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Prof. Massimo Caratelli Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario. [Estensore]

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Academic year: 2022

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IL COLLEGIO DI ROMA

composto dai Signori:

Dott. Giuseppe Marziale Presidente

Dott.ssa Claudia Rossi Membro designato dalla Banca d'Italia

Prof. Avv. Andrea Gemma Membro designato dalla Banca d'Italia

Prof. Massimo Caratelli Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario

Prof. Avv. Marco Marinaro Membro designato dal C.N.C.U.

[Estensore]

nella seduta del 25/01/2013 dopo aver esaminato x il ricorso e la documentazione allegata;

x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;

x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,

Fatto

Il ricorso verte sul mancato pagamento di un assegno bancario emesso dalla delegata (odierna ricorrente) ad operare sul c/c, presentato per l’incasso quarantanove giorni dopo l’emissione, e successivamente al decesso dell’intestataria del c/c.

Più precisamente la ricorrente, che aveva facoltà di operare sul c/c in forza di delega conferitale dall’intestataria del conto stesso (deceduta il 19.03.2010), in data 05.03.2010 emetteva assegno bancario per un importo di € 900,00; l’assegno ritornava insoluto “per decorso dei termini”.

Alla questione principale del mancato pagamento dell’assegno si affianca, nel ricorso, un’ulteriore doglianza della ricorrente, in ordine al fatto che la banca ha richiesto alla delegata (erede della de cuius) di presentare la dichiarazione di successione. Secondo la prospettazione della parte ricorrente tale richiesta di

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documentazione non sarebbe legittima, stante l’esonero previsto dall’art. 28, comma 7, D.lgs. 346/1990 per il caso in cui il de cuius non possedesse beni immobili o diritti reali immobiliari.

Pertanto, la ricorrente chiede al Collegio:

- di accertare l’illegittimità dell’operato dell’intermediario con riferimento al mancato pagamento dell’assegno;

- di accertare l’illegittimità della richiesta di dichiarazione sostitutiva;

- di ordinare all’intermediario il rimborso delle spese sostenute dalla ricorrente per la certificazione di successione (€ 120,00);

- di ordinare all’intermediario il rimborso di € 11 riguardanti le commissioni percepite dalla banca per l’assegno reso impagato;

- la liquidazione dei danni subìti in termini di immagine per il mancato pagamento dell’assegno.

Nelle controdeduzioni dell’intermediario viene precisato che:

- l’assegno emesso dalla ricorrente/delegata il 5.03.2010 era presentato per l’incasso - presso altro intermediario - in data 22.04.2010 e scambiato in stanza di compensazione in data 23.04.2010;

- la banca era venuta a conoscenza del decesso dell’intestataria del conto in data antecedente al 23.04.2010 in virtù di comunicazione da parte dell’ INPS;

- l’art. 32 R.D. 21.12.1933 n. 1736 (l.a.) prevede un termine preciso per la presentazione dell’assegno bancario all’incasso; nel caso di specie era trascorso più di un mese (49 giorni);

- la banca ha ritenuto di non procedere al pagamento dell’assegno, in considerazione del fatto che dal momento dell’emissione a quello della presentazione del titolo (arco temporale più ampio di quanto previsto dall’art. 32 l.a.) era intervenuto il decesso dell’intestataria del conto.

Con riferimento alla richiesta di documentazione, questione che “non è in nessun modo collegata” al mancato pagamento dell’assegno, l’intermediario afferma la legittimità del proprio operato, evidenziando che l’art. 28, comma 7, D.lgs. 346/1990 prevede l’esonero dalla dichiarazione allorché siano presenti,

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congiuntamente, tutti i requisiti elencati, gravando sull’interessato l’onere di provarne la sussistenza.

Precisa inoltre che per quanto riguarda le spese reclamate dalla ricorrente, si tratta di un addebito di € 120,00 (contabilizzato il 17/5/2010) per spese certificazione successione. Infatti, a fronte della richiesta di rilascio certificazione per successione la banca percepisce le suddette spese previste dal foglio informativo.

Inoltre l’addebito di € 11,00 contabilizzato il 12/4/2010 riguarda commissioni per l’assegno in questione reso impagato percepite dalla banca.

In conclusione la resistente chiede all’ABF di rigettare il ricorso in quanto privo di fondamento:

- in ragione della legittimità (e diligenza) della condotta tenuta dall’intermediario;

- in quanto, comunque, non risulta provato il pregiudizio del diritto all’immagine lamentato dalla ricorrente, né d’altronde il nesso eziologico che lo legherebbe alla condotta dell’intermediario.

Diritto

La prima domanda posta all’esame del Collegio verte sul mancato pagamento di un assegno bancario emesso dalla delegata (odierna ricorrente) ad operare sul c/c, presentato per l’incasso quarantanove giorni dopo l’emissione, e successivamente al decesso dell’intestataria del c/c.

La banca resistente al fine di legittimare il mancato pagamento invoca la corretta applicazione dell’art. 32 del R.D. 21.12.1933 n. 1736 in base al quale

“l’assegno bancario deve essere presentato al pagamento nel termine di otto giorni se è pagabile nello stesso comune in cui fu emesso; di quindici giorni se è pagabile in altro comune dello Stato… I termini suddetti decorrono dal giorno indicato nell’assegno bancario come data di emissione”.

In applicazione della norma citata la resistente chiarisce che essendo decorso un periodo di 49 giorni dall’emissione «non è stato possibile procedere al

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pagamento tenuto anche conto del fatto che … era già noto alla banca il decesso della titolare del conto corrente».

La banca evidentemente ritiene che, scaduto il termine di presentazione, ove non sia stato revocato l’assegno, il trattario potrà anche rifiutare, indipendentemente dall’esistenza della provvista, il pagamento del titolo, e ciò in collegamento con l’interpretazione dell’art. 35, comma 2, R.D. 1736/1933 ove si legge che la banca, secondo la lettera della disposizione richiamata, può – non già deve – pagare, s’intende sempre verso il traente.

La banca quindi aderisce a quell’orientamento dottrinale il quale interpreta il secondo comma dell’art. 35 della legge assegni quale “[…] norma [che] sembra parificare la disciplina del pagamento dell’assegno presentato dopo lo spirare del termine di presentazione e non revocato («… il trattario può pagare») alla disciplina applicabile all’assegno presentato entro il termine e revocato […]. Si afferma, pertanto, che scaduto il termine di presentazione, ove non sia stato revocato l’assegno, il trattario potrà anche rifiutare, indipendentemente dall’esistenza della provvista, il pagamento del titolo, poiché egli, secondo la lettera della disposizione in rassegna, può – non già deve – pagare, s’intende sempre verso il traente […]”.

Sulla questione il Collegio ritiene invero di aderire ad altro autorevole orientamento dottrinale in base al quale in mancanza di revoca persiste inalterato l’obbligo di pagare. L’art. 35, comma 2, R.D. 1736/1933 a differenza del comma 1, si occupa soltanto di assicurare la possibilità giuridica del pagamento (e cioè la sua irripetibilità) nel terzo rapporto (“il trattario può pagare”), senza impedire che tale possibilità assurga al valore di obbligo nel rapporto di provvista. È ovvia in ogni caso l’ammissibilità di una clausola contraria.

Orbene anche la notizia pervenuta alla banca – seppure indirettamente – del decesso del titolare del conto corrente, non altera gli effetti dell’assegno secondo quanto previsto dall’art. 36 R.D. 1736/1933.

A tale interpretazione consegue l’accoglimento della domanda formulata dalla ricorrente per l’accertamento della illegittimità della condotta dell’intermediario con riferimento al mancato pagamento dell’assegno per il quale risultava sussistente la relativa provvista.

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All’accoglimento della domanda sopra indicata consegue anche l’accoglimento della connessa domanda relativa al rimborso delle commissioni pari ad euro 11,00 percepite dalla banca resistente per l’assegno reso impagato. La resistente dovrà quindi versare a titolo di danno ed in favore della ricorrente l’importo pari ad euro 11,00 (undici).

Nel ricorso viene formulata anche domanda al fine di accertare la dedotta illegittimità della banca nel richiedere la dichiarazione di successione alla ricorrente quale erede della de cuius titolare del conto corrente in questione.

La disciplina di riferimento è contenuta nell’art. 28, comma 7, D.lgs. 346/1990:

“Non vi è obbligo di dichiarazione se l'eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l'attivo ereditario ha un valore non superiore a lire cinquantamilioni e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, salvo che per effetto di sopravvenienze ereditarie queste condizioni vengano a mancare.”

Sul punto, come si evince dalla corrispondenza agli atti del procedimento, la banca ha confermato già con la nota del 24.6.2010 l’applicazione della norma sopra indicata al ricorrere dei relativi presupposti non emergendo dunque un comportamento censurabile e, quindi, contrastante con la normativa vigente ed applicabile al caso di specie. La relativa domanda non può quindi trovare accoglimento.

Come non può trovare accoglimento anche la domanda relativa al rimborso delle spese “certificazione successione”. Trattasi di costo addebitato alla cliente e previsto dal foglio informativo che attiene al rilascio della dichiarazione riferita alla data del decesso di consistenza di tutti i rapporti a credito.

La ricorrente chiede infine “la liquidazione dei danni subiti in termini di immagine per il mancato pagamento dell’assegno”. Specifica inoltre nel reclamo che la vicenda “le ha creato danni e discredito nella sua attività. Per non parlare delle perdite di tempo e fatica”.

La domanda di danni appare ampia e formulata in maniera atecnica tale da includere sia i danni patrimoniali sia quelli non patrimoniali. Tuttavia, quanto alla richiesta risarcitoria di danni patrimoniali, si osserva che la ricorrente non ha fornito elementi di prova.

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In proposito, va richiamato il principio giurisprudenziale in base al quale spetta al danneggiato l’onere di fornire la «prova di un concreto pregiudizio economico subìto ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione del danno» (cfr.

tra le tante: Cass. Civ, Sez. I, sent. n. 7211 del 25/3/2009). Si osserva altresì che, in mancanza della prova del danno, non è possibile neppure procedere alla liquidazione in via equitativa, in quanto «L'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 cod.

civ. (…) presuppone che sia provata l'esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza» (Cass. Civ., Sez. III, 30 aprile 2010, n. 10607).

In relazione poi ai danni non patrimoniali la ricorrente lamenta un danno all’immagine, ma non risulta allegata, a tal fine, documentazione volta ad attestare tali circostanze.

Per tale ragione anche l’ampia domanda risarcitoria non può trovare accoglimento.

P.Q.M.

Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Dispone inoltre che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla ricorrente di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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