Gli statuti dei tribunali penali internazionali di più recente istituzione prevedono la responsabilità penale per la violazione dei divieti posti dal diritto internazionale umanitario relativamente alla commissione di azioni terroristiche. Ad esempio, lo statuto
del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda all'art. 4 (d) che incorpora l'art. 13 del II Protocollo della Convenzione di Ginevra, prevede la competenza giurisdizionale dello stesso tribunale per tutti gli “atti di terrorismo” compiuti sul territorio del Ruanda o opera di cittadini ruandesi negli Stati limitrofi, fra il 1° gennaio e il 31 dicembre 199454. Allo
stesso modo l'art. 3 (d) dello Statuto della Corte speciale per la Sierra Leone55 consente di
perseguire gli atti di terrorismo, elencati tra le violazioni dell'art. 3 delle quattro Convenzioni di Ginevra e dal Protocollo II. Al contrario il termine “terrorismo” non compare né nello statuto del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, né nello Statuto di Roma del 1998 che ha istituito la Corte Penale Internazionale. Quest'ultima omissione appare particolarmente significativa dal momento che lo statuto della Corte Penale Internazionale rappresenta un autorevole espressione della posizione di un gran numero di Stati in materia di di diritto penale internazionale. La Conferenza di Roma ha infatti respinto un'aia definizione di terrorismo al di fuori del contesto dei conflitti armati, ma ha altresì escluso la proposta di considerare il terrorismo come crimine di guerra. Tuttavia, L'art. 10 dello Statuto di Roma dichiara che nessuna disposizione dello stesso “può essere interpretata nel senso di limitare o pregiudicare in qualsiasi modo, per effetti diversi da quello del presente Statuto, le norme del diritto internazionale esistenti o in formazione”. Come il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia ha statuito nel caso Furundzija56, lo Statuto non è l'espressione perfetta del diritto consuetudinario ma, a seconda del problema in discussione, può essere utilizzato per ribadire, chiarire o cristallizzare le norme consuetudinarie, mentre in altri ambiti crea
54 Cfr. art. 4, Statuto del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda.
55 Si veda l'accordo fra ONU e Sierra Leone, in forza della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU n. 1315 del 2000, con in allegato lo statuto.
56 Cfr. sentenza del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, causa 95-17/1-T, Furundzija, 10 dicembre 1988, par. 227, disponibile all'indirizzo www.icty.org
nuovo diritto o modifica quello esistente. Quindi, anche se le violazioni delle norme che vietano atti di terrorismo alla luce delle Convenzioni di Ginevra e dei relativi Protocolli non possono essere giudicate dalla Corte Penale Internazionale, esse possono formare oggetto di un giudizio presso altri tribunali. Ancor meno, una tale esclusione del terrorismo dallo Statuto della Corte può precludere o impedire i futuri sviluppi della criminalizzazione di tale reato nel contesto del diritto consuetudinario. Questa posizione pare avere un riscontro nella giurisprudenza del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia. L'art. 3 del relativo Statuto consente di giudicare le violazioni delle “leggi o costume di guerra” e la giurisdizione non è limitata ai reati ivi elencati, come invece accade per la Corte Penale Internazionale in relazione alla lista dei reati enumerati nel relativo Statuto. Così nel caso Galic,ad esempio, 'accusa aveva sostenuto una violazione dell'art. 51 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione di Ginevra del 1949 e i principi di diritto consuetudinario in esso contenuti. In questo caso, oggetto del giudizio era rappresentato dall'assedio di Sarajevo realizzato fra il 1993 e 1994 dalle forze armate serbo-bosniache. Secondo l'accusa, tale campagna, condotta con l'uso dei cecchini e mortai, era stata una vera e propria iniziativa volta a terrorizzare la popolazione, non mirando ad alcun obbiettivo militare in senso stretto. Non solo le prove assunte, ma anche altri elementi quali obbiettivi gli obbiettivi civili (mercati, sorgenti d'acqua, ospedali, cimiteri) e addirittura gli orari dei bombardamenti sembravano rivelare il chiaro intento di esercitare una pressione psicologica sulla popolazione. Nella sentenza del dicembre 200357, la Camera di prima istanza ha ritenuto che a Sarajevo fosse stato commesso un
crimine di terrorismo nei confronti della popolazione civile o, più semplicemente, un
57 Cfr. sentenza della Camera di prima istanza del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, causa n. IT-98-29-T, Prosecutor v. Stanislav Galic, 26 marzo 1999 e 24 aprile 1998. Accuse identiche al caso Galic, sono state mosse nei casi Mladic, causa n. IT-95-5/18-I, 11 ottobre 2002 e Karadzic, causa n. IT-95-5/18,31 maggio 2000.
“crimine di terrore”. Secondo il Tribunale, ciò che contraddistingue il crimine di terrore è l'elemento soggettivo del reato ovvero “il fine principale di infliggere terrore”. Il Tribunale ha quindi considerato il “terrore” reato di natura dolosa. Cioè perpetrato con un intento specifico, il che esclude sia il dolo eventuale sia la colpa. Nell'interpretare il termine “terrore” la sentenza del Tribunale ha accolto la definizione dell'accusa che lo aveva identificato con “l'estrema paura”, ma non ha chiarito quali tipi di atti siano in grado di determinarlo. A novembre 2006, la Camera d'appello del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, sempre nel caso Galic, ha confermato le conclusioni della Camera di prima istanza statuendo che, ai sensi dell'art. 51, par. 2, del I Protocollo del 1977, il divieto di terrore costituisce uno specifico divieto nell'ambito del divieto generale di carattere consuetudinario di attaccare i civili. Il generale Galic è stato quindi condannato all'ergastolo per il “crimine di guerra di terrore” e altri crimini legati alla campagna. La sentenza Galic ha condotto ad una condanna non per il reato di terrorismo in generale, ma per una fattispecie più specifica. Nonostante ciò essa ha assunto un rilievo fondamentale in quanto, considerate le difficoltà incontrate dalla Comunità internazionale nella ricerca di un'esaustiva definizione di terrorismo, necessaria per procedere ad una incriminazione penale che non violi il principio di legalità in un ambito specifico del diritto internazionale, cioè quello del diritto applicabile ai conflitti armati, è stato concettualizzato il crimine del terrore durante le ostilità. Esso consiste in atti o minacce di violenza finalizzate a terrorizzare la popolazione civile. Si tratta della prima sentenza per un simil crimine pronunciata da una corte internazionale e perciò può rivestire un ruolo chiave nello sviluppo del concetto di responsabilità per condotte di questo tipo.