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EVOLUZIONE NEI CRITERI DI MONETIZZAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO

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Avv. Alberto Polotti di Zumaglia

Resp. Uff. Contenzioso Sinistri SAI Assicurazioni, Torino

EVOLUZIONE NEI CRITERI DI

MONETIZZAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO

L’individuazione degli elementi che compongono il danno alla salute

E' ben noto che il sistema di valutazione del danno alla persona cosiddetto tradizionale prendeva unicamente in considerazione da un lato il danno patrimoniale in senso stretto (artt.

2056, 1223, 1226 e 1227 ecc.) e dall'altro il danno morale (art. 2059 c.c. e 185 c.p.).

E' altrettanto noto che con l'affermarsi della nuova figura di danno rappresentata dal danno alla salute si è posto il problema di trovare il criterio per la sua valutazione mentre la ricerca di un tale criterio ha incontrato difficoltà sotto vari aspetti.

Il primo aspetto è stato quello degli elementi che compongono il danno alla salute, il secondo è stato quello di reperire nuovi metodi di accertamento medico legale ed il terzo è stato quello di giungere alla “... sua stima in denaro, salvaguardata dal pericolo di ricorrere ai parametri delle altre due figure di danno (danno economico e danno morale) con le quali si ponevano delicati problemi di rapporti che, se non correttamente risolti, potevano portare ad un rilevante

spostamento del quantum relativo ad una determinata voce di danno" (v. A. Nannipieri, “La liquidazione del danno alla salute”, in AAVV - La valutazione del danno alla salute, CEDAM, Villanova di Cestenaso (BO) 1995,p. 69).

Sotto il primo aspetto può dirsi che quanto meno la giurisprudenza di legittimità e buona parte di quella del merito ha ormai raggiunto una certa uniformità.

E’ diventato ricorrente sentir definire il danno alla salute come la menomazione dell'integrità psicofisica della persona in sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica.

Con più sottile specificazione si è precisato che tale danno è figura distinta che incide sulla spettanza di vita in ampio spettro, spaziando dall’estremo del rischio di premortalità a quello del

“valore uomo in tutta la sua concreta dimensione” e che si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto, nell'ambiente in cui la vita si esplica, e aventi rilevanza non soltanto economica, ma anche sociale, culturale, estetica ecc., oltre che biologica, (così in motivazione Cass. 10.12.1991 n. 13292 in Resp.civ. e previd. 1992, 222 con nota).

Si ha quindi un danno suscettibile di distinta valutazione rispetto al danno patrimoniale ed al danno morale e che comprende in sé una serie di elementi ulteriori quali il danno estetico, il danno alla vita di relazione od alla sfera sessuale ecc.

Per tale motivo si è ritenuto che i postumi permanenti di modesta entità (c.d.

micropermanente) abbiano “.... rilevanza non già come menomata capacità di lavoro e, quindi, di guadagno, ma come menomazione della salute psicofisica della persona in sé e per sé

considerata, rientrante nel concetto di danno biologico, (v. di recente Cass. 21.1.1995 n. 699 in Mass. Foro it. 1995, 83 e Cass. 4.3.1995 n. 2515 ivi, 331).

Nel caso di perdita totale della capigliatura di una bambina si è ritenuto trattarsi di menomazione incidente sulla vita di relazione e rientrante quindi nell'ambito del danno alla salute pur non escludendo che in tale menomazione sussiste anche una componente patrimoniale, che si ricollega all'incidenza negativa che la menomazione ha nell’esplicazione di attività

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complementari o integrative della normale attività lavorativa, determinando una riduzione della c.d. capacità di concorrenza dell'individuo (v. Cass. 23.1.1995 n. 755 in Mass.Foro it. 1995, 91).

Anche la riduzione della capacità lavorativa generica in soggetti non produttivi di reddito, si ritiene rientri nel danno biologico per cui venendo la stessa valutata sotto tale voce non può certo formare oggetto di autonomo risarcimento come danno patrimoniale (v. di recente Cass.

14.3.1995 n. 2932 in Mass.Foro it. 1995, 381 nonchè Cass. 19.3.1993 n. 3260 in Resp.civ. e previd. 1993, 268) .

Fondate critiche possono quindi ora muoversi a quelle decisioni che ancora liquidano un quid per una magari presunta riduzione della capacità lavorativa generica in aggiunta al danno

biologico o che addirittura riconoscono (invero sempre più raramente) qualcosa di aggiuntivo per danno alla vita di relazione che deve invece essere liquidato soltanto a titolo di danno alla salute (Cass. 22.2.1995 n. 1995 in Mass.Foro it. 1995, 259).

Di fatto una cosa è il danno biologico inteso come menomazione dell’integrità psicofisica della persona ed altro è la diminuita capacità lavorativa e di guadagno che deve essere risarcita autonomamente (v.Cass. 17.3.1995 n. 3119 in Mass. Foro it. 1995, 405) e che comunque va provata.

Perplessità vengono poi suscitate in tema di danno estetico quando se ne da per scontata l'influenza sul danno patrimoniale come è stato fatto in una pronuncia di merito in cui si è affermato che “la deformazione del volto ... anche se non grave, costituisce sempre danno alla capacità lavorativa, specie in una persona di giovane età" (v. Corte d'appello di Venezia 18.1.1995 n. 510 da CED arch.merito PD 285295).

Se invece si vuole giungere a livelli estremi si può ricordare che nella ricerca delle componenti del danno alla salute vi è stato anche chi ha affermato che "lo stato di angoscia derivante dalla morte del proprio animale domestico costituisce un danno biologico, da porsi a carico del soggetto responsabile dell’investimento dell’animale" (v. Conciliatore di Udine 9.

3.1995 da CED Arch. merito PD 290195).

Ma in questi ultimi due casi ci sembra che forse la soluzione andasse ricercata in un’attenta indagine sul materiale probatorio prodotto dalle parti.

L’individuazione degli elementi che costituiscono l’accertamento medico legale

Riguardo la ricerca di nuovi metodi di accertamento medico legale, non ci si può che

rivolgere alla scienza medica. Piuttosto si tratterà di predisporre quesiti "mirati" che consentano di evidenziare la reale entità del danno provocato all’infortunato (per un’analisi dei quesiti posti ai CTU nei vari Tribunali si rinvia a D. Pagliari, “Tipologia di quesiti in tema di danno a persona posti da alcuni Tribunali Italiani negli anni 1987-1992”, in AAVV - La valutazione del danno alla salute già cit. p. 493 ss.; v. anche A. Polotti di Zumaglia, “I quesiti formulati al CTU e le

esigenze delle parti”, in TAGETE - Rivista medico giuridica, N° 4/1995 p. 19 ss.).

Occorre a questo punto ricordare che il danno alla salute è stato considerato sia nel suo aspetto statico che nel suo aspetto dinamico osservandosi che il primo “ ... consiste nella

diminuzione del bene primario della integrità psicofisica in sé e per sé considerata che postula un criterio liquidativo egualitario ed uniforme, mentre 1’aspetto dinamico consiste nella

compromissione del bene salute nelle manifestazioni o espressioni quotidiane che riguardano sia l'attività lavorativa sia anche tutte le attività extralavorative ... e postula, quindi, una valutazione necessariamente differenziata caso per caso" (v. A.Nannipieri, op.cit. p. 71).

Ed allora per la quantificazione dell'aspetto dinamico verranno ad avere importanza basilare anche le prove che si dedurranno in causa.

Se infatti la ridotta funzionalità di un braccio può avere un determinato peso per un impiegato con scarsi interessi extralavorativi, ben maggiore importanza tale menomazione può rivestire per

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un altro soggetto che esplichi attività sportiva anche solo amatoriale, ma che ovviamente dovrà venir dimostrata.

Nell’ambito processuale pare dunque corretto in questi casi prima espletare la prova diretta a chiarire 1’aspetto dinamico del danno alla salute per poi poter porre al CTU quesiti mirati al fine di chiarire la reale incidenza della lesione sull'attività extralavorativa dimostrata.

Non si può dimenticare, parlando dell'accertamento medico del danno alla salute, la complessa situazione che si viene a creare in presenza di rivalsa di ente previdenziale ed in particolare dell'INAIL. Detto ente, quando considera la inabilità permanente parziale ha

riguardo al grado di riduzione della attitudine al lavoro (generico), secondo i criteri di cui all'art.

78 T.U. n. 1124/1965 ed alla tabella ivi richiamata, restando esclusa la possibilità di tener conto, ai fini anzidetti, del c.d. danno biologico o di quello estetico, stante la configurabilità

dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come assicurazione finalizzata al risarcimento della perdita o della riduzione della capacità lavorativa dell'assicurato e non al risarcimento del danno secondo la nozione più ampia (e perciò comprensiva del danno biologico ed estetico) ex art. 2043 e segg. c.c.11 (Cass. 6.5.1994 n. 4412 in Riv.inf. e mal.prof. 1994, fasc. 3, 75; v. anche Cass. 1.2.1995 n. 1168 in Not.giurisp.lav. 1995, 421).

Sul piano pratico però le cose talora si complicano per possibili sovrapposizioni tra i vari danni; la soluzione non potrà in ogni caso che venirci o dalla scienza medica o da un riesame della materia. E ciò è tanto più importante se si pensa che il danno alla salute va risarcito in linea prioritaria rispetto ad ogni altro danno e che di tale principio occorre tener conto, visto che la Suprema Corte ha cassato una sentenza di merito in base alla quale l'assicuratore aveva

corrisposto al danneggiato solo la metà di quanto liquidatogli per danno biologico, provvedendo, poi a pagare l'INAIL e l'ente ospedaliero (Cass. 16.9.1995 n. 9772 da CED arch.civile RV 494030).

Aspetti in tema di prove

E' a questo punto il caso di rilevare che una sempre più attenta liquidazione del danno alla persona comporta a differenza del passato altrettanta attenzione all'elemento probatorio, sia quando si intende quantificare, come appena detto, l'aspetto dinamico del danno biologico, sia quando si debba percentualizzare tale danno, sia quando si debba chiarire il rapporto di causalità tra l'infortunio e la lesione.

Circa la percentualizzazione del danno è chiaro che ci si dovrà rivolgere al medico ma sono peraltro significative due decisioni di merito entrambe del Tribunale di Roma che richiedono proprio al medico di applicare in tale suo lavoro un metodo obiettivo.

Con la prima (Trib.Roma 24.1.1995 n. 1155 in Riv.giurid.circol. e trasp. 1995, 543) si è precisato non essere “ ... condivisibili le conclusioni formulate da un Consulente Tecnico d'Ufficio nell'elaborato peritale, quando esse non siano fondate su elementi oggettivamente rilevanti, ma soltanto sulle dichiarazioni rese dal paziente".

Con la seconda si è invece ritenuto che "la mera possibilità di un peggioramento delle condizioni di salute del soggetto danneggiato costituisce un danno risarcibile soltanto ove tale peggioramento sia oggettivamente prevedibile e statisticamente probabile (Trib. Roma 8.3.1995 n. 3703 in Riv.giurid.circol. e trasp. 1995, 548).

Anche i consulenti medici d'ufficio sono quindi richiamati a criteri oggettivi nella

percentualizzazione del danno mentre i consulenti di parte dovranno richiamare l'attenzione del patrono del comune cliente per evidenziare eventuali manchevolezza al riguardo.

Piuttosto si può osservare che in presenza di danno alla salute con riflessi dimostrati sull'attività extralavorativa del leso, il Giudice, soprattutto ove si applica il criterio di

liquidazione del punto differenziato, potrebbe anche riconoscere un valore a punto più pesante.

Non sarebbe invece corretto lasciare al medico il compito di quantificare l'aspetto dinamico con

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percentualizzazione magari più elevata visto che è pur sempre il Giudice colui che deve valutare le prove fornite dalle parti.

Un rigoroso accertamento del nesso di causalità potrà comportare, se necessario, la ricerca di un altro tipo di indagine tecnica, diretta ad es. ad accertare se è verosimile che i danni riportati dai mezzi coinvolti in un sinistro abbiano potuto scatenare le lesioni che l'attore lamenta di aver subito.

Si tratta di un accertamento particolarmente utile in presenza di lesioni da colpo di frusta che dovrà essere demandato ad ingegneri o comunque tecnici ai quali si dovrà perciò chiedere di descrivere le caratteristiche dei veicoli coinvolti, i danni dagli stessi riportati, la velocità residua del veicolo tamponante, nonchè fornire l'indicazione delle parti del corpo dei passeggeri del veicolo tamponato che possono aver subito danni.

Un tale tipo di accertamento è già stato espletato in numerosi giudizi ed ha in certi casi portato a decisioni che hanno respinto le richieste attoree essendosi dimostrata la mancanza di nesso di causalità tra l'incidente e la lesione lamentata.

Da quanto sin qui detto ci sembra possa evidenziarsi come la delimitazione del concetto di danno alla salute e la ricerca di una sua liquidazione "su misura" portino oltre a diverse esigenze sul piano probatorio, anche e soprattutto ad una diversa e più pregnante collaborazione tra i medici ed i legali delle parti.

In qualche caso potrà essere il medico a suggerire all'avvocato di far chiarire la realtà

chiedendo una consulenza “cinematica”; in altre situazioni, sarà l'avvocato che, a fronte di prove dirette a dimostrare una certa attività sportiva e relazionale, potrà chiedere al medico di

controllare con attenzione l'influenza della lesione su tale attività.

Non si dimentichi infine quanto può succedere dopo che sono state introdotte le ordinanze di condanna al pagamento di somme non contestate.

Se infatti il consulente di parte convenuta concorda su una certa percentuale di invalidità che possa venir facilmente monetizzata perchè ad es. il Tribunale avanti il quale si sta discutendo applichi un criterio di liquidazione a punto ben noto o faccia ricorso ad una tabella altrettanto nota si potrà sostenere che tale atteggiamento del consulente di parte ha posto in essere proprio i presupposti di una tale ordinanza.

La quantificazione del danno alla salute: L’atteggiamento della giurisprudenza di legittimità

Se sugli elementi che caratterizzano il danno alla salute si è pervenuti ad una certa chiarezza ed altrettanto ci si può aspettare, quanto meno in prospettiva, sulla sua percentualizzazione, situazione diversa si ha invece sulla sua monetizzazione.

Il fatto è che i criteri di quantificazione del danno in questione sono disparati e portano talora a risultati difformi tra Tribunale e Tribunale se non tra le varie sezioni di uno stesso Tribunale.

La giurisprudenza di legittimità, come noto, dopo aver preso in considerazione il conteggio che potremmo definire tradizionale, basato sul triplo della pensione sociale (Cass. 4.12.1992 n.

12911 in Mass. Foro it. 1992, 1166) ha mutato atteggiamento.

Ancora di recente è stato precisato che il risarcimento dovuto per danno biologico non può essere determinato con il criterio della capitalizzazione in riferimento alla vita lavorativa del danneggiato di un reddito figurato, corrispondente al triplo della pensione sociale, dovendo essere invece determinato per equivalente della lesione di un bene, la integrità psicofisica del soggetto, da considerare nel suo valore intrinseco e non in relazione alle ripercussioni

economiche del danno sulle capacità di lavoro e di guadagno del danneggiato (v. Cass.

15.9.1995 n. 9725 da CED arch.civile RV 494009, conforme Cass. 16.9.1995 n. 9772 ivi RV 494029, Cass. 18.9.1995 n. 9828 ivi RV 494056).

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In effetti il danno alla salute e quello patrimoniale futuro, consistente nella riduzione della capacità di produrre reddito, riguardano due distinte sfere di tutela risarcitoria per cui il giudice

“ben può ricorrere, nella liquidazione di ciascuno di essi, a criteri differenti, purchè sorretti da adeguata motivazione” (Cass. 29.11.1995 n. 12390 da CED arch.civile RV 494883).

Tali affermazioni si ricollegano ad una serie di altre decisioni ormai ben note, con le quali la Suprema Corte aveva rilevato che nella valutazione del danno alla salute non si possono

assumere a criterio valutativo, dei parametri correlati al reddito e che in mancanza di obiettivi criteri di quantificazione si devono considerare, in una valutazione equitativa, le circostanze del caso concreto (v. Cass. 13.4.1995 n. 4255 in AAVV - La valutazione del danno alla salute già cit. p. 433 nonché Cass. 13.1.1993 n. 357, Cass. 18.2.1993 n. 2008 e 2009 e le altre richiamate in motivazione da tale decisione).

Si è così accennato ad una valutazione "su misura" da effettuarsi con un criterio equitativo differenziato del valore a punto seguendo in sostanza il criterio della scuola pisana che ha ricercato il valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti giudiziari.

Da ultimo abbiamo visto affermare sempre dalla Suprema Corte che nella liquidazione del danno alla salute Il... il giudice di merito può ricorrere alternativamente o ad una tabella di capitalizzazione, ovvero ad un criterio equitativo puro... Il (Cass. 28.11.1995 n. 12301 da CED arch.civile RV 494847).

Se ben abbiamo interpretato quest'ultima massima, (non avendo ancora potuto esaminare la motivazione) ne dedurremmo che l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità, con

atteggiamento sensibile agli sviluppi della giurisprudenza di merito, è ora quello di accettare oltre al criterio equitativo puro anche il criterio basato su tabelle elaborate ad hoc con riferimento alla gravità della lesione ed all'età del leso come abbiamo visto fare da parecchi Tribunali.

5. La quantificazione del danno alla salute: L’atteggiamento dei giudici di merito Se l'insegnamento della Suprema Corte può dirsi ora chiaramente indirizzato, in sintonia con le delineate caratteristiche del danno alla salute e con gli elementi che lo compongono, non altrettanto può dirsi per la giurisprudenza di merito che utilizza invece tuttora vari criteri.

E' anzitutto da ricordare la giurisprudenza genovese cui va indubbiamente riconosciuta una priorità nell'elaborazione del danno alla salute.

Come noto tale giurisprudenza utilizza tuttora delle tabelle che fanno riferimento al triplo della pensione sociale con l'aumento previsto dall'art. 2 1. n. 544/88 richiamando quella giurisprudenza che esclude che il Giudice, liquidando il danno, debba anche accertare in

concreto se sussistano le condizioni cui tale legge subordina la concessione della pensione (Cass.

15.3.1994 n. 2442 in Riv.giurid.circol. e trasp. 1994, 404). In pratica si considera quindi una pensione sociale "pesante" che per il 1995 ammontava a L. 18.798.000 e si tiene conto, nel conteggio, dell'adeguamento alla durata probabile della vita umana desunta dai più recenti dati sulla mortalità considerando altresì il tasso di interesse legale attuale.

Altri Tribunali utilizzano il triplo della pensione sociale "maggiorato" ma applicano poi nel conteggio i coefficienti di cui al RD 9.10.1922 con un tasso di interesse di capitalizzazione del 4,50% (v.Trib. Verona 31.1.1994 in Foro it. 1994, I, 2532).

Analogo conteggio viene utilizzato da alcune Sezioni del Tribunale di Roma mentre altre Sezioni dello stesso Tribunale applicano il sistema a punto (v. M.Rossetti - Criteri di

liquidazione del danno alla persona presso il Tribunale di Roma: analisi critica ed analisi grafica in Tagete 1996, n. 1,4).

Si sono anche viste sentenze che utilizzano il triplo della pensione sociale non maggiorato, le tabelle del RD n. 1403/22 e correggono poi il risultato finale con una percentuale di aumento per adeguare all'attualità gli indici del 1922 (v.Trib. Treviso 17.12.1990 in Resp.civ. e previd.

1991, 758).

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A questo criterio si contrappone quello che può farsi risalire alla scuola pisana della

liquidazione a punto in via equitativa ed illuminante al proposito sono i parametri che lo stesso Tribunale di Ancona ha precisato in una sua ben nota decisione (v. Trib. Ancona 11.4.1994 n.

538 in Orientamenti di giurisprudenza Marchigiana 1994, I, 136 con nota di Berti).

Criterio analogo può dirsi ora seguito da un numero sempre crescente di Tribunali ed a titolo esemplificativo ricordiamo quelli di Torino, Parma, Piacenza, Velletri e Siracusa.

Se il criterio che si richiama al triplo della pensione sociale presenta anzitutto una certa rigidità, la stessa mancanza di uniformità con la quale è stato applicato nei vari Tribunali porta anche a risultati difformi da luogo a luogo; ulteriore discrasia è poi quella di attribuire somma non giustificata per le permanenti di piccole entità.

Il criterio della liquidazione a punto non è stato anchlesso applicato con uniformità, portando a risultati difformi pur presentando maggior equilibrio nella liquidazione dei danni di scarsa importanza.

Con il lodevole intento di consentire uniformità di liquidazione, quanto meno nello stesso Tribunale, sono state in questo ultimo periodo elaborate delle tabelle che attribuiscono ad ogni punto di invalidità il suo valore, il chè comporta, ovviamente, valori ridotti per le piccole permanenti ed importi proporzionalmente crescenti man mano che l'invalidità risulta più grave con correlative riduzioni per le fasce d'età più avanzate.

La più nota di tali tabelle è stata indubbiamente quella elaborata dal Tribunale di Milano cui si sono affiancate quelle elaborate dai Tribunali di Firenze, Savona, Venezia, Brescia e Cagliari.

6. Conclusioni

Di certo l'elaborazione di tabelle ha il grosso pregio di eliminare le incertezze fra gli operatori e le possibili disparità di trattamento, fornendo dei criteri tendenzialmente uniformi.

Certe tabelle hanno evidenziato 1 I ulteriore pregio di attribuire alle micropermanenti valori inferiori a quelli in precedenza talora adottati riconoscendo invece valori consistenti a quei danni che per la loro gravità rivestono un indubbio peso anche sul piano economico.

Un sia pur veloce e sommario raffronto tra le varie tabelle evidenze peraltro differenze di quantificazione anche notevoli tra una tabella e l'altra (v. ad es. il raffronto operato su Tagete 1996, n. 1, 10).

Forse il futuro della liquidazione del danno alla persona è rappresentato proprio da tabelle scientificamente preordinate con maggiori certezze per tutti, anche se il Magistrato potrà tener conto del caso anomalo chiaramente evidenziato da sicuri elementi probatori.

C'è da augurarsi che in tale ottica il danno di ridotta gravità come quello riconducibile a certe microinvalidità che più che un danno possono vedersi come un fastidio, venga liquidato appunto come un fastidio per riservare risorse ai danni con reale gravità tenuto comunque conto di quella che è la realtà economica del ns. Paese.

Come ultimo motivo di riflessione ci si permette richiamare quanto affermato dalla Corte d'appello di Trieste (v.Corte app. Trieste 25.1.1995 in Assic.Internaz. dei veicoli, 1995, 153) in ordine ai criteri liquidativi del danno ed al loro rapporto con l'ambiente di vita del danneggiato.

Si è precisato (nella motivazione di tale sentenza) che nella monetizzazione del danno biologico Il... un serio progetto risarcitorio non può trascurare caratteristiche e modalità di riparazione della compromissione delle capacità espansive della personalità individuale".

Pertanto Il... i criteri liquidativi non possono tuttavia prescindere dalla variante data dalla peculiarità dell'ambiente di vita (e dei costi dei beni) in cui il danneggiato normalmente opera ed è immerso". Nel caso di specie, osservato che Il... la liquidazione non può prescindere dalla considerazione dell I ambiente in cui il danneggiato risente delle conseguenze del danno" si è ridotto di 1/3 il danno liquidato sulla base del triplo della pensione sociale dai giudici di prime cure ad uno sloveno.

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Pur senza voler assumere un atteggiamento provocatorio ci chiediamo se le osservazioni della Corte di Trieste non consentano di f igurare nello stesso nostro Paese tabelle con valori a punto differenti ma aderenti alle disparità che sul piano economico emergono tra le varie località italiane, e ciò ovviamente al fine di garantire un risarcimento del danno effettivo sempre più sofisticato ed obiettivo.

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