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Il conflitto di interessi in Italia alla luce degli ultimi interventi in materia con specifica attenzione al fenomeno del pantouflage.

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Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Il conflItto dI InteressI

In ItalIa alla luce

deglI ultImI InterventI

In materIa

con specifica attenzione al fenomeno del pantouflage

candidato

(2)
(3)

Premessa...5

1. Definizione dei termini della questione ...7

1.1 Il concetto di interesse pubblico ...11

1.2 La necessaria separazione tra l’interesse economico privato e quello pubblico da perseguire in virtù della funzione pubblica ...14

1.3 I valori costituzionali in gioco ...18

2. Il conflitto di interessi in Italia dalle elezioni legislative del 1994 alla legge 20 luglio 2004, n. 215 ...21

2.1 Primi tentativi di regolamentazione del conflitto di interessi in Italia ...21

2.1.1 Il caso dell’on. Berlusconi alla luce dell’art. 10, c. 1, n. 1, d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361 ...24

2.1.2 I progetti di legge presentati nel corso della XIIª legislatura ...25

2.1.3 I progetti di legge presentati nel corso della XIIIª legislatura ...26

2.2 La legge 20 luglio 2004, n.215 ...29

2.2.1 Genesi e principi ispiratori della l. 20 luglio 2004, n.215 ...29

2.2.2 Ambito soggettivo di applicazione ...32

2.3 Gli strumenti preventivi di risoluzione dei conflitti di interessi ...33

2.3.1 L’obbligo generale di astensione ...33

2.3.2 Il regime delle incompatibilità ...35

2.3.3 Conflitto di interessi per incompatibilità ...37

2.3.4 Il conflitto di interessi per incidenza patrimoniale ...40

2.4 La fattispecie del sostegno privilegiato ...44

2.5 Gli obblighi di dichiarazione della legge 20 luglio 2004, n.215 ...45

2.5.1 I moduli e i formulari ...48

2.6 Organi e procedure di accertamento dei conflitti di interesse: l’AgCM e l’AgCOM, loro funzioni e poteri sanzionatori ...49

2.6.1 I poteri sanzionatori delle autorità di controllo ...55

2.7 Recenti interventi legislativi in tema di incompatibilità pubbliche: il doppio sistema di repressione ...57

3. Elementi di criticità della legge 20 luglio 2004, n. 215 ...60

3.1 Primi limiti di efficacia della legge: il parere della Commissione di Venezia ...60

3.2 Il regime di incompatibilità alla prova dei fatti ...62

3.2.1 I limiti processuali del conflitto di interessi per incompatibilità...69

(4)

3.3 Le difficoltà applicative in relazione ai “conflitti di interessi per incidenza

sul patrimonio” ...71

3.4 Il sostegno privilegiato ...76

3.5 Rilievi critici in ordine alle dichiarazioni patrimoniali nell’ottica sanzionatoria ...78

4. Le incompatibilità post-carica alla luce degli ultimi interventi in materia ...81

4.1 Il pantouflage: origini del fenomeno e sue regolamentazioni nell’ordinamento francese ...81

4.2 La disciplina americana in materia di post-employment restrictions ...84

4.3 La scelta del legislatore italiano in materia di incompatibilità successive: dalla l. 60/1953 alla l. 251/2004 ...87

4.3.1 Le ultime modifiche all’art. 53 del Testo unico sul lavoro alle dipendenze della p.a. ad opera della legge 6 novembre 2012 n. 190 ...92

4.4 Difficoltà applicative e debolezze dell’impianto legislativo: casi scelti ...95

4.4.1 Il caso Siniscalco ...97

4.4.2 Il caso Meocci...99

4.4.3 Il caso De Gennaro ...102

4.5 Il decreto legislativo n. 39/2013 recante Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 19 ...105

4.6 Prospettive di riforma ...107

5. Stato dell’arte e prospettive di riforma della legge 20 luglio 2004, n. 215 ...112

5.1 La public financial disclosure ...112

5.2 La gestione dinamica del patrimonio del titolare di carica di governo: il blind trust e l’alienazione obbligatoria alla luce dell’esperienza statunitense ...116

5.3 I disegni in discussione alla Camera ...120

5.4 La proposta Civati: una soluzione possibile all’attuale impasse sul tema ...124

6. Conclusioni ...131

Indicazioni bibliografiche ...135

Bibliografia ...135

Provvedimenti e relazioni al Parlamento dell’Autorità garante della concorrenza ...138

(5)

Il presente studio si propone di esaminare in modo sistematico i profili generali della legislazione italiana sul conflitto di interessi dei titolari di cariche di governo, previsto nella legge 20 luglio 2004, n. 215, con parti-colare attenzione al regime delle incompatibilità post-carica.

Il tema oggetto dell’indagine deve necessariamente fondarsi su un’a-nalisi profonda dell’attuale sistema democratico, alla luce degli ultimi in-terventi in materia, e con particolare attenzione alle esperienze straniere, in considerazione della necessaria omogeneizzazione della disciplina per una maggiore tutela del cittadino in un contesto socio-economico dove i confini territoriali sono sempre più labili.

Servire l’interesse generale è la missione primaria dei governi e delle istituzioni pubbliche ed i cittadini si aspettano che ogni titolare di cariche pubbliche eserciti le funzioni a lui demandate con integrità, equità ed imparzialità.

Sempre più spesso, invece, i governi sono tenuti a vigilare i loro agenti perché non compromettano con interessi privati le decisioni e la gestione della cosa pubblica: in una società sempre più esigente, una mala gestio dei

conflitti di interesse pregiudica la fiducia dei cittadini nelle istituzioni. In considerazione dell’entità che il fenomeno del conflitto di interessi ha preso all’interno della vita economica, finanziaria e pubblica, un tenta-tivo di riforma sembra dunque utile e necessario: nuovi tipi di relazioni si sono creati tra il settore pubblico e quello privato, potenzialmente capaci

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di creare nuovi conflitti di interessi, e in grado di compromettere la ne-cessaria separazione tra gli interessi privati e i doveri pubblici dei titolari di funzioni pubbliche tanto da degenerare, talora, in casi di corruzione1.

In questo scenario, dove l’opinione pubblica sollecita il legislatore a vigilare sull’integrità delle decisioni di Governo, per ricostruire il rap-porto eletto/elettore l’analisi si prefigge di focalizzare l’attenzione su di un istituto spesso trascurato e sottovalutato nel nostro Paese, ma che, come dimostrato nell’esperienza straniera e segnatamente statunitense, risponde ad un’esigenza coessenziale nella disciplina del conflitto di in-teressi che guardi non solo al presente, ma anche al futuro: promuovere una maggiore trasparenza in seno alle istituzioni pubbliche deve partire dunque dall’instaurazione di un regime di incompatibilità che seguono alla dismissione dell’incarico pubblico in capo all’ex-titolare di funzioni di governo adeguato soprattutto sotto il profilo sanzionatorio.

Con tale istituto infatti, in applicazione del principio generale di salva-guardia dell’imparzialità dell’azione pubblica ex art. 97 Cost., il legislatore

si pone il precipuo fine di scongiurare il rischio che l’attività di governo possa essere utilizzata dall’interessato con il fine di precostituirsi un be-neficio futuro, consistente, in ipotesi, nell’attribuzione di incarichi suc-cessivi alla cessazione della carica2.

Tuttavia, l’attuale disciplina in materia, come la dottrina ha più volte sottolineato, presenta forti elementi di criticità che motivano, dunque, una rinnovata attenzione al tema del conflitto di interessi, col fine prima-rio di una imprescindibile revisione.

1 Laddove un conflitto di interessi non è automaticamente corruzione, vi è crescente consapevolezza che i conflitti tra interessi privati e i doveri dei pubblici ufficiali, se non adeguatamente gestiti, possono sfociare in corruzione (OECD, Managing Conflict in the

public service: Oecd Guidelines and Country experiences, 2003, in www.oecd.org).

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1.1 L’etica pubblica

Nel conflitto di interessi che viene in evidenza nel diritto pubblico esiste sempre una preliminare gerarchia fra gli interessi in contrasto, dei quali soltanto uno, quello pubblico, ha carattere prevalente ed esclusivo, nel senso di escludere tutti gli interessi “altri” di natura personale, in contra-sto (potenziale o effettivo) con i primi ed in grado di incidere negativa-mente sull’esercizio delle funzioni attribuite al soggetto pubblico.

Il conflitto di interessi consiste infatti in una situazione nella quale una persona, investita di una funzione pubblica, è portata a servire due tipi di interessi che sono in contraddizione tra loro o che procedono da logiche antagoniste. Ogni conflitto di interessi, ogni opposizione tra due “lealtà”, tra due logiche, tra due tipi di responsabilità, presuppone una scelta: una scelta che si può qualificare come di morale. La filosofia ci insegna che il libero arbitrio consiste in un agire morale su cui si fonda la libertà: l’uo-mo è infatti libero perché deve scegliere tra il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, l’essenziale e l’accessorio.

Il conflitto di interessi pone l’individuo dinnanzi a una scelta etica, alla quale egli non può sottrarsi: il soggetto investito di pubbliche funzioni, difatti, ha delle responsabilità superiori che egli deve affrontare in piena coscienza e nel rispetto della morale pubblica, ed un principio etico lo obbliga a non accettare di cumulare ruoli che possono essere in contrad-dizione tra loro.

1. defInIzIone deI termInI della

questIone

(8)

La contraddizione può porsi, innanzitutto, a livello puramente istitu-zionale: il compito di un soggetto a cui fanno capo funzioni pubbliche è quello di far funzionale le istituzioni conformemente alla regole della Co-stituzione e anche al suo spirito, secondo una logica che si può qualificare “di morale costituzionale”. La separazione dei poteri, l’imparzialità dello stato, il pieno esercizio delle competenze ed il rispetto della sovranità po-polare sono principi che l’etica costituzionale impone ai governanti e che li costringe a rifiutare, in specifiche ipotesi, il cumulo di funzioni.

Tale cumulo di funzioni può tuttavia porsi anche in una prospettiva più ampia, quella della società. L’etica della convinzione, evocata da Max Weber a proposito dell’uomo politico, è anche un’etica della responsabi-lità quando è riferita a chi esercita il potere1. La morale politica impone all’uomo di Stato di saper scegliere tra l’interesse generale, che chiamia-mo bene pubblico, e gli interessi particolari, dai quali egli può ricevere sollecitazioni nell’esercizio delle sue funzioni2.

In Italia si comincia a parlare di questione morale poco dopo l’Unità d’Italia, quando emersero i primi episodi di corruzione e, più in generale, di esercizio di pubbliche attività per il perseguimento di utili propri o della propria parte. Il tema è stato successivamente ripreso senza però essere mai compiutamente affrontato, preferendo concentrare la propria attenzione sulla moralità pubblica in relazione a temi attinenti ai problemi della famiglia e delle comunicazioni sociali3.

Solo alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, l’attenzione per l’e-tica pubblica, come relativa al corretto esercizio delle pubbliche funzioni da parte dei loro titolari, è divenuta maggiore, assumendo particolare rilievo soprattutto a partire dal 1992, quando è cominciata a venire alla

1 M. Weber, La politica come professione, traduzione E.Coccia, Armando editore, 1997, rif. 43 e ss.

2 A. Claisse, Conflitto di interessi e cariche governative: analisi comparata in S. Cassese, B. G. Mattarella (a cura di), Democrazia e cariche pubbliche, ineleggibilità incompatibilità conflitto

d’interessi: un problema di etica pubblica, Il Mulino, 1996, p. 14.

3 A. Pertici, Il conflitto di interessi: dalla definizione alla disciplina tra Italia e Stati Uniti

(9)

luce la diffusissima corruzione presente in molti settori pubblici.

L’interesse per un efficace e diffusa legislazione sui conflitti di interesse ha trovato la sua primaria motivazione nell’ingresso nell’agone politico di soggetti provenienti dalla società civile, in particolare dal mondo dell’im-prenditoria e della finanza: sino al crollo della Prima Repubblica il per-sonale politico infatti accedeva alle più alte cariche dello stato attraverso una selezione operata dai partiti, che privilegiavano coloro che si erano dedicati professionalmente alla politica; l’ingresso di un titolare di gran-di aziende e gran-di importanti imprese commerciali alla guida dell’Esecutivo legittimò in qualche sorta il fenomeno tanto che non tardò a ripetersi a livello nazionale, regionale e locale. Con la fine del monopolio dei partiti sulle cariche pubbliche si sono posti alla nostra democrazia conseguen-temente problemi inediti: più specificatamente quello del rapporto tra gli interessi privati di cui l’outsider sia titolare e gli interessi pubblici che deve

tutelare nella sua attività di governo.

Nell’ipotesi in cui l’aerea degli interessi economici privati riferibili al titolare di una funzione pubblica sia molto ampia, diversificata e conside-revole, l’ipotesi di un conflitto di interessi assume una speciale connota-zione, dato che in questo caso non solo è necessaria una rigorosa rego-lamentazione ma, in qualche modo, trascende la mera contrapposizione pubblico/privato per involgere, quanto meno nei casi più eclatanti, la più generale problematica della separazione fra potere economico e potere politico4.

La soluzione di questo particolare ordini di problemi non può essere rinvenuta nella sola normativa sui conflitti di interessi. Nella dinamica dei fenomeni qui in esame, infatti, attore principale non è solo la norma giuridica con il suo contenuto precettivo ma, anche e soprattutto, il livello di coscienza civile ed etica che investe i soggetti direttamente o indiretta-mente interessati dai fenomeni stessi, in definitiva tutti i cittadini.

4 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n.

215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma, Giuffrè Editore, Milano 2013,

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Sotto questo profilo l’etica pubblica è una parte del più ampio problema che nella letteratura sociologica ruota intorno alla nozione di capitale so-ciale, la cosiddetta civicness, intesa come l’insieme dei modelli di

compor-tamento che derivano dal patrimonio culturale di una comunità presente su un determinato territorio, in base ai quali alcuni canoni di condotta come ad esempio l’osservanza delle regole sono oggetto di spontanea adesione e sono ritenuti doverosi e inderogabili sul piano morale.

L’etica pubblica, in sostanza, non vive isolata dal resto della società ma presuppone una più generale e diffusa attitudine al rispetto delle regole, in un processo circolare che si alimenta dei valori positivi e/o negativi che vengono dalla società e dai suoi rappresentanti e che alla società ri-tornano con modelli virtuosi o meno da seguire5.

Se ne trae dunque che, in ambito pubblicistico, l’obbiettivo ben specifi-co della regolamentazione giuridica del fenomeno dei specifi-conflitti di interessi è centrato sull’esigenza di attuare gli strumenti di tutela dell’etica pubbli-ca, intendendo con questa locuzione l’insieme dei principi che devono ispirare i comportamenti dei soggetti chiamati a ricoprire cariche pub-bliche, principi che riguardano essenzialmente la necessaria trasparenza dell’operato degli organi politici e la tutela dell’interesse generale, che si realizza facendo valere un’esigenza etica rappresentata dal disinteresse privato nell’esercizio delle funzioni pubbliche6.

5 In materia R.D. Putnam, Making Democracy Work, Princeton 1993. Putnam ha in parti-colare approfondito un’accezione di capitale sociale inteso non come patrimonio relazi-onale rivolto a massimizzare i benefici del singolo individuo ma come risorsa della collet-tività, costituita da tutti «quegli elementi dell’organizzazione sociale – come la fiducia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l’efficienza della società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l’azione coordinata degli individui» (p. 169). In tale significato il capitale sociale è un “bene comune” essenziale per lo sviluppo della società e delle istituzioni (L. Pennacchi, Filosofia dei beni comuni, Roma, 2012, pp. 4-5); esso pertanto, può essere valorizzato da istituzioni che si propongano come “concentratori” e “accumulatori” di capitale sociale: in tal senso va inteso, secondo la ricostruzione di P. Pelufo (la scoperta della patria, Milano, 2012, pp. 84-91) il “magistero civile” di Carlo Azeglio Ciampi durante il settennato di Capo dello Stato (199-2006), non a caso ispirato agli studi di Putnam sulla tradizione civica delle regioni italiane. C. Marchetta, La

legislazi-one italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n. 215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma, cit., p. 21.

6 P. Carretti, Gli strumenti a garanzia di un’effettiva etica pubblica; aspetti problematici: il

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1.1 Il concetto di interesse pubblico

Lo studio dei conflitti di interesse non ha per vocazione primaria mora-lizzare i titolari di funzioni pubbliche: il suo obbiettivo è piuttosto crea-re, o mantenecrea-re, la fiducia necessaria all’ordine economico e alla legalità nella società. Questo obbiettivo, forse ambizioso, richiede un consenso sulla definizione del conflitto di interessi e sui tratti fondamentali del suo regime: la prevenzione del rischio, la gestione a seguito dell’insorgere del fenomeno e la sanzione conseguente alla violazione.

Per una definizione di conflitto di interessi è necessario innanzitutto partire dall’enucleazione dell’unità minima del problema: l’individuazione degli interessi confliggenti, tema questo che ha presentato sin da subito numerose complessità nella dottrina costituzionalistica.

Innanzitutto, quindi, pare di dover partire dalla nozione di interesse come «rapporto che corre tra una esigenza di un soggetto e gli stati di cose idonei a renderlo soddisfatto o insoddisfatto»7, e tale quindi da spin-gere suddetto soggetto ad agire perché si realizzi lo stato di cose in grado di soddisfare le proprie esigenze (interesse positivo), o a non agire perché l’esigenza è attualmente soddisfatta e non si ha pertanto interesse a che la situazione cambi (interesse negativo). Gli interessi, però, possono essere (ed anzi spesso sono) comuni a più individui8, che, quando danno vita ad una organizzazione per il soddisfacimento dei medesimi, li rendono “collettivi”9. Spesso infatti soggetti che hanno in comune più uno o più

Direito Constitucional, RBDC n. 8, jul./dez. 2006, p. 364. Più in dettaglio l’autore sottolinea

il legame che i principi dell’etica pubblica hanno con gli ordinamenti che si reggono «su una Costituzione fondata sulla tutela dei diritti fondamentali, quale principale elemento di legittimazione del potere, e sui meccanismi della rappresentanza politica, quali segni distintivi di un ordinamento democratico».

7 Così P. Gasparri, Gli interessi umani e il diritto, Zuffi, Bologna, 1951, p. 12.

8 In proposito, V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. I, Cedam, Padova 1970, p. 10, affermava che «ogni interesse individuale finisce per essere, in realtà, comune a più individui, molti o pochi che siano: ossia un interesse più o meno generalizzato».

9 Sul punto cfr. S. Pugliatti, voce Diritto pubblico e privato, Enc. Dir., vol. XIII, Milano 1964, p. 742, precisa, infatti, che «l’espressione “interesse comune” indica l’interesse (somma) di una pluralità di soggetti, singolarmente considerati, in quanto abbia un unico termine oggettivo», mentre «l’espressione “interesse collettivo” indica genericamente l’interesse (sintesi) di un determinato gruppo, considerato nella sua unità, ed eventualmente

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interessi tendono a costituire una collettività organizzata per il soddisfa-cimento di questi, e tale collettività sarà tanto più stabile e coesa quanto maggiore sarà il numero degli interessi comuni e quanto sarà più elevato il loro grado di stabilità.

Queste collettività, detentrici di interessi comuni, si ascrivono dunque all’interno di un ordinamento generale, costituito da una collettività a sua volta più ampia delle altre, all’interno della quale saranno individuabili interessi comuni a tutti e interessi che sono appannaggio di enti o collet-tività minori, i quali rispetto all’ordinamento giuridico generale risultano essere particolari e settoriali. In questa prospettiva lo Stato rappresenta l’ordinamento generale in cui convivono gli interessi comuni ai singoli individui, a singoli e gruppi, a più gruppi e a tutti.

Chi sarà dunque preposto all’individuazione di quegli interessi che l’or-dinamento giuridico statale considera propri della generalità dei compo-nenti la propria collettività, intesa come l’insieme dei cittadini attualmen-te viventi, ma in una prospettiva comprensiva anche delle generazioni future10?

Negli ordinamenti democratici, l’individuazione degli interessi pubblici non sarà compiuta in modo arbitrario, ma seguendo, in primo luogo le indicazioni espresse dai cittadini stessi nelle elezioni dove i rappresen-tati del popolo sono promotori degli interessi che il proprio elettorato riconosce come tali. Inoltre, l’elettorato ha la possibilità di controllare l’operato dei propri i rappresentanti a cui ha dato fiducia esprimendosi negativamente alla tornata elettorale successiva o sia per mezzo di vari strumenti correttivi della democrazia rappresentativa, che possono por-tare ad un puntuale intervento dei rappresentati rispetto a determinate questioni soprattutto attraverso il referendum11.

Negli Stati contemporanei, il sistema della rappresentanza riconosce un

l’interesse di ogni singolo componente, in quanto partecipe del gruppo». 10 A. Pertici, Il conflitto di interessi, G. Giappichelli Editore, Torino 2003, p. 21. 11 A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit., p. 22.

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ruolo centrale ai partiti politici, fondamentale anello di congiunzione tra la “società” e l’“autorità”12, i quali pertanto ricoprirebbero una funzione fondamentale nell’individuazione degli interessi “riferibili” al popolo. I partiti politici infatti sono associazioni che non mirano al perseguimen-to degli interessi particolari, ma di quelli che essi ritengono “riferibili”, almeno indirettamente, al popolo nel suo complesso (potendoli dunque considerare “generali”) e che, pertanto, tenderanno a far riconoscere come tali dall’ordinamento, configurandoli come pubblici.

Tuttavia, se il partito politico nasce come portatore di interessi genera-li (sebbene secondo una visione di parte), soprattutto neggenera-li ultimi anni, alcuni fattori, quali, in primo luogo, la cosiddetta “crisi delle ideologie”, nonché una certa pervasività di tali associazioni in settori sempre più ampi della società e dell’economia (pubblica), hanno fatto emergere la tendenza dei partiti politici a prestare notevole attenzione anche ad in-teressi specifici o settoriali. Questo ha comportato che anche i rappre-sentanti del popolo siano risultati sempre meno portatori di interessi generali ed abbiano, invece, posto al centro della politica (anche, se non soprattutto) interessi particolari (non più “mediati” dai partiti politici e le loro ideologie), determinando, almeno in parte, un mutamento della stessa rappresentanza13.

Dunque, l’individuazione degli interessi pubblici formalmente e defi-nitivamente compiuta dai rappresentanti del popolo sarebbe, in realtà, compiuta fondamentalmente dai partiti politici, dei quali, infatti, i rap-presentanti stessi sono generalmente espressione. Sarà così la prevalenza di alcune forze politiche rispetto ad altre a determinare l’affermazione di alcuni interessi piuttosto che di altri come “pubblici”, e a comportare

12 Cfr. C. Mortati, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell’ordinamento italiano, in Scritti giuridici in memoria di V.E. Orlando, II, Padova 1957, pp. 114, 126 e ss. e 134. sec-ondo il quale, appunto, nel loro compito di mediazione e collegamento tra la società e l’autorità, i partiti politici devono enucleare «dalla coscienza sociale gli interessi e le concezioni politiche predominanti (…), immettendo nell’organizzazione statale le con-cezioni stesse e sostenendone l’attività rivolta alla loro attuazione».

13 A. Pertici, Il conflitto di interessi: dalla definizione alla disciplina tra Italia e Stati Uniti

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altresì la scelta di alcuni strumenti piuttosto che di altri per il loro perse-guimento14.

I rappresentanti del popolo, d’altronde, hanno vincoli anche precedenti (e meno contingenti) rispetto a quelli che si manifestano attraverso le preferenze espresse con il voto popolare, i quali sono dati anzitutto da quei principi, fondamentali per quell’ordinamento, i quali sono espres-si nelle carte costituzionali, nonché – secondo quanto affermato nella dottrina che si è accuratamente diffusa su questi temi – dalla necessaria considerazione delle “precedenti esperienze”15 e dell’“opinio dominans”16: questi due elementi contribuiscono in modo determinante all’individua-zione degli interessi della collettività statale.

1.2 La necessaria separazione tra l’interesse economico privato e quello pubblico da perseguire in virtù della fun-zione pubblica

Una volta individuati, gli interessi pubblici dovranno essere quindi gli unici ai quali tutti i soggetti chiamati a svolgere funzioni pubbliche devo-no dedicarsi, senza essere distratti o influenzati dalla cura di interessi pri-vati propri o di persone alle quali essi sono legati da rapporti di parentela, cointeressenza, rappresentanza o dipendenza. Infatti, in un ordinamento democratico, l’interesse pubblico rappresenta il fine per il quale vengo-no attribuiti, a coloro che ricoprovengo-no cariche o uffici pubblici determi-nati, poteri che consentono lo svolgimento della relativa funzione, il cui esercizio non potrà quindi legittimamente avvenire per scopi diversi: su

14 C. Mortati, Note introduttive a uno studio sui partiti politici nell’ordinamento italiano, cit., p. 129 s.

15 Cfr. A. Pizzoruzzo in Interesse pubblico e interessi pubblici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., XXVI, 56. 1977, p. 70 e ss., il quale ha sostenuto che qualunque atto giuridico volto alla tutela di interessi pubblici implica un’attività di identificazione di essi, che avviene, da un lato, attraverso la recezione di indicazioni derivanti dalla individuazione che di tali inter-essi è stata compiuta nell’esperienza passata, dall’altro, attraverso una valutazione diretta del problema in esame.

16 Con questa espressione L. Migliorini, Alcune considerazioni per un’analisi degli interessi

pubblici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1968, p. 282, ha inteso indicare l’insieme dei valori

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questi soggetti grava pertanto un corrispondente disinteresse personale17. Questo dovere è, per chi esercita una pubblica funzione, un tratto co-stitutivo del suo status, rivolto ad assicurare che l’esercizio del potere sia

connotato da un esclusivo rapporto funzionale con il perseguimento di interessi giuridicamente imputati alla generalità dei cittadini.

Anche in relazione al secondo termine del conflitto, e cioè gli interessi privati di cui colui che ricopre la carica pubblica è titolare o è preposto alla cura, possono poi sorgere alcuni problemi nell’individuazione quali tra questi possano essere ritenuti rilevanti. Data questa premessa è ne-cessario individuare quali sono dunque gli interessi privati che possono entrare in conflitto con quello pubblico. In proposito, pare da precisare anzitutto come, nonostante non manchino posizioni differenti, soprat-tutto nelle letteratura nordamericana più recente, gli interessi privati da ritenere rilevanti debbano essere (soltanto) quelli economici18.

Infatti, per quanto, almeno entro certi limiti, anche interessi privati di-versi ed ulteriori rispetto a quelli economici potrebbero causare un’in-terferenza con la corretta (in quanto non influenzata da interessi diver-si da quelli pubblici) gestione della cosa pubblica, più ordini di motivi suggeriscono di limitare l’indagine a quelli economici. In particolare, la dottrina che già si è occupata del tema in esame ha sottolineato come, da un lato, il denaro, essendo la risorsa politica primaria, sia comunque la principale causa di distorsione del giudizio di chi esercita pubbliche funzioni, nonostante ciò possa essere determinato anche da altri fattori (come l’ideologia, l’ambizione o anche semplicemente l’incompetenza), e come, d’altro lato, risulti piuttosto difficile identificare gli interessi di altra natura, che non sono oggettivi, ma soggettivi, e come tali più “interni” e meno visibili e comprovabili19.

Secondo l’esperienza americana in tema, il denaro è, come scrive A.

17 A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit., p. 59.

18 A. Pertici, Il conflitto di interessi: dalla definizione alla disciplina tra Italia e Stati Uniti

d’America, in Rivista di Diritto Costituzionale, cit., p. 89.

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Stark, “the mother’s milk of politics”20, potenzialmente in grado di deter-minare non solo un’insufficiente cura del pubblico interesse, ma possibili sviamenti in direzione del perseguimento dell’interesse privato di colui che è investito di una carica pubblica, anche suscitando il solo sospetto che essi possano indulgere a comportamenti non corretti e approfittare delle predette situazioni per conseguire vantaggi personali, in tal modo ingenerando sfiducia nei confronti delle istituzioni21.

È da evidenziare inoltre che anche interessi diversi, come ad esempio l’acquisizione di notorietà legata alla carica assunta, hanno solitamente risvolti economici e possono essere da quest’ultimo punto di vista assai più agevolmente identificati.

Le situazioni in cui i suddetti interessi economici privati sono (almeno potenzialmente) in grado di interferire con quelli pubblici sono in au-mento e, perciò, si avverte come sempre più impellente l’esigenza che ogni ordinamento democratico elabori una disciplina in grado di risol-verle attraverso la prevenzione (ed eventualmente, ove questa fallisse, la repressione), al fine da un lato di evitare una cattiva gestione della cosa pubblica, anche al di là delle situazioni più gravi di vera e propria corru-zione e concussione, e dall’altro di mantenere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni22, 23.

Ciò comporta che, in presenza di determinate situazioni private che rendono il soggetto investito di pubbliche funzioni portatore di interessi tali da potersi porre in contrasto con quelli pubblici che deve perseguire in ragione del suo ufficio, l’ordinamento deve presumere che egli agirà

20 A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit., p. 47.

21 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n.

215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma. cit., p. 20.

22 In modo più articolato, la Association of the Bar of the City of New York, Conflict

of Interest and Federal Service, individuava in cinque punti le finalità della normativa sul

conflitto d’interessi. Esse sarebbero: 1) l’efficienza dell’apparato pubblico; 2) un uguale trattamento per richieste uguali; 3) la fiducia pubblica (giudicata l’obiettivo più impor-tante); 4) la prevenzione dell’uso di pubblici uffici per guadagni privati; 5) il mantenimento dell’integrità delle istituzioni politiche.

23 A. Pertici, Il conflitto di interessi: dalla definizione alla disciplina tra Italia e Stati Uniti

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per il suo interesse privato, al fine di eliminare ogni possibile ed anche meramente apparente24 conflitto di interessi,, prescindendo dalla verifica circa il fatto che ciò si sia concretamente verificato.

La legislazione sul conflitto di interessi, come sperimentata particolar-mente negli Stati Uniti d’America, che rappresentano certaparticolar-mente l’espe-rienza più matura, deve presentare come caratteristiche principali quelle di essere preventiva ed oggettiva. Infatti, soltanto una disciplina preventi-va può raggiungere gli scopi di impedire una gestione “interessata” della cosa pubblica e, soprattutto, di mantenere la fiducia dei cittadini nelle isti-tuzioni. L’oggettività, invece, è necessaria perché l’ordinamento, avendo difficoltà a sindacare le motivazioni interne che hanno spinto il titolare di funzioni pubbliche ad agire in un modo piuttosto che in un altro, e, quin-di, a valutare se egli abbia inteso concretamente avvantaggiare un proprio interesse, considera che la semplice detenzione di determinati interessi personali dia origine ad un conflitto con interessi pubblici25. Il particolare intento soggettivo, invece, risulta del tutto indifferente: non ha nessuna importanza che quel particolare soggetto titolare di funzioni pubbliche sia la persona dotata delle migliori intenzioni, che non utilizzerebbe mai la propria posizione per avvantaggiare i propri interessi personali.

Difatti, la sola presenza della situazione privata potenzialmente (ed an-che solo apparentemente) confliggente con i doveri pubblici di un de-terminato soggetto può lasciare pur sempre supporre che una decisione di carattere pubblico sia stata presa per il vantaggio personale del me-desimo, o quantomeno anche per esso. Infatti, per chi si trova in una situazione idonea a generare un conflitto di interessi, l’assunzione di una decisione pubblica in grado di recargli anche un vantaggio privato, pur

24 Cfr. Consiglio d’Europa, Raccomandazione n. R (2000)10 del comitato dei ministri degli

Stati membri, sul codice di condotta dei pubblici ufficiali, adottata dal Comitato dei ministri

nella sessione n. 106 del 11 maggio 2000, in www.coe.int, dove all’articolo 13 della Rac-comandazione «Il conflitto di interessi nasce da una situazione nella quale il pubblico ufficiale ha un interesse privato che possa influenzare o che sembri possa influenzare l’imparzialità e l’oggettività della propria condotta».

25 Cfr. A. Sark, Conflict of Interest in American Public Life, p. 4, in A. Pertici, Il conflitto di

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in assenza di qualunque danno per gli interessi pubblici, ed anzi perfino in presenza di un contestuale soddisfacimento di un interesse pubblico, rende comunque suddetta decisione sospetta di essere stata presa più per soddisfare l’interesse personale che quello pubblico26.

1.3 I valori costituzionali in gioco

La dottrina ha in passato sottolineato che la lunga carenza di una nor-mativa volta a scongiurare il conflitto di interessi in Italia è ravvisabile a partire dalla stessa Costituzione, nella quale sarebbe, invece, opportuno inserire una previsione in merito27: in effetti, la Carta costituzionale, forse anche in ragione del momento storico in cui venne redatta, non fa alcun preciso richiamo alla questione del conflitto d’interessi, né d’altronde a quella più generale dell’etica pubblica28.

Durante la XIIIª legislatura non mancarono, pertanto, tentativi di ri-forma in questa direzione: la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, istituita con legge costituzionale n. 1 del 1997, prevedeva nel suo progetto un rinvio a leggi bicamerali per l’introduzione di una disciplina idonea a prevenire i conflitti di interessi del presidente della Repubblica e dei titolari di cariche di Governo29.

Tuttavia, come sostenuto da autorevole dottrina, pur in assenza di spe-cifiche disposizioni, nella Carta costituzionale possono essere rinvenute diverse norme che indicano, con espressioni e modalità variabili, per i titolari di funzioni pubbliche, la necessità di agire esclusivamente nel pub-blico interesse, senza mai sottometterlo al proprio, né, peraltro, a quello di particolari gruppi di soggetti di qualsivoglia natura30.

Pertanto la cultura politica dei costituenti si preoccupò di disegnare una

26 A. Pertici, IlIl conflitto di interessi: dalla definizione alla disciplina tra Italia e Stati Uniti

d’America, in Rivista di Diritto Costituzionale, cit., p. 98.

27 A. Sciortino, Conflitto di interessi e cariche di governo– Profili evolutivi delle ineleggibilità e

delle incompatbilità, Giappichelli1999, p.192.

28 A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit., p. 56.

29 Più specificatamente cfr. A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit, p. 56 nota 124. 30 A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit., p. 56.

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fitta trama di doveri pubblici, tale da comportare una netta separazione tra funzioni pubbliche e interessi privati: innanzitutto all’art. 54, secondo comma, Cost., è disposto che i «cittadini cui sono affidate funzioni pub-bliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore». L’articolo rispecchia «un’idea nobile delle funzioni pubbliche», che devono essere svolte «nel rispetto dei doveri dell’ufficio (con disciplina) ma anche in modo da suscitare il rispetto e la fiducia dei cittadini (con onore)»31. Le parole “disciplina” ed “onore” evidenziano la dimensione etica dei doveri imposti ai titolari di cariche pubbliche32, che attribuisce indubbio rilievo alle situazioni di conflitto anche soltanto potenziale e apparente, dato che in tali circostanze si può legittimamente sospettare che le funzioni possano non essere esercitate con “onore” e, quindi, in condizioni tali da poter non meritare la fiducia e il rispetto dei cittadini33.

Seguono l’art. 97, secondo comma, Cost., dove è altresì previsto che la legge debba assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’ammi-nistrazione nella sua organizzazione e infine l’art. 98 della carta che sta-tuisce che «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». La dottrina pubblicistica34 ha inoltre evidenziato che è possibile indi-viduare un ancoraggio costituzionale della materia attraverso il collega-mento sistematico di altre norme di rango costituzionale, onde enucleare una disciplina volta alla preventiva separazione tra interessi privati e in-teressi pubblici. Più in particolare, si fa riferimento all’art. 51 Cost., che, nello stabilire condizioni di uguaglianza per l’assunzione di pubblici uffici e cariche elettive, indicherebbe «l’interesse dei singoli a poter accedere legittimamente alla carica o all’ufficio pubblico e l’interesse pubblico a

31 L. Violante, Magistrati, Einaudi, Torino 2009, p. 156. 32 S. Rodotà, Elogio del moralismo, Roma-Bari, 2001, p. 13.

33 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n.

215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma. cit., p. 33

34 B. Valensise, Il conflitto di interessi nella legge n.215 del 2004 tra luci (poche) ed ombre

(molte), (prima parte), p. 836. U. Pototsching, sub art. 97, in Commentario alla Costituzione

fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, p. 368. come in C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n. 215 -

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che non vi accedano invece coloro nei cui confronti non si può presume-re indipendenza e disintepresume-resse nell’esercizio dell’ufficio o della carica»35, unitamente all’art. 65 Cost., che demanda alla legge ordinaria il compito di individuare i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei membri del par-lamento, e all’art. 67 Cost., che sancisce il divieto di mandato imperativo. Dal quadro delineato si ricava dunque quel dovere di esclusivo persegui-mento dell’interesse pubblico, riferibile a tutti i titolari di uffici pubblici o cariche elettive, e che costituisce infatti la finalità per cui, in un ordina-mento democratico, sono attribuiti a tali soggetti determinati poteri.

Tuttavia un riferimento esplicito alla disciplina del conflitto di interessi nei confronti dei membri dell’esecutivo risulta a prima vista irreperibile: in realtà come sostenuto da dottrina autorevole36 la ratio alla base delle norme costituzionali sopra richiamate può essere utilmente applicata an-che ai titolari di carian-che governative: più specificatamente all’art. 65 Cost. e al combinato disposto fra l’art. 51 Cost. e il principio di imparzialità dell’amministrazione ex art. 97 Cost37.

Nonostante dalla lettura combinata di queste norme emerga con chia-rezza l’obbligo di disinteresse personale nello svolgimento di pubbliche funzioni, questo non è di per sé fonte idonea ad imporre una legislazione specifica su questa materia, né fornisce indicazioni in merito alle eventua-li soluzioni da adottare sul campo38: sarà invece compito del legislatore, attraverso l’opera di riforma, individuare quali modifiche apportare alla disciplina attuale, con particolare attenzione alle criticità sollevate dalle Autorità competenti e dalla dottrina.

35 A. Pertici, Il conflitto di interessi, cit., p. 127. 36 A. Pertici, Il conflitto di interessi, p. 127.

37 Imparzialità che, oltre ad essere sostanziale , dovrebbe apparire anche all’esterno: ciò favorirebbe il mantenimento della fiducia nei cittadini che si affidano alla loro attività di primaria importanza, non rivolta ad interessi privati: la visibilità conseguente al loro ruo-lo, desta infatti un’attenzione rilevante nell’opinione pubblica, che è portata ad osservare gli eventuali interessi particolaristici coinvolti. Cfr. G. Colavitti, Il trattamento normativo del conflitto di interessi tra ragionevolezza e imparzialità, in Nomos, 2002, p. 67 ss. 38 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n.

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2. Il conflItto dI InteressI In ItalIa

dalle elezIonI legIslatIve del 1994

alla legge 20 luglIo 2004, n. 215

2.1 Primi tentativi di regolamentazione del conflitto di inte-ressi in Italia

È noto che l’esigenza di porre mano ad una normativa rivolta a regolare, per la prima volta in Italia, la materia del conflitto di interessi delle cariche di Governo è collegata all’insorgere di un vero e proprio “caso di scuola” determinato dall’ingresso nella competizione politica del nostro Paese del maggiore imprenditore italiano nel campo dell’emittenza televisiva e dell’editoria1.

Il tema del conflitto di interessi esplose infatti a seguito della decisione dell’imprenditore Silvio Berlusconi di concorrere alle elezioni legislative del 1994 con un proprio partito (Forza Italia). A seguito della partecipa-zione di questo partito alle elezioni, gli schieramenti politici costituitisi intorno (formando il Polo del Buon Governo nel Centro-Sud, e il Polo delle libertà, nel Centro-Nord) ottennero la maggioranza parlamentare e costituirono così il nuovo Governo, presieduto dallo stesso on. Berlu-sconi2.

In Italia, dove gli uomini di Governo erano sempre stati “politici di carriera”, privi pertanto, almeno direttamente, di rilevanti interessi

im-1 Cfr. S. Passigli, Democrazia e conflitto di interessi: il caso italiano. Conversazione con Renzo

Cassigoli, cit.

2 A. Pertici, Il conflitto di interessi e la sua disciplina nella legge n° 215 del 2004 in S. Panizza, R. Romboli (a cura di), L’attuazione della Costituzione – Recenti riforme e ipotesi di revisione, PLUS, Pisa 2006, p. 277.

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prenditoriali, si trattava di un caso del tutto eccezionale rispetto al quale il nostro ordinamento si faceva cogliere impreparato, sprovvisto di una legislazione idonea ad evitare una commistione tra interessi pubblici ed interessi economici privati3.

Da subito forti furono le preoccupazioni per il possibile emergere di un conflitto di interessi legato al nuovo Governo presieduto dallo stesso on. Berlusconi: la contingenza della situazione creava non pochi problemi per una risoluzione del possibile conflitto che si andava stagliando inevi-tabilmente all’interno del Parlamento.

A testimoniare la delicatezza del problema sta il fatto che, immediata-mente dopo la sua nomina (10 maggio 1994), il Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi, con proprio decreto (d.p.c.m. 12 maggio 1994), istituì un Comitato di studio cui venne conferito l’incarico «di individua-re, in tema di commistione fra l’interesse pubblico proprio della funzione e l’interesse privato del titolare dell’attività di governo, possibili integra-zioni e aggiornamenti della legislazione vigente: e questo, sia in generale, sia per quanto concerne in particolare le imprese esercenti mezzi di co-municazione di massa, per le quali, in attesa del riassetto di tale settore, si tratta di delineare una adeguata formula di garanzia rispetto a eventuali abusi»4.

Il compito che si prefiggeva tale comitato, composto dal Presidente del Consiglio di Stato, dott. Crisci, e da i professori universitari Gambino e La Pergola, poi divenuti noti come “i Saggi”, presentava già nella sua prima dichiarazione di intenti due limiti: il primo limite è soggettivo e riguarda l’esclusivo riferimento ai membri del Governo, trascurando tutte le altre cariche pubbliche. Il secondo limite, invece, ha carattere oggettivo e riguarda lo specifico riferimento alle imprese “esercenti mezzi di

comu-3 A. Pertici Il conflitto di interessi verso un traguardo? in A. Pizzoruzzo, E. Ripepe, R. Romboli (a cura di), Diritto e potere nell’Italia di oggi, Giappichelli 2004, p. 227.

4 Cfr. i brani estratti dal documento conclusivo del comitato di studio sulla questione del conflitto di interessi, in S. Cassese, B. G. Mattarella (a cura di), Democrazia e cariche

pubbliche. Ineleggibilità, incompatibilità, conflitto di interessi: un problema di etica pubblica, Il

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nicazione di massa”5, non presentando tale settore alcuna specificità al punto di vista del conflitto di interessi6.

Tale comitato presentò al Presidente del Senato, il 7 ottobre 1994, un documento conclusivo, nel quale si asseriva che, all’epoca, l’ordinamento italiano difettava di «una disciplina non degli abusi, ma del pericolo di abusi derivante da tali situazioni»7.

Il Comitato giunse ad affermare l’esistenza di tale lacuna normativa poiché ritenne irrilevanti, ai fini della soluzione della questione prospet-tata, le norme vigenti in materia di ineleggibilità e di incompatibilità par-lamentare8, e spostò l’intera sua riflessione dal tema delle ineleggibilità parlamentari a quello delle incompatibilità delle cariche di governo. Poté pertanto affrontare la questione ponendo in primo piano le garanzie co-stituzionali del diritto di proprietà di imprese e del diritto di elettorato passivo (artt. 51, 42 e 41 Cost.), le quali furono considerate il fondamento per concludere nel senso che «ogni forma di incompatibilità assoluta fra titolarità di impresa e carica di governo od ogni obbligo di dismissione o di alienazione dell’impresa all’atto dell’assunzione della carica di Gover-no, rischia di incorrere in censure di incostituzionalità»9.

Il Comitato si limitò ad affermare, infine, l’opportunità – dando per scontato che il problema riguardasse «la mera titolarità (e non la gestione) di interessi ritenuti significativi ai fini della prevenzione di un eventuale

5 A. Pertici Il conflitto di interessi verso un traguardo? in A. Pizzoruzzo, E. Ripepe, R. Romboli (a cura di), Diritto e potere nell’Italia di oggi, cit., p. 228.

6 A. Pertici Il conflitto di interessi verso un traguardo? in A. Pizzoruzzo, E. Ripepe, R. Romboli (a cura di), Diritto e potere nell’Italia di oggi, cit.: «I mass media, infatti possono interferire in modo enorme (ed eventualmente indebito) nella formazione dell’opinione pubblica, ma ciò non determina, per gli imprenditori operanti in questo settore, una “speciale” (e più grave) forma di conflitto di interessi comportando invece che per i medesimi si aggiunga, all’esigenza di una disciplina idonea a separare i loro interessi privati da quelli pubblici, la necessità di norme volte ad evitare indebite interferenze sulla volontà popolare.» 7 Atti Sen., XII leg., I Comm. affari cost., p. 1. La sintesi del contenuto di tale documento si trova in A. Pace, Ineleggibilità, incompatibilità e conflitto di interessi dei parlamentari e dei

titolari di organi di governo, in S. Cassese, B. G. Mattarella (a cura di), Democrazia e cariche pubbliche, cit., pp. 53 e ss.

8 Ibidem, p. 7. 9 Ibidem, p. 38.

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conflitto con la corretta gestione della cosa pubblica» e che tale distin-zione fosse effettivamente rilevante – di sottoporre a controllo da parte di terzi lo svolgimento dell’attività compiuta dal titolare della carica di governo10.

2.1.1 Il caso dell’on. Berlusconi alla luce dell’art. 10, c. 1, n. 1, d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361

Secondo una parte rilevante della dottrina, tuttavia, l’ordinamento italia-no era all’epoca sicuramente già provvisto di una italia-norma applicabile al caso dell’on. Berlusconi: nel mese di luglio alcuni esponenti del Centro-sinistra presentarono ricorso contro l’elezione dell’on. Berlusconi presso la Giunta per le elezioni della Camera dei deputati in virtù dell’art. 10, c. 1, n. 1, d.p.r. 30 marzo 1957 n. 361, secondo cui non sono eleggibili «coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrati-ve di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pub-blico interesse, alle quali la concessione o l’autorizzazione è sottoposta». Nel corso della seduta del 20 luglio 199411 (con un terzo dei deputati assenti) la Giunta, anche grazie a una parte degli esponenti del Partito Democratico della Sinistra e della Alleanza dei Progressisti (che votarono a favore o non parteciparono al voto), decise di rigettare all’unanimità il ricorso.

La Giunta sostenne la non applicabilità della norma in quanto l’on. Berlusconi non era titolare in nome proprio di concessioni radio-televi-sive – per potersi candidare nel 1994 rinunciò alla rappresentanza legale della Fininvest collocando Fedele Confalonieri al suo posto – ma solo azionista: situazione questa non contemplata dall’articolo richiamato.

10 Ibidem, p. 39.

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L’interpretazione della Giunta, la quale si pronunciò nuovamente il 17 ottobre 1996 in senso restrittivo avverso il ricorso nei confronti dell’e-lezione dell’on. Berlusconi, sollevò molte perplessità in dottrina: più in dettaglio, la mancata applicazione del disposto in virtù del fatto che «l’e-spressione “in proprio”, di cui alla norma di legge» non facesse riferi-mento «al fenomeno delle società e tantomeno può essere richiamato nei casi di partecipazioni azionarie indirette»12 avrebbe reso «quasi del tutto inoperante la disposizione in parola»13.

In tal senso alcuni autori sostennero che un’interpretazione secondo buona fede avrebbe dovuto ispirarsi «alla regola di buon senso secondo la quale nel più ci sta il meno, per cui se è ineleggibile l’imprenditore in-dividuale o il rappresentante o amministratore o consulente di società, a maggior ragione dovrebbe essere ineleggibile il grande boss che controlla una grossa società come la Fininvest (ora Mediaset) e che della soggettivi-tà giuridica di essa si serve soltanto come di uno schermo»14.

2.1.2 I progetti di legge presentati nel corso della XIIª legislatura

Nel settembre del 1994 il Comitato presentò un documento conclusivo, recante anche uno schema di articolato che il Governo di centrodestra fece proprio e presentò al Senato (A.S. 1082): il Comitato di studio sug-geriva in materia di titolarità di interessi economici o una spontanea alie-nazione o il ricorso a trasferimenti fiduciari, anche del solo godimento, a persone fisiche (che astrattamente sarebbero potuti essere anche pros-simi congiunti, con evidente mantenimento dei suddetti interessi all’in-terno della sfera del titolare della carica pubblica) oppure ad un trust, sul

quale peraltro, non si precisava alcunché, lo schema generale (e generico) di tale istituto non rivelandosi di per sé idoneo ad assicurare la richiesta

12 http://www.camera.it/_dati/leg13/lavori/bollet/199610/1017/html/16/frame.htm 13 A. Pertici, voce Conflitto di interessi, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, vol. II, Giuffrè, Milano 2006, p. 1284.

14 A. Pizzorusso, intervento in Una democrazia anomala: conflitto d’interessi e ineleggibilità

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separazione di interessi15.

Dopo il cambio di maggioranza, in data 13 luglio 1995, il Senato appro-vò un testo unificato con altri progetti di legge d’iniziativa parlamentare nel frattempo abbinati, tentativo più coerente rispetto alle altre proposte avanzate. Il testo prevedeva anzitutto varie ipotesi di incompatibilità con l’esercizio di altre funzioni ed attività pubbliche e private; in secondo luogo l’obbligo di conferire in amministrazione fiduciaria, a società prive di rapporti col titolare di cariche di Governo nell’ultimo quinquennio, le liquidità e i patrimoni mobiliari per la parte eccedente i quindici miliardi di lire; infine l’obbligo di alienare, entro un anno dal giuramento, le quote societarie relative ad imprese controllate (anche per interposta persona) dal titolare di cariche di Governo, se operanti in determinati settori ri-tenuti particolarmente “a rischio” – segnatamente nel settore televisivo – anche a prescindere dalla loro influenza sul mercato nazionale16, pena la decadenza dalla carica in caso di inadempimento agli obblighi previsti dalla legge. Al fine di accertare la presenza di tali situazioni era previsto l’obbligo per i destinatari della legge di presentare una dichiarazione fi-nanziaria.

Nonostante l’approvazione al Senato, la Camera non iniziò esame del testo di legge: si approssimava, infatti, la fine anticipata della legislatura e la maggioranza di centrosinistra preferì non approvare una legge sul conflitto di interessi perché temeva che gli elettori avrebbero premiato Berlusconi.

2.1.3 I progetti di legge presentati nel corso della XIIIª legislatura

Nella XIII legislatura la vittoria alle elezioni politiche della coalizione di centrosinistra, raccolta sotto le insegne dell’Ulivo, che aveva ripetutamen-te posto il ripetutamen-tema del conflitto di inripetutamen-teressi come una priorità, avrebbe

po-15 A. Pertici, Il conflitto di interessi verso un traguardo?, in A. Pizzoruzzo, E. Ripepe, R. Rom-boli (a cura di), Diritto e potere nell’Italia di oggi, cit., 230.

16 A. Pertici, Il conflitto di interessi verso un traguardo?, in A. Pizzoruzzo, E. Ripepe, R. Rom-boli (a cura di), Diritto e potere nell’Italia di oggi, cit., 230.

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tuto far pensare ad una rapida introduzione di una disciplina in merito17. Tra i numerosi disegni di legge esaminati, il 22 aprile 1998 fu approvata alla Camera dei deputati il primo progetto Frattini, praticamente all’una-nimità (con una sola astensione), che presentava molti punti di contatto con quello presentato dal Governo nella XII legislatura.

Nel nuovo testo confluirono alcune, seppur poche, migliorie: innanzi-tutto l’ambito soggettivo di applicazione risultava più ampio, preveden-do, oltre ai titolari di cariche di governo, i Presidenti ed i membri delle Autorità di controllo e garanzia e alcuni amministratori nominati dallo Stato in determinate società o comunque di società di interesse nazio-nale. Per questi soggetti era previsto anzitutto un generale obbligo di astensione «da ogni atto idoneo a influenzare specificatamente, in vir-tù dell’ufficio ricoperto, i propri interessi». In secondo luogo, venivano stabilite tutta una serie di incompatibilità con cariche e uffici pubblici (diversi dal mandato parlamentare) e con attività e professioni private. Oltre a questo, veniva previsto un obbligo di dichiarazione di tutte le attività economiche di cui i destinatari della legge fossero stati titolari, o di cui avessero controllato, anche indirettamente, nei dodici mesi an-tecedenti all’assunzione della carica. L’AGCM avrebbe dovuto valutare, quindi, se tali attività fossero da ritenere rilevanti, in base all’ammontare delle partecipazioni. In tal caso, oppure se le attività economiche avessero riguardato i mezzi di comunicazione di massa, l’interessato entro quaran-tacinque giorni dall’assunzione della carica, avrebbe dovuto provvedere all’alienazione totale o parziale delle attività economiche, oppure al loro trasferimento in un trust (conforme alla legge n. 364 del 1989, sulla

“Ra-tifica ed esecuzione della convezione sulla legge applicabile ai trusts e sul

loro riconoscimento, adottata all’Aja il 1° luglio 1985”), affidato a un

trustee indipendente.

In caso di inottemperanza a tali obblighi, l’AGCM avrebbe dovuto

17 A. Pertici, Il conflitto di interessi verso un traguardo?, in A. Pizzoruzzo, E. Ripepe, R. Rom-boli (a cura di), Diritto e potere nell’Italia di oggi, cit., 230.

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deliberare la sussistenza di un’incompatibilità e darne comunicazione al Presidente della Repubblica, ai Presidenti delle camere e al presidente del Consiglio dei ministri, per l’adozione delle determinazioni di loro compe-tenza. A quel punto, i presidenti delle Camere avrebbero dovuto rimette-re la questione alle rispettive assemblee18.

A seguito del radicale mutamento di impostazione delle forze di centro-sinistra, le quali ritennero quel testo, precedentemente accolto con toni trionfalistici, non più idoneo ad assicurare una effettiva separazione tra gli interessi economici privati del titolare di cariche di Governo e quelli pubblici che il medesimo deve perseguire in ragione delle sue funzioni, il testo si “insabbiò” al Senato.

Solo alcuni anni dopo, e precisamente alla fine del 2000, in Senato mise mano alla modifica del progetto licenziato due anni e mezzo prima dalla Camera, cosicché l’approvazione del nuovo testo, in una situazione di forte divaricazione tra maggioranza ed opposizione, avvenne soltanto il 28 febbraio 2001 in prossimità della pressoché naturale fine della legisla-tura: la Camera infatti non ne riprese l’esame per il sopraggiunto sciogli-mento anticipato.

Il nuovo testo presentava un primo importante elemento di novità sul piano sanzionatorio: l’AGCM , nel caso in cui uno degli interessati non avesse provveduto ad adottare le misure necessarie ad assicurare un’ef-fettiva separazione dei propri interessi economici privati, avrebbe potuto non solo dichiarare l’incompatibilità, ma anche applicare “una sanzio-ne amministrativa pecuniaria” commisurata al fatturato delle imprese in cui detenevano (o avevano detenuto dei dodici mesi precedenti all’as-sunzione della carica) la titolarità o il controllo o comunque una certa partecipazione. Inoltre, non era più prevista l’istituzione di un trust, come

alternativa all’alienazione totale o parziale delle partecipazioni in attività che creavano un potenziale conflitto di interessi, ma il trasferimento di

18 A. Pertici, Il conflitto di interessi e la sua disciplina nella legge n° 215 del 2004, in S. Panizza, R. Romboli (a cura di), L’attuazione della Costituzione – Recenti riforme e ipotesi di

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suddette partecipazioni a un “gestore” a mezzo di un “contratto di ge-stione”, sottoposto al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, recante disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (che riguarda la cosiddetta “ge-stione dinamica”, potenzialmente in grado, attraverso la disposizione dei conferimenti iniziali, di nascondere al titolare di una carica pubblica quelli che sono i propri interessi)19.

2.2 La legge 20 luglio 2004, n.215

La legge recante “Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interes-si” rappresenta, rispetto all’obbiettivo prefissato, un intervento soltanto parziale, che tuttavia non impedisce di riconoscere al legislatore il merito di avere finalmente affrontato il problema in termini concreti.

Le ragioni delle debolezze, che sono state rinvenute da dottrina auto-revole e sottolineate a più riprese all’interno delle relazioni semestrali dell’AGCM, sono molteplici, ma la principale può essere forse individua-ta nella genesi stessa delle legge e nelle circosindividua-tanze che ne hanno accom-pagnato l’ideazione e la progettazione.

2.2.1 Genesi e principi ispiratori della l. 20 luglio 2004, n.215

Nella XIV legislatura la vicenda riprese le mosse da un’iniziativa governa-tiva (A.C. 1707) presentata alla Camera il 4 ottobre 2001 anch’essa figlia, nei contenuti, dei precedenti testi governativi.

L’iter di approvazione della legge, particolarmente lungo, testimonia la grande diversità, talora radicale, delle posizioni che hanno caratterizzato il dibattito, non solo parlamentare, sulle varie problematiche implicate dalla legge in questione: all’originario disegno di legge vennero abbinate, durante l’esame in sede referente presso la Commissione affari costitu-zionali, altre proposte di iniziativa parlamentare.

19 A. Pertici, Il conflitto di interessi e la sua disciplina nella legge n° 215 del 2004, in S. Panizza, R. Romboli (a cura di), L’attuazione della Costituzione – Recenti riforme e ipotesi di

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L’articolato approvato dall’Assemblea della Camera il 28 febbraio 2002 fu trasmesso al Senato (A.S. 1206) e ad esso furono abbinati ulteriori disegni di legge di iniziativa parlamentare. La 1ª Commissione del Senato concluse i propri lavori il 18 giugno 2002, con una relazione di maggio-ranza (A.S. 1206-A) e una di minomaggio-ranza (A.S. 1206-A-bis). Il testo,

tra-smesso all’Assemblea del Senato, fu approvato con modificazioni nella seduta del 4 luglio 2002 e nuovamente approvato dalla Camera il 22 luglio 2003 (A.C. 1707-B), con ulteriori modifiche relative alle sole modalità di copertura finanziaria. Nel successivo passaggio al Senato, giunto a con-clusione il 10 marzo 2004, il testo fu ancora modificato, rendendo ne-cessario un passaggio ulteriore alla Camera, dove il provvedimento (A.C. 1707-D) fu definitivamente approvato il 13 luglio 200420.

Nel corso del discussione, che vide prevalere le posizioni più “mode-rate” sostenute dalla maggioranza, fu prioritariamente affrontato, oltre all’annosa introduzione dell’istituto del blind trust, il problema della

com-patibilità costituzionale dei criteri risolutivi più trancianti, quali l’obbli-go di vendita dei beni di proprietà dei componenti del l’obbli-governo, e più in generale l’opportunità di soluzioni che separassero preventivamente gli interessi privati del titolare di carica dall’interesse pubblico connesso all’esercizio della carica.

Da parte della maggioranza di governo si sosteneva che la proposta di imporre al cittadino il costo di un’alienazione coattiva “appare iniqua ed incompatibile con le garanzie costituzionali” arrivando a equipararla all’espropriazione senza indennizzo21. A sostegno di tale orientamento veniva sottolineato come l’imposizione di una vendita rappresentasse in-nanzitutto un elemento distorsivo del mercato, perché avrebbe costretto il venditore ad accettare il risultato economico inferiore al valore effettivo

20 Cfr. C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004,

n. 215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma, cit., p. 75.

21 Più specificatamente in Relazione illustrativa al disegno di legge A.C. 1707, Servizio studi

della Camera dei Deputati, XIV legislatura, Norme in materia di risoluzione di conflitti di inter-esse, Lavori preparatori della legge 20 luglio 2004, n. 215, 9 settembre 2004, p. 5.

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delle sostanze, e, in secondo luogo, gli obblighi alienativi risultassero in conflitto con gli artt. 41 e 42 Cost., poiché l’obbligo di cessione dei beni e delle aziende e, in via generale, delle attività imprenditoriali del titola-re, avrebbe costretto i titolari di imprese di questo tipo ad una cessione «non fondata sulla libera e spontanea decisione dell’interessato» perché si sarebbe trattato di una cessione che non era per nulla «una vendita com-piuta in condizione di libero mercato, frutto del fisiologico incontro tra domanda e offerta»22.

Diversamente, taluni sostenevano che tali affermazioni non tenevano sufficientemente conto del fatto che la scelta di accedere a pubblici uffici è del tutto libera e garantita come tale dall’ordinamento, non trattandosi quindi di un obbligo; inoltre la Carta costituzionale determina i requisiti per accedere ai pubblici uffici, requisiti che possono essere positivi o ne-gativi, tali cioè da individuare qualità o elementi che possono inficiare l’e-sercizio delle di pubbliche funzioni con un uso distorto, legato a interessi privati, e quindi lesivi dell’interesse alla dinamica costituzionale di uno Stato democratico di diritto. Relativamente all’art. 41 Cost. si è sottoline-ato che la nostra Carta prevede lo spossessamento forzsottoline-ato in situazioni di interesse pubblico: quando ricorre, infatti, un interesse pubblico superio-re all’intesuperio-resse privato, lo spossessamento forzato è costituzionalmente legittimo. Nel conflitto di interessi non ricorrerebbe, fra l’altro, una ipo-tesi non di spossessato forzato, bensì di obbligo di scelta, fattispecie del tutto diversa: non vi sarebbe, dunque, violazione dell’art. 41 e anche se tale spossessamento «in ipotesi vi fosse, certamente ricorrerebbe, causa il potenziale conflitto di interessi, l’interesse pubblico allo spossessamento medesimo»23.

22 V. Caianiello, Parere reso su richiesta della Commissione affari costituzionali della Camera,

nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la disciplina per la risoluzione del conflitto di interessi, XIV legislatura, cit., p. 242 ss. e cfr. C. Marchetta, La legislazione itali-ana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n. 215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma, cit.., p. 75.

23 G. Ferrara, Audizione del 28 gennaio 2002 presso la Commissione affari costituzionali

nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulle problematiche inerenti la disciplina per la risoluzione del conflitto di interessi, XIV legislatura, Servizio studi della Camera dei Deputati, Lavori

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pre-Quello che con ogni evidenza traspare, anche solo scorrendo le posi-zioni antitetiche riguardanti proprio gli aspetti più controversi della disci-plina legislativa circa la fattibilità di rimedi di tipo radicale, è il contesto di grande contrapposizione politica ed ideologica, derivante dalla consape-volezza che le varie soluzioni proposte non avevano valenza astratta, ma andavano ad incidere sulla posizione del Presidente del Consiglio allora in carica, in ragione dei suoi rilevati interessi economici, per di più in un settore sensibile come quello dell’informazione mediatica24.

In questo contesto politico il bilanciamento fra i contrapposti interessi, rappresentati dal diritto di ogni cittadino ad accedere alle cariche pub-bliche e l’esigenza di evitare situazioni di conflitto di interessi, finì per risultare oltremodo delicato e laborioso.

2.2.2 Ambito soggettivo di applicazione

La legge prevede all’art. 1 un generale obbligo di astensione nei confronti del “titolare di cariche di governo”, locuzione che ai fini dell’applicazione della legge, include oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e ai mini-stri, i vice minimini-stri, i sottosegretari di Stato e i commissari straordinari del governo (i cosiddetti “organi non necessari”, disciplinati dall’art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400).

Per quanto riguarda gli analoghi incarichi a livello locale, la legge fa rinvio a disposizioni da emanarsi da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, le cui normative dovranno assicurare il rispetto del principio fissato in via generale dall’art. 1 c.1, della legge.

paratori della legge 20 luglio 2004, n. 215, 9 settembre 2004, pp. 161-169.

24 Cfr. C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004,

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2.3 Gli strumenti preventivi di risoluzione dei conflitti di in-teressi

2.3.1 L’obbligo generale di astensione

Secondo una sistemazione concettuale ormai generalmente accolta dalla dottrina, l’obbligo generale di astensione ex art. 1, c. 1, della legge n. 215

del 2004, è il primo strumento di carattere preventivo.

L’obbligo di astensione realizza, secondo un principio di economicità giuridica, il paradigma del “minimo mezzo” per conseguire l’obbiettivo della preventiva rimozione del conflitto di interessi o, comunque, della eliminazione di situazioni potenzialmente ostative del corretto esercizio della funzione: in ambito pubblicistico l’istituto dell’astensione opera in-fatti in situazioni solo occasionalmente ricorrenti nell’esercizio di deter-minate funzioni pubbliche, quando cioè, vi sia, per circostanze del tutto casuali, uno speciale coinvolgimento personale del soggetto pubblico nella concreta decisione da prendere, per cui possa presumersi una man-canza d’imparzialità nella decisione25.

Conformemente alla legge in esame, l’obbligo di astensione si con-cretizza in un impedimento temporaneo all’esercizio della funzione, che insorge nel momento stesso in cui il conflitto viene concretamente a ma-nifestarsi durante l’esercizio della funzione governativa (e quindi succes-sivamente all’assunzione della carica), ma opera preventivamente rispet-to alla sua consumazione, separando per l’occasione il soggetrispet-to agente dall’interesse pubblico affidato alla sua cura, in ragione appunto della possibilità che, in quella determinata occasione, egli possa non essere del tutto imparziale o sereno nell’assumere le sue determinazioni, per la concomitante presenza di interessi privati e/o personali riguardanti le persone o l’oggetto cui si riferisce il provvedimento o la decisione da assumere26.

25 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n.

215 - Orientamenti applicativi, criticità e prospettive di riforma, cit. p. 88.

26 C. Marchetta, La legislazione italiana sul conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n.

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