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COLLEGIO DI BOLOGNA. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa. dei clienti FATTO

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COLLEGIO DI BOLOGNA

composto dai signori:

(BO) MARINARI Presidente

(BO) BERTI ARNOALDI VELI Membro designato dalla Banca d'Italia

(BO) MARTINO Membro designato dalla Banca d'Italia

(BO) SOLDATI Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(BO) ALVISI Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore CHIARA ALVISI

Seduta del 20/12/2018

FATTO

Il ricorrente lamenta la pattuizione di interessi sopra soglia nell’ambito di un contratto di apertura di credito, per l’importo di € 150.000, perfezionato in data 20 maggio 2009, a valere su un rapporto di conto corrente successivamente estinto nel corso dell’anno 2015.

Il ricorrente lamenta, in secondo luogo, la violazione del dovere di trasparenza gravante sull’intermediario ai sensi dell’art. 117 TUB, in quanto il contratto di apertura di credito indica un Tasso Debitore Annuo pari al 12,5%, mentre l’intermediario avrebbe applicato su base annua tassi diversi (rectius inferiori). In terzo luogo, il ricorrente lamenta che l’intermediario avrebbe applicato, per la prima volta nel primo trimestre del 2010, una Commissione di Massimo Scoperto (CMS), per l’importo di € 44,98, in mancanza di un’espressa pattuizione. In quarto luogo, il ricorrente lamenta che l’intermediario avrebbe introdotto in corso di rapporto, in asserita violazione dell’art. 118 TUB, una Commissione Disponibilità Fondi (CDF) e una Commissione Istruttoria Veloce (CIV). Il ricorrente lamenta, infine, che l’intermediario avrebbe applicato interessi composti a far data dal perfezionamento del contratto di conto corrente (20.05.2009) fino alla sua chiusura (2015), in violazione delle diverse discipline sull’anatocismo fissate nel corso del tempo dall’art.

120 TUB e s.m.i. Il ricorrente conclude chiedendo all’ABF di accertare: A) l’invalidità delle

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condizioni economiche sottoscritte in data 20 maggio 2009 “per usura contrattuale, tenendo conto – ai fini del rispetto dell’art. 1815 cod. civ. e dell’art 644 c.p. - di tutti gli oneri finanziari, ivi compresa l’incidenza della capitalizzazione trimestrale e commissioni”; B) l’invalidità delle condizioni applicate in concreto al rapporto “perché non pattuite per iscritto”; C) la violazione dell’art. 118 TUB, in quanto l’intermediario avrebbe “introdotto (ex novo) per un solo trimestre (31.3.2010) la CMS e senza accordo fra le parti la CDF e CIV”;

D) “l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale del c/c ordinario, considerato che nell’art.

7 delle Norme Generali (richiamato fra le clausole onerose) è stato omesso il riferimento alla trimestralità, periodicità di addebito degli interessi che, in quanto più onerosa di quella semestrale e annuale, avrebbe dovuto essere “specificamente pattuita” e sottoscritta ex art. 1341 cod. civ. (in ossequio a quanto prescrive la Deliberazione del CICR del 9 febbraio 2000) nonché [del]la illegittimità della capitalizzazione applicata dal 1/1/2014 per mancato adeguamento all’art. 120, co. 2, del TUB, come modificato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147”; nonché di dichiarare “nulle le pattuizioni del contratto originario e, preso atto della mancanza di un accordo scritto avente per oggetto le condizioni economiche applicate in concreto, alla luce del ricalcolo del saldo al tasso dei BOT ex artt.

117 TUB, senza capitalizzazione trimestrale, previo storno della CMS, CDF e CIV, e riconoscere il diritto dell’istante di ottenere la restituzione della somma che si indica in € 50.876,00 o in quel maggior o minor importo che risultasse dovuto all’esito dell’istruttoria”.

In sede di repliche il ricorrente ha ricalcolato la richiesta economica avanzata col ricorso (€

50.876,00), disarticolando l’istanza complessiva in una domanda principale (gratuità del finanziamento per fenomeno usurario) e in una domanda subordinata (ricalcolo del saldo in applicazione del tasso sostitutivo Bot, ex art. 117 TUB).

L’intermediario, a sua volta, eccepisce la parziale inammissibilità e la totale infondatezza del ricorso e ne chiede il rigetto.

DIRITTO

1. Quanto alla contestazione di usura.

L’intermediario ha eccepito l’inammissibilità della contestazione di usura in quanto la stessa sarebbe stata formulata in modo differente nel ricorso e nell’elaborato peritale allegato al ricorso. Questo Collegio non riscontra tale difformità e ritiene pertanto ammissibile la domanda del ricorrente, che passa ad esaminare nel merito.

In sede di ricorso l’istante contesta un fenomeno di usura genetica, in asserita violazione degli artt. 1815 c.c. e 644 c.p., in quanto il TEG sarebbe stato indicato in contratto nella misura del 13,098% “a fronte di un tasso soglia usura TEG del 12,93%”.

Questo Collegio ritiene che il ricorrente abbia errato nel calcolo del TEG contrattuale, in quanto ha utilizzato, a tal fine, una formula non conforme a quella (TEG = Interessi x 36.500/Numeri Debitori + Oneri x 100/Accordato) indicata per le aperture di credito in conto corrente da Banca d’Italia nelle sue “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” del 2009 (vigenti alla data di stipula del contratto). Per converso, il ricorrente include erroneamente nel calcolo del TEG contrattuale anche le CSM, che invece ne vanno escluse. Le Istruzioni di Banca d’Italia prevedono espressamente che “la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG. Essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali”.

Questo Collegio ritiene, inoltre, fondata l’eccezione dell’intermediario giusta la quale il ricorrente avrebbe, altresì, errato nell’individuare il TEG contrattuale nella percentuale del

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13,098%, che costituisce invece il valore del tasso effettivo su base annua tenendo conto degli effetti della capitalizzazione annuale, la cui indicazione in contratto era richiesta dall’art. 6 (Trasparenza contrattuale) della Delibera CICR del 9 febbraio 2000, senza alcuna attinenza con le soglie previste per i tassi usurari. Per converso, il Foglio delle condizioni economiche sottoscritto dal cliente in data 20 maggio 2009 indica come tasso nominale annuo il 12,500%, che è al di sotto della soglia usura del 12,93% di cui alla rilevazione trimestrale all’epoca della conclusione del contratto, sulla cui entità entrambe le parti concordano.

Ne deriva che la domanda di accertamento dell’usura genetica contenuta nel ricorso è infondata e pertanto non può essere accolta.

Per converso, nella perizia allegata al ricorso l’attore sembra dedurre un vizio di usura sopravvenuta in quanto nella Tabella 2 lamenta l’applicazione di un TEG asseritamente sopra soglia usura limitatamente a 5 trimestri (II trim. 2010, III trim. 20110, IV trim. 2010, III trim. 2011, IV trim. 2011), tutti successivi a quello di stipula del contratto (avvenuta a maggio 2009). Anche tale domanda risulta inaccoglibile alla luce della decisione resa da ultimo dal Collegio di Coordinamento (n. 7440/2018), sulla scia già tracciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a proposito dell’usura sopravvenuta. Infatti, “il Collegio di Coordinamento, adattando alla peculiarità del procedimento ABF il dictum delle Sezioni Unite”, ha enunciato “il principio di diritto seguente: “La normativa vigente non consente di sanzionare la cosiddetta usura sopravvenuta, cioè il superamento, nel corso dello svolgimento del rapporto, da parte del tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n.

108 del 1996, sempre che, al momento della stipula del contratto di finanziamento, il predetto tasso non eccedesse il tasso soglia”.

Vero è che le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione ed il Collegio di Coordinamento si sono pronunciati a proposito di un fenomeno di usura sopravvenuta contestato con riferimento ad un contratto di finanziamento. Tuttavia questo Collegio ha già applicato più volte il predetto principio di diritto anche ai contratti di conto corrente (cfr.

Collegio di Bologna, decisione n. 13918/18; Collegio di Bologna, decisione n. 1431/18).

Se poi si volesse valutare la fondatezza della censura di usura genetica sulla base di quanto affermato in sede di perizia, si rileva comunque che l’elaborato tecnico si fonda su un calcolo errato del TEG e, pertanto, qualsiasi valutazione in merito all’usura denunciata richiederebbe l’espletamento da parte di questo Collegio di un’attività di natura consulenziale, in particolare l’effettuazione di riconteggi, come tale vietata all’Arbitro.

2. Sull’asserita violazione dell’art. 117 TUB.

La società istante ha lamentato che, mentre il contratto scritto indicava un tasso debitore annuo pari al 12,5%, l’intermediario avrebbe invece applicato, su base trimestrale, tassi diversi da (nello specifico inferiori a) quanto indicato per iscritto nel contratto, come risulta dall’esame degli estratti conto a scalare prodotti agli atti. Il ricorrente lamenta, dunque, la violazione dell’art. 117 TUB sotto il profilo del difetto di trasparenza ed invoca l’applicazione delle sanzioni civili ivi previste al comma 7 (“in caso di inosservanza del comma 4 e nelle ipotesi di nullità indicate nel comma 6, si applicano: a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell’operazione”). Questo Collegio ritiene tuttavia che neanche tale domanda

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possa essere accolta, in quanto non ricorrono in concreto i presupposti cui il comma 7 dell’art. 117 TUB subordina l’applicazione della sanzione civile ivi prevista (i.e. il ricalcolo degli interessi al tasso dei Bot annuali senza capitalizzazione). Non si ravvisa, infatti, nel caso di specie una violazione della prescrizione di forma scritta di cui all’art. 117, comma 4 (“i contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”), atteso che il contratto prevedeva espressamente il tasso di interesse da applicare (sia pure su base annua e non trimestrale). Né ricorrono le ipotesi di nullità delle clausole sui tassi elencate dall’art. 117, comma 6 (“sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”). Infatti, il tasso di interesse previsto in contratto non risultava predeterminato per relationem tramite rinvio agli usi. Inoltre, lo stesso ricorrente circoscrive l’oggetto del contendere all’applicazione da parte dell’intermediario di tassi inferiori, dunque più favorevoli al cliente, di quelli pattuiti per iscritto, senza peraltro dedurre alcunché a proposito di un’eventuale discrasia fra tassi pattuiti e tassi pubblicizzati.

3. Sull’asserita illegittima applicazione della Commissione di Massimo Scoperto (CMS).

Questo Collegio giudica inaccoglibile anche la domanda di restituzione dell’importo (pari ad € 44,98) addebitato dall’intermediario, nel primo trimestre del 2010, a titolo di CMS, in quanto il contratto conteneva l’espressa pattuizione di tale commissione, così come il foglio informativo indicava chiaramente le modalità di calcolo di tale commissione in caso di affidamento. L’intermediario ha dimostrato che tale modalità di calcolo è stata rispettata nell’applicazione della commissione di massimo scoperto nel primo trimestre 2010 (come risulta nel relativo conto scalare), atteso che il più alto saldo debitore del trimestre, pari ad

€ 35.987,75, è stato moltiplicato per 0,125, il cui risultato è pari all’importo di € 44,98, che in effetti è stato addebitato al ricorrente.

In sede di controdeduzioni, inoltre, l’intermediario ha chiarito che nei trimestri precedenti la CMS non è stata applicata per via del mancato utilizzo del fido o del suo utilizzo per un periodo inferiore a 30 giorni (nel rispetto dunque di quanto previsto dall’art. 2-bis, del D.L.

n. 185/2008).

Quanto alla circostanza che la CMS sarebbe stata indicata in contratto in una percentuale (pari allo 0,990%), superiore a quella, più favorevole al cliente, che è stata in effetti applicata dall’intermediario (pari allo 0,125%), questo Collegio non ritiene che ciò integri un caso di indeterminatezza della commissione. Risulta dunque infondata, oltre che inammissibile per difetto di interesse meritevole ad agire, la domanda del ricorrente intesa all’accertamento della nullità della clausola contrattuale riferita alla CMS per asserito difetto di trasparenza, né sussiste conseguentemente il diritto del ricorrente a ripetere quanto versato a tale titolo.

4. (segue) Sull’asserita illegittima applicazione della CDF e della CIV.

Risulta del pari infondata, ad avviso di questo Collegio, la domanda del ricorrente intesa all’accertamento dell’asserita illegittimità dell’introduzione della CDF e della CIV in asserita violazione di quanto disposto dall’art. 118 TUB.

La Commissione Disponibilità Fondi (CDF) risulta essere stata introdotta dall’intermediario con una PMC (proposta di modifica del contratto) scritta, dd. 31 marzo 2010, che il

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ricorrente ammette di avere ricevuto, la quale gli assegnava un termine di due mesi per recedere senza spese né penali. In mancanza di recesso del cliente, tale modifica unilaterale, regolarmente comunicata e ricevuta dal cliente, si presume sia stata da quest’ultimo tacitamente approvata ai sensi dell’art. 118, comma 2 TUB. Peraltro l’addebito della CDF è avvenuto solo successivamente al legittimo esercizio dello ius variandi che il contratto riservava all’intermediario.

Quanto alla CIV, risulta che è stata espressamente pattuita per iscritto in sede di rinnovo contrattuale del fido in data 22 marzo 2013. Dagli estratti conto precedenti a tale data non risulta l’addebito di tale onere. Anche l’introduzione della CIV è pertanto avvenuta in modo legittimo.

5. Sull’asserito anatocismo.

Il contratto di conto corrente perfezionato fra le parti prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi sia attivi che passivi all’art. 7 (“gli interessi sono riconosciuti al correntista o dallo stesso corrisposti nella misura pattuita ed indicata nel modulo allegato”;

“i rapporti dare e avere relativi al conto, sia esso debitore o creditore, vengono regolati con identica periodicità, pattuita ed indicata nel predetto modulo”). Tale clausola è stata approvata espressamente per iscritto dal cliente ai sensi dell’art. 1341, comma 2 c.c. e dell’art. 1342, comma 2 c.c.

Ne deriva che per il periodo compreso fra il 20 maggio 2009 (data di perfezionamento del contratto di conto corrente) e il 31 dicembre 2013 la domanda intesa all’accertamento dell’indebita applicazione di interessi composti é destituita di fondamento, atteso che l’art.

120 TUB, nel testo all’epoca vigente (“Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori (…)”) consentiva l’anatocismo ove espressamente pattuito in contratto con la stessa periodicità per gli interessi passivi ed attivi (in attuazione di detta disposizione il CICR aveva adottato la Delibera del 9.02.2000, la quale stabiliva [art. 2, co. 1 e 2] che “1. Nel conto corrente, l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità. 2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori (…)”).

Questo Collegio ritiene invece fondata la domanda del ricorrente intesa all’accertamento dell’illegittima applicazione di interessi composti nel periodo dal 1° gennaio 2014 fino alla chiusura del conto corrente avvenuta nel 2015. E’ noto, infatti, che il nuovo testo dell’art.

120 TUB vigente nel periodo 1° gennaio 2014-30 settembre 2016, come modificato dalla L. n. 147/2013 (“Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati (contabilizzati) non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”), sanciva il divieto assoluto di anatocismo a far data dal 1° gennaio 2014. E’ noto, altresì, che il Collegio di coordinamento (con decisione n. 7854/2015) ha ritenuto che tale divieto fosse direttamente applicabile pur in mancanza della delibera attuativa del CICR: “ (…) fino a quando non interverrà la nuova delibera del CICR (o una nuova legge che regoli

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diversamente la materia), le enunciate oscurità testuali della legge vigente devono essere nel frattempo superate (per il periodo che va dall’1.1.2014 al 31.12.2015) dalla prassi contabile per renderle coerenti con il divieto di addebito di interessi anatocistici, anche perché nessuna deroga alla immediata applicabilità del divieto sancito dalla norma primaria può derivare dalla emanazione di una norma secondaria, sulla base di una delega con oggetto specifico concettualmente compatibile. Certo è che non spetta all’Arbitro Bancario (ma all’Autorità amministrativa competente) il potere-dovere di rivolgere agli operatori bancari indicazioni generali di tecnica contabile e contrattuale. Il che lascia impregiudicata non solo l’eventualità di accordi negoziali più favorevoli al cliente, giusta il disposto dell’art. 127 n. 1 TUB, ma soprattutto la valutazione della effettiva ricorrenza, a seconda delle varie tipologie contrattuali (mutuo, conto corrente, apertura di credito, ecc.) di fattispecie di anatocismo bancario vietato, essendo ben noto che non tutte le annotazioni in conto di interessi sono concettualmente qualificabili come anatocismo.

Questo ulteriore problema interpretativo non ricorre però nel caso di specie ove, per le ragioni già illustrate, la resistente deve limitarsi a stornare gli interessi in aumento applicati dal 31.12.2010 al 6.2.2014, per una diversa ragione che li rende illegittimi. […]”.

I Collegi territoriali si sono poi adeguati alle statuizioni del Collegio di coordinamento (cfr.

in tal senso Collegio di Bologna, decisione n. 23041/18 del 6.11.2018 e Collegio di Milano, decisione n. 7737/17).

Ne deriva che gli interessi composti applicati dall’intermediario dal 1° gennaio 2014 fino alla chiusura del conto corrente, avvenuta nel 2015, sono illegittimi onde l’intermediario è tenuto a ricalcolare quanto dovuto dal cliente in applicazione di interessi semplici ed è obbligato a restituire al ricorrente quanto pagato in eccedenza.

PER QUESTI MOTIVI

Il Collegio accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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