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Cronache Economiche. N.007-008, Anno 1979

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S O M M A R I O

3 Maestranze e strutture medioevali nel castello di Porta Fibellona M a r i a Luisa T i b o n e

9 Dati e problemi dell'alpicoltura piemontese Fausto M . Pastorini

17 Piccola, media e grande impresa in Piemonte: verifica di un mito Bruno C e r r a t o

28 Come si può recuperare il rifiuto gomma F. Fox - L. Albonico - C. G u t e r m a n n

35 A proposito di aree industriali attrezzate Franco Stefanelli

37 Esportare non è difficile Enrico Gennaro

42 Realtà e prospettive di sviluppo delle transazioni commerciali con Egitto, Portogallo e Venezuela Giorgio Pelliccili

53 Cosa fa lo CSELT Piero Bianucci

61 L'arte degli antichi minusieri Piera Condulmer

66 Tenda, roulotte o motorcamp? A l b e r t o V i g n a

68 Tra i libri

78 Dalle riviste

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni debbono essere indirizzati alla Direzione della rivista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell'Autore e non impegnano la Direzione della rivista né l'Amministrazione camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono essere inviate in duplice copia. È vietata la riproduzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si resti-tuiscono.

Editore: Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino. Presidente: Enrico Salza

Giunta: Domenico Appendino, Mario Catella, Giuseppe Cinotto, Renzo Gandini, Franco

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Direttore responsabile: Giancarlo Biraghi Vice direttore: Franco Alunno

Redattore capo: Bruno Cerrato Impaginazione: Studio Sogno

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Telegrammi: Camcomm Torino. Telefoni: 57161 (10 linee). Telex: 221247 CCIAA Torino. C/c postale: 2/26170. Servizio Cassa:

Cassa di Risparmio di Torino. Sede Centrale - C/c 53.

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(13)

MAESTRANZE

E STRUTTURE MEDIOEVALi

NEL CASTELLO

DI PORTA FIBELLONA

Il periodo della dominazione sul

Pie-monte e su Torino dei Principi d'Acaja,

durata dal 1294 al 1419, è stato oggetto

di limitate ricerche storiche. Il

Sarace-no, il Gabotto, il Datta

1

, e, più

recen-temente, il Cognasso nella sua « Storia

di Torino » ci danno un quadro alterno

ma ancora nebuloso, che di quella

so-cietà non riesce ad individuare appieno

la facies.

Certamente tutto è ancora racchiuso

ne-gli archivi ed è proprio da un archivio,

quello antico di Pinerolo che viene a

noi un documento fondamentale.

Si tratta di un Libro delle spese fatto

dal Chiavaro Pietro Panissera d'ordine

di Filippo d'Acaja, « per la costruzione

di un castello o casaforte in Torino, alla

porta Fibellona, detta porta Castello,

al-lato a Palazzo Madama

2

, dal giorno

gio-vedì 11 agosto 1317 a tutto luglio

1319 ».

È stato ritrovato recentemente da

Fran-co Monetti che l'ha letto, tradotto,

chio-sato ampiamente in uno studio che è in

via di pubblicazione.

Assistito dall'architetto Franco Ressa,

egli è stato inoltre in grado di

indivi-duare alcune immagini che si pongono

in relazione ai lavori che il documento

ampiamente descrive.

Risaliamo agli anni della dominazione

torinese di quel Filippo d'Acaja che era

stato designato erede da Tommasino di

Savoia suo padre, colui che aveva

occu-pato Torino, dopo la cattura, avvenuta

nel 1280, del Marchese di Monferrato

in viaggio verso la Castiglia.

Tommasi-no era morto a soli trent'anni. Era

al-lora ancora vivo il vecchio conte Filippo

e la successione fu decisa altrimenti,

fa-cendo prevalere sulla linea di

primoge-nitura, che sarebbe spettata al giovane

erede quella di seniorato, che diede la

Savoia ad Amedeo V.

La vedova di Tommasino, Guia di

Bor-gogna, acconsentì a che Amedeo

occu-passe i domini di Piemonte come

reg-gente del minore Filippo.

Raggiunta la maggiore età questi

ottie-ne, nel 1294, di riunire nelle proprie

mani i domini del Piemonte.

Da questo momento Filippo d'Acaja è

definito, nei documenti « Dominus

Pe-demontis » e riceve l'omaggio dei

feu-datari della regione.

Si stabili a Pinerolo ma scese spesso a

Torino, nel Castello di Porta Fibellona,

che era stato presumibilmente costruito

dal Marchese di Monferrato. Cognasso

aveva osservato che egli « vi fece opere

di restauro di tale entità da dare

all'edi-ficio una figura completamente nuova ».

A proposito dei vari rifacimenti di

quel-lo che è ora il Palazzo Madama, gli

stu-diosi non concordano. Diverse sono le

definizioni della porta romana su cui

sorse, che alcuni chiamano Decumana,

altri Praetoria.

Noi seguiamo il Rondolino

3

che ha

ba-sato il suo studio del « Palazzo Madama

nel Medioevo » su ricerche d'archivio,

individuando la « probabile costruzione

dal castello da parte del Marchese di

Monferrato » ed « opere ordinate per

avventura da Filippo d'Acaja verso il

1317 ». Tra gli studiosi è colui che, con

il Cognasso, più si accosta alla nostra

ricerca documentaria.

Sul periodo si sofferma anche il testo

del Telluccini

4

: « Il palazzo Madama di

Torino », Torino, 1828, citando da un

documento la riparazione avvenuta nel

1312 di due ponti levatoi. Sempre ai

primi del trecento elenca lavori per la

casaforte — sia di ordinaria che di

straordinaria manutenzione — tratti dai

' Conti della vicaria '.

Notizie precise sugli anni 1317-19 non

dà il D'Andrade

5

che operò il grande

restauro del Palazzo.

Il Mallè indica

6

« lavori alla casaforte

per miglioramenti a maggior agio del

Conte Principe e dei suoi familiari » al

tempo dei « soggiorni fuggevoli » di

Fi-lippo; ma rimanda al tempo di

Giaco-mo e soprattutto a quello di Lodovico

d'Acaja i più ampi rifacimenti.

Pare quindi assai importante la

comu-nicazione delle notizie trovate nel

mano-scritto cartaceo dell'archivio pinerolese,

che nelle sue 142 + 2 carte numerate,

nonostante alcune lacune

7

, dà notizie

cosi precise della costruzione, voluta da

Filippo, per munire la città ed ottenere

una conveniente residenza.

(14)
(15)

Ricostruzione congetturale della città di Torino

verso ia fine del trecento (Marco Carassi, febbraio '78).

(T) Porta Marmorea ( 2 ) Porta Segusina

( 3 ) Porta Palatina o Palazzo (zona di mura da cui v e n g o n o estratti

materiali per il castello)

( 4 ) Porta Praetoria su cui è già costruita la « Domus d e Forcia »

( 5 ) Porta Fibellona

( 6 ) Convento Templare di San Saverio ( a c c a n t o alla Piscina delle rane) (questo, m a n c a n t e nella ricostruzione originale, è s t a t o da noi a g g i u n t o ) ( 7 ) Anfiteatro r o m a n o

penze politiche interne ed esterne,

cer-cava la riconquista del principato di

Acaja

8

, avendo sposato l'ultima erede

dei Villehardouin, Isabella, e

l'occupa-zione di Asti e Chieri — in quella

occa-sione divisò di riattare e rendere

con-fortevoli quei locali che forse non si

erano manifestati abbastanza accoglienti

e regali.

Nonostante egli non fosse riuscito a

col-locare nella sede episcopale torinese il

fratello Tommaso, per l'opposizione di

Bonifacio V i l i , alla città aveva dato un

Vicario, suo ufficiale, a cui trasmetteva

ordini precisi.

Il clima non pacifico del territorio

(rin-focolato dai rustici di Sangano che

crea-no un sindacato o comune; dai cittadini

di Pinerolo che nel 1305 rifiutano di

en-trare nell'esercito) e quello talora

pale-semente ostile della città, sostenuto da

ingiurie (nel 1312 un tale è condannato

ad * una multa per grave oltraggio al

principe) e da tumulti fra i partiti (nel

1319 il vicario commina multe per

sedi-zioni), sono difficoltà che non frenano

Filippo nei suoi intendimenti. Infatti

sappiamo, che egli porterà a termine,

proprio in quegli anni caldi, la sua

pre-cisa opera di ricostruzione del Castello

di Porta Fibellona.

Il documento decifrato ed illustrato dal

Monetti ci consente di conoscere le

pre-cise volontà del Principe che anche

quando si trova fuori sede riceve '

nun-cios ' che gli relazionano lo stato dei

la-vori.

Ricordiamo che proprio nel 1318, nel

momento in cui sta per verificarsi un

rallentamento delle opere, Filippo «

(16)

©

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PROSPETTO VIA PO

Nuovi muri perimetrali Torri romane Torri quadrate

Ponte levatoio interno alla città Porta Fibellona

Ruscello scorrente per porta Fibellona Cortile interno

Veduta di fianco

e di prospetto delia fabbrica di Filippo d'Acaja

cosi come è descritta da! documento.

A sinistra:

// documento

cosi come si presenta ora. Misure cm. 36 x 13. È cartaceo,

ricoperto in cartapecora. Il fossato attuale

sul lato di Palazzo Madama. Nello sfondo,

(17)

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II disegno dei d'Andrade (riportato nei testo dei Malie) con la pianta di Palazzo Madama nel medioevo

(le due frecce, da noi aggiunte, indicano le torri quadre

la cui costruzione è minutamente descritta nel libro dei conti de! Pan isserà).

Fianco attuale di Palazzo Madama. È possibile vedere la torre quadrata, ornata da una cornice a mensole

(18)

nel Faucigny, cedendo di fatto i domini

di qua dai monti nel 1362.

Il Castello di Porta Fibellona vedrà

en-tro le sue mura, nel 1381, importanti

trattati; nel 1418, alla morte di

Ludovi-co d'Acaja ritornerà, Ludovi-con la città ed i

domini piemontesi, ai Savoia d'oltralpe,

incorporato nel ducato di Amedeo VIII.

In questo periodo di storia, nonostante

vari studi, ancora malnoto, il

documen-to scoperdocumen-to porta una luce non

trascu-rabile.

Rappresenta un preciso punto di

rife-rimento nella millenaria storia degli

edi-fici sorti sull'antica Porta Praetoria e,

consentendo di colmare una evidente

la-cuna della sua evoluzione, anticipa di

circa un secolo la ricostruzione

prece-dentemente presunta opera solo di

Lu-dovico d'Acaja.

Dà importanti informazioni sui rapporti

tra il Principe e i suoi territori,

soprat-tutto laddove tratta delle ' royde '

(cor-vées che qui sono richieste per il

tra-sporto dei materiali, con fornitura dei

traini, in genere buoi) o quando indica,

da parte del feudatario, una richiesta di

denaro alle comunità.

Dà ancora importantissime indicazioni

topologiche, quando si riferisce agli

edi-fici da cui vengono tratti materiali

10

di

ricupero, come la Porta Marmorea, la

Segusina, vari conventi, le mura stesse

della città.

Anticipando le conclusioni dello studio

di Monetti, possiamo ancora affermare

che dalle carte ritrovate emerge un

pre-ciso quadro dell'organizzazione del

la-voro

11

del tempo, si individua il

carat-tere dei materiali impiegati

n

, con la

lo-ro plo-rovenienza ed il lolo-ro costo; il

siste-ma costruttivo semplice e saldissimo è

descritto nei minimi particolari

13

con

tutto il corredo di macchine

necessa-rio

14

.

La lingua latina del basso medioevo,

sufficientemente semplice e chiara per

essere intesa, ci offre termini coloriti

ed intuibili

15

specchio di un'età

reali-stica e concreta.

Le maestranze casalesi, ampiamente

ci-tate

16

, con le loro tecniche, vive cosi

come emergono dal documento, si

con-trappongono in Piemonte alla

tradizio-ne comacina, costituendo un preciso

nu-cleo di attività costruttiva finora

abba-stanza trascurato

17

.

Le ricerche, cosi fruttuosamente

inizia-te, devono ora proseguire, per far luce

su una problematica che ci dà del

Pie-monte medioevale un volto finora

sco-nosciuto.

N O T E

1 SARACENO V., Regesto dei Principi di Casa

d'Acaja, in Miscellanea di Storia italiana XX,

1882; GABOTTO F., Gli ultimi principi d'Acaja

Pinerolo, 1887; DATTA P. L., Storia dei Principi d'Acaia, Torino, 1832.

2 Ha coperta in cartapecore su cui è la scritta riportata nel testo, posteriore, di mano ignota. Si divide in ' Tituli expensae ' {ventinove), quasi tutti ricostruibili in toto, nonostante la perdita di alcune carte.

3 Egli ci informa che Filippo « pagò duecento

lire per l'edifìcio del Castello, ossia le case del castello vecchio, che puosi ragionevolmente ritro-vare nella statio. Si può anzi argomentare che queste opere, di non lieve dispendio, terminate due anni dopo, avessero costituito un nuovo edi-ficio » (Archivio di Torino Ordinati Comunali

Lettere 14 settembre 1346).

4 TELLUCINI ci dice, fra l'altro, che preposto al

controllo delle spese era il « chiavaro, che

soprin-tendeva al patrimonio comunale e rappresentava 11 comune proprietario dell'edificio ».

5 La documentazione è contenuta in una Relazio-ne dalla CommissioRelazio-ne preposta al restauro del

Palazzo Madama che operò negli anni 1883-85.

6 II MALI,È ricorda anche lavori compiuti nel

1350 per il matrimonio, in Castello, tra Bianca

di Savoia, figlia del conte Ajmone — del ramo primogenito — e Galeazzo Visconti.

7 La mancanza di alcune carte non nuoce molto

alla intelligibilità del testo. Importante è, inoltre un foglio con i nomi dei magistri.

8 Sorto nel 1210, dopo la quarta crociata, il principato di Acaja comprendeva Elide, Messe-nia, parte dell'Arcadia oltre all'Acaja propriamen-te detta. Isabella di Villehardouin, che aveva spo-sato in terze nozze Filippo di Savoia, dovette cedere il principato a Carlo d'Angiò, che ne in-vesti' il figlio, da ciò i tentativi di riconquista del Savoia.

9 Le congiure si moltiplicano una nuova trama è scoperta a Fossano nel 1328. (COGNASSO, Storia di Torino, Milano 1969, pag. 151).

10 Nel testo sono detti de recaucio. Tra i

con-venti, offre materiali di ricupero San Saverio, pos-sesso abbandonato dai Templari in seguito alla condanna di Clemente V (1307).

u Ad essi sovrintende Germano da Casale ed, ogni tanto, Giacomo da Casale, frate cappuccino, Panissera, il chiavaro, è sempre l'estensore del testo.

12 Importanti sono i rapporti con le fornaci per fornitura e consegna dei mattoni (si tratta di

cen-tomila mattoni circa). La sabbia si trae dalla Dora.

13 Interessanti sono i problemi di carpenteria; il

reperimento delle travi per i solai è fatto con il taglio sistematico di boschi di vari proprietari; dovendosi costruire ex novo due torri quadrate 11 lavoro viene eseguito da specialisti casalesi: Barriono e Perono di Casale S. Evasio.

14 Fra le macchine appositamente costruite è un arcicarro attrezzato in particolare per il trasporto

di grosse pietre (probabilmente di ricupero).

!5 Zapusi sono i boscaioli; roncinus il cavallo da traino; si ricorre a Bozardo mazoco et tribus eius

sociis prò carreando grossos lapides de muro Por-te Nove, ecc.

16 Anche oggi, Casale, centro produttore di

ce-mento, è importante per l'edilizia. Nel medioevo le maestranze, di là provenienti, dovevano essere ben note e richieste.

17 Maestranze piemontesi Friazin lavorarono

qual-che tempo dopo perfino al Cremlino di Mosca (Cfr. CAZZOLA, in « Boll. Spaba », Torino, 1978). Citiamo il testo dei Monetti: Germano di Casale,

(19)

DATI E PROBLEMI

DELL'ALPICOLTURA PIEMONTESE

Fausto M. Pastorini

Poco più di vent'anni fa, all'inizio del

1958, fu realizzato il 1° censimento dei

pascoli ricadenti nei comuni montani del

Piemonte. L'ampia indagine che ne

com-mentò le risultanze fu molto puntuale e

precisa nel descrivere i terreni pascolivi

e nell'elencare gli interventi necessari a

proteggere, con il miglioramento dei

pa-scoli, le risorse naturali e la stabilità del

suolo montano: essa trovò degna sede in

un apposito volume che costituì il

« Quaderno XI » di « Cronache

Econo-miche » pubblicato dalla Camera di

com-mercio IAA di Torino

Negli anni successivi e più vicini ad

og-gi analoghe iniziative sono state

intra-prese in altre Regioni ed anche in altri

Paesi: nel 1974 la Giunta regionale

lom-barda ha portato a compimento una

« Indagine sui pascoli montani della

Lombardia », ricca di dati e di

informa-zioni sull'alpicoltura di quel territorio, e

nel 1976 il Ministero dell'agricoltura

francese ha presentato una

pubblicazio-ne dal titolo: « Enquéte pastorale » ove

si espongono i principali risultati

riguar-danti le unità pastorali della montagna

francese.

Intanto nel nostro Paese le varie

vicen-de politiche ed economiche vicen-dell'ultimo

decennio hanno dato l'avvio alla

crea-zione di strutture amministrative

inno-vate tra cui. si pongono, sulle antiche

ra-dici dei Consigli di valle, le « Comunità

montane » che hanno il compito di

pro-grammare ed attuare lo sviluppo

econo-mico e sociale delle zone di montagna.

Alla luce di tutti questi avvenimenti

l'Unione regionale delle Camere di

com-mercio IAA del Piemonte ha ritenuto

che lo studio a suo tempo eseguito

meri-tasse di essere ripreso ed aggiornato.

Questo proposito si è dimostrato assai

perspicace nell'interpretare un'esigenza

avvertita non solo dagli alpicoltori, dai

Comuni e dalle Comunità montane

di-rettamente interessate ai problemi

prati-ci connessi alla gestione delle malghe,

ma anche dalle istituzioni delegate alla

ricerca, alla sperimentazione ed agli

ap-profondimenti scientifici dei temi

perti-nenti allo sviluppo zootecnico ed

all'ali-mentazione animale.

Va quindi riconosciuto pieno merito

al-l'iniziativa assunta dall'Unione

regiona-| le, che in un volume di prossima

pubbli-cazione propone una completa e

sugge-stiva panoramica dell'attività che si

ma-nifesta sulle « alpi » stagione per

sta-gione, cogliendone i fondamentali

aspet-ti tecnico-economici e sociali.

Alla raccolta dei dati hanno collaborato

i quadri del personale addetto ai

Co-mandi di stazione del Corpo forestale

dello Stato nel cui territorio sono

ubi-cate le « alpi » oggetto d'indagine,

non-ché il personale degli Ispettorati

ripar-timentali forestali delle province

pie-montesi.

Il coordinamento e l'elaborazione dei

da-ti raccolda-ti sono poi stada-ti affidada-ti a tre

studiosi di problemi montani ed

alpi-colturali, cioè al Dott. A. Salsotto, capo

dell'Ispettorato regionale forestale del

Piemonte, al Dott. G. R. Bignami,

re-sponsabile dell'Ufficio delle Comunità

montane della Regione Piemonte, sede

di Cuneo ed allo scrivente, docente di

Zooeconomia nell'Università di Torino.

1. IL RICENSIMENTO DELLE UNITÀ PASTORALI

Nell'ordito dell'opera in corso di

pub-blicazione due punti appaiono

essenzia-li e quaessenzia-lificanti.

Il primo riguarda l'unità di rilevamento,

identificata nell'« alpe » o « malga » o

« unità pastorale ».

Per « alpe » deve intendersi un terreno

in unico grande corpo, oppure un

com-plesso di terreni (tramuti o gias)

collo-cati a diversa altitudine, appartenenti ad

uno o a più proprietari ma utilizzati da

un unico imprenditore (persona fìsica,

oppure associazione o consorzio o

coo-perativa di allevatori) la cui attività

eco-nomica è diretta esclusivamente al

con-seguimento di prodotti di origine

anima-le. L'alpe è formata da pascoli — che

ne rappresentano lo strumento

produtti-vo fondamentale — da incolti pascolivi,

eventualmente da prati, da boschi, da

incolti sterili e rocce, nonché da

fabbri-cati ed infrastrutture intese ad

incre-mentarne la produttività. Sull'alpe il

ti-tolare dell'impresa pastorale conduce gli

animali — di una medesima o di più

mandrie o/e greggi — perché vi

eserci-tino il pascolo nel corso della stagione

estiva, consecutivamente per un

deter-minato periodo senza ritorno

giornalie-ro nei luoghi di svernamento. L'alpe è

quindi l'unità tecnico-produttiva a

ser-vizio dell'impresa pastorale.

Nell'ambito delle alpi esistenti sono

sta-te rilevasta-te le unità la cui superficie a

pascolo ed a prato non è risultata

infe-riore ad ha 20, poiché è stato ritenuto

che tale superficie costituisca, nella più

ampia generalità dei casi, la dimensione

areale minima atta ad indurre l'impresa

all'effettivo esercizio dell'attività che le

compete, pur con le più ridotte garanzie

di efficienza.

Attesa la circostanza del minimo areale

ora citato, sono state rilevate e censite

1053 alpi collocate in 214 Comuni

di-stribuiti in 39 Comunità montane

pie-montesi interessate all'attività pastorale.

Per ogni alpe è stata raccolta, con

appo-sita « scheda di rilevamento », una

lun-ga serie di dati e di informazioni

riguar-danti: le forme di proprietà ed i tipi

d'impresa, i fattori produttivi

(superfi-cie complessiva e sua ripartizione;

alti-tudine; investimenti immobiliari

disponi-bili ed interventi migliorativi

auspicabi-li; carico animale stagionale

mediamen-te rilevato nell'ultimo quinquennio,

di-stinto per specie (bovini, ovini, caprini,

suini, equini) e nell'ambito dei bovini

per categoria (tori, vacche in lattazione,

vacche senza latte e bovini con più di

2 anni, bovini da 6 mesi a 2 anni); i

prodotti conseguiti (latte, burro,

formag-gio), il periodo d'alpeggio, il canone di

affitto corrisposto, le zone di

provenien-za delle maestranze, la provenienprovenien-za e le

condizioni sanitarie degli animali

alpeg-giati.

Il secondo punto qualificante

dell'inda-gine concerne l'accertamento del carico

animale espresso in UBA (unità

bestia-me adulto).

In proposito è opportuno ricordare che

i vari capi allevati manifestano proprie

necessità nutrizionali in rapporto al

di-verso livello quali-quantitativo delle

pro-duzioni offerte, nonché allo sviluppo,

nelle diverse età, del p.v. collegato alla

specie di appartenenza ed alla

particola-re destinazione produttiva.

(20)

sopraindicate, gli studiosi e gli esperti di

zooeconomia e di alimentazione animale

hanno da tempo proposto di utilizzare

alcune semplici unità di misura,

avvalo-rate dall'esperienza pratica degli

alleva-tori ed identificabili, per es., in un capo

standard, cioè in una grandezza

con-venzionale che la consuetudine ha

fissa-to nel cosiddetfissa-to « capo grosso » o

« capo adulto » e che negli ultimi anni

ha trovato altre più elaborate

espressio-ni costituite dall'UGB (uespressio-nité gros

bé-tail)

2

e dalla UCA (unità consumatrice

animale)

3

.

Nell'indagine che qui si presenta si è

ri-tenuto di assumere l'anzidetta UBA

co-me capo standard in parallelo ad uno

specifico riferimento contenuto nella

Legge nazionale n. 352/76, che

istitui-sce un regime di aiuti a favore

dell'agri-coltura di montagna.

La conversione in UBA degli animali

presi in carico nelle unità di rilevamento

è stata effettuata per Comunità montana,

dopo aver conferito alla medesima UBA

un puntuale significato agli effetti

nutri-zionali, con riguardo ai fabbisogni

ali-mentari degli animali in produzione

zoo-tecnica riscontrabili nelle malghe

pie-montesi durante l'alpeggio

4

.

Il carico animale tradotto in UBA ha

co-stituito un utile paradigma per rilevare,

sia pure in via deduttiva ma con

suffi-ciente approssimazione, la produzione

foraggera media utilizzata dagli animali

e ricavata dalle aree a pascolo ed a

pra-to ricadenti nelle alpi delle varie

Comu-nità montane.

Con riferimento ed ispirazione ai due

punti determinanti sopracitati sono

sta-ti formalizzasta-ti i documensta-ti dello studio.

Le 1053 « schede di rilevamento »,

co-me docuco-menti primitivi, le 90 Tabelle,

le 45 schede segnaletiche e la

cartogra-fia, come documenti derivati ed

elabo-rati, rappresentano l'ossatura

dell'indagi-ne, la quale si sviluppa in una rete

me-todologica che al rigore scientifico

uni-sce ben precise finalità pratiche di

ca-rattere applicativo.

(21)

pro-vinciale e le diverse Province su base

re-gionale.

Infine, per introdurre il lettore nella

dia-lettica dell'indagine lo studio si apre con

un capitolo dedicato al Piemonte dei

pascoli alpini, ove si analizzano alcuni

problemi di fondo, quali la

geomorfolo-gia e l'organizzazione di tutela ed

utiliz-zazione dei pascoli, le vicende storiche

e sociologiche dell'uomo che risale

len-tamente le valli guidando mandrie e

greggi verso coperture erbose sempre

più alte, le risorse agro-zootecniche

di-sponibili e la struttura dell'azienda

mon-tana.

Tabella 1. Ripartizione della superficie per coltura

S U P E R F I C I E Categorie colturali ha ha ha ha % % % Pascolo 116.751 71,3 Incolto pascolivo 39.283 24,0 Prato 7.696 4,7 Superficie a produzione foraggera 163.730 100,0 90,8 71,2 Superficie boscata 16.574 9,2 7,2 Superficie produttiva 180.304 100,0 Superficie improduttiva 49.651 21,6 Superficie complessiva 229.955 100,0

2. I RISULTATI DELL'INDAGINE

A LIVELLO REGIONALE

E NELLE DIVERSE PROVINCE

Dal complesso delle rilevazioni

effettua-te si è avuto la conferma che le 1053

alpi censite nel territorio montano

pie-montese costituiscono un'industria di

di-mensioni veramente considerevoli.

Che si tratti di una grande impresa

ap-pare con certezza da pochi dati

essen-ziali. Espressi in cifre tonde, tali dati

informano che l'alpicoltura della nostra

Regione si sviluppa su una superficie

complessiva di 230.000 ettari ed

impe-gna 3500 pastori in prestazioni di

lavo-ro e di capitali.

L'area a produzione foraggera è di

163.000 ettari e con i foraggi che se ne

ottengono (q 1.130.000 di fieno

norma-le) vengono alimentati 68.000 bovini,

75.000 capi ovini e caprini, 2400 suini

ed equini. Dagli allevamenti bovini si

consegue un insieme di prodotti

lattie-ro-caseari pari a q 167.200 di latte,

q 12.300 di formaggio e q 3000 di

bur-ro. E tutto questo nel corso di 110

gior-ni, che possono considerarsi

mediamen-te rappresentativi della durata normale

dell'alpeggio.

2.1. Ripartizione della superficie

complessiva

La tab. 1 indica la ripartizione della

superficie occupata dalle alpi censite.

L'essenziale dei dati esposti è

rappresen-tato dall'alta percentuale di territorio

occupata dalle produzioni foraggere, la

cui area relativa si estende sul 90,8%

della superfìcie produttiva e sul 71,2%

di quella complessiva; non pare

super-fluo notare che su quest'ultima si

svi-luppa una non piccola quota (poco più

di 1/5) dominata dall'incolto sterile e

coperta da rocce.

Al pascolo va poi attribuita la frazione

più rilevante (71,3%) dell'area a

pro-duzione foraggera; riguardo alla

super-ficie prativa, che risulta di ben modesta

dimensione (4,7%), è auspicabile che

le prove sperimentali intraprese dagli

Istituti delegati a ricerche di questo

ti-po riescano a dare quanto prima validi

orientamenti per allargarne le

dimensio-ni ed accrescerne la produttività.

2.2. Distribuzione delle alpi

e della superficie foraggera

La distribuzione delle alpi rilevate e

della superficie foraggera sul piano

pro-vinciale si configura nella tab. 2.

Come risulta dai valori numerici

rac-colti nel prospetto soprariprodotto, le

Provincie più alpicole del Piemonte

so-no quelle di Toriso-no e di Cuneo, che

nel-l'insieme contano il 74% delle alpi

cen-site e 1*81,3% della superficie a

produ-zione foraggera. Le minime percentuali

si riscontrano nella provincia di

Ales-Tabella 2. Distribuzione della superficie per

provincia Province Alpi Sup. a produz. foraggera n. % ha % Torino 411 39,0 69.110 42,2 Cuneo 369 35,0 63.984 39,1 Vercelli 188 17,9 12.341 7,5 Novara 76 7,2 15.977 9,8 Alessandria 9 0,9 2.318 1,4 Regione 1.053 100,0 163.730 100,0

sandria a causa delle caratteristiche

ap-penniniche proprie del sistema montano

di questo territorio.

(22)

2.3. Produzione foraggera

e carichi animali

La distribuzione della produzione

forag-gera totale ricavata dalle aree pascolive

delle varie province ed utilizzata dagli

animali alpeggiami, nonché l'indicazione

delle produzioni unitarie, si articolano

cosi come risulta nella tab. 3.

Tabella 3. Produzione foraggera per provincia

Produzione foraggera

Province Produz. totale Prod.unit. e regione (in q di fieno normale) (per ha)

q

%

q

Torino 438.247 38,7 6,34 Cuneo 426.018 37,7 6,66 Vercelli 144.764 12,8 11,73 Novara 88.053 7,8 5,51 Alessandria 33.974 3,0 14,66 Regione 1.131.056 100,0 6,91

Le produzioni foraggere sopraindicate

derivano, come si è già accennato, da

accertamenti effettuati in via deduttiva,

ma possono ugualmente considerarsi

si-gnificative poiché si basano su consumi

foraggeri comunemente accettati nel

campo dell'alimentazione animale e su

periodi di alpeggio direttamente rilevati.

Merita menzione la circostanza che il

76,4% della ragguardevole produzione

totale proviene dalle malghe torinesi e

cuneesi, le quali tuttavia non sono ai

primi posti in fatto di produzioni

unita-rie ove il primato tocca alle alpi

del-l'Alessandrino seguite da quelle del

Ver-cellese.

La situazione dei rendimenti unitari

in-duce a qualche notazione critica, atteso

che le rese medie delle succitate

provin-ce di Alessandria e di Verprovin-celli si

scosta-no in scosta-notevole misura da quelle delle

altre province ed anche dal valore medio

regionale, pari a q 6,91.

Apposite ricerche in argomento

condot-te hanno consentito di appurare che

nelle alpi del Vercellese e

dell'Alessan-drino la superficie a produzione

forag-gera viene usufruita pressoché

integral-mente, mentre nelle alpi delle altre

pro-vince mandrie e greggi utilizzano solo

una parte della predetta superficie,

me-diamente pari all'80%.

Va ancora aggiunto che i rendimenti

dell'Alessandrino sono favoriti dalle

mi-nori altitudini e dal carattere

appenni-nico dei pascoli, mentre quelli del

Ver-cellese sono secondati dal particolare

regime pluviometrico di talune sue zone

di montagna ed anche dal fatto che

l'ir-rigazione delle foraggere si estende su

una superficie la cui percentuale,

rispet-to all'area rispet-totale riservata a produzione

foraggera, risulta essere la più alta

(4,38%) di tutta la Regione.

Considerate queste circostanze appare

verosimile che la produzione foraggera

unitaria — osservata al livello medio

regionale — venga ad assumere un

va-lore prossimo a q 8,45 per ha, e che

pertanto la superficie a foraggio

riser-vata ad ogni UBA non si discosti da

ha 1,94.

Quanto al carico animale mediamente

riscontrato nell'ultimo quinquennio

sul-le alpi piemontesi, vasul-le la situazione

riassunta nella tab. 4.

Tra i bovini prevalgono le vacche da

latte (41,7%), cui fa seguito il gruppo

dei giovani bovini (34,1%) che gli

al-levatori opportunamente avviano sulle

alpi per esaltarne la funzione dinamica

e conseguirne i molti vantaggi dovuti

al-l'ambiente ossigenato ed alle

caratteristi-che della flora pabulare, diversamente

utile per ragioni di quota, di esposizione,

di substrato pedoclimatico.

La maggior presenza di vacche in

lat-tazione, di allievi e di bovini in totale

viene registrata nelle province di

Cu-neo e di Torino, che insieme sommano

più dell'80% di capi; analoghe

conside-razioni valgono anche per il patrimonio

ovino la cui consistenza,

nell'associazio-ne delle due province citate, supera il

7 9 % : è questa una conferma, per

al-tra via, che nelle montagne del Cuneese

e del Torinese l'alpicoltura piemontese

trova le più rilevanti espressioni di

svi-luppo.

Riguardo agli equini presenti, va notato

che la maggior parte di essi si trova

inse-rita nel sistema di trasporti in atto sulle

alpi per carenza di piste interne adatte

ai mezzi meccanici.

2.4. Conversione in UBA

degli animali presi in carico

Se alla consistenza totale dei capi

effet-tivamente riscontrati in ogni provincia

si affianca il numero totale delle UBA

corrispondenti, la rappresentazione che

ne deriva trova puntuale riferimento

nella tab. 5.

I differenti valori presentati nelle varie

province dal coefficiente medio di

con-Tabella 4. Suddivisione per specie di animali

Capi animali Specie e categoria

n. n. % %

Tori 854 1,2

Bovine in lattazione 28.325 41,7

Bovine senza latte e altri

Bovini con più di 2 anni 15.634 23,0

Bovini da 6 mesi a 2 anni 23.134 34,1

(23)

Tabella 5. Conversione in UBA dei capi animali

Durata C a p i a n i m a| i Coeff. U B A

Province media ril. m.H ì. sf

deli

.

a

,

d

med,o

regione ^ e g g . o ^ r % in UBA n. o/o On ha)

Alessandria Cuneo Novara Torino Vercelli Regione 177 1.147 0,8 1,086 1.246 1,8 1,86 98 61.132 42,1 0,458 28.010 40,6 2,28 94 17.656 12,1 0,383 6.764 9,8 2,36 118 48.817 33,6 0,508 24.793 36,0 2,79 114 16.521 11,4 0,494 8.155 11,8 1,51 110 145.273 100,0 0,475 68.968 100,0 2,37

nella constatazione, già prospettata, di

un completo o parziale usufruimento

della superficie a produzione foraggera.

Già si è rilevato che, ove non tutta la

superfìcie a foraggera venga

integral-mente utilizzata come è lecito supporre

per le province di Torino, Cuneo e

No-vara, il valore medio riscontrato di sf

— pari a ha 2,37 per UBA —

diminui-sce e si accosta verosimilmente ad ha

1,94, cui corrisponde una produzione

foraggera unitaria prossima a q 8,45

per ha.

Tabella 6. Produzione lattiero-casearia per provincia

Vacche in lattazione Latte bovino prodotto Resa media Province prò bovina e regione prò die n. % q % (in kg) Alessandria 170 0,6 2.885 1,7 8,22 Cuneo 11.047 39,0 53.686 32,1 4,94 Novara 3.008 10,6 16.138 9,7 6,95 Torino 10.936 38,6 71.790 42,9 5,66 Vercelli 3.164 11,2 22.727 13,6 6,32 Regione 28.325 100,0 167.226 100,0 5,61

versione in UBA dipendono, come si sa,

dalla circostanza che a formare tale

coefficiente concorrono molte variabili

tra loro correlate, cioè la durata

dell'al-peggio, la specie animale e, nell'ambito

della specie, la categoria cui gli animali

appartengono.

È ovvio che il valore medio del

coeffi-ciente cresce, in via generale, al

cresce-re della durata dell'alpeggio e del

nume-ro dei bovini adulti, mentre diminuisce

all'aumentare del numero degli ovini e

caprini e di quello dei giovani bovini.

Gli effetti delle intedipendenze ora

de-nunciate trovano preciso riferimento nei

diversi valori assunti dal coefficiente

medio di conversione.

Così, ad es., l'alto coefficiente della

pro-vincia di Alessandria (1,086, max.

del-la Regione) è dovuto aldel-la lunga durata

dell'alpeggio ed anche al fatto che ovini

e caprini rappresentano soltanto l'I 1,8%

del patrimonio animale alpeggiante; il

basso coefficiente del Novarese (0,383,

min. della Regione) dipende dalla

ridot-ta duraridot-ta dell'alpeggio (94 gg.) e dal

fatto che ovini e caprini costituiscono il

64,6% del totale degli animali

alpeg-giami.

Nel complesso del territorio regionale la

combinazione delle variabili ora

indica-te conduce ad un risultato inindica-teressanindica-te

poiché viene a stabilire che un generico

capo animale alpeggiante corrisponde, in

termini di UBA, ad un valore prossimo

alla metà (0,475).

Un altro dato medio di notevole

mo-mento è rappresentato dalla superficie a

produzione foraggera, sf, riservata ad

ogni UBA, considerato che tale

superfi-cie esprime la capacità di carico animale

dei pascoli piemontesi.

È un dato che riflette la varia realtà

geo-morfologica ed il mutare dei

comporta-menti socio-economici nelle singole

pro-vince e che va correttamente

interpre-tato nel riscontro tra carichi

potenzial-mente immissibili e realpotenzial-mente immessi, e

2.5. Produzioni lattiero-casearie

Le indicazioni riguardanti le vacche in

lattazione, il latte bovino prodotto, le

rese medie in latte prò bovina e prò die

vengono riassunte nella tab. 6.

La rassegna delle rese medie in latte

po-ne in evidenza, fra l'altro, le diverse

at-titudini lattifere delle razze bovine

con-dotte in alpe nelle varie province. La

minima resa contrassegna le vacche

del-la provincia di Cuneo, quasi tutte

ap-partenenti alla r. Piemontese, ancorché

questa provincia annoveri il massimo

numero di capi. Le più alte rese

con-traddistinguono invece le province di

Alessandria, Novara e Vercelli ove le

vacche alpeggianti fanno parte

prevalen-temente o pressoché esclusivamente

del-la r. Bruno-alpina.

La maggiore quantità del latte ottenuto

(88%) viene trasformata in prodotti

ca-seari, cioè in burro (q 3030) ed in

for-maggio (q 11.960) con rese,

rispettiva-mente, di kg 2,06 e di kg 8,15 per ogni

100 kg di latte impiegato. La quota

re-sidua del latte prodotto viene riservata

all'alimentazione dei vitelli (7%) ed

al-la vendita a al-latterie, nonché a caseifici

cooperativi o industriali (5%).

Il latte di pecora e di capra, mescolato

con latte vaccino, viene

prevalentemen-te destinato alla fabbricazione di

for-maggi misti e di ricotta, mentre la

resi-dua parte risulta impiegata, previa

di-luizione con acqua, per l'alimentazione

dei vitelli.

(24)

e natalizio che rappresentano i due

mo-menti dell'anno più favorevoli per la

collocazione dei capretti e degli agnelli.

2.6. Reddito medio lordo per unità

lavorativa uomo (ULU)

Nelle 1053 alpi della Regione operano

3504 pastori impegnati in prestazioni di

lavoro e di capitali. I capi malga, i

ca-sari ed i pastori di età superiore a 16

anni risultano pari a 2910 unità; tenuto

conto dei pastori con età non superiore

a 16 anni le unità di manodopera

im-piegate sono ragguagliabili in

comples-so a 3267 ULU.

Il reddito medio lordo spettante ad ogni

ULU per le prestazioni rese nel corso

dell'alpeggio si traduce in q 3,66 di

for-maggio, q 0,93 di burro e q 2,50 di

lat-te munto e consegnato direttamenlat-te ai

raccoglitori.

2.7. Situazione delle strutture

La rassegna degli investimenti

immobi-liari, sia a livello provinciale che

regio-nale, induce ad esprimere giudizi

preoc-cupanti, i quali dipendono dai valori

as-sunti dagli indici di degrado e

disinve-stimento, correlati agli indici di

affolla-mento relativamente ai locali riservati

alle maestranze ed alle stalle per bovini.

L'affollamento riscontrato nei 2544 vani

destinati in complesso all'alloggiamento

dei pastori è inferiore alla capienza

nor-male. Questo fatto rappresenta un

con-trassegno favorevole nei rispetti

del-l'area disponibile per persona, ma tale

contrassegno viene subito contraddetto

da un indice di degrado alquanto

rile-vante (92%), a significare che il

perso-nale trova riparo in locali piuttosto

fati-scenti, considerato che il 5 2 % dei

me-desimi risulta da riattare, il 4 0 % da

ri-costruire ed appena l'8% viene

giudi-cato idoneo alle volute funzioni.

Riguardo ai ricoveri per bovini si

osser-va anzitutto che la relatiosser-va capienza

uni-taria è assai modesta (10-11 capi per

stalla), trattandosi di ricoveri situati di

massima nelle zone dei pascoli di casa,

le cosiddette « cassine », « tetti », «

fo-rest ».

Soltanto il 53 % dei bovini normalmente

alpeggianti trova ricovero nelle 3524

stalle in oggi disponibili, per metà delle

quali le segnalazioni ricevute

convergo-no nel richiedere, per giunta, urgenti

ed indispensabili opere di restauro.

È ben vero che l'ubicazione delle stalle

non sempre coincide con le necessità di

uso del pascolo; comunque sia, sta di

fatto che un gran numero di bovini

ri-mane all'addiaccio o viene ricoverato

limitatamente sotto tettoia.

Questa situazione di insufficienza è

par-ticolarmente acuta nelle province di

Cuneo e di Alessandria ove,

rispettiva-mente, soltanto l'8% ed il 12% dei

bo-vini monticati ha la possibilità di un

ricovero in stalla.

Se uomini ed animali non trovano

adat-te condizioni di soggiorno, i riflessi

in-dotti da tali condizioni sono s'empre

negativi dal lato economico e, per quello

che si riferisce al fattore uomo,

risul-tano anche depressivi dal lato

psicolo-gico.

Per questi motivi l'indagine pone in

ri-lievo la necessità di intervenire con

solu-zioni tecniche moderne (ad es.

sceglien-do tra i diversi processi di

prefabbrica-zione) che forniscono servizi non

dissi-mili da quelli dell'edilizia rurale

tradi-zionale, ma che consentono di

conte-nerne i costi in limiti assai inferiori.

Per quel che concerne gli animali va

ancora notato che, in difetto di

suffi-cienti ricoveri chiusi, andrebbe almeno

estesa la costruzione di tettoie che

costi-tuiscono pur sempre un riparo più che

idoneo per certi gruppi di animali

alpeg-gianti ed una conveniente soluzione dal

lato economico. Ma anche in fatto di

tettoie la situazione è molto precaria

poiché la superfìcie attualmente

disponi-bile (mq 23.885) dovrebbe venire

riat-tata ed anche sviluppata su una

super-ficie complessiva di mq 148.480, che

risulta sestuplicata rispetto a quella

odierna.

Analoghe considerazioni valgono per i

restanti investimenti immobiliari (opere

di presa e somministrazione dell'acqua,

viabilità interna con strade camionabili

e carrarecce) per i quali il valore medio

dell'indice di degrado e disinvestimento

è sempre superiore al 100%, con ciò

denunciando una situazione di

conside-revole carenza ed un grado precario di

agibilità. A ciò va aggiunto che

l'esten-sione e le attuali condizioni di

funziona-mento della rete irrigua sono assai

con-tenute e ridotte, tanto che la parte della

superficie a produzione foraggera

sotto-posta ad irrigazione è appena pari

al-l'1,5% del totale, quando è ben

risa-puto che l'acqua irrigua, specialmente

se « fertilizzata », può stimolare le

pian-te foraggere verso alti livelli di

produt-tività. Ecco perché occorre prendere in

attento esame le proposte avanzate

in-tese ad aumentare il numero degli

im-pianti fissi ed a riordinare la rete dei

canaletti d'irrigazione con lavori di

riat-tamento e con integrazioni, in modo da

allargarne lo sviluppo lineare di circa

1/5, portandolo dagli attuali mi 405.070

a mi 481.595.

Infine, non minore attenzione va

dedi-cata alle opere di miglioramento

agrono-mico suggerite, cioè spietramenti,

dice-spugliamenti, trasemina di foraggere,

concimazioni, selezionando la

realizza-zione delle medesime su aree a pascolo

e ad incolto pascolivo maggiormente

su-scettibili di più rapidi incrementi

pro-duttivi; né va posta in subordine

l'op-portunità di estendere le aree a prato da

cui si potranno ottenere notevoli esiti

produttivi ove venga intensificata la

spe-rimentazione diretta ad arricchire la

flo-ra di pflo-raterie con nuove tecniche di

mi-glioramento.

3. CONCLUSIONI

Già si è osservato che le 1053 alpi

cen-site costituiscono un'impresa di grandi

dimensioni, un'impresa che lavora in

situazioni di notevole disagio, ma che

tuttavia riesce ugualmente a produrre

per l'impegno ed i sacrifici di una classe

di imprenditori i cui quadri vanno però

riducendosi, malauguratamente, di anno

in anno.

(25)
(26)

spe-cialmente attraverso la via

dell'associa-zionismo.

D'altro canto, se gli auspicati interventi

non dovessero giungere a garantire la

continuità dell'impresa pastorale, il

man-cato esercizio stagionale dell'attività

zoo-tecnica sui pascoli alpini finirebbe di

condurre alla graduale desertificazione

di ampi territori secondo un processo

inarrestabile ed irreversibile, con le ben

note e gravi conseguenze che

all'ambien-te derivano dalla rottura degli equilibri

ecologici.

Lo scopo ultimo dell'opera è quello di

fornire agli amministratori delle

Comu-nità montane uno strumento aggiornato

di consultazione ed una serie di proposte

concrete — tratte da realtà situazionali

scrupolosamente rilevate — da

utilizza-re nelle loro iniziative progettuali e nei

disegni che mirano a creare le premesse

per la razionale gestione del territorio.

Oltre a questo risultato diretto si ritiene

che lo studio possa anche presentare

in-teressanti suggestioni per aprire nuove

ricerche in settori collaterali o di diverso

orientamento, ma pur sempre collegati

all'alpicoltura nell'articolato contesto

delle economie locali.

A chiusura di questa presentazione si

crede opportuno di riprendere il

pen-siero che nel volume compare alla fine

della nota introduttiva. Tale pensiero

si traduce nell'augurio che, di fronte

al-l'inevitabile declino delle fonti

energeti-che tradizionali, ogni migliore

sensibi-lità politica ed ogni più avveduta

tecno-logia vengano poste in atto per utilizzare

al meglio l'ineguagliabile patrimonio di

risorse naturali ed indotte di cui le

no-stre valli sono portatrici, patrimonio che,

attraverso la gratuita energia solare,

po-trà fornire più foraggi, e quindi più

pro-dotti di origine animale a beneficio

del-l'umanità.

3 Cfr. L. CASTELLANI, L'unità consumatrice

ani-male quale parametro utilizzabile nell'analisi eco-nomica dell'azienda agraria, Produzione animale,

1973, 12, 145.

4 Limitatamente agli animali alpeggiatiti nelle

malghe piemontesi ed in riferimento alla norma-tiva prevista in apposita tabella allegata alla Legge 352/76, si è ritenuto di far corrispondere

l'UBA ad un capo bovino di qualsiasi razza con più di due anni d'età le cui esigenze a livello nutrizionale sono costituite, nel corso di 110 gior-ni che rappresentano la durata media normale dell'alpeggio, da un fabbisogno alimentare

equi-valente ad UF 682, pari a u.f.n. 1.705. Tale fab-bisogno, proporzionato ad una razione comples-siva prò die formata da UF 6,20, pari a u.f.n. 15,50, pertiene ad una bovina, contrassegnata da un p.v. di kg 500 e da una produzione lattea prò die di kg 5,50 con un contenuto lipidico di 0,035 + 0,040.

Secondo la L. 352/76 l'UBA è rappresentata dal toro, dalla vacca e da altro bovino con più di 2 anni d'età. Per capi bovini di diversa categoria e per capi di altre specie vengono stabilite le seguenti equivalenze:

bovino da 6 mesi a 2 anni: 0,60 UBA; pecora: 0,15 UBA; capra: 0,16 UBA.

Nello studio in pubblicazione si considerano le citate equivalenze come dati di riferimento e si stabilisce altresì di far corrispondere il capo sui-no a 0,35 UBA ed il capo equisui-no a 1 UBA. Su la base delle equivalenze sopratrascritte sono stati costruiti i coefficienti di conversione dei bo-vini, distinti per categoria, e delle altre specie in carico in ogni Comunità, tenuto conto della du-rata media rilevata dell'alpeggio rispetto a quella normale <= gg. 110) ed anche, per le bovine, della quantità di latte prodotto.

N O T E

1 C f r . P . FRANCARDI, G . TERRENO, F . M .

PASTO-RINI, I pascoli nei comuni montani del Piemonte, « Quaderno XI » di Cronache economiche, Came-ra di Commercio IAA di Torino, 195S, pagg. 417.

2 C f r . CHOMBART DE L A U W E , J . POITEVIN, J . T I R E L ,

La moderna gestione delle aziende agrarie, EDA,

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