonio di vigilanza non era in grado di coprire concretamente le perdite che poi si sono manifestate, a causa del fatto che le risorse che venivano inserite nel patrimonio di vigilanza non avevano le caratteristiche che avrebbero dovuto avere. La composizione qualitativa del patrimonio di vigilanza risultava inadeguata, perché gran parte di esso era composto da 20

Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria: «Basilea 3 - Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari», Bank for International Settlement, Dicembre 2010.

21 Patrimonio di Vigilanza o capitale regolamentare, è la quantità di capitale che ogni banca deve detenere

per soddisfare i requisiti di vigilanza prudenziale previsti dalla normativa del Comitato di Basilea.

22 Il rapporto tra il capitale totale (Tier 1 più Tier 2, meno alcuni tipi di detrazione) e il totale delle

esposizioni di credito ponderate per il rischio non deve essere inferiore all’8,00%.

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strumenti ibridi o innovativi24, strumenti che rientravano nel patrimonio di vigilanza pur avendo natura di debito, in quanto l’Autorità di controllo consentiva, purché si rispettassero determinate clausole, di riconoscere a questi strumenti una natura più stabile, cosicché potessero essere inclusi nel patrimonio di vigilanza.

Tra Basilea I e Basilea II l’indicatore utilizzato dal mercato, dagli operatori e dagli investitori per comprendere il grado di patrimonializzazione e il grado di rischiosità insito nei bilanci delle banche era Patrimonio di Vigilanza/RWA, con il tempo, ancor prima che entrasse in vigore Basilea III, il mercato iniziava a comprendere che questo indicatore, probabilmente, non era adeguato per il fine che copriva, per cui il mercato comincia, a mano a mano, a considerare l’introduzione di un altro coefficiente: Tier 1/RWA, e gli analisti cominciano a valutare la parte core del capitale (Tier 1). L’impressione che se ne ricava è che il mercato abbia, per dir così, anticipato “le manovre” di Basilea III, e in tal contesto, le banche che poterono permetterselo, cominciarono, ancora prima rispetto alle linee guida del futuro framework regolamentare, a valutare la loro adeguatezza patrimoniale sulla base di questo indicatore (in Italia Unicredit e Intesa avevano già avviato lavori di ricapitalizzazione ancor prima di Basilea III).

A seguito dell’introduzione di Basilea III, l’indicatore a cui si fa riferimento per valutare l’adeguatezza patrimoniale della banca è Fondi propri/RWA, dove Fondi propri sono composti da Tier 1 e Tier 2.

Quindi, in primo luogo, il nuovo patrimonio di vigilanza (Fondi propri) è composto da:

1. Tier 1 (in grado di assorbire le perdite in condizioni di continuità d’impresa - on going

concern):

a. patrimonio di qualità primaria (Common Equity Tier 1); b. Tier 1 aggiuntivo.

2. Patrimonio supplementare o Tier 2 (in grado di assorbire le perdite in caso di crisi -

gone concern).

Il Tier 1, a sua volta, è definito da due elementi, una parte “core”, Common Equity Tier 1 (CET1), e una parte “additionaly” di Tier 1, Additionaly Tier 1(AT1).

Il Tier 1 è la parte che deve garantire la copertura delle perdite in condizioni fisiologiche dell’intermediario, quindi è la parte che deve garantire il funzionamento, la quotidianità dell’intermediario. È un elemento molto vicino al concetto di capitale economico, destinato alla

24 Il successo degli strumenti ibridi è avvenuto perché consentivano di ottenere dei vantaggi, anche di tipo

fiscale, rispetto all’impiego di capitale. Banca d’Italia, rispetto ad altre autorità di controllo, aveva previsto dei limiti di computabilità di queste voci al patrimonio di vigilanza delle banche italiane, questa scelta, nel medio-lungo periodo, si rivelò essere efficace, in quanto il patrimonio delle banche italiane era considerato di qualità migliore rispetto a quello delle altre banche europee, che invece inserivano questi

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propria attività e all’accantonamento di fondi a fronte delle possibili perdite, che scaturiscono da dalla probabile esposizione al rischio, che deriva dall’attività svolta.

Il Tier 1, così come il capitale economico, ha sempre la forza di reggere e di assorbire le possibili perdite, per cui la scelta di Basilea III è estremamente forte, rigida, ed è evidente dal fatto che impone che il Common Equity Tier 1 deve essere pari, in qualsiasi momento, ad almeno il 4,5% delle attività ponderate per il rischio; il patrimonio di base (Tier 1) deve essere costituito in misura preponderante da azioni ordinarie e riserve di utili non distribuiti (Common

Equity) e deve essere pari, in qualsiasi momento, ad almeno il 6,0% delle attività ponderate per

il rischio.

Il patrimonio di vigilanza totale (patrimonio di base più patrimonio supplementare) deve essere pari in qualsiasi momento ad almeno l’8,0% delle attività ponderate per il rischio.

Nel CET1 la vigilanza chiede di computare voci, elementi che possono essere utilizzati senza alcun vincolo, senza restrizioni, senza indugi dall’ente per la copertura dei rischi e delle perdite nel momento in cui questi si verificano. Questo vuol dire che bisogna avere un livello di garanzia dato dal capitale che permette di svolgere l’operatività serenamente; è riconosciuto il criterio del grandfathering, ossia si riconosce la possibilità per le banche di abbandonare gradualmente quegli strumenti che di fatto, secondo la nuova normativa, non sono più computabili nei fondi propri, ciò per agevolare un passaggio graduale agli adeguamenti richiesti.

L’Additional Tier 1 (AT1) o capitale aggiuntivo di classe 1 è, invece, costituito da strumenti di capitale, sovrapprezzi su emissioni relativi ai suddetti strumenti e detrazioni, ossia strumenti che non sono considerati elementi di capitale primario di classe 1 o 2.

Il Tier 2 è, invece, il capitale che assorbe le perdite soltanto in caso di difficoltà, è formato da strumenti di capitale e prestiti subordinati, che non sono considerati elementi del capitale primario di classe 1 o elementi aggiuntivi di classe 1. Il Tier 3 è stato definitivamente eliminato. Il nuovo pacchetto regolamentare, quindi, sottolinea l’importanza di una definizione della componente predominante del patrimonio di base (il Core Tier 1) che includa solo elementi con la più forte capacità di assorbire perdite.

Nelle altre componenti del Tier 1 verranno inclusi solo strumenti che assorbono le perdite in un’ottica di continuità aziendale, pagano dividendi o interessi in modo discrezionale e non cumulativo, non hanno data di scadenza né incentivi al rimborso anticipato.

Sono state introdotte regole più stringenti per l’ammissibilità nel patrimonio supplementare degli strumenti di debito subordinato; scomparsi gli elementi di qualità più bassa (Tier 3).

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Tabella 2 - Graduale introduzione dei nuovi requisiti patrimoniali minimi.

(Fonte: Basel Committee on Banking Supervision «Basel III: international regulatory framework for banks - phase-in arrangements», Bank for International Settlement.)

Il rafforzamento dei requisiti patrimoniali è stato attuato, più precisamente, attraverso una provvista di strumenti di qualità più elevata e attraverso la richiesta alle banche di mantenere un cuscinetto («buffer») di capitale aggiuntivo sopra i minimi previsti. Nuovi livelli dei coefficienti determinano un incremento qualitativo e quantitativo del patrimonio di vigilanza rispetto alla situazione precedente. È stato potenziato il cosiddetto «Minimum Common Equity Capital Ratio» (patrimonio di qualità primaria), il cui indicatore patrimoniale è al 4,5% dal 2015. A questo, si è aggiunto un Capital Conservation Buffer, ovvero un «cuscinetto» di ulteriore capitalizzazione obbligatoria: si è partiti da uno 0,625% da Gennaio 2016, per arrivare a Gennaio 2019 ad un definitivo 2,5%. In tutto, il capitale minimo di migliore qualità più il cuscinetto di conservazione del capitale, dovranno raggiungere il 7% al 1° Gennaio 2019. Inoltre, è aumentato anche il Tier 1, ovvero il patrimonio di base, che tiene conto di capitalizzazione, utili, riserve e cosiddetti strumenti ibridi, il quale, dal 4%, è arrivato al definitivo 6% nel 2015. Il requisito minimo per il patrimonio complessivo attualmente previsto,

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non è cambiato ed è rimasto all’8% in rapporto alle attività ponderate per il rischio. Con l’aggiunta del «cuscinetto», tale indicatore salirà al 10,5%. A fronte dei potenziali benefici, da una prima analisi, si può rilevare come i requisiti previsti dall’Accordo siano più severi di quelli precedentemente stabiliti (Tabella 2).

Ecco perché per non compromettere la ripresa, è stata prevista una certa gradualità, in modo da permettere alle banche di continuare ad assicurare i necessari flussi di credito. Una gradualità necessaria, inoltre, anche alle imprese, preoccupate di non riuscire a mantenere la normale operatività del credito. Le regole sulle deduzioni dal patrimonio di vigilanza entreranno in vigore progressivamente, mentre, gli strumenti di capitale, precedentemente ammessi, verranno esclusi un po’ per volta.

Come effetto di questi meccanismi, i nuovi requisiti saranno a regime pienamente nel 2020 e gli strumenti non più misurabili nel patrimonio saranno completamente esclusi solo a partire dal 2021. Le banche, pertanto, avranno molto tempo per adeguarsi ai requisiti richiesti.

Un limite di Basilea II è rappresentato dalla prociclicità, con cui si intende la capacità di accentuare le condizioni positive e negative dell’economia durante l’inevitabile alternarsi delle fasi congiunturali. La prociclicità è il frutto non solo dell’innovazione delle normative sull’adeguatezza di capitale delle banche, ma anche delle stesse logiche di credit risk management, essa consiste nel timore che il nuovo sistema regolamentare, in particolare relativamente al rischio di credito, possa accentuare le fluttuazioni del ciclo economico aggravando in particolare le fasi recessive. Quanto più l’impianto regolamentare costruisce dei meccanismi per i quali la stima del rischio è fortemente sensibile alla percezione che la banca ha del rischio stesso (vedi sistemi IRB), tanto più ci sarà una reattività della banca nel concedere credito a seconda della situazione congiunturale; la prociclicità è un’esasperazione del collegamento tra capitale e misurazione del rischio a fronte di una congiuntura economica che è o positiva o negativa, e Basilea II, consentendo l’utilizzo di metodologie avanzate, nobilita questo aspetto, lo ufficializza. A questo punto la scelta della banca potrebbe essere quella di non voler incamerare rischio di credito, e per non incamerarlo la soluzione è di non concedere finanziamenti o di ricercare controparti non rischiose. Questa è la prociclicità, ovvero l’impatto che l’impianto regolamentare può determinare sull’economia reale, sul suo funzionamento. Il pericolo a cui ha aperto Basilea II è che l’utilizzo di queste metodologie evolute esaspera la congiuntura, non solo quella negativa, ma anche quella positiva, perché il fatto di non percepire il rischio in una congiuntura positiva crea le basi delle condizioni che hanno provocato la crisi, crea un surriscaldamento dell’economia, una concessione smodata del credito, crea un eccessivo indebitamento, si carica eccessivamente il sistema. Il problema però è di tipo macro: Basilea III sostiene che il fatto che l’intermediario possa scegliere un impianto regolamentare risk

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sensitive, non è un problema; il problema si pone quando la logica non interessa solo la singola banca, ma il sistema nel suo complesso. La crisi ha evidenziato proprio questo: una buona misura micro-prudenziale non è necessariamente una buona misura di vigilanza macroprudenziale.

Basilea II non ha considerato che la prociclicità ha una dimensione ben più grave che è la dimensione macroeconomica. Basilea III, quindi, interviene con strumenti micro che agiscono sulla gestione della singola banca, e interviene anche su leve che hanno una valenza macroprudenziale. L’esigenza di rafforzare la solidità delle banche rispetto a dinamiche procicliche ha indotto a prevedere l’imposizione di due riserve: la riserva di conservazione del

capitale e la riserva di capitale anticiclica. Queste si aggiungono agli altri requisiti in materia di

fondi propri, per assicurare che nei periodi di crescita economica venga accumulata una base di capitale sufficiente a coprire le perdite nei periodi di stress.

La riserva di conservazione del capitale è di natura obbligatoria ed è volta a preservare il livello minimo di capitale regolamentare (4,5%) in momenti di mercato avversi, attraverso l’accantonamento di risorse patrimoniali di elevata qualità in periodi non caratterizzati da tensioni di mercato. La riserva anticiclica serve, invece, a proteggere il settore bancario nelle fasi di eccessiva crescita del credito; la sua imposizione consente di accumulare, durante fasi di surriscaldamento del ciclo del credito, capitale primario di classe 1 che sarà poi destinato ad assorbire le perdite nelle fasi discendenti del ciclo. Sono due riserve che hanno lo stesso obiettivo, ma insistono su fattori diversi: la prima, innanzitutto, è obbligatoria; la seconda, invece, è eventuale. La riserva di conservazione del capitale è, in quanto obbligatoria e generante un obbligo di accantonamento di capitale in capo all’intermediario, di primaria qualità, ha un impatto forte anche sulla gestione della banca, sulla gestione del capitale; interviene quindi su livelli micro, mentre la riserva anticiclica rimane perlopiù a livelli macro. La riserva anticiclica è eventuale: questo vuol dire che c’è la facoltà da parte dell’Autorità di vigilanza nazionale di deciderne l’imposizione. Per quanto riguarda l’Italia, fino a questo momento Banca d’Italia non ha mai ravveduto le condizioni per le quali dovesse introdurla; inoltre si rimette all’organo di vigilanza la decisione sull’intensità della misura, sia sull’introduzione stessa della misura.

Il motivo per il quale un organo di vigilanza potrebbe decidere di non introdurre la riserva anticiclica, supponendo che ce ne siano i presupposti, è perché darebbe un messaggio negativo al mercato, di instabilità del sistema, di precarietà; tuttavia, l’autorità di vigilanza europea potrebbe decidere di attuarla per tutti i paesi membri, laddove sussistano le condizioni. Altre novità legate all’introduzione di Basilea III, riferite al capitale sono:

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› deduzione condizionale delle imposte anticipate: le imposte anticipate (DTA – Deferred Tax Assets), da cui, a certe condizioni, vanno dedotte le imposte differite (DTL – Deferred tax Liabilities), non sono più ponderate allo 0%, in quanto rappresentano credito verso Amministrazioni Centrali, ma, in base alla loro natura, debbono essere ponderate tra gli RWA al 100%, e devono essere dedotte integralmente dal patrimonio, o confrontate con una soglia calcolata sul CET 1 e dedotte per la quota parte eccedente tale soglia (mentre la parte sotto soglia va ponderata tra gli RWA al 250%);

› trattamento diversificato degli investimenti in società finanziarie: la principale novità riguarda la distinzione tra investimenti significativi e non significativi in società finanziarie, con un trattamento diversificato a seconda della tipologia (deduzione condizionale sulla base del confronto con una soglia di CET1), e l’inclusione degli investimenti indiretti /sintetici (ossia tramite fondi e/o strumenti derivati). Inoltre, vi è un ampliamento nella definizione di società finanziarie, tra cui vengono incluse anche le holding e le società strumentali;

› infine, allo scopo di migliorare la disciplina di mercato, accresce la trasparenza del patrimonio di vigilanza, in quanto devono essere rese note tutte le componenti, nonché il loro raccordo dettagliato con le poste del bilancio di esercizio.

L’accordo interviene su quelli che sono ritenuti i requisiti chiave imposti alle banche nella loro attività, che vengono misurati dal rapporto tra patrimonio di vigilanza, ovvero i fondi su cui una banca può maggiormente contare in fase di necessità, rispetto al totale delle sue attività, ponderate per tener conto delle effettive caratteristiche di rischio. Esiste già, a tal proposito, l’obbligo per le banche di mantenere una quota di capitale come riserva. Tale riserva, durante la recente crisi, è stata insufficiente per diversi istituti di credito: da qui l’esigenza dell’accordo, voluto dalle banche centrali, che imponga requisiti patrimoniali più severi per le banche, a cominciare da un rafforzamento della quota di capitale usata come riserva.

1.2.2 La copertura dei rischi

«Uno dei principali insegnamenti tratti dalla crisi è la necessità di rafforzare la copertura dei rischi all’interno dello schema patrimoniale. L’incapacità di cogliere la presenza di rischi rilevanti in bilancio e fuori bilancio, nonché le esposizioni connesse a strumenti derivati, ha

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concorso in misura significativa ad accentuare la crisi»25. Per porre rimedio a queste carenze, nel Luglio 2009 il Comitato ha completato una serie di riforme cruciali dello schema Basilea II, presentando delle modifiche per aumentare la capacità dei requisiti patrimoniali a fronte, specialmente, dei rischi di mercato e di controparte, questo per evitare una sottostima dei rischi effettivamente insiti nelle attività, negli strumenti finanziari particolarmente complessi e nelle attività di trading.

Le nuove regole prevedono, quindi, che alcuni parametri chiave per il calcolo dei requisiti, quali il valore a rischio e le correlazioni tra attività, siano calcolati tenendo conto di condizioni di stress. Molte banche, infatti, hanno subito perdite rilevanti sulle attività del trading book per l’improvviso crollo della liquidità del mercato in cui venivano scambiati i titoli o per eventi inattesi di default o di migrazione a una classe di rating inferiore.

I requisiti patrimoniali, calcolati in base alle regole di Basilea II, sono risultati inadeguati ad assorbire queste perdite; per questo motivo la copertura dei rischi è stata particolarmente rafforzata sia per le posizioni on balance sheet che per quelle off balance sheet e per i derivati. «Le banche sono soggette ad un requisito patrimoniale a copertura di potenziali perdite derivanti dalla variazione dei prezzi di mercato conseguenti ad un deterioramento del merito creditizio della controparte (CVA – Credit Valuation Adjustment), che lo schema di Basilea II non considerava e che durante la crisi finanziaria ha causato perdite maggiori rispetto a quelle relative ai casi di insolvenza»25. Sono stati innalzati i requisiti patrimoniali per le esposizioni detenute nel portafoglio di negoziazione e in cartolarizzazioni complesse al fine di disincentivare gli istituti di credito ad utilizzarli a causa del loro forte impatto negativo avuto in passato. Sono stati previsti degli incentivi ulteriori per favorire il regolamento dei contratti quotati sui mercati OTC (Over The Counter) con controparti Centrali: infatti, le banche non sono tenute a includere il requisito patrimoniale per il rischio CVA per le transazioni effettuate con una controparte centrale e per le securities financing transactions (SFT). Sono stati innalzati i requisiti per tenere in considerazione la correlazione per le istituzioni finanziarie di grandi dimensioni: infatti il Comitato ha aumentato i fattori di ponderazione applicati alle esposizioni verso le istituzioni finanziarie, rispetto a quelle verso imprese non finanziarie, essendo le prime maggiormente correlate rispetto a quelle non finanziarie con il fattore di rischio sistematico utilizzato per la stima dei requisiti dello schema di Basilea II.

Le banche, inoltre, devono essere in possesso di un programma di prove di stress, da inviare all’interno delle segnalazioni periodiche, che deve contenere o, con cadenza mensile, prove di

25 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria: «Basilea 3 - Schema di regolamentazione internazionale

per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari», Bank for International Settlement, Dicembre 2010.

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stress circa le esposizioni ai principali fattori di rischio delle singole controparti, o con cadenza trimestrale, prove con scenari di stress multifattoriale.

Inoltre, sempre relativamente a questo punto, al fine di contenere il rischio sistemico presente nel settore finanziario, «il Comitato ha altresì emesso le raccomandazioni supplementari per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari per lo svolgimento efficace della valutazione retrospettiva (backtesting) delle esposizioni al rischio di controparte»26.

Sono stati introdotti requisiti più stringenti anche per tenere conto del rischio di correlazione sfavorevole, ovvero i casi in cui l’esposizione aumenta quando la qualità creditizia della controparte si deteriora.

«Infine, il Comitato ha valutato una serie di misure volte a ridurre il ricorso ai rating esterni previsto dallo schema Basilea II. Queste misure comprendono l’obbligo per le banche di valutare internamente le esposizioni a cartolarizzazioni provviste di rating esterno e l’eliminazione di alcune delle cause che determinano nel calcolo dei requisiti patrimoniali variazioni improvvise e di entità significativa (cliff effect), relative all’utilizzo delle tecniche di attenuazione del rischio di credito.

Infine, è stata prevista l’integrazione del Code of Conduct Fundamentals for Credit Rating Agencies della IOSCO27; in particolare è stata affidata alle autorità nazionali di vigilanza la responsabilità in merito allo stabilire se un’agenzia per la valutazione esterna del merito di credito (ECAI) soddisfa i requisiti richiesti e contenuti nel citato Codice emanato dallo IOSCO»26.

Il Comitato sta inoltre effettuando un riesame più sostanziale del trattamento delle cartolarizzazioni, incluso il possibile ricorso a rating esterni. In questa riforma, emerge chiaramente la critica ai modelli Value at Risk (VaR): i parametri sottostanti sono costantemente aggiornati nel tempo per considerare le condizioni correnti; ciò determina una loro maggiore reattività ai mutamenti del contesto di riferimento, ma anche una maggiore velocità a “dimenticare” i gravi episodi del passato.

Prima della crisi, la presenza di mercati ampi, ordinati e liquidi aveva indotto le banche a calibrare i propri modelli in maniera relativamente ottimistica, non consentendo loro di anticipare correttamente la forte instabilità e illiquidità che si sono poi manifestate. Al peggiorare della situazione, i requisiti patrimoniali sono risultati molto volatili, richiedendo alle banche di aumentare il capitale (peraltro eroso dalle perdite).

26 Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria: «Basilea 3 - Schema di regolamentazione internazionale

per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari», Bank for International Settlement, Dicembre 2010.

27 L' Organizzazione internazionale delle commissioni di titoli (IOSCO) è un'associazione di

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