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COLLEGIO DI MILANO. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa. dei clienti FATTO

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COLLEGIO DI MILANO composto dai signori:

(MI) LAPERTOSA Presidente

(MI) TENELLA SILLANI Membro designato dalla Banca d'Italia

(MI) CETRA Membro designato dalla Banca d'Italia

(MI) BENAZZO Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(MI) FALCE Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore BENAZZO PAOLO

Seduta del 20/05/2021

FATTO

Dal ricorso di parte ricorrente si può ricostruire quanto segue:

- dopo essere stata titolare di un negozio di abbigliamento, trovandosi in difficoltà economiche, veniva assunta da una società unipersonale che gestiva una profumeria;

- il primo stipendio, dicembre 2017, non veniva pagato;

- dopo le rimostranze della Cliente e dell’altra collega impiegata nel negozio, i due soggetti titolari dell’attività, il Sig. [M. C.] e la Signora [A. C.] la ponevano di fronte all’alternativa di divenire amministratore unico della società (percependo regolarmente lo stipendio), ovvero di essere licenziata;

- a gennaio 2018 veniva pagato, solo in parte, lo stipendio di dicembre 2017;

- i titolari del negozio la invitavano a non parlare con nessuna della nomina ad a.u.;

- temendo di perdere il lavoro, ad inizio febbraio 2018 la Cliente accettava di assumere la carica ed in quell’occasione apprendeva che le quote della società erano intestate al nipote del Sig. [M. C.];

- in quella sede sottoscriveva inoltre, davanti al Notaio, l’atto di acquisto della partecipazione nella società e contestualmente rilasciava al sig. [M.C.] procura speciale irrevocabile per la successiva rivendita della stessa;

- la Cliente riporta nel ricorso, a cui si far rinvio, il contenuto delle conversazioni avute sull’argomento con i suddetti soggetti;

- la Cliente veniva quindi accompagnata presso il commercialista della società e le

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assegni, le credenziali dell’home banking ed il bancomat della società restavano nella disponibilità dei titolari effettivi;

- dopo lo stipendio di gennaio, incassato il 21.2.2018, la Cliente non percepiva più gli emolumenti;

- successivamente, i titolari della società le ordinavano di formalizzare l’acquisto di un’autovettura aziendale, a cui la Cliente si sottraeva;

- inoltre, sempre su indicazione dei titolari, il 4.4.2018 si recava presso l’Intermediario per sottoscrivere un prestito, ma in quella sede veniva indotta a sottoscrivere una fideiussione omnibus, nell’interesse della società ed a beneficio dell’Intermediario stesso, presentata come necessaria per pagare gli stipendi (che però non venivano comunque pagati);

- avendo in programma di aprire un altro negozio a 130 km dal primo, i titolari del negozio ordinavano alla Cliente di recarsi presso un Notaio per la stipula di un contratto di locazione, ma di fronte al rifiuto della Cliente, minacciavano di trasferirla proprio nel nuovo negozio;

- il 24.4.2018 faceva predisporre ed inviare dal commercialista della società la lettera di dimissioni dall’incarico di amministratore unico e, avendo subito un vero e proprio tracollo fisico e psicologico, non si recava più al lavoro; recedeva poi dal contratto di lavoro per il mancato pagamento degli stipendi;

- coinvolgeva nella vicenda la propria sorella, già in passato incaricata sindacale;

- il 9.5.2018, la società veniva posta in liquidazione e la Cliente veniva nominata liquidatrice;

- il 18.5.2018, il Sig. [M.C.] vendeva a sé stesso l’intera partecipazione nella Società, utilizzando la procura irrevocabile;

- il 22.5.2018 il Sig. [M.C.] subentrava come liquidatore.

In particolare, quanto alla citata fideiussione, la stessa è stata sottoscritta “contro la volontà” della Cliente e “sotto costrizione” e deve considerarsi quindi nulla. La stessa ha inoltre causato alla Cliente gravi danni economici e di salute (“si voglia riconoscere alla signora XXX una piena estraneità e una cancellazione degli effetti dell’atto sottoscritto il 4 aprile 2018, con invito alla Banca a rivalersi sulla società. Si specifica che tale atto, comunque da ritenersi nullo, ha causato alla signora gravi danni economici e di salute”).

Inoltre, il ricorso richiama il reclamo, nel quale la Cliente contesta che la fideiussione sia conforme al cd. Modello ABI e sia quindi da considerarsi nulla perché in violazione della concorrenza, come stabilito dalla prima sezione della Cassazione con ordinanza del 12 dicembre 2017 n. 29810. La clausola illegittima sarebbe in particolare l’articolo 2.

La Cliente contesta infine, chiedendone la cancellazione, la segnalazione in CR, che sarebbe avvenuta senza il preavviso di 15 giorni.

Nelle controdeduzioni, l’Intermediario asserisce che:

a) in data 4.4.2018 la Cliente ha rilasciato fideiussione omnibus nell’interesse della società [L.P.] per Euro 5.200,00;

b) in data 17.9.2019 alla Cliente veniva intimato di provvedere, in forza della predetta fideiussione, al pagamento di quanto dovuto dal debitore garantito;

c) si contesta la qualifica della Cliente quale consumatore, poiché la fideiussione è stata rilasciata quale amministratore unico della società, che ha agito quindi per scopi connessi alla propria attività professionale;

d) quanto alla asserita carenza di volontà rispetto alla fideiussione, gli eventi ed i comportamenti descritti nel ricorso sono riferiti alla società, ai suoi soci e dipendenti, non all’Intermediario; in particolare, i “raggiri” lamentati dalla Cliente sono solo affermati e non accertati ed inoltre sarebbero stati posti in essere da persone terze rispetto alla banca;

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e) la domanda di annullamento del contratto per vizi del consenso sarebbe inammissibile, in quanto di tipo costitutivo e in ogni caso infondata, dato che un eventuale accertamento della sussistenza dei vizi del consenso non può pregiudicare i diritti dei terzi di buona fede (nella specie, la banca non era a conoscenza dei fatti accaduti nella fase antecedente la stipula della fideiussione);

f) la segnalazione a sofferenza, lamentata dalla Cliente ma non provata, è stata disposta a carico della sola società [L.P.] non anche della Cliente quale garante, tenuto conto che l’importo garantito è sotto la soglia prevista (Euro 30.000);

g) in ogni caso, il preavviso di segnalazione a carico della società è stato regolarmente inviato alla Cliente;

h) quanto alla richiesta nullità della fideiussione omnibus, nessuna prova/nessun accertamento di condotte vietate dalla normativa antitrust è stato effettuato mai dalla Banca d’Italia con il menzionato provvedimento n. 55/2005, essendosi tale provvedimento limitato a concludere che lo schema conteneva alcune disposizioni “che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme sono in contrasto con l’art 2 comma 2 lett. a della l. 287/1990” (in tal senso cfr. sentenze Tribunale Milano dell’1 e del 15 ottobre 2019).

Infatti, anche secondo la Corte di Cassazione <<il provvedimento della Banca d’Italia non ha accertato, ma ha indicato in termini soltanto ipotetici>> la sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale (così Ordinanza n. 30818/2018);

i) inoltre, la Cliente non fornisce la prova dell’utilizzo “uniforme” dello schema fideiussorio contestato, accertamento che sarebbe comunque precluso all’ABF; la sanzione della nullità previsto dall’art. 2 della Legge 287/90 presuppone infatti il “carattere uniforme dell’applicazione” delle clausole contestate e non basta a tal fine la mera constatazione che la fideiussione sottoscritta dalla Cliente ricalcasse lo schema ABI dell’ottobre 2002, esaminato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

j) non vi è poi la prova dell’intento collusivo da parte delle banche e in ogni caso, anche qualora si ammettesse l’esistenza di una intesa anticoncorrenziale (accertamento anche questo precluso all’ABF), la nullità derivante colpirebbe soltanto le clausole che hanno provocato la violazione, nello specifico soltanto la clausola cd “di riviviscenza della fideiussione” (art. 2);

k) la domanda di risarcimento del danno è generica e non provata.

Chiede dunque che il ricorso sia dichiarato inammissibile poiché pone domande estranee alla competenza dell’Arbitro e, in ogni caso, che venga respinto.

In sede di repliche, parte ricorrente insiste nella nullità totale della fideiussione omnibus prestata, per la conformità della fideiussione al Modello ABI 2002, richiamando le pronunce del Tribunale di Salerno e del Tribunale di Padova.

Con le controrepliche, l’intermediario ribadisce quanto già argomentato in sede di controdeduzioni.

DIRITTO

In via preliminare, il Collegio chiarisce la qualifica della parte ricorrente; invero, la stessa si indica quale ‘consumatore’ ma tale qualifica è stata contestata dall’intermediario.

Sul punto, si ricorda che il Collegio di Coordinamento, affrontando la questione del c.d.

“professionista di rimbalzo”, ha statuito il seguente principio di diritto: “nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non

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trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata” (collegio di Coordinamento decisione n. 5368/2016).

E’ stato così affermato che «… Alla luce di principi espressi dal Collegio di Coordinamento in materia di c.d. “professionista di rimbalzo” (v. la decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016) è pertanto da escludere che il ricorrente, allorché si è impegnato a garantire le obbligazioni assunte dalla società, abbia agito “per scopi di natura privata” in quanto la sua partecipazione alla società in veste di socio a responsabilità illimitata, amministratore e legale rappresentante consente di identificare un collegamento funzionale tra il suo intervento in garanzia e il suo ruolo di socio e amministratore dell’ente collettivo.

Il che esclude che la controversia sia inerente a rapporti con un consumatore» (Collegio di Roma, decisione n. 19546/20).

Nella fattispecie, la sussistenza in capo alla parte ricorrente della carica di amministratore unico della società [L.P.] non risulta dagli atti, ma la stessa è confermata in primis dalla Cliente e quindi non è in discussione; altresì, sulla base della sequenza di eventi descritti dalla stessa, al momento del rilascio della garanzia personale, la Cliente era anche socio unico della [L.P.].

Dacché parte ricorrente deve essere qualificata come ‘non consumatore’.

Venendo ora al merito del ricorso, le tre domande formulate da parte ricorrente posso essere così indicate:

a) annullamento della fideiussione omnibus sottoscritta dalla Cliente per vizio della volontà, in quanto sottoscritta contro la propria volontà e sotto costrizione, con

“cancellazione” degli effetti della fideiussione stessa;

b) nullità integrale della fideiussione omnibus per violazione della normativa in tema di concorrenza e risarcimento del danno;

c) illegittimità e conseguente cancellazione della segnalazione della Cliente, quale garante, in CR.

Quanto alla domanda sub a), si tratta di richiesta che comporterebbe una pronuncia costitutiva comportante l’esperimento di mezzi istruttori non ammessi davanti all’Arbitro, in quanto tale preclusa all’ABF: “in relazione alla domanda di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1439 c.c., occorre rilevare che l’ABF non può pronunciare decisioni aventi natura costitutiva. Infatti, secondo il consolidato orientamento dell’ABF tale domanda esula dalle competenze organismo, le quali in base alle Disposizioni della Banca d’Italia (Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, Sez. I, par. 4) sono circoscritte a controversie “che vertono sull’accertamento di diritti, obblighi, facoltà” ed al risarcimento del danno, restando precluse pronunce costitutive – quale sarebbe quella di annullamento del contratto per dolo – che richiedono l’esperimento di mezzi istruttori non ammessi nel giudizio innanzi all’Arbitro Bancario Finanziario (v. Coll. Torino, dec. n. 20953 del 10.10.2018; Coll. Napoli, dec. nn. 6490/2015 e 6480/2016).” (Collegio di Roma, decisione n. 8613/2019).

Quanto alla domanda sub b), la stessa domanda è stata avanzata nel reclamo e solo ripresa in sede di repliche. Nel ricorso è invece presente unicamente un generico invito al Collegio a “ritenere valide le motivazioni formali e tecniche già esposte nel reclamo a sostegno della richiesta di annullamento della fideiussione”; l’intermediario, in ogni caso, non eccepisce in merito ad una possibile incongruenza fra reclamo e ricorso.

La fideiussione omnibus è stata conclusa il 4.04.2018 ed è volta a garantire l’adempimento di qualsiasi obbligazione contratta dalla società [L.P.] nei confronti dell’intermediario fino alla concorrenza dell’importo di € 5.200,00.

La nullità viene argomentata in quanto la garanzia sarebbe stata redatta in adesione allo schema predisposto sulla base di intesa anticoncorrenziale; contesta in particolare l’art. 2,

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contenente la cd. “clausola di reviviscenza” e ritiene che la nullità invocata travolga l’intero atto:

Sul punto, si osserva quanto segue:

- con provvedimento n. 55 del 22/05/2005 la Banca d’Italia ha accertato che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per i contratti di fidejussione omnibus contengono disposizioni che, se applicate in modo uniforme, integrano una violazione dell’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90 (intesa anticoncorrenziale);

- la formulazione della fideiussione de qua sembra coincidere con quella degli articoli esaminata dalla Banca d’Italia.

Quanto alle conseguenze dell’accertamento dell’esistenza di una intesa anticoncorrenziale sui singoli contratti stipulati dalle banche con la clientela (cd. “contratti a valle”), le soluzioni giurisprudenziali prospettate sono: (i) nullità parziale (limitata alle clausole contenute nello schema di cui all’intesa illecita); (ii) estensione della nullità all’intero negozio fideiussorio; (iii) esperibilità del solo rimedio risarcitorio.

Il Collegio di Coordinamento, chiamato a pronunciarsi su una questione analoga alla presente, ha affermato che “1. Qualora un contratto riproduca uniformemente i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni contrattuali che un’intesa anticoncorrenziale ha fissato in precedenza, le relative clausole contrattuali sono nulle.

2. Per quanto riguarda il prezzo di acquisto o di vendita, in particolare, la nullità della relativa clausola importa la nullità dell’intero contratto, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare tale lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, TUB a proposito dei contratti bancari).

3. Per quanto riguarda le altre condizioni contrattuali, la loro nullità importa la nullità dell’intero contratto soltanto quando esse siano essenziali. Quando esse siano invece accessorie, il contratto resta valido per il resto.

4. A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”.

5. Si tratta di una nullità che può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse.

6. Alla nullità (parziale ovvero totale) del contratto consegue il diritto del ricorrente di domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove esse siano state nel frattempo eseguite.

7. Qualora il ricorrente provi di aver subìto un danno a causa dell’intesa anticoncorrenziale, potrà pretenderne il risarcimento a titolo di responsabilità extracontrattuale della parte che abbia partecipato a tale intesa” (decisione n. 14555/20 del 19/8/2020).

Per una migliore a più pratica applicazione dei suestesi principi, si richiama una recente decisione di codesto Arbitro (n. 16558/19 del 04.07.2019): ”Ciò stabilito si pone l’ulteriore e ancor più delicato problema della sorte dei contratti in cui dette clausole sono inserite. Il

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tra chi afferma la nullità totale del negozio stipulato in esecuzione dell’intesa vietata ( v. ad es., App Bari, sent. 526/2018, del 21/03/2018; Trib. Fermo, ordinanza, 24/09/2018; Trib.

Salerno, sent. 3016/2018, del 23/ 08/2018; Trib. Siena, sent. Del 14/05/2019) e chi sostiene che la nullità colpisce le clausole frutto dell’accordo di cartello, ma non l’intero contratto (v. ad es., Trib. Ancona, sentenza n. 1993 del 17.12.2018; Trib. Roma, Sentenza n. 9354/2019 pubbl. il 03/05/2019; Tribunale di Mantova, sez. II 16 gennaio 2019).

La tesi favorevole alla nullità parziale si fonda su un ragionamento apparentemente lineare. Per quanto attiene alla banca, si osserva in genere che è presumibile che avrebbe comunque stipulato il contratto, pur mutilato delle clausole incriminate, in quanto è ragionevole pensare che sia in genere meglio avere una certa garanzia che non averne nessuna. Mentre per la controparte si osserva che se ha concluso il contratto con le clausole a lei sfavorevoli, a maggior ragione avrebbe concluso quello stesso contratto depurato di dette clausole.

Il ragionamento appare decisamente semplicistico e ben poco consapevole delle peculiarità della fattispecie.

Il Collegio concorda con la tesi per cui nonostante la particolare natura della nullità in questione non vi sia ragione di derogare alla disciplina generale della nullità e che si debba perciò applicare anche al caso di specie la disciplina della nullità parziale, con la conseguente necessità di applicare la norma ( rt. 1419 cod.civ.) che dispone la nullità dell’intero contratto quando risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.

A questo fine vanno però operate alcune precisazioni. E’ evidente anzitutto che il ragionamento controfattuale richiesto dalla legge mira a porre al centro di ogni decisione la verifica della effettiva volontà dei contraenti. La regola generale implicita sembra essere quella per cui vanno salvati i contratti che possono considerarsi come effettivamente voluti, ed eliminati quelli non fondati su un presumibile effettivo consenso.

Ciò premesso, ne derivano due osservazioni. La prima è che per discutere della presumibile volontà delle parti bisogna definire un contesto. E’ evidente infatti che il contratto che potrebbe apparire conveniente e, quindi, probabilmente voluto, in un contesto, potrebbe apparire non conveniente, e, quindi, probabilmente non voluto, in un altro.

La seconda osservazione è che trattandosi nella specie di contratti di garanzia, per loro natura necessariamente accessori ad un atto fonte dell’obbligazione principale, non si può immaginare di valutare la convenienza del contratto accessorio senza tener conto delle condizioni praticate per l’obbligazione principale. L’operazione dal punto di vista economico è unica. In concreto è facile immaginare che un credito che in quanto assistito da una garanzia che vale x, viene concesso al costo di 10, non può essere concesso allo stesso prezzo se la garanzia, a causa di maggiore esposizione a rischi di caducazione o di maggiori costi ( ad es., di monitoraggio ), non vale più x, ma x-y. Più in generale, è da ritenere che il prezzo del credito dipende e varia, non solo in rapporto alle sue caratteristiche intrinseche, ma anche in rapporto a quelle della garanzia da cui venga, originariamente o successivamente, assistito. Una garanzia “più forte” consentirà di praticare al debitore principale condizioni migliori rispetto a quelle che sarebbero praticate nel caso di una garanzia “più debole”. Nell’analisi della volontà presunta non si può perciò isolare quella relativa alla garanzia, ma bisogna considerare il senso economico dell’intera operazione, comprensiva delle condizioni a cui viene erogato il credito garantito.

Quanto al problema della definizione del contesto in cui valutare se il contratto sarebbe stato ugualmente stipulato o non, certo essendo che la valutazione non va effettuata con riferimento al contesto esistente al momento dell’accertamento della nullità (come invece

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tendono surrettiziamente a fare i ragionamenti di alcune sentenze), il Collegio ritiene che in un caso come quello qui in esame neppure possa essere assunto come acritico riferimento quello, falsato dalla limitazione della concorrenza, in concreto esistente al momento della stipulazione del contratto. Non è questo, come si è appena detto, falsato, contesto, quello in cui si può accertare l’esistenza di una effettiva volontà delle parti che come si è detto rappresenta, secondo il Collegio, il punto di riferimento indicato dalla legge. Nel caso di specie la verifica della presumibile effettiva volontà delle parti deve essere compiuta immaginando il contesto che sarebbe esistito in assenza dell’atto principale colpito da nullità e, quindi, su un mercato non falsato dalla presenza dell’intesa.

Un contesto dominato da un monopolista (individuale o, nel caso delle intese, collettivo) si caratterizza proprio per il fatto di non offrire agli acquirenti (in particolare, ai consumatori) una gamma differenziata di opzioni alternative. Non avrebbe perciò senso un’indagine sulla presumibile volontà dei contraenti immaginata in un contesto di assenza di libertà di scelta.

Se si procede lungo le linee delineate, la domanda che nel caso di specie occorre porsi è se in un mercato ragionevolmente concorrenziale (non falsato dalla presenza dell’intesa nulla) i contraenti avrebbero raggiunto ugualmente l’accordo sul contenuto del contratto pur mutilato delle clausole in questione.

Trattasi di indagine fattuale che presenta evidenti elementi di delicatezza, ma per la quale nella specie soccorrono gli accertamenti a suo tempo compiuti dalla Banca d’Italia dei cui esiti conviene in questa sede dare letteralmente conto (v. parr. 94 ss. del provvedimento citato):

“La standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali.

Essa può risultare compatibile con le regole di concorrenza a condizione che gli schemi uniformi non ostacolino la possibilità di diversificazione del prodotto offerto, anche attraverso la diffusione di clausole che, fissando condizioni contrattuali incidenti su aspetti significativi del rapporto negoziale, impediscano un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti. In questo senso, non è ingiustificato l’onere per il fidejussore determinato dalla presenza nello schema ABI della clausola “a prima richiesta”. Come emerso nel corso dell’istruttoria – infatti – essa risulta funzionale, quando non assolutamente necessaria, a garantire l’accesso al credito bancario. Tale valutazione trova conferma nel raffronto con le esperienze estere, da cui emerge un’ampia diffusione della clausola in questione, e in quanto previsto nell’Accordo di Basilea 2, che considera la clausola stessa essenziale ai fini del riconoscimento delle garanzie personali come strumenti di attenuazione del rischio. Viceversa, per la clausola relativa alla rinuncia del fidejussore ai termini di cui all’art. 1957 cod.civ. e per le c.d. clausole di “sopravvivenza”

della fidejussione non sono emersi elementi che dimostrino l’esistenza di un legame di funzionalità altrettanto stretto. Tali clausole, infatti, hanno lo scopo precipuo di addossare al fidejussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa”.

Come emerge chiaramente da quanto precede, le clausole in questione non sono funzionalmente giustificabili e, nella misura in cui addossano al Cliente costi che la Banca potrebbe evitare con l’osservanza dei suoi obblighi di diligenza, non possono essere considerate irrilevanti.

Alla luce di queste precisazioni sembra ragionevole ritenere che in un contesto di disapplicazione dell’intesa nulla, e di riconosciuta nullità delle clausole in questione, il contratto non sarebbe stato concluso ad analoghe condizioni.

Dal punto di vista della Banca, l’impossibilità di scaricare alcuni costi sul Cliente avrebbe

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contrattuale, non solo con riferimento alla garanzia, ma anche con riferimento all’erogazione del credito ( in un mercato concorrenziale le banche dovrebbero competere anche sul piano della riduzione dei costi, che non possono più scaricare sulle controparti, e sul piano della ricerca delle migliori combinazioni tra rischi del credito, costi del medesimo e coperture realizzabili attraverso garanzie).

Il ragionamento del tipo meglio poco che niente, rivalutato in questa prospettiva, non tiene.

Esso può essere vero a posteriori nelle condizioni odierne, in cui si tratta di prendere o lasciare (ma ciò ai fini dell’applicazione dell’art. 1419 cod. civ. è palesemente irrilevante).

Non è invece vero ex ante, quando la banca avrebbe dovuto fare i conti con la concorrenza e con la possibilità di ristrutturare le condizioni a cui offriva il credito, prima ancora che le garanzie (del resto, mantenendo il ragionamento al livello più banale possibile, è ben difficile immaginare che le imprese si diano tanta pena e corrano tanti rischi per fare intese su condizioni contrattuali in fondo marginali di cui potrebbero fare tranquillamente a meno senza rilevanti conseguenze).

Quanto al punto di vista del Cliente, considerata la non funzionalità delle clausole e la conseguente varietà di offerte che avrebbe potuto trovare sul mercato, non esiste alcuna certezza che il contratto mutilato avrebbe potuto rappresentare la migliore opzione (beninteso, come si è detto, di credito più garanzia) a sua disposizione. E’ perciò da ritenere, in conclusione, che un contratto identico a quello stipulato, ma privo della parte colpita nullità, da una parte non sarebbe stato probabilmente offerto e dall’altra non è detto che sarebbe stato accettato”.

Applicando i sopra ricordati principi al caso di specie, il Collegio ritiene che debba essere dichiarata la nullità parziale della fideiussione.

Quanto alla connessa domanda risarcitoria nei confronti della banca resistente, parte ricorrente fa riferimento a danni asseritamente patiti in conseguenza della stipula della fideiussione contestata, tuttavia senza fornire ulteriori precisazioni, né produrre documenti a sostegno della propria richiesta.

Va, in proposito, ricordato il principio generale in base al quale spetta alla parte danneggiata l’onere di fornire la prova del pregiudizio in concreto subito ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno (ex multis, Cass. civ., Sez. I, 25.3.2009, n. 7211 e, più di recente, 3.12.2015, n. 24632). Sennonché, “in mancanza della prova del danno, non è possibile neppure procedere alla liquidazione in via equitativa del danno meramente patrimoniale, in quanto l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti, però, obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare: non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza” (così, amplius, Cass. civ., Sez. III, 30.4.2010, n. 10607, nonché, in senso conforme, ABF Roma, n. 4687/2017; ABF Bari, n. 12002/2017).

Quanto alla domanda sub c), parte ricorrente chiede la cancellazione della segnalazione a sofferenza tuttavia senza produrre alcuna documentazione a sostegno e, di contro, l’intermediario afferma di non avere effettuato tale segnalazione a carico direttamente della Cliente, ma solo della società [L.P.] debitore principale garantito, a seguito della revoca degli affidamenti già concessi a quest’ultima.

Il Collegio ritiene dunque che la domanda debba essere rigettata.

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PER QUESTI MOTIVI

Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara la nullità parziale del contratto di fideiussione con riferimento alla clausola contestata.

Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00, quale contributo alle spese della procedura, e alla parte ricorrente la somma di € 20,00, quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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