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ACCERTAMENTO DELLE MICROPERMANENTI IN GENERE. TRAUMI CONTUSIVI DEL GINOCCHIO: la valutazione del giudice

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Academic year: 2022

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ACCERTAMENTO DELLE MICROPERMANENTI IN GENERE.

TRAUMI CONTUSIVI DEL GINOCCHIO:

la valutazione del giudice

Dr. Marco Rossetti*

In quanto danno da lesione della salute, anche il danno da

“micropermanente” richiede, quale necessari presupposti, una lesione in corpore, suscettibile di accertamento medico-legale, dalla quale sia derivata una disfunzione anatomo-patologica, tale da causare una modificazione in peius della vita del danneggiato. Pertanto, anche nel caso di lesioni modeste, ovvero di lesioni con esiti modesti, vigono i princìpi validi per ogni ipotesi di danno alla salute, e cioè:

(a) si ha danno biologico permanente quando le funzionalità vitali del soggetto leso sono ridotte in modo definitivo e non recuperabile;

(b) per ottenere il risarcimento del danno biologico, non basta provare l'esistenza oggettiva di una lesione: occorre altresì provare che da tale lesione è derivata una compromissione delle proprie attività vitali, intese in senso ampio;

(c) quando manca la prova oggettiva di tale compromissione, non può ritenersi provata l'esistenza d'un danno biologico risarcibile.1

Nei casi di lesioni di media o di rilevante entità, la prova della compromissione delle attività vitali del danneggiato (la prova, cioè, di una perdita personale) è estremamente agevole, e di norma si ricava da una presunzione semplice (art. 2727 cod. civ.): dal fatto noto della mera esistenza di una frattura, o dell'asportazione di un organo o dell'amputazione di un arto, può logicamente dedursi il fatto ignoto della futura modificazione in pejus della vita del danneggiato, il quale sarà costretto a rinunciare a tutte quelle attività (siano esse ludiche o lavorative) per il cui svolgimento era necessaria la piena funzionalità dell'arto o dell'organo perduto od irrimediabilmente leso. Nel caso, invece, di postumi micropermanenti, l'accertamento del danno è più delicato, perché dal fatto noto dell'esistenza - ad esempio - di una contusione ecchimotica, o di una distrazione muscolare, o di una infrazione parcellare di un osso, non può inferirsi ex art. 2727 c.c. un sicuro peggioramento perenne ed irremissibile della qualità della vita del danneggiato.

* Magistrato -Roma

1 Cass. 17.11.1999 n. 12756, Riv. giur. circolaz. trasp., 2000, 308

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Per questo motivo, dovranno essere particolarmente accurati sia l’accertamento medico legale; sia il controllo del giudice sull’operato del medico-legale.

Il medico legale, dovrà ritenere effettivamente esistenti o i postumi effettivamente obiettivabili; oppure quelli che - se pure soltanto riferiti dal periziato - appaiono confortati da una adeguata documentazione sanitaria e coerenti con la storia clinica del danneggiato.

Appare non condivisibile, pertanto, sia l’operato di quei medici legali che, dinanzi a lievi postumi a lenta regressione, od addirittura soltanto riferiti dal danneggiato, pensano di trarsi d’impaccio riconoscendo modestissime percentuali d’invalidità.

Il giudice, dal canto suo, dovrà verificare la congruenza logica delle deduzioni del c.t.u., ed in particolare verificare, nel caso di postumi non obiettivabili, l’attendibilità di quanto riferito dal periziato alla stregua delle altre acquisizioni processuali. Erroneo, pertanto, è l’orientamento di quei giudici secondo cui, dinanzi a postumi soltanto soggettivi, ma obiettivamente non rilevabili, la liquidazione possa pur sempre avvenire in via equitativa.2

Più in concreto, perché l’esistenza di una micropermanente possa dirsi correttamente riscontrata, sono necessari:

(a) il positivo riscontro dell’esistenza di postumi, fisici o psichici;

(b) la positiva ricostruzione d’un valido nesso causale tra i postumi riscontrati ed la condotta lesiva imputata al danneggiante.

Per quanto attiene all’obiettiva esistenza di postumi, il c.t.u.

medico legale non può porre a fondamento della propria relazione disturbi soltanto riferiti dal periziato, senza alcun riscontro documentale o di altro tipo.

Per quanto attiene all’accertamento del nesso causale tra lesioni e postumi, il relativo accertamento nel caso di micropermanenti è assai delicato, ed andrà compiuto prestando particolare attenzione:

(a) alla tempestività ed alla congruenza della prima certificazione sanitaria. Ad esempio, riveste il grado massimo di attendibilità un referto di pronto soccorso rilasciato da una struttura ospedaliera poco distante dal luogo del sinistro ed a distanza di poco tempo da esso; più perplessità può suscitare un certificato od un referto emesso a distanza di uno o più giorni dal sinistro. Infatti, a misura cresce l’arco temporale tra il sinistro e la prima certificazione, diminuisce la possibilità di riconnettere eziologicamente questa a quello;3

2 così Giud. pace Milano 8.4.1998, Arch. circolaz. 1998, 1026

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(b) alla efficienza lesiva della condotta illecita: ad esempio, nel caso di sinistri stradali, la modestia dei danni riportati dai veicoli; la circostanza che i mezzi coinvolti avessero dotazioni per la sicurezza passiva; la circostanza che gli altri occupanti del medesimo veicolo non abbiano riportato danni, sono tutti indizi valutabili ex art. 2729 c.c., che depongono per la insussistenza d’un valido nesso causale tra sinistro e lesioni; è stato, pertanto, escluso che l'accertata presenza di una microlesione in un momento successivo al verificarsi di un evento traumatico astrattamente idoneo a produrla, possa automaticamente integrare la piena prova del nesso causale (Giud. pace Arezzo 13.8.1999, Foro it., 1999, I, 1077; Giud. pace Bologna 23.3.1998, Resp. civ. prev., 1998, 1472; Trib. Bologna 17-04-1996, Resp. civ. prev., 1998, 155; Trib.

Roma 16.3.9196, Berrettini c. Lloyd, inedita; Bucarelli, L’annoso problema delle mini invalidità: il colpo di frusta cervicale, in Tagete, 1995, fasc. 3, 9, ma specialmente 13). Al fine di accertare la effettiva efficienza lesiva del trauma, quando il danno deriva da sinistri stradali, è stata da più parti sostenuta l’utilità od addirittura la necessità di ricorrere alla c.d.

consulenza cinematica (da taluni definita “biomeccanica”), per potere accertare scientificamente a quali sollecitazioni fisiche ed accelerazioni sia stata sottoposta la persona del danneggiato (Calcinai e Del Cesta, Distorsione cervicale: l’ausilio della perizia cinematica in un caso di negazione del nesso di causa, in Tagete, 2000, fasc. 1, 68; Vanini, Biomeccanica dell’urto tra due autoveicoli, in De minimis curat pretor, Atti del convegno tenutosi a Salsomaggiore il 2-4 maggio 1998, Acomep, Pisa, 1998, 345). Tale mezzo, tuttavia, presenta nella maggioranza dei casi un evidente limite: troppe sono le variabili indipendenti che debbono essere valutate dal perito, e troppo pochi sono i dati certi di cui questi dispone (Chini, Micropermanenti: valutazione percentualistica o risarcimento equitativo?, in Tagete, 1999, fasc. 1, 63; Nannipieri, Evoluzione e prospettive in tema di micropermanenti, in De minimis curat pretor, Atti del convegno tenutosi a Salsomaggiore il 2-4 maggio 1998, Acomep, Pisa, 1998, 179), senza contare che il ricorso alla “consulenza cinematica”

rappresentante una dilatazione dell’istruzione processuale, di norma sproporzionato rispetto all’effettiva entità degli interessi in gioco (Giannini, Micropermanenti e così sia, in Resp. civ. prev., 1998, 164);

(c) alla continuità della storia clinica documentata del danneggiato. Poco attendibile, al fine di ricostruire il nesso causale tra lesioni e postumi, appare ad esempio una storia clinica nella quale, dopo il primo referto di pronto soccorso rilasciato nell’immediatezza del fatto, non compaiano altri documenti per mesi, fino a quando - magari nell’imminenza del giudizio - ricomincia la produzione di referti e certificati (Trib. Roma 3.6.1997, Cerrito c. Intercontinentale, inedita; Trib.

Roma 3.6.1996, Molinaro c. Tirrena, inedita).

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Da quanto sin qui esposto, derivano due importanti conseguenze pratiche:

(a) dinanzi ad un quadro sintomatico sfuggente o poco chiaro (cioè quella che processualmente parlando si chiamerebbe una semiplena probatio), il medico-legale non può ritenere esistente una micropermanente sulla base di congetture od illazioni, ma deve concludere per la non provata esistenza di danno biologico (e quindi per lo 0% di invalidità permanente);

(b) dinanzi a postumi concretamente accertabili, ma verosimilmente a lenta regressione, il medico-legale non può concludere per l’esistenza di una micropermanente (che è un danno irreversibile), ma deve indicare che le conseguenze delle lesioni saranno riassorbite, ed il tempo medio di guarigione.

Non è perciò condivisibile l’operato di quei medici-legali (e dei giudici che avallano i loro elaborati, recependoli in sentenza) i quali, dinanzi a postumi pur obiettivamente accertati, ma a lenta regressione, concludono per l’esistenza di una piccola permanente (1 o 2% di invalidità permanente). Questa prassi è stata talora giustificata richiamando il suo valore “forfettario”, ovvero di liquidazione “a stralcio” (sic):

si deve ribadire la necessità di distinguere fra «piccole percentuali» e «piccole invalidità permanenti» propriamente dette.

Le prime (…) sono reliquati a lenta risoluzione che costringono l'infortunato ad osservare cautele per qualche tempo dopo la guarigione clinica o ad evitare prestazioni particolari o a praticare cicli di cure.

Fra la conclusione della temporanea e la scomparsa di ogni esito menomante vi è infatti una fase intermedia di disturbo e di impaccio che giustifica la «piccola percentuale», la quale assume un significato meramente forfetario e scaturisce da una finzione (improntata a buon senso e ad un principio di equità) per la quale si attribuisce “qualche punto” non perché si ritenga permanente l'esito oggetto di esame, ma perché sarebbe iniquo chiudere il caso con il solo risarcimento per inabilità temporanea, mentre il leso continua (o ha continuato) «per qualche tempo» ad avere disturbi. Nella prassi extragiudiziaria si usa parlare di percentuale «a stralcio» o «equitativa» o «forfettaria»

(Introna, Significato e valutazione medico legale delle piccole invalidità permanenti, in Introna F. e Rodriguez D. (a cura di), Le piccole invalidità permanenti in responsabilità civile: valutazione medico-legale e costo economico, Giuffrè, Milano, 1994, 35).

Questa tesi però non è affatto condivisibile, né dal punto di vista

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Sotto il primo profilo, è stato rettamente osservato che in tema di micropermanenti occorre distinguere tra obiettività medico legali ben individuabili (ad esempio, rigidità articolari), e mere soggettività disalgiche (ad esempio, sindromi dolorose). La percentualizzazione di queste ultime, però, è stata ritenuta “medicolegalmente improponibile per la mancanza di un quantificabile presupposto fisiopatologico” (Chini, op. cit., 65), osservandosi che dinanzi a tali manifestazioni disalgiche il c.t.u. può soltanto descrivere al giudice l’entità del fastidio, ma non percentualizzarlo.

Orbene, se si ritiene non percentualizzabile un postumo eminentemente soggettivo come la sintomatologia dolorosa, a fortiori dovrà ritenersi non quantificabile in termini percentuali un postumo destinato a regredire con l’andare del tempo.

Sotto il profilo più strettamente giuridico, inoltre, la liquidazione “a stralcio” di uno o due punti d’invalidità anche nel caso di postumi a lenta regressione condurrebbe a veri e propri inquinamenti risarcitori. E’

necessario infatti sempre tenere ben distinti il danno temporaneo da quello permanente, e sarebbe irrazionale liquidare un danno temporaneo (anche se la permanenza si protrae per un lungo periodo di tempo), con i criteri normalmente adottati per liquidare un danno permanente. Tra l’altro, sarebbe ingiusto nei confronti del danneggiato, in quanto una invalidità temporanea di un anno - normalmente - è liquidata con somme maggiori rispetto ad una modesta invalidità permanente. Per fare un esempio, adottando il criterio “a punto” utilizzato dal tribunale di Roma, una invalidità temporanea al 50% di un anno sarebbe risarcita con la somma di

£ 12.410.000 (pari a £ 34.000 al giorno), mentre un invalidità permanente del 2%, in un soggetto quarantenne, sarebbe risarcita con la somma di £ 1.881.000 (quasi sei volte di meno!).

***

Tra i gli esiti micropermanenti più diffusi, va fatta infine menzione di quelli derivanti da traumi contusivi del ginocchio. Questo tipo di trauma è assai diffuso, specie in esito a sinistri stradali, in quanto l’articolazione del ginocchio è quella più esposta ad urti contro parti rigide dell’abitacolo.

Al contrario della distrazione del rachide cervicale e della sindrome neurasteniforme fisiogena, nei traumi contusivi del ginocchio non è infrequente la percentuale di esiti anche di rilevante entità. Quando tuttavia, l’urto è di scarsa efficienza lesiva, anche nel caso in esame può essere problematico accertare l’esistenza di postumi permanenti. La dottrina medico legale sottolinea la necessità che il medico ponga particolare attenzione - ancora una volta - all’esame anamnestico, alla valutazione

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dello stato anteriore ed alla ricostruzione d’un valido nesso causale tra sinistro e lesioni, e quindi tra queste ed i postumi.

E’ stata ritenuta, di conseguenza, non condivisibile la c.t.u. medico legale nella quale, in esito ad un modesto trauma contusivo del ginocchio, l’ausiliario concluse per l’esistenza di postumi, basandosi unicamente su una sintomatologia riferita dal periziato (difficoltà nell’accosciamento e nella flessione), in assenza di riscontri obiettivi o strumentali (ad esempio, eccedenza perimetrica dell’articolazione interessata rispetto alla controlaterale, TAC positiva). Questa la motivazione adottata in quel caso dall’organo giudicante:

il c.t.u. medico legale, per porre la propria diagnosi, può ritenere esistenti solo quei fatti che siano processualmente provati, cioè solo quei fatti che anche il giudice potrebbe porre a base della decisione. In altri termini, il c.t.u. medico legale non gode di maggiore libertà rispetto al giudice, nel ritenere accertato un fatto oggettivo: o tale circostanza è processualmente provata - in senso tecnico -, ed allora potrà essere posta dal c.t.u. a base delle proprie argomentazioni; ovvero non è provata, ed allora non potrà essere utilizzata né dal giudice, né dal c.t.u.; nell’esame obiettivo del ginocchio destro, uno dei distretti interessati dal trauma, [l’ausiliario] non ha rilevato esiti di lesioni legamentose (e conseguenti movimenti di lateralità o “a cassetto”); né ipomiotrofia della coscia destra; né difficoltà rilevanti di accosciamento: tutti sintomi, questi, della persistenza di postumi ascrivibili a distorsioni o contusioni del ginocchio, con conseguenti squilibri tra consistenza della cartilagine e richiesta funzionale dell’arto;

in generale, nell’esame obiettivo dei due distretti interessati dal trauma, come descritto nella relazione, non è stata obiettivamente rilevata alcuna positività medico-legale, ma è stato trascritto unicamente quanto riferito dall’attore. Infatti il dolore alla digitopressione o la riduzione dei movimenti dell’articolazione, sono tutti elementi condizionabili dalla collaborazione, cosciente o meno, del soggetto leso. Pertanto il medico- legale chiamato ad accertare l’esistenza di postumi permanenti non segue una corretta procedura gnoseologica, ed anzi compie un grave errore, ove utilizzi esclusivamente quanto dichiarato dal periziato per porre la propria diagnosi, senza alcun riscontro oggettivo. Il periziato infatti si trova nella particolarissima situazione di essere oggetto della perizia, ma di essere altresì soggetto del processo, e portatore di interessi economicamente apprezzabili nel processo stesso. L’ausiliario non può dunque arrestarsi a quanto riferito dal periziato, ma deve verificarlo scientificamente, controllarlo obiettivamente, giustificarlo medico-legalmente.

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Alla luce di queste premesse, si osserva che nel caso in esame il c.t.u. ha posto una diagnosi di sofferenza dell’articolarità del ginocchio e della spalla in assenza di riscontri medicolegalmente validi, cioè utilizzabili come prova ragionevole, e sulla scorta unicamente:

a) delle dichiarazioni del periziato;

b) di un “certificato di infortunio” indirizzato al datore di lavoro;

c) di due certificati del medico curante (specialista dermatologo), nei quali si dice genericamente che l’attore aveva “bisogno di cure”, senza prescrizioni di sorta; e senza che vi sia alcuna traccia di prescrizioni mediche puntuali; di cure seguite; di visite specialistiche; di esami radiografici, i quali sono di norma (art. 115 c.p.c.) il primo e più comune accertamento diagnostico cui ricorre un soggetto che alleghi disturbi ad un arto attinto da un trauma.

Non è pertanto logicamente credibile (art. 2729 c.c.), né razionalmente verosimile (art. 115 c.p.c.) che un soggetto il quale a quasi due anni dal sinistro (tanti ne sono trascorsi dall’evento alla visita peritale) lamenti ancora dolori all’arto colpito non abbia mai, medio tempore, sentito il bisogno di farsi visitare

(Trib. Roma 29.11.1996, Canosa c. Tirrena, inedita).

Nello stesso senso, Trib. Roma 16.3.1996, Brizzola c. Liguria, inedita; Trib. Roma 24.11.1995, Lucherini c. Cidas, inedita.

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