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[Estensore] Avv. Michele Maccarone Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario

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Academic year: 2022

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IL COLLEGIO DI ROMA

composto dai Signori:

Avv. Bruno De Carolis Presidente

Avv. Alessandro Leproux Membro designato dalla Banca d'Italia

Avv. Massimiliano Silvetti Membro designato dalla Banca d'Italia [Estensore]

Avv. Michele Maccarone Membro designato dal Conciliatore Bancario e Finanziario

Prof. Avv. Liliana Rossi Carleo Membro designato dal C.N.C.U.

nella seduta del 04/07/2013 dopo aver esaminato:

x il ricorso e la documentazione allegata;

x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;

x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,

FATTO

In data 11 aprile 2006 la banca deliberava a favore della ricorrente l’accollo di un mutuo a tasso variabile per l’erogazione dell’importo di € 95.985,79 al fine dell’acquisto dell’abitazione principale da parte della mutuataria.

In data 29 settembre 2008 la ricorrente aderiva alla proposta di rinegoziazione, ex art. 3 D.L. n. 93/2008 e conseguente Convenzione ABI/MEF del 19 giugno 2008, per la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile stipulati anteriormente al 29 maggio 2008.

Dopo l’anzidetta rinegoziazione, la ricorrente – alla luce di alcune difficoltà nel pagamento delle rate – presentava alla banca ulteriori richieste volte a modificare l’importo della rata semestrale, di circa € 6.000,00. La ricorrente afferma però di aver avuto soltanto

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piano di ammortamento del mutuo.

Segnatamente, nel corso del 2011 le fu prospettata telefonicamente la possibilità di

“bloccare” le rate di prossima scadenza e per poter rientrare dei pagamenti scaduti e le fu promesso che, dopo il saldo del pregresso, il mutuo sarebbe stato rinegoziato.

Circa un anno più tardi, sempre telefonicamente, le fu proposto di “bloccare” la rata semestrale con scadenza marzo 2013, con la possibilità di pagare la rata scaduta nel precedente settembre 2012 con n. 7 rate dell’importo di circa € 700,00 cadauna, a fronte dell’immediato versamento di € 600,00: dopo aver versato la predetta somma, la ricorrente afferma di essere stata nuovamente contattata dalla banca, la quale le comunicò che, a causa di un “errore nei calcoli”, le rate non erano 7 bensì 5, dell’importo di € 1.085,00 cadauna.

Nelle more, il 6 agosto 2012, la ricorrente inoltrava reclamo alla banca, invocando la concessione della possibilità di rinegoziare il mutuo.

Il 4 ottobre 2012, la banca riscontrava negativamente il reclamo affermando che, per ottenere una rata di importo minore rispetto a quanto contrattualizzato, era

“esclusivamente” necessario estinguere il conto accessorio creatosi con l’adesione alla Convenzione ABI/MEF, tramite il pagamento di € 7.140,00 circa.

Medesima richiesta veniva inoltrata dalla ricorrente in data 10 dicembre 2012, anch’essa negativamente riscontrata dalla banca con missiva datata 7 gennaio 2013.

Con ricorso depositato in data 27 gennaio 2013, la ricorrente si rivolge all’Arbitro Bancario Finanziario chiedendo un “intervento” del Collegio affinché la banca acconsenta la ulteriore rinegoziazione del mutuo.

La banca resistente, nel costituirsi in giudizio, afferma che – dopo l’adesione in data 29 settembre 2008 alla proposta di rinegoziazione ai sensi della Convenzione ABI/MEF – in data 11 aprile 2011 veniva concessa alla ricorrente la possibilità di sospendere il pagamento delle rate scadute il 30 settembre 2010 ed il 31 marzo 2011, pagate solo parzialmente, a fronte del pagamento di n. 12 rate mensili dell’importo di € 1.087,00.

Terminato il predetto periodo di sospensione, il 6 agosto 2012 la ricorrente formalizzava la nuova richiesta di rinegoziazione del mutuo, asserendo il perdurare del suo stato di difficoltà economica. All’anzidetta missiva veniva risposto che, per ottenere una rata di importo minore rispetto a quanto contrattualizzato, era necessario estinguere il conto accessorio creatosi con l’adesione alla Convenzione ABI/MEF, tramite il pagamento

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Alle lettere successivamente inviate dalla ricorrente, l’intermediario continuava a rispondere evidenziando sempre le suddette ragioni e circostanze.

Infine, in data 11 febbraio 2013, la ricorrente sottoscriveva un’ulteriore sospensione delle rate in corso per un periodo di 12 mesi, al fine di poter “rientrare” della rata scaduta il 30 settembre 2012, non integralmente pagata.

Ciò precisato, l’intermediario osserva che la modifica delle condizioni contrattuali del mutuo può essere realizzata solo in base al libero consenso delle parti interessate, non potendo essere opposta alla banca l’obbligatorietà della rinegoziazione extracontrattuale.

Nella specie, la banca afferma l’ineccepibilità del proprio comportamento e la massima attenzione rispetto alle difficoltà economiche della ricorrente tanto che, al verificarsi delle prime difficoltà di pagamento delle rate semestrali, le ha proposto di sospendere per 12 mesi il pagamento delle rate in corso di ammortamento, posponendo queste ultime al termine del piano ordinario, senza aggravio di ulteriori interessi e così permettendole di rientrare della morosità accumulata con un piano di rientro a rate mensili opportunamente disposto.

Pertanto, dopo aver ribadito che per poter rideterminare la rata con importo minore rispetto a quello attuale è necessario modificare la durata dell’ammortamento posticipandone la scadenza naturale e che ciò è possibile solo rinunciando alla precedente rinegoziazione ex D.L. n° 93/08 – in particolare, estinguendo anticipatamente il conto accessorio “incrementatosi per effetto della rideterminazione di una rata di importo minore per un determinato periodo di tempo” –, l’intermediario chiede che il Collegio voglia rigettare il ricorso.

DIRITTO

1. L’oggetto della presente controversia, che rientra nella competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario, si incentra sulla valutazione della correttezza dell’operato dell’intermediario resistente nel riscontrare la richiesta della ricorrente di rinegoziazione del mutuo in essere.

2. La ricorrente auspica un “intervento” del Collegio affinché la banca acconsenta la ulteriore rinegoziazione del mutuo in essere.

Tale domanda non può però trovare accoglimento.

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“diritto alla rinegoziazione del contratto” quale quello vantato dalla ricorrente. La rinegoziazione presuppone infatti una nuova definizione consensuale del contenuto del regolamento negoziale. In altri termini, la modifica delle condizioni economiche di un contratto di mutuo, traducendosi in una facoltà concessa ad entrambe le parti e non in un diritto stabilito dal legislatore a favore del mutuatario, non può essere imposta e, pertanto, la rinegoziazione risulta possibile solo quando banca e cliente siano concordi sulle variazioni da apportare.

Nell’attuale cornice normativa un “diritto” alla rinegoziazione contrattuale del mutuo – in deroga alla regola generale sopra richiamata – è ipotizzabile solo con riguardo ai mutui a tasso variabile per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale (c.d. “rinegoziazione imposta”), ai sensi dell’art. 3 D.L. n. 93/2008 (c.d. “Decreto Tremonti”), convertito con modificazioni dalla L. n. 126/2008, tramite un meccanismo di riduzione e blocco dell’importo della rata d’ammortamento, con eventuale allungamento oneroso della durata del finanziamento. Possibilità della quale la ricorrente ha già usufruito a seguito della rinegoziazione avvenuta in data 29 settembre 2008.

Come più volte precisato da questo Collegio, con la sola eccezione della suddetta ipotesi di “rinegoziazione imposta”, la modifica dei termini del contratto di mutuo non può prescindere dal consenso della banca, nella veste di controparte contrattuale (cfr.

Collegio di Roma, decisione n. 3189 del 12 giugno 2013).

3. Deve peraltro rilevarsi che, dalle risultanze istruttorie, emerge che l’adesione da parte della ricorrente alla proposta di rinegoziazione ex lege ha prodotto, in definitiva, un risultato penalizzante per quest’ultima.

Ed in particolare, in base al favorevole andamento del parametro di riferimento per il calcolo del tasso variabile del mutuo intestato alla ricorrente, a partire dal 29 agosto 2008 (data di adesione della ricorrente alla rinegoziazione), risulta di fatto impedita l’applicazione del meccanismo in base al quale l’abbassamento della rata al di sotto di quella fissa, pagata in virtù della rinegoziazione in atto, genera un credito a favore della ricorrente (credito che andrebbe automaticamente a ridurre il debito residuo sul conto accessorio).

Anche in ragione di quanto precede, ad avviso del Collegio, la banca avrebbe dovuto riservare alla ricorrente ancora maggiore attenzione, venendo incontro alle sue richieste con maggiore sensibilità e proponendole le soluzioni tecniche più adeguate a

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4. Pertanto, il Collegio, nel rigettare il ricorso, raccomanda alla banca di usare maggiore attenzione rispetto alle richieste provenienti dalla propria clientela.

P.Q.M.

Il Collegio respinge il ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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