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Il suicidio come strumento di lotta

Nel documento Terrorismo e diritti fondamentali (pagine 50-53)

IL TERRORISMO ISLAMISTA

2.1. Il suicidio come strumento di lotta

Ciò che connota il terrorismo islamista rispetto a tutte le altre figure di terrorismo è il profilo metodologico (ossia il modus operandi), in particolare, il ricorso sempre più frequente all'azione suicida. Il combattente islamico porta la strage facendosi saltare con l'esplosivo secondo un vero e proprio rituale, nella prospettiva di raggiungere immediatamente il paradiso. In occidente viene denominato impropriamente "kamikaze", considerato come un vero e proprio martire (shaid secondo la terminologia coranica). Nel cristianesimo, i martiri, sono i cosiddetti "testimoni" della fede e cioè coloro che affrontano la morte per rendere testimonianza della stessa fede, ma che possono salvarsi semplicemente rinnegandola. Nel corano7 si considerano testimoni (shaid) quelli che

morivano combattendo contro gli infedeli. In tempi recenti s'è cominciato a parlare di

shaid nel periodo della guerra fra Iran e Iraq, quando per l'appunto giovani iraniani (i

pasdaran ossia i guardiani della rivoluzione) si cingevano il capo con un nastro sul quale

erano scritti dei versi del corano ed avanzavano sui campi minati dove morivano, in modo da consentire all'esercito iraniano di avanzare sui varchi liberati. Non si tratta di terrorismo, ma più semplicemente di militari che si immolavano nell'ambito di una guerra regolare. In seguito però il fenomeno è dilagato, lo Shaid infatti si lascia esplodere uccidendo indiscriminatamente tutti quelli che sono intorno a lui, considerati comunque nemici8. Il suicidio nel corano è bandito, infatti il combattente islamico non ha come

scopo quello di suicidarsi, cosi come invece intende il martire cristiano, ma accetta di cadere in battaglia. Quale tipo di battaglia? la guerra santa. Ma cos'è che spinge effettivamente il combattente a morire? Vi sono due tipologie di martiri. Una prima tipologia è quella di chi si suicida per pura disperazione di cui si hanno testimonianze in Palestina, dove le condizioni di vita sono molto deteriorate, per cui molte famiglie vogliono che uno dei loro numerosi figli diventi un martire (shaid) in quanto riceveranno dal movimento islamico (Hamas) un considerevole premio in denaro e una pensione garantita per il suicidio del giovane. Altra tipologia, quello di chi lo fa solo per fede, portata alla ribalta dagli attentati dell'undici settembre. Stando ai dati diffusi dall' FBI, i kamikaze erano tutti benestanti, istruiti ed in grado di interagire con la società occidentale, tutti giovani e quindi più facilmente manipolabili, single e con una personalità fragile ed irrequieta. Sempre in Palestina è sorta un'altra motivazione: la mancanza di armi. Abbas Zaki, membro del comitato centrale di Al-Fatah ha spiegato che all'inizio dell'Intifada per ogni dieci combattenti palestinesi vi era a disposizione un fucile, da qua l'aumento del numero degli aspiranti suicidi. Nel mondo islamico i martiri

8 Prove di resistenza e di odio: la scuola psicologica dei kamikaze, “Corriere della Sera”, 21 novembre 2003

sono quelli che vanno direttamente in paradiso dove sono accolti da vergini e da situazioni di grande piacere, ma soprattutto sono coloro che possono spingere in paradiso parenti, amici e in generale persone che ritengono degne. Da qua si noti come i martiri sono qualcosa di più di un sacerdote: in una religione monoteistica che non ha i suoi santi, essi rappresentano in pratica proprio qualcosa di assimilabile al santo stesso. La psicologia dell'uomo bomba è caratterizzata, ovviamente, dall'essere pronto al martirio e quindi al sacrifico della propria vita per ottenere la gratificazione, ben misera, di fare dei morti nel campo avversario. Questi ragazzi bomba sono persone fanatizzate da una cultura che affida soltanto alla religione il proprio riscatto e la propria identità. Generalmente hanno vissuto un'esistenza difficile, fatta di sofferenze, caratterizzata da episodi tragici come la morte di un loro caro per mano avversario, introiettando un senso di colpa nascente dal fatto che loro sono vivi mentre l'amico o il fratello non ci sono più9,

proprio per colpa del nemico. Contemporaneamente hanno anche bisogno di un riscatto della propria causa a qualunque costo ed hanno formato la coscienza, la consapevolezza, ottenuta attraverso un insegnamento speciale, di poter appunto, con il loro sacrificio, costituire un'arma fortissima, ancor più forte dei missili israeliani o americani. Tramite il loro sacrifico, quindi, gli uomini bomba sperimentano il sentirsi per la prima volta capaci di fare un danno serio al nemico, un danno che non può essere ignorato10. Nel profilo

psicologico dell'uomo bomba vi sono oltre a tali motivazioni, anche la possibilità di migliorare economicamente la situazione della propria famiglia ed il raggiungimento di scopi spirituali e trascendenti. I gruppi integralisti islamici in particolare, sono costituiti da musulmani ortodossi che hanno percorso strade di formazione distorte da una

9 La strategia del clan muove le bombe umane, Corriere della Sera, 22 novembre 2003 10 U.Fornari, Trattato di psichiatria forense, Torino UTET, 2004.

pedagogia improntata ad un fanatismo identitario, nel senso di aver acquisito la cultura e la motivazione di tale gruppo, dediti a combattere una vera e propria guerra santa contro gli infedeli della civiltà occidentale, come parte integrante della propria identità, fino a farsi saltare in aria con lo scopo di uccidere il maggior numero di persone. La loro identificazione allora si spinge a quella di martiri-testimoni della fede, in un ambiente di vita in cui il malcontento politico-religioso, condito da anomia, frustrazione, aggressività e la forte dipendenza al gruppo e all'ideologia, si unisce spesso a problematiche personali derivanti da esperienze traumatiche vissute, sfociante nella distruttività più dilaniante. La trasformazione in terrorista avviene secondo l'ideale politico-religioso dettato dalla struttura dell'organizzazione. Il gruppo fornisce alla recluta senso di appartenenza, senso di autostima ed importanza con un sistema di nuovi valori che rende l'atto terroristico accettabile moralmente. Il loro corpo già addestrato a respingere le tentazioni di sesso e alcol, viene plasmato come arma terribile, ma non per garantire la salvaguardia nella difesa e nell'offesa, bensì per propiziarne la disintegrazione. Attraverso tale passaggio il terrorismo religioso fornisce visione globale e logica di potenza a un odio generato dalla frustrazione, da un atavico sentimento di inferiorità, ben prima che dalla disperazione sociale11.

Nel documento Terrorismo e diritti fondamentali (pagine 50-53)