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La crisi degli anni novanta

Nel documento Terrorismo e diritti fondamentali (pagine 81-87)

IL TERRORE E LA "SICUREZZA"

1.8. La crisi degli anni novanta

Gli anni Novanta sono stati in Italia un periodo di crisi drammatica e profonda16; non

una crisi localizzata, ma diffusa a più livelli nella società: si assiste in questi anni alla

crescita di sfiducia della popolazione italiana nei confronti delle istituzioni, mentre domina un senso collettivo di disorientamento, indignazione e insicurezza, che si rese palese, in prima istanza, nel trionfo della Lega Nord alle elezioni del 1992 (il partito passò dallo 0,5 per cento all'8,7 per cento, arrivando a punte del 25,5 per cento in alcune regioni, ad esempio la Lombardia). Quando si cerca di ricostruire le cause che portarono a questa crisi, sfociante poi in quella definita come la crisi della prima Repubblica, sono molti i fattori presi in considerazione: la perdita progressiva della memoria collettiva del fascismo e della Guerra; la perdita del senso di appartenenza ai partiti tradizionali (a causa della progressiva scomparsa del ruolo anti-comunista della DC e del venir meno della polarizzazione del conflitto politico); l'inchiesta "Mani Pulite" e il suo impatto delegittimante sulla classe politica; la crisi economica; il mutamento della legge elettorale per le elezioni parlamentari con il referendum del '93. n effetti, l'evento più idoneo a rappresentare la crisi che l'Italia stava attraversando in quegli anni fu il generale crollo dei partiti alle elezioni del '93. Se anche il crollo del regime comunista degli anni '89-'90, e la conseguente fine del bipolarismo est-ovest, gioca un ruolo importante nella disaffezione rispetto ai partiti, poiché in Italia la fine del bipolarismo si traduce in primo luogo nella fine della contrapposizione tra PCI e DC, all'origine della crisi vi fu comunque un'opinione radicata e diffusa riguardo alla degradazione del sistema dei partiti, alle consuete pratiche di corruzione e all'incapacità da parte del governo di affrontare le emergenze con misure efficaci sul breve periodo. Quella che attraversa l'Italia negli anni Novanta insomma è una vera e propria crisi del sistema politico nel suo complesso, accompagnata da una profonda crisi della fiducia degli italiani nella classe politica e forse nella politica tout court. Ciò che in quel periodo è venuto meno riguarda proprio la

fiducia nel fatto di come la politica rappresenti il luogo nel quale le battaglie determinanti possono venire combattute e nel quale la posta in gioco è il bene comune. Anche le stragi mafiose di quegli anni concorsero ad aumentare il caos politico-istituzionale e a destabilizzare la società italiana: il 23 maggio 1992 veniva ucciso Falcone e il 19 luglio dello stesso anno era la volta di Borsellino. Cresceva lo sconcerto e la rabbia, e l'emergere di rapporti tra la mafia e le più alte cariche dello stato non faceva che aumentare l'indignazione. Il sistema dei mass-media concorse all'affermazione e alla cristallizzazione dell'insoddisfazione, dell'indignazione, della preoccupazione e della sfiducia ormai dilaganti. Infatti, il circuito mass-mediatico ebbe un ruolo centrale nel compilare un catalogo di discorsi di senso comune, chiacchiere da bar che si piantarono nella testa della gente idonee a diffondere e ad alimentare una serie di credenze di senso comune, più o meno attinenti alla realtà: dalle lamentele per il fatto che "le istituzioni sono lontane corrotte e inefficienti" a quelle contro la magistratura idonea ad occuparsi solo dei grandi processi, quelle eterne su la polizia che arresta ma il giorno dopo i criminali sono liberi, le grandi verità come la mafia controlla i territori e s'infiltra nelle istituzioni locali, fino alle ineliminabili menzogne come "gli immigrati occupano le strade e le piazze e fanno quello che vogliono" e "gli immigrati delinquono più degli italiani". Infatti, il senso di crisi sociale e istituzionale italiana di quegli anni fu segnato oltre che dall'inchiesta "Mani Pulite" e l'indignazione per la corruzione politica diffusa , anche dal fenomeno migratorio e il sentimento d'intolleranza per gli "extra-comunitari. Le migrazioni verso l'Italia iniziarono negli anni Settanta, ma il fenomeno era ancora poco diffuso (la presenza di migranti è stimata in quel periodo per un numero inferiore alle 100.000 unità), tanto che i primi interventi legislativi in materia di immigrazione

risalgono solo agli anni Ottanta. Un fattore degno d'interesse è che nel corso degli anni Novanta trova avvio un processo di progressivo inasprimento delle politiche migratorie: col decreto Dini, del 1995, si trasferì alla polizia la soluzione dei problemi posti dall'immigrazione, ampliando la casistica delle espulsioni preventive e sottraendo al giudice naturale lo straniero sospettato di turbare l'ordine pubblico o condannato per reati minori, circostanza che rappresentò una svolta nella cultura politica e giuridica italiana. Il 1998 fu invece la volta della Turco-Napolitano, che cercò, senza grande successo, di uscire dalla modalità di gestione del fenomeno migratorio come fosse una perenne emergenza: ribadì la politica delle espulsioni preventive e applicò una logica binaria alle migrazioni che da una parte puntava a misure volte all'integrazione degli stranieri regolari, dall'altra a misure volte alla repressione degli stranieri irregolari. Ciò avviene contestualmente al formarsi della percezione diffusa dell'esistenza di un'emergenza immigrazione che poi non abbandonerà più l'immaginario collettivo di questo paese. Appare infatti come l'opinione pubblica, dopo lo scossone della fine della prima Repubblica, pose al centro di tutti gli eventi critici di quegli anni proprio il fenomeno migratorio. Non credo che si possa ridurre ciò ad una ricerca del capro espiatorio da incolpare per il proprio malessere. Credo piuttosto che in quegli anni in Italia, ad uscire disgregato da un momento di totale smarrimento, causato in primis dalla sfiducia verso le istituzioni, fu lo stesso tessuto sociale. In un momento del genere sia emerso con particolare forza un senso di atomizzazione tra i "cittadini autoctoni" rimasti senza punti di riferimento. Personalmente ipotizzo che questo sentimento anti-immigrato sia emerso con tanta forza in questo periodo come reazione al bisogno della comunità di ritrovare se stessa, ovvero al suo bisogno di ritrovare coesione nell'unione delle forze contro un

nemico comune, dopo un periodo di grande smarrimento quale quello appena passato. E non deve sorprendere come proprio nel diverso venga ad essere riconosciuto. Ciò che venne fuori da questa esperienza di crisi fu la percezione diffusa di una stretta relazione tra immigrazione, crisi economica, inadeguatezza della politica, violenza diffusa e degrado urbano e la contiguità dei sentimenti di "intolleranza nei confronti degli stranieri con sentimenti di precarietà economica, di sfiducia nella politica, di preoccupazione per la propria incolumità e di sdegno per le condizioni di vita nei quartieri periferici. Gli stranieri divennero il principale bersaglio del sentimento di paura che si stava rapidamente diffondendo, sentimento completamente irrazionale poiché alimentato dalla facile comunicabilità del dato statistico costruito sul binomio criminalità-immigrazione. Inoltre, mentre nella "narrazione scientifica" la paura della criminalità viene considerata un epifenomeno rispetto ad altri elementi su cui gli studiosi preferiscono concentrare la propria attenzione, essa è costantemente al centro delle narrazioni quotidiane ovverosia è al centro dei discorsi dei politici, dei mass-media, nei bar e nelle strade. Ciò significa che nel momento in cui si tratta del problema della paura della criminalità, l'argomento potrà difficilmente essere analizzato scientificamente, poiché esso non è mai stato oggetto di analisi scientifica; i pensieri di senso comune rispetto alla paura della criminalità continueranno dunque a riprodursi incontrastati derivanti dalla consequenziale pericolosità dei migranti. La "domanda di sicurezza" fu la modalità di espressione che trovarono i sentimenti di rabbia, indignazione, sfiducia serpeggianti all'interno della società italiana. Se negli anni Settanta l'insicurezza era stata dotata di senso e riformulata in chiave di una richiesta di maggiore welfare, negli anni Novanta, quegli stessi sentimenti, questa insicurezza diffusa, viene dotata di un senso diverso e trasformata nella

richiesta di maggiore penalità. Bisogna aprire una breve parentesi in proposito; infatti, questa richiesta di maggiore penalità trova la propria ragion d'essere in una caratteristica propria dell'ordinamento italiano: il diritto penale rappresenta in Italia lo strumento primario della risposta che a livello statale viene data nei momenti di maggiore difficoltà del paese. Ne discende, oltre al fatto che il dibattito sul problema penale trova posto tra le questioni al centro della vita politica italiana, idonea a discenderne malumori, si traducano poi in interventi legislativi di tipo penale. Inoltre, il fatto che il settore penale si trovi al centro del dibattito ha delle importanti ripercussioni sulle finalità stesse del diritto: nella produzione normativa, accanto al momento giuridico che continua ad essere quello prioritario in quanto fornisce la logica e la lingua del diritto, vi sarebbe un momento politico, nel corso del quale la politica riesce ad imprimere la propria scala di priorità nel diritto. La penalistica italiana sarebbe in altre parole caratterizzata da una vera e propria "vocazione all'apertura culturale, alla permeabilità politica ed alla sensibilità civile". Ne deriva come nel diritto italiano contenuti, ragioni e fini si rapportano a opzioni politiche, a programmi di riforma, a obiettivi sociali attinti in ambiti che giuridici non sono . E questa rappresenta sicuramente una probabile via, tra le altre, attraverso cui spiegare come la domanda di sicurezza si fece largo nella politica italiana in quel periodo storico. La domanda di sicurezza iniziò a trovare un posto in campagna elettorale e nei programmi dei partiti politici a partire dalle elezioni del 1996. Già assunta da alcuni partiti marginali quali An, o emergenti, quali la Lega Nord, essa entrò anche tra le priorità degli schieramenti maggioritari, seppur con toni più propagandistici nel centro-destra e con toni più tecnici nello schieramento del centro-sinistra. Dal 1996 la domanda di sicurezza trovò definitivamente legittimità nella Politica e, da quel momento in poi,

avrebbe costituito un perno fondamentale per la costruzione del consenso a livello nazionale e locale.

Nel documento Terrorismo e diritti fondamentali (pagine 81-87)