IL TERRORE E LA "SICUREZZA"
3.8. La Corte europea: le decisioni sul caso Giuliani e Maiorano
La conclusione cui si è giunti, vale a dire la considerazione stante ad attestare l'impossibilità di rivendicare in sede processuale la tutela preventiva della nostra sicurezza, sembra essere confermata da due decisioni della Corte EDU: Giuliano e
Gaggio c. Italia del 29 agosto 2009 e Maiorano e altri c. Italia del 15 dicembre 200963.
La prima si riferisce ai fatti avvenuti durante il vertice dei Capi di Stato e di Governo del G8, tenutosi a Genova dal 19 al 21 luglio 2001. Come noto, si erano svolte diverse manifestazioni, tali da imporre uno spiegamento di forze (polizia) massiccio. Durante un corteo, due camionette defender dei carabinieri erano rimaste circondate dai manifestanti in atteggiamenti aggressivi. Più in particolare, mentre una di esse era riuscita a trarsi d'impaccio, l'altra, sulla quale era operante il carabiniere Placanica, fu oggetto di lanci di oggetti contundenti e di sfondamento con trave di legno. A ragione di ciò, il carabiniere medesimo, con la pistola in dotazione, esplose alcuni colpi, uccidendo il giovane Carlo Giuliani. Orbene, il successivo procedimento penale non era terminato con un dibattimento, essendo stato in data 5 maggio 2003 archiviato dal GIP di Genova: questi aveva ravvisato la sussistenza contestuale sia della legittima difesa (art.52 c.p), sia dell'uso legittimo delle armi (art. 53 c.p). Peraltro, dando luogo ad un controverso momento processuale, il GIP fece svolgere delle perizie balistiche allo scopo di accertare se effettivamente gli spari di Placanica avessero direttamente cagionato la morte di Giuliani. La perizia accertò come i colpi fossero stati indirizzati in alto e proprio per colpa di una deviazione, uno dei proiettili si conficcò nella testa del giovane. La Corte
EDU non ha constato una violazione dell'art.2 (diritto alla vita) sotto il profilo della morte di Giuliani: essa infatti ha ritenuto come al caso in questione s'applicassero le eccezioni di La conclusione cui si è giunti, vale a dire la considerazione stante ad attestare l'impossibilità di rivendicare in sede processuale la tutela preventiva della nostra sicurezza, sembra essere confermata da due decisioni della Corte EDU: Giuliano e
Gaggio c. Italia del 29 agosto 2009 e Maiorano e altri c. Italia del 15 dicembre 200964.
La prima si riferisce ai fatti avvenuti durante il vertice dei Capi di Stato e di Governo del G8, tenutosi a Genova dal 19 al 21 luglio 2001. Come noto, si erano svolte diverse manifestazioni, tali da imporre uno spiegamento di forze (polizia) massiccio. Durante un corteo, due camionette defender dei carabinieri erano rimaste circondate dai manifestanti in atteggiamenti aggressivi. Più in particolare, mentre una di esse era riuscita a trarsi d'impaccio, l'altra, sulla quale era operante il carabiniere Placanica, fu oggetto di lanci di oggetti contundenti e di sfondamento con trave di legno. A ragione di ciò, il carabiniere medesimo, con la pistola in dotazione, esplose alcuni colpi, uccidendo il giovane Carlo Giuliani. Orbene, il successivo procedimento penale non era terminato con un dibattimento, essendo stato in data 5 maggio 2003 archiviato dal GIP di Genova: questi aveva ravvisato la sussistenza contestuale sia della legittima difesa (art.52 c.p), sia dell'uso legittimo delle armi (art. 53 c.p). Peraltro, dando luogo ad un controverso momento processuale, il GIP fece svolgere delle perizie balistiche allo scopo di accertare se effettivamente gli spari di Placanica avessero direttamente cagionato la morte di Giuliani. La perizia accertò come i colpi fossero stati indirizzati in alto e proprio per colpa di una deviazione, uno dei proiettili si conficcò nella testa del giovane. La Corte
EDU non ha constato una violazione dell'art.2 (diritto alla vita) sotto il profilo della morte di Giuliani: essa infatti ha ritenuto come al caso in questione s'applicassero le eccezioni di cui all'art.2, comma 2 (uso legittimo della forza65). Inoltre la Corte non ha rilevato la
violazione del suddetto art.2 nemmeno sotto il profilo positivo dell'obbligo di proteggere il bene della vita: sia perché si trattava di un evento di grandi dimensioni, sia perché le autorità italiane non avevano aperto un'inchiesta circa la gestione organizzativa dell'evento. Stando cosi le cose essa ha statuito di non essere in grado di stabilire se vi sia un nesso di causalità tra le eventuali mancanze, nella gestione e pianificazione delle operazioni volte all'ordine pubblico e la morte del giovane66. Alla luce di quanto asserito
si deve concludere che il presunto diritto preventivo a vedere garantita la propria sicurezza non è configurabile nemmeno in sede europea: invero, la Corte avalla si l'uso della forza, ma solo nel caso della legittima difesa; e dunque non preventivamente, bensì soltanto a seguito di un'aggressione subita. Ancora più significativa ai fini della presente trattazione è la vicenda Maiorano e altri c. Italia. Essa trae origine dall'omicidio di due donne commesso da Angelo Izzo, condannato all'ergastolo per la nota vicenda del
65 Dopo aver ricordato i principi generali elaborati dalla sua giurisprudenza, la Corte ha considerato che il carabiniere che aveva esploso i colpi d’arma da fuoco era di fronte a un gruppo di manifestanti che stavano attaccando con violenza il veicolo dove si trovava e che lo stesso aveva sparato, ma tenendo l’arma ben visibile e dopo aver intimato agli stessi di fermarsi. Insomma, secondo la Corte EDU il ricorso alla forza non ha oltrepassato i limiti, giacché essa era assolutamente necessaria per permettere al carabiniere e ai suoi colleghi si sottrarsi a un pericolo reale e imminente.
66 Tuttavia, la Corte ha ritenuto che ci sia stata la violazione dell’art. 2 sotto il profilo del mancato rispetto degli obblighi procedurali: l’autopsia effettuata non ha infatti permesso di stabilire con certezza la traiettoria del proiettile, né ha consentito di recuperare un frammento di metallo rimasto nel corpo della vittima. A ciò si deve aggiungere – continua la Corte – il fatto che, ancora prima di ricevere i risultati dell’autopsia, il procuratore aveva autorizzato la famiglia Giuliani a cremare il corpo del loro congiunto, rendendo così impossibile ogni esame successivo. Inoltre, sono da censurare anche le modalità di effettuazione delle indagini, giacché si sono concentrate sulle responsabilità degli autori diretti, senza invece fare alcuna luce sulle eventuali mancanze nella pianificazione e nella gestione delle operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico.
“massacro del Circeo67”, il quale, all'epoca dei fatti si trovava in stato di semi libertà68.
Iicorrenti avevano presentato querela contro i magistrati delle procure di Campobasso e Bari69: questi ultimi, a loro dire, non avrebbero adottato tutte le misure necessarie per
proteggere la sicurezza e la vita dei loro congiunti, nonostante fosse nota la pericolosità sociale di Izzo70. Archiviata la richiesta, i ricorrenti adirono alla Corte EDU adducendo
proprio come il regime di semilibertà concesso ad Izzo aveva violato sia il diritto alla vita(art.2), sia il diritto alla sicurezza e alla libertà(art.5). La Corte ha indicato come per Izzo il regime di semilibertà concessogli avrebbe richiesto una maggiore ponderazione visto il grado di pericolosità sociale dello stesso, già recidivo per altri omicidi aberranti. Ma il ricorso venne accolto non tanto per il diritto alla sicurezza, quanto invece per il diritto alla vita, nel momento proprio in cui la Corte fa riferimento alle misure necessarie per proteggere la vita, tra cui quelle preventive. Essa infatti in tal caso non è andata a criticare le leggi italiane vigenti, né suggerisce l'adozione di nuove normative in materia di sicurezza. Quindi essa non critica il sistema delle previsioni di reinserimento, bensì disapprova la concreta applicazione delle stesse in questa specifica vicenda (una
67 Il 30 settembre 1975, Izzo e due complici (Ghira e Guido) sequestrarono due ragazze, le sottoposero a sevizie fisiche, sessuali e psicologiche e poi – credendole morte – nascosero i loro corpi in borse di plastica e le collocarono nel bagagliaio della loro automobile. Tuttavia i lamenti di una delle due vittime (in realtà non ancora deceduta) vennero sentiti da una guardia giurata, il cui intervento le salvò la vita e condusse poi all’arresto dei colpevoli. Per questo, in data 29 luglio 1976, Izzo – che aveva già
precedenti di sequestro di persona, stupro, percosse e lesioni – fu condannato all’ergastolo per omicidio, tentato di omicidio, stupro, sequestro di persona, porto d’armi, percosse e lesioni. Siffatta condanna diventò definitiva il 30 settembre 1983. In argomento si v. punto 8 della decisione.
68 Come noto, la semilibertà è, ai sensi dell’art. 48, l. n. 354 del 1975, cit. una misura di sostituzione alla detenzione che permette al suo beneficiario di passare una parte della giornata all’esterno della struttura penitenziaria per lavorare o concedersi ad altre attività che facilitano il suo reinserimento sociale. Secondo l’art. 50 della legge medesima essa può essere accordata ai condannati dopo un periodo di detenzione continuo di almeno venti anni, quando il comportamento del detenuto è in via di
miglioramento e le condizioni di un reinserimento sociale progressivo sono riunite. Sull’ammissione del Signor Izzo a favore della semilibertà si v. i punti 21-36 della pronuncia; sull’esecuzione di siffatta ammissione si v. invece i punti 37-41 della sentenza; sull’indagine amministrativa in ordine a detta ammissione si v. inoltre i punti 57-63 della decisione medesima.
69 Su cui si v. punti 64-68 della pronuncia.
negligenza effettiva degli stessi giudici). Quindi, dopo aver rappresentato queste due note vicende giudiziarie, possiamo concludere indicando come anche la Corte ritiene che dal suddetto articolo 2 non si possa dedurre un obbligo positivo di impedire ogni violenza potenziale, non a caso essa stessa riconosce come al momento della concessione del regime di semilibertà, niente permetteva alle autorità di identificare le due future vittime come bersagli potenziali. Insomma un'ulteriore conferma di come non si possa configurare un diritto individuale alla propria sicurezza.