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IL COLLEGIO DI ROMA. Prof. Avv. Gustavo Olivieri Membro designato dal Conciliatore Bancario Finanziario. [Estensore]

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IL COLLEGIO DI ROMA composto dai Signori:

Dott. Giuseppe Marziale Presidente

Prof. Avv. Pietro Sirena Membro designato dalla Banca d'Italia Avv. Alessandro Leproux Membro designato dalla Banca d'Italia

Prof. Avv. Gustavo Olivieri Membro designato dal Conciliatore Bancario Finanziario

Prof. Avv. Claudio Colombo Membro designato dal C.N.C.U.

[Estensore]

nella seduta del 26/07/2013 dopo aver esaminato:

x il ricorso e la documentazione allegata;

x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;

x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica,

FATTO

Con ricorso pervenuto in data 1° marzo 2013, il ricorrente – titolare di ditta individuale – ha contestato l’illegittima applicazione di interessi passivi sul conto corrente da lui intrattenuto con la banca resistente sin dal 21 giugno 2002.

Più specificamente, l’istante – assistito da un legale – ha prodotto, insieme al ricorso, una consulenza di parte (che abbraccia l’arco temporale che va dall’inizio del rapporto fino al 30 giugno 2011), sulla cui scorta risulterebbe che gli interessi praticati dalla banca, oltre ad essere in violazione delle regole in tema di anatocismo, avrebbero anche superato, in diversi casi, la soglia prevista dalla disciplina anti-usura.

Ciò premesso, conclude il ricorrente: (i) affinché venga dichiarata la non debenza in favore della banca della somma di € 1.342,04, pari all’attuale saldo passivo del conto; (ii) affinché gli venga rimborsato l’importo forfettario di € 10.000,00, a titolo di restituzione di quanto illegittimamente annotato in virtù dell’applicazione degli interessi passivi, in pretesa violazione della normativa

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di settore; (iii) affinché la banca venga condannata a rifondergli le spese legali sostenute per il ricorso.

Nelle proprie controdeduzioni, la banca ha in primo luogo eccepito l’irricevibilità del ricorso, per tutto quanto attiene al lasso temporale intercorrente tra l’inizio del rapporto ed il 31 dicembre 2008, competente l’ABF essendo, ratione temporis, soltanto in ordine ad operazioni o comportamenti successivi al 1° gennaio 2009.

Nel merito, la banca ha sostenuto di essersi sempre costantemente adeguata a quanto previsto dalla disciplina di settore, contestando tanto l’addebito inerente alla pretesa illegittimità della capitalizzazione trimestrale applicata, quanto quello relativo alla dedotta usurarietà dei tassi praticati, concludendo, dunque, per il rigetto del ricorso.

DIRITTO

Deve essere anzitutto esaminata l’eccezione di parziale irricevibilità del ricorso ratione temporis, sollevata dalla banca resistente. Tale eccezione è fondata, in quanto le nuove diposizioni ABF, in materia di ricevibilità dei ricorsi, hanno spostato il limite di competenza temporale dell’Arbitro dal 1° gennaio 2007 al 1° gennaio 2009.

Pertanto, essendo il rapporto tra le parti risalente al 2002, in ordine a tutti gli interessi applicati dalla banca nel lasso temporale intercorrente fra tale epoca ed il 31 dicembre 2008, nulla può statuire questo Collegio.

Diverso discorso va, invece, condotto in ordine agli interessi applicati successivamente al 1° gennaio 2009.

E’ bene precisare, infatti, come – sia pure sotto la vigenza delle pregresse disposizioni ABF – questo stesso Collegio abbia già avuto occasione di chiarire che “la competenza dell’ABF non può essere esclusa, ratione temporis, quando si tratta (…) di vagliare comportamenti e rapporti che tuttora perdurano, o che comunque hanno avuto un periodo di vigenza e di durata successivo al 1° gennaio 2007, quand’anche l’atto o il contratto in cui essi hanno origine risalga ad epoca anteriore a tale data, (…) sia pure limitatamente al periodo di efficacia del contratto successivo alla data più volte ricordata” (Collegio di Roma, decisione n. 1302 del 12 novembre 2010).

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Rilevato, inoltre, che la stessa resistente nulla ha obiettato sulla ricevibilità del ricorso, per la parte afferente agli interessi applicati dopo il 1° gennaio 2009, può procedersi – relativamente ad essi – all’esame del merito.

Come si è esposto in narrativa, le contestazioni della ricorrente attengono, in sintesi, ad un duplice profilo.

La prima contestazione riguarda la pretesa illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, praticata dalla banca. Tale contestazione è infondata, in quanto dai documenti in atti emerge come la periodicità trimestrale degli interessi fosse espressamente prevista (tanto per l’ipotesi di saldo passivo, che per quella di saldo attivo), nell’ambito del contratto stipulato in data 21 giugno 2002, in piena conformità con quanto statuito dalla Deliberazione CICR 9 febbraio 2000, in materia di conti correnti bancari.

La seconda contestazione concerne, invece, la pretesa violazione della normativa anti-usura. Il ricorrente, nell’ambito della consulenza di parte prodotta, ha evidenziato, in via preliminare, di essersi avvalso di un metodo di calcolo del TEG (Tasso Effettivo Globale), differente rispetto a quello indicato dalla Banca d’Italia per la rilevazione dei TEGM (Tassi Effettivi Globali Medi).

Tale metodo, infatti, sarebbe – a giudizio del ricorrente – più confacente alle finalità previste dalla normativa anti-usura, e d’altra parte la stessa giurisprudenza, anche di legittimità, avrebbe in più occasioni confortato la tesi della non cogenza del metodo indicato dalla Banca d’Italia, in particolare con riferimento alla necessità di includere nel TEG la commissione di massimo scoperto (a riguardo, cfr. Cass. pen. 19 febbraio 2010, n. 12028, e Cass. pen.

14 maggio 2010, n. 28743), fintanto che quest’ultima non è stata abrogata in virtù delle disposizioni di cui al d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in l.

28 gennaio 2009, n. 2, ed al d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito in l. 3 agosto 2009, n. 102.

Più precisamente, il metodo di calcolo del TEG utilizzato dal ricorrente si discosta da quello della Banca d’Italia, soprattutto sotto i seguenti profili: (i) gli oneri e le spese sono stati calcolati su base annua, e sono stati inoltre inclusi oneri che il metodo indicato dalla Banca d’Italia viceversa esclude; (ii) è stata inclusa nel conteggio la commissione di massimo scoperto.

Tanto premesso, prima di entrare nel merito specifico delle contestazioni mosse dal ricorrente all’operato della banca, occorre affrontare in via

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prioritaria la questione relativa alla c.d. usurarietà sopravvenuta. La doglianza del ricorrente, infatti, non attiene ad una ipotetica usurarietà genetica dei tassi praticati dalla banca (il che, peraltro, avrebbe impedito, ratione temporis, al Collegio di occuparsi della questione), bensì all’avvenuto preteso superamento, nel corso del rapporto, del tasso-soglia previsto per la specifica categoria di rapporti, in cui rientra quello per cui è controversia.

Come è noto, la materia dell’usura è stata fatta oggetto di ampia e complessiva riforma con la l. 7 marzo 1996 n. 108. Per quanto qui interessa, una delle novità di maggiore rilievo della riforma è stata rappresentata dalla nuova formulazione dell’art. 644 c.p., il cui tenore letterale individua come momento perfezionativo del reato tanto quello della promessa, quanto quello della dazione di interessi usurari.

Sulla scorta di ciò, si era imposto in giurisprudenza un orientamento incline ad affermare la possibile sopravvenienza dell’usurarietà, anche in relazione ai contratti stipulati prima della riforma, dovendosi dunque tenere presente – come momento rilevante – quello del pagamento (id est, della dazione) degli interessi (cfr., per tutte, Cass. 22 aprile 2000, n. 5286 e Cass. 17 novembre 2000, n. 14899).

La compatta adesione della S.C. alle tesi favorevoli all’applicazione ai contratti in corso dei principi introdotti con la riforma – beninteso limitatamente alle obbligazioni di pagamento di interessi aventi scadenza successiva alla sua entrata in vigore – determinò una forte reazione nel mondo bancario, che, una volta recepita a livello politico, si tradusse nell’emanazione del d.l. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni nella l. 28 febbraio 2001, n. 24.

Con tale provvedimento normativo (c.d. di interpretazione autentica), che avrebbe peraltro superato anche il vaglio della Corte Costituzionale (sentenza 25 febbraio 2002, n. 29), venne stabilito che «ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento».

Ciò posto, occorre tuttavia rimarcare come, successivamente, dapprima in dottrina, e poi anche in parte della giurisprudenza di merito, sia andato

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prendendo piede un indirizzo interpretativo, secondo cui la circostanza che il tasso non possa considerarsi usurario, poiché tale non era al momento della sua pattuizione, non escluderebbe comunque la necessità che all’atto del pagamento gli interessi non superino il tasso-soglia vigente; in tal caso, sul piano civilistico la conseguenza non sarebbe peraltro quella prevista dall’art.

1815, secondo comma, c.c. (non debenza di alcun interesse), bensì quella della riduzione del saggio superiore entro i limiti del tasso-soglia.

Si è infatti sostenuto che altro è circoscrivere all’usurarietà originaria l’applicazione di sanzioni penali e civili; ed altro è invece negare la rilevanza, tutta oggettiva, della sopravvenuta eccedenza del tasso convenuto rispetto alla sua misura massima, di tempo in tempo consentita, dall’art. 2, l. 7 marzo 1996, n. 108.

Siffatto orientamento è stato ripetutamente condiviso dal Collegio di Roma di questo Arbitro, sin dalla decisione 29 febbraio 2012, n. 620, con la quale è stato statuito che «l’applicazione dei tassi superiori alla soglia di usura, benché non sanzionabile, sia tuttavia in contrasto con l’art. 2 della citata legge n.108/1996, norma imperativa sopravvenuta ispirata ad un generale principio di non abuso del diritto, che impone l’adeguamento degli interessi a suo tempo stipulati, in modo che non risultino in contrasto con la norma stessa (cfr. in tal senso Trib. Milano 15.10.2010). L’applicazione di interessi superiori alla soglia di usura, dopo l’entrata in vigore della legge n.108/1996, evidenzia altresì un comportamento contrario a buona fede sicché anche sotto questo profilo si impone una rideterminazione degli stessi entro i limiti della soglia di usura»

(conformemente, cfr. Collegio di Roma 5 luglio 2012, n. 2286; Collegio di Roma 11 gennaio 2013, n. 174; Collegio di Roma 28 febbraio 2013, n. 1137).

Va detto inoltre che, sul punto, sono recentemente intervenute due decisioni di pari data della Corte di Cassazione (sentenze 11 gennaio 2013, n. 602 e n.

603), con le quali – sia pure in riferimento a fattispecie geneticamente collocabili in epoca antecedente all’entrata in vigore della l. 7 marzo 1996, n.

108 – la tesi della possibile rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta ha trovato ulteriore linfa, avendo la S.C. precisato che «trattandosi di rapporti non esauriti al momento dell'entrata in vigore della L. 108 (con la previsione di interessi moratori fino al soddisfo), va richiamato l'art. 1 L. n. 108 del 1996 che ha previsto la fissazione di tassi soglia (successivamente determinati da decreti

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ministeriali), al di sopra dei quali, gli interessi corrispettivi e moratori, ulteriormente maturati, vanno considerati usurari (al riguardo, Cass. n. 5324 del 2003) e dunque automaticamente sostituiti, anche ai sensi degli artt. 1419, secondo comma e 1319 c.c., circa l'inserzione automatica di clausole, in relazione ai diversi periodi, dai tassi soglia» (la citazione è contenuta in Cass.

11 gennaio 2013, n. 603).

Più di recente, è poi intervenuto il Collegio di Napoli di questo Arbitro, il quale con la decisione n. 1796 del 3 aprile 2013, ha stabilito che «sotto il versante teleologico, appare singolare circoscrivere la rilevanza del fenomeno al solo momento genetico del rapporto, sancendo così evidenti asimmetrie (e “doppie velocità”) nella razionalizzazione del mercato del credito che rappresenta lo scopo maggiormente significativo della disciplina anti usura. La stessa giurisprudenza di legittimità sembrerebbe peraltro, con la decisione n. 603 dell’11 gennaio 2013, chiarire (almeno a livello di decisum) i termini della rilevanza/irrilevanza dell’usura sopravvenuta (anche oltre allo specifico problema di diritto intertemporale concernente i contratti stipulati prima della l.

n. 108/1996) attraverso la conferma della sentenza impugnata nella parte in cui dichiarava l’illegittimità (scilicet, l’inefficacia) dei relativi effetti. Il condizionale, invero, è d’obbligo in ragione del fatto che tale concisa affermazione, inappagante sul piano della completezza motivazionale, non consente di acquisire certezze sul piano del diritto vivente, a fronte del consolidato pregresso orientamento di segno opposto del Supremo Collegio (v., ad es., Cass. 3 aprile 2009, n. 8138). Ma, nel caso di specie, a confortare l’avviso della rilevanza dell’usura sopravvenuta in punto di riconduzione degli interessi divenuti (nel corso del rapporto) usurari al tasso soglia sono le stesse prescrizioni della Banca d’Italia (assunte in parte qua come integrative del percorso logico – argomentativo della giurisprudenza) che, con la Comunicazione del 20 aprile 2010 (in Bollettino di vigilanza, n. 4/2010), espressamente riscontrano, da un lato, “l’addebito alla clientela di interessi e altri oneri complessivamente superiori alla soglia di usura…senza che sia intervenuto un blocco automatico da parte delle procedure informatiche all’intermediario”; dall’altro, nello stigmatizzare il fenomeno, soprattutto prescrivono “che gli intermediari assicurino, tramite le competenti funzioni aziendali, che le procedure operative e i sistemi di controllo garantiscano il

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pieno rispetto della normativa civilistica e di quella in materia di usura”.

L’assenza di specificazioni in ordine al momento del superamento del tasso soglia induce a ritenere l’ultrattività di tali prescrizioni rispetto alla (sola) fase di costituzione del rapporto, con conseguente inefficacia degli interessi così calcolati. In termini più generali, tale fonte secondaria appare idonea a supportare il convincimento che le ricadute della norma d’interpretazione autentica portata dalla l. 28 febbraio 2001, n. 24 (nella parte in cui qualifica come usurari “gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti”) rilevino, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 cod. civ., nel senso della preclusione dell’usura sopravvenuta ai fini della declaratoria di nullità della clausola ex co. 2 di tale disposizione e non invece in quello di garantire l’efficacia nel corso del rapporto degli interessi divenuti nel tempo usurari. Lettura questa coerente col rilievo che non viene, in siffatta guisa, in gioco un’inammissibile ipotesi di invalidità sopravvenuta del contratto o di una sua specifica clausola quanto piuttosto una vera e propria inopponibilità al cliente di tassi eccedentari rispetto alla norma imperativa, non potendo l’ordinamento ammettere il pagamento di interessi in misura superiore al tasso soglia trimestralmente rilevato».

Ebbene, ad opinione di questo Collegio l’indirizzo interpretativo testé esposto merita di essere condiviso, specie in quanto nella presente controversia si versa in un’ipotesi di finanziamento c.d. ad utilizzo flessibile (in cui rientrano, ad esempio, l’apertura di credito in c/c, lo scoperto di c/c, l’anticipo su crediti, lo sconto di portafoglio commerciale, il factoring, il credito revolving).

Chiarito, infatti, che i principi introdotti con la riforma del 1996 (così come precisati nella legge di interpretazione autentica) sono applicabili a tutte le diverse tipologie di linee di credito, e dunque non soltanto ai mutui (a riguardo, cfr. Cass. 12 luglio 2007, n. 15621), deve osservarsi come nei rapporti c.d. ad utilizzo flessibile l’obbligazione relativa al pagamento degli interessi sia destinata a sorgere solo in presenza dell’effettiva utilizzazione delle somme messe a disposizione dell’accreditato, sicché la fattispecie risulta senz’altro suscettibile di venire attinta ad opera dello ius superveniens, nella fattispecie configurato dai Decreti Ministeriali, che trimestralmente accertano i diversi

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tassi medi, i quali rappresentano la base per il successivo calcolo dei tassi soglia.

Anche qualora, dunque, non si ritenesse di poter condividere l’indirizzo ermeneutico, secondo cui la legge di interpretazione autentica avrebbe la sola finalità di impedire l’applicazione di sanzioni penali (art. 644 c.p.) e civili (art.

1815, secondo comma, c.c.), e si ritenesse viceversa che l’unico momento rilevante ai fini della valutazione in punto di usurarietà dovrebbe essere sempre e comunque quello della pattuizione, e non anche quello del pagamento degli interessi, non c’è dubbio che ciò non potrebbe riguardare obbligazioni non ancora sorte al momento della pattuizione del tasso.

Come detto, entrano in gioco, in tali fattispecie, i principi consolidati in materia di applicabilità dello ius superveniens ai rapporti bancari in corso. Come è noto, la giurisprudenza di legittimità, nonché la stessa giurisprudenza costituzionale (a riguardo, Corte Cost. 27 giugno 1997, n. 204, in tema di fideiussioni omnibus prestate anteriormente alla riforma del 1992) opera la condivisibile distinzione tra obbligazioni sorte prima dell’entrata in vigore della nuova normativa ed obbligazioni sorte dopo tale entrata in vigore, benché traenti origine – dette obbligazioni – dalla medesima fonte: mentre ovviamente le prime sono insuscettibili di venire attinte dallo ius superveniens, stante il principio di irretroattività, le seconde invece vi sono soggette.

D’altra parte recentemente, la stessa Banca d’Italia, nell’ambito dei Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura pubblicati il 3 luglio 2013, ha mostrato di condividere questa interpretazione, precisando che, per i finanziamenti c.d. ad utilizzo flessibile, occorre «condurre una verifica trimestrale sul rispetto delle soglie vigenti in ciascun periodo per tutti i finanziamenti di tale tipo in corso».

Diversamente, per i finanziamenti con piano di ammortamento predefinito (crediti personali e finalizzati, mutui, leasing, prestiti contro cessione del quinto), la Banca d’Italia, sempre nell’ambito dei menzionati Chiarimenti, ha ritenuto che «la verifica sul rispetto delle soglie è compiuta solo al momento della stipula del contratto, in cui la misura degli interessi è stabilita».

Ebbene, le due differenti discipline (in virtù delle quali la possibile rilevanza dell’usurarietà sopravvenuta risulterebbe limitata ai rapporti ad utilizzo flessibile) potrebbero trovare giustificazione nel fatto che nei finanziamenti con

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piano di ammortamento predefinito l’obbligazione di pagamento degli interessi sorge contestualmente alla stipulazione del contratto, ancorché le relative scadenze siano ovviamente successive, coincidendo esse con quelle del piano di ammortamento. Trattandosi, dunque, di obbligazioni già sorte (ancorché non ancora scadute), al momento della rilevazione di un tasso soglia, ipoteticamente inferiore al tasso pattuito, le stesse, secondo questo diverso orientamento interpretativo, non sarebbero suscettibili di venire attinte dallo ius superveniens, nemmeno nella limitata variante della loro riconduzione entro i limiti del tasso-soglia.

Premesso, dunque, che in ragione della specifica tipologia del rapporto qui in contestazione, il Collegio ritiene senz’altro di poter vagliare la legittimità degli interessi praticati dalla banca tra il 1° gennaio 2009 ed il 30 giugno 2011, assumendo come parametro quello rappresentato dai TEGM rilevati trimestralmente nel corso di detto lasso temporale, e non invece quello rappresentato dal TEGM rilevato al momento della conclusione del contratto, va ora affrontata l’ulteriore questione, inerente alla diversità del metodo di calcolo adottato dal ricorrente, rispetto a quello indicato dalla Banca d’Italia nell’ambito delle Istruzioni per la rilevazione dei TEG medi.

Si è detto, sul punto, che in passato è stata la stessa Corte di Cassazione a ritenere non cogente il metodo di rilevazione contenuto nelle richiamate Istruzioni, in particolare con riferimento alla questione inerente alla necessità di includere, o meno, nel TEG la commissione di massimo scoperto.

A conclusione non dissimile è peraltro pervenuta di recente la stessa Banca d’Italia, la quale – nel contesto dei già richiamati Chiarimenti del 3 luglio 2013 – ha così precisato: «La legge n. 108/96 fissa un criterio oggettivo ma molto generale per la valutazione della liceità dei tassi applicati. La Banca d’Italia, attraverso le “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della Legge sull’usura” e i connessi chiarimenti pubblicati sul sito, fornisce agli intermediari i criteri tecnici da seguire per segnalare in modo corretto e omogeneo i TEG applicati, utilizzati per l’individuazione delle soglie trimestrali.

I Decreti ministeriali che aggiornano i tassi soglia dispongono che gli intermediari verifichino l’usurarietà dei tassi applicati sui singoli contratti sulla base degli stessi criteri tecnici. Le Istruzioni della Banca d’Italia sono costantemente aggiornate per tenere conto dell’evoluzione della normativa in

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tema di contratti bancari e dell’innovazione finanziaria. Tali Istruzioni possono costituire una metodologia di riferimento per la valutazione dei casi concreti condotta dalla magistratura, ma non ne vincolano le decisioni. Considerazioni analoghe valgono per le decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), assunte secondo diritto e in piena autonomia rispetto alla Banca d'Italia».

Ciò posto, deve osservarsi – con riferimento al caso specifico – che dal raffronto dei conteggi effettuati dal consulente di parte ricorrente, con quelli che si ricavano applicando il metodo contenuto nelle Istruzioni tempo per tempo vigenti (beninteso limitando l’analisi al lasso temporale successivo al 1°

gennaio 2009, per le ragioni anzidette), emerge che la differenza è più marcata per l’anno 2009, che per gli anni successivi (2010 e 2011).

Nel 2009, infatti, si applicavano le precedenti Istruzioni, le quali consideravano gli oneri su base trimestrale e non includevano la commissione di massimo scoperto.

Dalla relazione del perito di parte ricorrente, si evince che nel rapporto in questione tre sarebbero, in particolare, i parametri che influenzano il valore del tasso, così da portarlo – secondo tale prospettazione – sopra la soglia: (i) gli oneri di gestione, ove sono stati inclusi i canoni mensili di gestione del conto, pari a € 60 al mese; (ii) la commissione di massimo scoperto, applicata fino al 30 giugno 2009; (iii) la penale di sconfinamento e la commissione di messa a disposizione fondi, che sono state applicate a partire dal primo trimestre del 2010.

Quanto alla voce relativa agli oneri di gestione, parte ricorrente vi include tutti gli oneri, compresi – come detto – per l’intero, quelli relativi al canone mensile flat del conto corrente, sottolineando come, ai sensi del dettato della l. 7 marzo 1996, n. 108, nel TEG dovrebbero venire conteggiati, oltre agli interessi, tutti gli altri oneri e commissioni gravanti sul finanziamento a qualunque titolo, con la sola esclusione degli oneri fiscali. Ai sensi, infatti, dell’art. 644, quarto comma, c.p. (così come riformulato dall’art. 1, l. 7 marzo 1996, n. 108), «per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito».

Ora, nell’ambito delle proprie Istruzioni (sia in quelle in vigore fino al 2009, sia in quelle successive), la Banca d’Italia ha ritenuto di escludere dal calcolo del

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TEG gli importi dovuti per canoni flat dei conti correnti. Tale esclusione viene motivata sulla base del fatto che gli stessi non sarebbero direttamente collegati all’erogazione del credito, ma rappresenterebbero la remunerazione che la banca ottiene per la messa a disposizione di una pluralità assai eterogenea di servizi, alcuni dei quali anche a condizioni agevolate; sicché, sarebbe eccessivamente complesso individuare il costo sostenuto dall’intermediario e l’eventuale mark up, rispetto al costo, essendo questo variabile in dipendenza dell’operatività del cliente.

Il Collegio ritiene che tale indicazione operativa, pur destando qualche perplessità e pur essendo senza dubbio perfettibile, debba essere comunque tenuta ferma nella presente fattispecie, non foss’altro perché anche la soluzione prospettata dalla parte ricorrente non è persuasiva, là dove ritiene di dover includere nel calcolo del TEG l’intero importo del canone flat, quando viceversa è evidente che lo stesso non è destinato a remunerare unicamente quello specifico servizio, rappresentato dall’erogazione della linea di credito.

Per quanto concerne invece la commissione di massimo scoperto – applicata dalla banca fino al 30 giugno 2009 – il Collegio ritiene di potersi uniformare all’orientamento già espresso in altra decisione (Collegio di Roma, decisione 13 maggio 2011, n. 1008), nel cui ambito è stato così statuito: «la tesi sostenuta dalla ricorrente è che - al fine di valutare se l’interesse in concreto applicato dalla banca sia, o meno, inferiore al limite “oltre il quale” gli interessi vanno ritenuti “sempre” usurari, alla stregua di quanto stabilito dall’art. 2, co 4, l. 7 marzo 1996, n. 108, in relazione all’art. 644, co. 2, c. pen. - dovrebbe tenersi conto anche della “commissione di massimo scoperto”. Secondo la ricorrente la banca avrebbe dunque violato la normativa vigente nonostante la circostanza che, secondo le Istruzioni della Banca d’Italia, detta commissione fosse espressamente esclusa dal computo degli elementi che concorrono a formare il tasso effettivo globale (teg) rilevante a questi fini. Si tratta di una tesi che non può essere condivisa. Invero, all’epoca dei fatti di causa le disposizioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia al fine di concorrere con i decreti ministeriali previsti dall’art. 2, l. 7 marzo 1996, n. 108 alla determinazione del tasso “soglia”, non ricomprendevano detta “commissione”

nel computo degli elementi che a tal fine dovevano essere presi in considerazione. Questo rilievo detta “commissione” ha assunto solo a seguito

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dell’entrata in vigore dell’art. 2 bis, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni nella l. 28 gennaio 2009, n. 2. Si tratta di una disposizione dall’evidente portata innovativa che, in quanto tale, può trovare applicazione solo per il futuro, come del resto confermato, in modo esplicito, dalla disposizione transitoria contenuta nella norma sopra citata, la quale prevede che “il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie (...) per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni” (Coll.

Napoli, dec. n. 1363/10). Le nuove regole di determinazione del tasso “soglia”

sono divenute operanti solo dal 1° gennaio 2010 e non possono venire quindi in considerazione ai fini della soluzione della presente controversia».

Sulla base, dunque, delle considerazioni che precedono, deriva che, per l’anno 2009, i tassi applicati trimestralmente dalla banca rientrano all’interno del tasso soglia trimestrale, non dovendo cioè prendersi in considerazione, ai fini del calcolo del TEG, né la commissione di massimo scoperto, né il costo del canone flat per la tenuta del conto corrente.

Eguale discorso vale per il 2010, poiché gli oneri che gravano sul conto, una volta eliminati, per i motivi sopra indicati, i canoni flat mensili di € 60, non sono tali da implicare il superamento del tasso-soglia: tali spese, infatti, ammontano sostanzialmente ad € 12,50 a trimestre per commissione di messa a disposizione fondi, che ha sostituito la commissione di massimo scoperto.

Viceversa, è dato riscontrare il superamento del tasso soglia relativamente all’anno 2011, giacché la banca, in due trimestri consecutivi (quarto trimestre 2010 e primo trimestre 2011, con ripercussione contabile, rispettivamente, sui trimestri successivi), risulta avere applicato, oltre alla richiamata commissione di messa a disposizione fondi, anche una penale di sconfinamento (per importi pari a, rispettivamente, € 364,25 ed € 354,75).

Ebbene, anche ai sensi delle Istruzioni della Banca d’Italia in materia di rilevamento dei tassi medi, detta penale va indiscutibilmente inclusa nel TEG e, nel caso specifico, la sua applicazione si è tradotta nel superamento del tasso-soglia.

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In considerazione delle statuizioni di cui sopra, vanno ovviamente respinte tutte le ulteriori domande proposte dalla ricorrente, ivi compresa quella finalizzata a veder condannata la banca alla corresponsione delle spese di assistenza legale. Ritiene, infatti, il Collegio che tale richiesta debba essere rigettata, in considerazione del fatto che il ricorso è stato dichiarato in larga parte irricevibile, nonché alla luce dell’accoglimento solo parziale delle richieste riferite al lasso temporale in ordine al quale sussiste la competenza di questo Arbitro.

In conclusione, a definizione del contenzioso, il Collegio:

a) dichiara il ricorso irricevibile, in relazione al lasso temporale intercorrente tra l’inizio del rapporto ed il 31 dicembre 2008;

b) in relazione al periodo di tempo successivo al 1° gennaio 2009, in parziale accoglimento del ricorso, dichiara che nel corso del 2011 si sono verificati superamenti del tasso-soglia, per effetto dell’applicazione, da parte della banca, nel IV° trimestre 2010 e nel I° trimestre 2011, della penale di sconfinamento;

c) per l’effetto, dispone che il saldo del conto corrente venga ricalcolato dalla banca, riconducendo il tasso di interesse effettivo applicato entro i limiti del tasso-soglia vigente nei corrispondenti trimestri;

respinge ogni altra domanda.

P.Q.M.

Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso nei sensi di cui in motivazione.

Dispone inoltre che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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