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MICROPERMANENTI: L’APPORTO DEL MEDICO-LEGALE G.-A. Norelli, M. Minigrilli, F. Sonati

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MICROPERMANENTI: L’APPORTO DEL MEDICO-LEGALE G.-A. Norelli, M. Minigrilli, F. Sonati

Premessa indispensabile ad ogni considerazione in tema di micropermanenti è che ogni forma di invalidità, maggiore, minore o minima, ha una dignità ed un valore perfetti e compiuti che si sostanziano nel diritto al risarcimento del bene perduto in ogni sua apprezzabile componente e nel dovere di accertare ogni apprezzabile componente menomativa del bene stesso con attenzione e scrupolo, affinché la comprensibile e giusta aspirazione a semplificare un procedimento (nella specie risarcitorio) non si traduca in una frettolosa e riduttiva elargizione, priva dei caratteri definitori e complessi dell’onere risarcitorio. Una premessa opportuna, ci sembra, soprattutto perché non si guardi alla recente legge n.57 del 5 marzo 2001 (1) come pertinente ad invalidità “secondarie” per le quali, dunque, non meriti attivarsi a definirne le caratteristiche qualitative e di quantità, che sono proprie ad ogni titolo di risarcimento, magari auspicandone una traduzione attuariale riconducibile a mera formula matematica di semplice applicazione, presupponendo una percentuale più o meno standardizzata per certi tipi di danno, un valore economico del punto percentuale definito per legge e quindi un risarcimento in automatismo. Così non è, ovviamente e il contenuto letterale e di sostanza della legge medesima indica in modo inequivoco il percorso risarcitorio, anche se talune puntualizzazioni d’indole medico-legale non sembrano, ad ulteriore chiarimento, del tutto inopportune. Abbandonata (2) l’anacronistica polemica fra la nozione di “danno biologico” e quella di “danno alla salute”, termini impiegabili, pur con imperfetta proprietà, come sinonimi ed avendo ben chiaro, quindi, che si cita l’uno per considerare l’altro (3), ricordando che è il “bene salute” che rimane pur sempre l’oggetto della tutela come sancito dall’art.32 della Costituzione, giova qui solo ricordare come la Giurisprudenza abbia ribadito più volte il concetto secondo cui il danno biologico rappresenta “la menomazione arrecata all’integrità psico-fisica della persona in sé e per sé considerata, incidente sul valore umano in ogni sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti il soggetto nell’ambiente in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche spirituale, sociale, culturale ed estetica” (4), tant’è che la “liquidazione del danno alla salute deve avvenire mediante l’individuazione del <<valore umano>> perduto, fatta attraverso la personalizzazione, qualitativa e quantitativa.” (5). Nella prospettiva di pervenire ad una nozione univoca ed unitaria, a prescindere dall’ambito normativo in cui si proponga, la S.I.M.L.A. al Convegno di Riccione del maggio 2001, prima, e, poi, al Congresso di Ferrara del novembre 2001 (6), si è espressa, definendo il danno biologico come “la menomazione permanente e/o temporanea all’integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali, passibile di accertamento e di valutazione medico-legale ed indipendente da ogni riferimento alla capacità di produrre reddito” ed ancora indicando che “la valutazione del danno biologico è espressa in termini di percentuale della menomazione alla integrità psico-fisica comprensiva dell’incidenza sulle attività quotidiane comuni a

Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Anatomia, Istologia e Medicina Legale – Sezione di Medicina Legale (Direttore: Prof. Gian-Aristide Norelli)

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tutti. Nel caso in cui la menomazione stessa incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali e personali, la valutazione è completata da indicazioni aggiuntive”. In tale prospettiva si conferma pertanto che il danno biologico non si rappresenta solo come danno all’integrità psico-fisica, ma comprende anche i riflessi su altri e diversi aspetti quali quelli relazionali e soggettivi propri alla quotidianità, derivandone la necessità che la valutazione abbia caratteristiche di imprescindibile personalizzazione ed individualità;

tenuto conto, inoltre, che in esso si ricomprendono anche gli eventuali ulteriori riflessi della menomazione sulla cenestesi individuale della persona danneggiata, per sua natura unica, quali gli aspetti ludici-ricreativi ed interpersonali specifici e di particolare valenza, non vi è chi possa ancora dubitare come debba inevitabilmente giungersi all’assoluta singolarità nella valutazione stessa. Dovendosi peraltro notare come la personalizzazione del danno biologico non possa prescindere, anzitutto, dalla motivazione qualitativa dell’espressione percentuale, non potendosi ritenere sufficiente ed accettabile la mera indicazione numerica e successivamente dall’applicazione di correttivi idonei a rendere la valutazione stessa effettivamente propria alla realtà individuale, rispetto a qualsiasi modello di standardizzazione, permanendo l’apporto irrinunciabile dello specialista medico-legale nel momento in cui sappia motivare attraverso l’elaborazione concettuale con espressione logica propria della Disciplina, ogni valutazione di sintesi che pur si richiami ad indicazioni tabellari con argomenti che sappiano renderne chiara la genesi (7).

Sul punto, peraltro, si esprime in termini inequivoci, ancorché imperfetti, la legge n. 57/01, allorché subordina alla apprezzabilità medico-legale , la natura stessa di danno biologico attribuibile alla lesione, tanto che può in definitiva dirsi che non è possibile alcun apprezzamento sulla sussistenza o meno di un danno biologico (micro-) permanente né, a maggior ragione, sulla valutazione eventuale e conseguente della invalidità, se non previo accertamento medico legale volto all’apprezzamento qualitativo, quantitativo, descrittivo e diagnostico della lesione medesima. E mal si concilia, occorre dirlo, la previsione di tabelle approvate per legge nell’ambito della valutazione del danno biologico in responsabilità civile (sia per le micro- che per le macro- permanenti) con valenza tassativa e prive, dunque, dell’insostituibile carattere di indicatività che alle tabelle stesse la Dottrina medico legale (8), ma anche la Suprema Giurisprudenza ha inteso costantemente riservare (9). Non solo, ma la componente dinamico-relazionale, elemento indubbiamente costitutivo del danno biologico (10) che ne rappresenta il sostanziale “quid” di personalizzazione, mal si presta ad essere contenuto entro rigidi schematismi numerici; dovendosi anche per questo rifuggire dal rigore di un “barème” che impedirebbe di fatto al valutatore di considerare ogni aspetto di individualità nella sintesi del danno biologico nelle componenti proprie alle personalità singole. Negandosi nei termini la correttezza valutativa medico legale che si diversifica dalla apodittica espressione percentuale proprio in quanto, per definizione metodologica, traduce e modula l’incidenza su persone diverse di analoghe menomazioni, senza indulgere ad iniqui automatismi e perseguendo il risarcimento più giusto alla soggettività della <<persona>> menomata (11). A tal proposito, esaminando la legge 57/01 ed in particolare il comma 4 dell’art.5, ove è previsto “un ulteriore risarcimento tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato”, è subito da segnalare come ogni problematica interpretativa debba potersi considerare risolta in termini concettuali, posto che per

“condizioni soggettive” non può significarsi altro che la componente relazionale

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del danno che non incida sui comuni atti della vita quotidiana , (essendo, in tal caso, già ricompresa a pieno titolo nella percentuale di danno biologico, come anche la stessa Corte di Cassazione, proprio in riferimento alle micropermanenti, aveva già indicato (12), ma la quota eventuale ed ulteriore che assume un aspetto qualitativamente particolare e rilevante nel singolo caso. Se questo è, come non può essere diversamente, del resto, e dovendosi ricomprendere ad ogni effetto tale componente all’interno del danno biologico passibile di apprezzamento medico-legale, occorre che il valutatore descriva analiticamente e con minuziosa dovizia i riflessi negativi della menomazione sulla vita relazionale del danneggiato, cioè sui particolari aspetti dinamico- relazionali, personali e peculiari opportunamente demandandosi la sintesi attuariale ad un idoneo ristoro equitativo, rifuggendo dai rischi, soprattutto in termini di omogeneità di valutazione, che possono gravare su un’ipotesi di incremento percentualistico. Ciò, peraltro, e di ciò si deve essere altrettanto consapevoli, secondo un auspicio e di pura matrice culturale! Posto che nella pratica, sarà purtroppo l’ipotesi di un incremento percentuale del danno che si richiederà – impropriamente – alla valutazione medico-legale, come sovente accade anche per la componente di danno patrimoniale di pertinenza medico- legale. E tale ipotesi ancor più sembra ineludibile in riferimento al danno biologico derivante da un evento tutelato dall’assicurazione sociale contro i rischi del lavoro, ove una tabella approvata per legge, la previsione di una franchigia per il danno biologico, la limitazione di accesso alla tabella dei coefficienti rapportata alla percentuale di danno biologico stesso e l’assenza di meccanismi di integrazione equitativa al sistema di indennizzo, non potrà non creare un esteso contenzioso allorché ci si trovi di fronte ad una componente dinamico-relazionale del danno che non trovi un riscontro attuariale diverso rispetto alla percentualizzazione, all’interno di una nozione di “danno biologico”

di cui è certamente parte essenziale ed integrante.

Né può aprioristicamente ammettersi e sarebbe grave errore presumerlo, che da una invalidità “micropermanente” non possa discendere una significativa quota della componente dinamico-relazionale del danno, sol che si pensi alla incidenza di una menomazione articolare in un soggetto che dimostrativamente pratichi attività sportiva non professionistica o frequenti costantemente la palestra o di un danno estetico nella componente psico-emotiva di una giovane che si senta costretta a privarsi di rapporti relazionali e intersoggettivi con secondarie implicazioni importanti sulla cenestesi personale (a meno che, per negare l’evidenza relazionale e psicologica, non si preferisca ammettere la necessaria introduzione del “danno esistenziale”, bypassando le più note, certe ed effettive entità passibili di risarcimento) (13).

Analogamente, può dirsi per ciò che attiene la valutazione del danno patrimoniale, per la componente passibile di accertamento medico-legale, ipoteticamente incidente sulla riduzione del reddito del leso, da dimostrare, quale conseguenza delle lesioni sofferte. La valutazione descrittiva investe, ovviamente, la capacità lavorativa specifica od in altre attività assimilabili a quella effettivamente svolta, quale componente naturalistica passibile di apprezzamento medico. È compito del medico legale, in altri termini, stimare non già il lucro cessante, civilisticamente inteso, ma l’eventuale presupposto naturalistico di questo, ossia la componente fisio-psichica eventualmente condizionante in senso negativo la capacità del soggetto di lavorare con riferimento all’attività che può tradursi in reddito, essendo altrui competenza la traduzione o meno di essa in un’effettiva o prevedibile decurtazione reddituale

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(14). L’espressione di adeguate considerazioni valutative a tal riguardo si fonda sul presupposto che il medico legale integri un rigoroso esame obiettivo, teso all’accertamento dell’entità anatomo-funzionale della menomazione, con un dettagliato resoconto anamnestico lavorativo-occupazionale, supportato dalla eventuale documentazione esibita dal leso ; da ciò l’essenzialità dell’apporto dello specialista che a prescindere da espressioni numeriche, apprezza e descrive in modo analitico e puntuale l’eventuale tradursi della menomazione in effetto negativo sulla possibilità del soggetto di assolvere alle mansioni proprie e pertinenti, esprimendo, infine, il suo giudizio in forma sintetica e utile ai fini pratici, magari, come altrove si è detto, (15) con un’aggettivazione quantitativa (lieve, medio o grave) o al più con una connotazione per gradi. La ammissibilità di un danno patrimoniale, del resto, già anche da uno di noi ampiamente ritenuta pur a fronte di una micropermanente (16), si è dimostrata all’interesse della Corte di Cassazione in numerosi pronunciamenti che sono andati progressivamente modellandosi. Da sentenze, infatti, a carattere aprioristicamente negativo, del tipo:

• (17) n. 8769/98: “… nel caso di danno alla salute di modesta entità, può presumersi che i postumi derivati dalle lesioni non avranno alcuna conseguenza sull’attività di lavoro e sulla conseguente capacità di produrre reddito, al contrario, nel caso di postumi permanenti i quali superino la soglia delle cosiddette micropermanenti…sussiste una presunzione opposta: e cioè che l’invalidità conseguente al sinistro inciderà in modo apprezzabile sulla capacità di guadagno del danneggiato”;

• (18) n. 12241/98: “le cosiddette micropermanenti, di norma, non riducono la capacità di lavoro e di guadagno del soggetto. Pertanto il danneggiato il quale alleghi una riduzione della propria capacità di lavoro in conseguenza di un danno alla persona con modesti esiti permanenti, ha l’onere di dimostrare non solo l’esistenza di una contrazione del reddito, ma altresì l’esistenza di un valido nesso causale tra tale contrazione e la menomazione fisica sofferta”;

si è passati ad argomentazioni indubbiamente di più ampia e favorevole prospettiva:

• (19) n. 2679/00: “i postumi permanenti di modesta entità (cd.

micropermanenti) non si traducono di regola in una proporzionale riduzione della capacità lavorativa specifica; resta, tuttavia, ferma la possibilità del danneggiato di dimostrare che il danno, sia pur lieve, abbia una concreta incidenza sulle sue possibilità di guadagno futuro”;

• (20) n. 2824/01: “nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti una attività lavorativa (ovvero quando, pur non svolgendo ancora alcun lavoro sia presumibile che lo svolgerà in futuro) e il grado d’invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (cosiddette

<<micropermanenti>>), un danno da lucro cessante conseguente alla riduzione della capacità lavorativa (nota o prevedibile) in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno alla salute, ovvero di danno morale”.

L’ultima sentenza citata, del tutto condivisibile, indica, quindi, come non sia da escludere aprioristicamente che da una menomazione dell’integrità fisica (e psichica pur se non esplicitamente menzionata), quantunque di lieve entità da ricomprendersi nell’alveo delle micropermanenti, possa derivare un danno patrimoniale, determinato da una riduzione della capacità lavorativa specifica

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concreta ed attuale del danneggiato ovvero “in fieri”, che ulteriormente definisce e completa la assoluta individualità del concetto di risarcimento cui costantemente occorre richiamarsi nell’ambito della tutela.

Un’altra importante fattispecie di danno-conseguenza, la cui liquidazione è demandata al giudice in forma assolutamente equitativa e la cui risarcibilità è subordinata al verificarsi di un reato (art.2059 C.C), è costituita dal danno morale subiettivo, che si sostanzia, secondo la Giurisprudenza, “nel transeunte turbamento psicologico del soggetto offeso” (21), ossia come una sorta di corrispettivo economico della sofferenza, della perdita della gioia di vivere e dei patimenti che il soggetto deve subire a cagione delle lesioni e dei trattamenti necessari a lenire, se non a risolvere, le conseguenze delle lesioni stesse. È proprio su quest’ultimo aspetto, dunque, che il giudice dovrebbe ricorrere alla competenza medico-legale per ottenere una descrizione dei trattamenti patiti e patendi del soggetto, al fine di trarne indicazioni per esprimere il suo prudente apprezzamento. Per rendere più uniforme la liquidazione del danno morale, la prassi giurisprudenziale mostra, spesso, di adottare criteri fondati sulla liquidazione di una somma rapportata all’invalidità da danno biologico, ancorando di fatto l’entità del danno morale alla percentuale espressa per misurare l’invalidità medesima, secondo una formula palesemente iniqua ed arbitraria, posto che, sovente, l’invalidità da danno biologico ed il danno morale non sono tra loro correlati secondo una diretta proporzionalità.

Si pensi, ad esempio, al caso di un soggetto che abbia subito ferite al volto, cui siano residuate evidenti cicatrici e che, sottoponendosi a numerosi, stressanti e dolorosi interventi chirurgici, seguiti da altrettanto penosi periodi di convalescenza, ottenga che il danno cicatriziale, sia in gran parte emendato, tanto da risultare un danno biologico di lieve entità. Non vi è dubbio che, in tal caso, a fronte di una modesta invalidità, esiste un danno morale assai elevato, la cui realtà ben potrebbe sfuggire al giudice in assenza di una puntualizzazione dimostrativa che solo il medico-legale può fornire. In altri Paesi, del resto, già è invalso l’uso di graduare il danno morale secondo una scala che ben può avvalersi dell’ausilio del medico valutatore per individuarne la parametrazione (22), ad ulteriore dimostrazione, se ve ne fosse bisogno, che pur in ambiti in cui la sintesi di giudizio sembri prescindere da valutazioni naturalistiche, la metodologia descrittiva che è propria alla Medicina Legale si pone come garanzia di equità, sottolineando atti, riflessi ed aspetti che solo la competenza medica è in grado di evocare. Né vi è chi possa negare che proprio nella valutazione delle micropermanenti si è portati, impropriamente, a considerare come inesistente o marginale l’ipotesi di danno morale subiettivo, invertendo l’ordine concettuale dell’andamento fenomenico secondo cui sovente accade che proprio con maggior sofferenza e maggior tempo di impegno e di fastidio, si riesce ad ottenere un minor danno permanente . Donde non può, in definitiva che ribadirsi il ruolo e la funzione della Medicina Legale proprio a fronte delle micropermanenti, che, lungi dal doversene minimizzare le possibili implicazioni risarcitorie, devono considerarsi invece con attenzione crescente per le difficoltà di valutazione che ad esse possono connettersi, quali si sono sopra richiamate e sia per le indubbie possibilità di abuso che possono sottendere. Non rifuggendo da una doverosa autocritica, una doverosa autocritica, fin troppo spesso la stessa pratica medico-legale, discostandosi da ciò che la Dottrina prevede, affronta il tema delle micropermanenti in termini erroneamente banalizzanti, probabilmente indotta a ciò dalla messe di <<colpi di frusta>> o assimilati più o meno reali, che tendono a confondere

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l’accertamento medico-legale con l’atto ripetitivo e quasi automatico che è proprio dinanzi ad eventi più o meno identici tra loro; dimenticandosi che in Medicina Legale ogni caso è solo uguale a se stesso perché solo uguale a se stessa è la persona danneggiata e quindi il risarcimento che le compete.

Sovente, dunque, il problema delle micropermanenti si è affrontato secondo implicazioni culturalmente inidonee, valorizzandosene soltanto i pur giusti aspetti economici e di rilevanza socio-attuariale che rendono assolutamente non “banale” il peso che le micropermanenti hanno nel novero dei danni da sinistro stradale annualmente liquidati. Basti pensare alle statistiche nazionali (ANIA) relative all’anno 2001, secondo cui l’incidenza di sinistri stradali con danni a persone è pari al 20-21%, essendo di questi la quota di danno biologico residuata inferiore o pari al 3% nel 92-94%, mentre il costo medio della “pratica”

per una micropermanente (sempre intesa uguale o inferiore al 3%) si aggira intorno ai 3000-3500 euro.

In termini generali, dunque, è indubbio che il tema delle “micropermanenti”

solleva grandi e contrapposti interessi: da una parte, infatti, le Compagnie di Assicurazione che, stante una prassi iniqua in relazione alla tutt’altro che infrequente sopravvalutazione delle micropermenenti stesse, accolgono favorevolmente i contenuti programmatici della Legge 57/01, promuovendone gli attesi sviluppi tabellari ed ogni altra conforme iniziativa tesa al contenimento della spesa; dall’altra il danneggiato, che comprensibilmente esige la tutela del diritto al risarcimento integrale e completo del danno patito. La contrapposizione di tali interessi oltrechè medicolegalmente impropria è sterile , in quanto, pur nella diversità dei principi, appaiono entrambi giusti e legittimi e, pertanto, ugualmente meritevoli di considerazione. Il momento mediatorio alla

“querelle” è da ricercare nell’approccio, squisitamente dottrinario, che solo la Medicina Legale può offrire: è opportuno, infatti, paventare che l’incamerazione legislativa delle micropermanenti costituisca un insulto alla “verità” e quindi al diritto alla salute del leso oltrechè una dimostrazione di scarsa considerazione della Disciplina Medico-Legale ed indicare proprio nella ricerca della verità obiettiva, il solo metodo per valutare il danno, ancorchè biologicamente lieve, in forma però equamente personalizzata e nella sua reale entità, come la natura stessa del risarcimento impone. Compete, dunque, alla Dottrina medico-legale di fornire agli specialisti criteri di riferimento omogenei e offrire al Legislatore gli elementi tecnico-scientifici che consentano di colmare le lacune definitorie ed applicative, in ragione delle quali l’attuale normativa si connota per

“provvisorietà” se non addirittura, come da più parti sollevato, per dubbia aderenza ai principi costituzionali. È alla Medicina Legale in definitiva, che compete porsi come testimone degli ambiti che devono costituire la materia risarcitoria anche per le micropermanenti e soprattutto come garante di un metodo che persegua il giusto contemperamento fra la valutazione naturalistica, l’individualizzazione del danno, la sintesi attuariale e l’equità risarcitoria, sottese al caleidoscopio di immagini in cui si sostanzia il danno alla persona.

NOTE E BIBLIOGRAFIA

(1) Legge 5 marzo 2001, n.57 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.66 del 20 marzo 2001), art.3: “…per danno biologico si intende la lesione all’integrità

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psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione di reddito del danneggiato”, art.4: “….il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni di soggettive del danneggiato”;

(2) Cass. Civ., Sez. III, 3 dicembre 1991 n. 2003-4-5 e 10 dicembre 1991, n. 1932 in Zacchia, 66, 182, 1993 e Cass. Pen., Sez. III, 12 gennaio 1999 in Riv. It. Med. Leg, 21, 1344, 1999;

(3) Norelli G-A., Atti del Convegno “Danno biologico. Danno base…”, Riccione, 9-11 maggio 2001, 14;

(4) Cass. Civ., Sez. III, 9 dicembre 1994, n. 10539 in “La valutazione del danno alla persona intesa come unità biologica alla luce delle più recenti disposizioni di leggi”, Umani Ronchi G., Atti del Convegno “Danno biologico.

Danno base…”, Riccione, 9-11 maggio 2001, 77;

(5) Cass. Civ., Sez. III, 14 maggio 1997, n.4236 e Cass. Civ., Sez. III, 24 giugno 1997, n. 5675 in Zacchia, 16, 115, 1998;

(6) Mozione approvata dal Consiglio Direttivo della S.I.M.L.A e votata all’unanimità dall’assemblea dei partecipanti al Congresso Nazionale SIMLA “Il danno biologico. Danno base…”(Riccione, 9-11 maggio 2001) e alle IV Giornate estensi di Medicina Legale e delle Assicurazioni, III Consensus Conference S.I.M.L.A, “Il danno biologico. Danno base… per un nuovo decalogo ed una disciplina organica del danno biologico”, (Ferrara, 28-30 novembre);

(7) Norelli, G-A, “Medicina Legale e Danno Esistenziale”, in CD-ROM Tagete, Rivista Medico Giuridica sul danno alla persona, anno VIII n.1, marzo 2002;

(8) Bargagna M. et al., “Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente”, Ed. Giuffrè, Milano, 2001;

(9) Cass. Civ., Sez. III, n.11982/1998: “... pur condividendo l’utilità e l’equità del calcolo tabellare ... deve essere accuratamente evitato ogni automatismo, dovendosi considerare la lesione della salute in concreto, in tutti i suoi aspetti, socialmente rilevanti, per l’integrale tutela del danno alla persona umana” in Bentivegna R.,“Il danno alla salute è stato recepito nell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali?”, Riv. Giur. del Lav. e della Prev. Soc., 4, 2001, 616;

(10) Cass. Civ., Sez. III, 17 nov. 1999, n.2542 in Zacchia, 23, 207, 2000: “il danno alla vita di relazione, che si concretizza nell’impossibilità o nella difficoltà... di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, rientra, quando non abbia effetti di ordine patrimoniale, nel danno biologico...”;

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(11) Bentivegna R., “Il danno alla salute è ….”, loc.cit.

(12) Cass. Civ., Sez. III, 15 ottobre 1997, n. 2577 in Zacchia, 16, 256, 1998:

“le micropermanenti...comportano il diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi...tenendo presente... gli esiti invalidanti e le limitazioni psico-fisiche delle lesioni subite in relazione all’età dell’infortunato, al suo ambiente sociale, alla sua vita di relazione”;

(13) Rossetti M, “Il danno da lesione della salute. Biologico, Patrimoniale, Morale”, Ed. Cedam, Padova, 2001; Norelli G-A, “La valutazione del danno alla persona nell’ambito della Responsabilità Civile” in De Ferrari F., Norelli G-A, Tavani M., “La valutazione del danno alla persona quale conseguenza di lesioni traumatiche”, Ed. Masson, Milano 2000;

(14) Norelli G-A, “Spunti dottrinari in tema di riduzione della capacità lavorativa specifica”, in “Lucro cessante, danno emergente”, Collana Medico- Giuridica, n.5, Ed. Melchiorre-Gioia;

(15) Norelli G-A, “La valutazione del danno alla persona…”, loc.cit.;

(16) Norelli G-A et al., “Il danno biologico nella tutela dei rischi del lavoro: un personaggio in cerca di autore”, Notiziario INCA, anno XVIII, n°4, aprile 2001;

(17) Cass. Civ., Sez. III, 3 settembre 1998, n. 8769, da Iuris Data;

(18) Cass. Civ., Sez. III, 2 dicembre 1998, n.12241, da Iuris Data;

(19) Cass. Civ., Sez. III, 26 settembre 2000, n. 2679, in Zacchia, 18, 181, 2001;

(20) Cass. Civ., Sez. III, 9 gennaio 2001, n.2824, in Zacchia, 19, 292, 2002;

(21) Sentenza Corte Costituzionale, 14 luglio 1986, n.184;

(22) Si veda a titolo esemplificativo la classificazione adottata per il danno morale, distinto in: minimo (<1); molto lieve (1/7); lieve (2/7); moderato (3/7);

medio (4/7); abbastanza grave (5/7); importante (6/7); molto grave (7/7);

gravissimo (>1), in Fiori A., “Evoluzione, problemi e prospettive del risarcimento del danno alla persona da responsabilità civile”, Diritto e Economia dell’Assicurazione 1997, 39,3.

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