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3 Maestranze e strutture medioevali nel castello di Porta Fibellona M a r i a Luisa T i b o n e
9 Dati e problemi dell'alpicoltura piemontese Fausto M . Pastorini
17 Piccola, media e grande impresa in Piemonte: verifica di un mito Bruno C e r r a t o
28 Come si può recuperare il rifiuto gomma F. Fox - L. Albonico - C. G u t e r m a n n
35 A proposito di aree industriali attrezzate Franco Stefanelli
37 Esportare non è difficile Enrico Gennaro
42 Realtà e prospettive di sviluppo delle transazioni commerciali con Egitto, Portogallo e Venezuela Giorgio Pelliccili
53 Cosa fa lo CSELT Piero Bianucci
61 L'arte degli antichi minusieri Piera Condulmer
66 Tenda, roulotte o motorcamp? A l b e r t o V i g n a
68 Tra i libri
78 Dalle riviste
Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni debbono essere indirizzati alla Direzione della rivista. L'accettazione degli articoli dipende dal giudizio insindacabile della Direzione. Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pensiero dell'Autore e non impegnano la Direzione della rivista né l'Amministrazione camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono essere inviate in duplice copia. È vietata la riproduzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della Direzione. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si resti-tuiscono.
Editore: Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Torino. Presidente: Enrico Salza
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Direttore responsabile: Giancarlo Biraghi Vice direttore: Franco Alunno
Redattore capo: Bruno Cerrato Impaginazione: Studio Sogno
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Industria Artigianato
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Telefoni: 55.31.21 (5 linee).
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(presso la Borsa Merci) 10123 Torino
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MAESTRANZE
E STRUTTURE MEDIOEVALi
NEL CASTELLO
DI PORTA FIBELLONA
Il periodo della dominazione sul
Pie-monte e su Torino dei Principi d'Acaja,
durata dal 1294 al 1419, è stato oggetto
di limitate ricerche storiche. Il
Sarace-no, il Gabotto, il Datta
1, e, più
recen-temente, il Cognasso nella sua « Storia
di Torino » ci danno un quadro alterno
ma ancora nebuloso, che di quella
so-cietà non riesce ad individuare appieno
la facies.
Certamente tutto è ancora racchiuso
ne-gli archivi ed è proprio da un archivio,
quello antico di Pinerolo che viene a
noi un documento fondamentale.
Si tratta di un Libro delle spese fatto
dal Chiavaro Pietro Panissera d'ordine
di Filippo d'Acaja, « per la costruzione
di un castello o casaforte in Torino, alla
porta Fibellona, detta porta Castello,
al-lato a Palazzo Madama
2, dal giorno
gio-vedì 11 agosto 1317 a tutto luglio
1319 ».
È stato ritrovato recentemente da
Fran-co Monetti che l'ha letto, tradotto,
chio-sato ampiamente in uno studio che è in
via di pubblicazione.
Assistito dall'architetto Franco Ressa,
egli è stato inoltre in grado di
indivi-duare alcune immagini che si pongono
in relazione ai lavori che il documento
ampiamente descrive.
Risaliamo agli anni della dominazione
torinese di quel Filippo d'Acaja che era
stato designato erede da Tommasino di
Savoia suo padre, colui che aveva
occu-pato Torino, dopo la cattura, avvenuta
nel 1280, del Marchese di Monferrato
in viaggio verso la Castiglia.
Tommasi-no era morto a soli trent'anni. Era
al-lora ancora vivo il vecchio conte Filippo
e la successione fu decisa altrimenti,
fa-cendo prevalere sulla linea di
primoge-nitura, che sarebbe spettata al giovane
erede quella di seniorato, che diede la
Savoia ad Amedeo V.
La vedova di Tommasino, Guia di
Bor-gogna, acconsentì a che Amedeo
occu-passe i domini di Piemonte come
reg-gente del minore Filippo.
Raggiunta la maggiore età questi
ottie-ne, nel 1294, di riunire nelle proprie
mani i domini del Piemonte.
Da questo momento Filippo d'Acaja è
definito, nei documenti « Dominus
Pe-demontis » e riceve l'omaggio dei
feu-datari della regione.
Si stabili a Pinerolo ma scese spesso a
Torino, nel Castello di Porta Fibellona,
che era stato presumibilmente costruito
dal Marchese di Monferrato. Cognasso
aveva osservato che egli « vi fece opere
di restauro di tale entità da dare
all'edi-ficio una figura completamente nuova ».
A proposito dei vari rifacimenti di
quel-lo che è ora il Palazzo Madama, gli
stu-diosi non concordano. Diverse sono le
definizioni della porta romana su cui
sorse, che alcuni chiamano Decumana,
altri Praetoria.
Noi seguiamo il Rondolino
3che ha
ba-sato il suo studio del « Palazzo Madama
nel Medioevo » su ricerche d'archivio,
individuando la « probabile costruzione
dal castello da parte del Marchese di
Monferrato » ed « opere ordinate per
avventura da Filippo d'Acaja verso il
1317 ». Tra gli studiosi è colui che, con
il Cognasso, più si accosta alla nostra
ricerca documentaria.
Sul periodo si sofferma anche il testo
del Telluccini
4: « Il palazzo Madama di
Torino », Torino, 1828, citando da un
documento la riparazione avvenuta nel
1312 di due ponti levatoi. Sempre ai
primi del trecento elenca lavori per la
casaforte — sia di ordinaria che di
straordinaria manutenzione — tratti dai
' Conti della vicaria '.
Notizie precise sugli anni 1317-19 non
dà il D'Andrade
5che operò il grande
restauro del Palazzo.
Il Mallè indica
6« lavori alla casaforte
per miglioramenti a maggior agio del
Conte Principe e dei suoi familiari » al
tempo dei « soggiorni fuggevoli » di
Fi-lippo; ma rimanda al tempo di
Giaco-mo e soprattutto a quello di Lodovico
d'Acaja i più ampi rifacimenti.
Pare quindi assai importante la
comu-nicazione delle notizie trovate nel
mano-scritto cartaceo dell'archivio pinerolese,
che nelle sue 142 + 2 carte numerate,
nonostante alcune lacune
7, dà notizie
cosi precise della costruzione, voluta da
Filippo, per munire la città ed ottenere
una conveniente residenza.
Ricostruzione congetturale della città di Torino
verso ia fine del trecento (Marco Carassi, febbraio '78).
(T) Porta Marmorea ( 2 ) Porta Segusina
( 3 ) Porta Palatina o Palazzo (zona di mura da cui v e n g o n o estratti
materiali per il castello)
( 4 ) Porta Praetoria su cui è già costruita la « Domus d e Forcia »
( 5 ) Porta Fibellona
( 6 ) Convento Templare di San Saverio ( a c c a n t o alla Piscina delle rane) (questo, m a n c a n t e nella ricostruzione originale, è s t a t o da noi a g g i u n t o ) ( 7 ) Anfiteatro r o m a n o
penze politiche interne ed esterne,
cer-cava la riconquista del principato di
Acaja
8, avendo sposato l'ultima erede
dei Villehardouin, Isabella, e
l'occupa-zione di Asti e Chieri — in quella
occa-sione divisò di riattare e rendere
con-fortevoli quei locali che forse non si
erano manifestati abbastanza accoglienti
e regali.
Nonostante egli non fosse riuscito a
col-locare nella sede episcopale torinese il
fratello Tommaso, per l'opposizione di
Bonifacio V i l i , alla città aveva dato un
Vicario, suo ufficiale, a cui trasmetteva
ordini precisi.
Il clima non pacifico del territorio
(rin-focolato dai rustici di Sangano che
crea-no un sindacato o comune; dai cittadini
di Pinerolo che nel 1305 rifiutano di
en-trare nell'esercito) e quello talora
pale-semente ostile della città, sostenuto da
ingiurie (nel 1312 un tale è condannato
ad * una multa per grave oltraggio al
principe) e da tumulti fra i partiti (nel
1319 il vicario commina multe per
sedi-zioni), sono difficoltà che non frenano
Filippo nei suoi intendimenti. Infatti
sappiamo, che egli porterà a termine,
proprio in quegli anni caldi, la sua
pre-cisa opera di ricostruzione del Castello
di Porta Fibellona.
Il documento decifrato ed illustrato dal
Monetti ci consente di conoscere le
pre-cise volontà del Principe che anche
quando si trova fuori sede riceve '
nun-cios ' che gli relazionano lo stato dei
la-vori.
Ricordiamo che proprio nel 1318, nel
momento in cui sta per verificarsi un
rallentamento delle opere, Filippo «
©
©
©
©
©
©
©
PROSPETTO VIA PONuovi muri perimetrali Torri romane Torri quadrate
Ponte levatoio interno alla città Porta Fibellona
Ruscello scorrente per porta Fibellona Cortile interno
Veduta di fianco
e di prospetto delia fabbrica di Filippo d'Acaja
cosi come è descritta da! documento.
A sinistra:
// documento
cosi come si presenta ora. Misure cm. 36 x 13. È cartaceo,
ricoperto in cartapecora. Il fossato attuale
sul lato di Palazzo Madama. Nello sfondo,
r '
<s/ e^ eh
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M i - ^ o ? ."rv' ?"•><..Ui tu.-- '•' -'••
" r / / ecn1Z.fi.t" /-c/oL <• I f
l^u^isL»'1/ ih •" / / . À ?<rv ° W-7? bayII disegno dei d'Andrade (riportato nei testo dei Malie) con la pianta di Palazzo Madama nel medioevo
(le due frecce, da noi aggiunte, indicano le torri quadre
la cui costruzione è minutamente descritta nel libro dei conti de! Pan isserà).
Fianco attuale di Palazzo Madama. È possibile vedere la torre quadrata, ornata da una cornice a mensole
nel Faucigny, cedendo di fatto i domini
di qua dai monti nel 1362.
Il Castello di Porta Fibellona vedrà
en-tro le sue mura, nel 1381, importanti
trattati; nel 1418, alla morte di
Ludovi-co d'Acaja ritornerà, Ludovi-con la città ed i
domini piemontesi, ai Savoia d'oltralpe,
incorporato nel ducato di Amedeo VIII.
In questo periodo di storia, nonostante
vari studi, ancora malnoto, il
documen-to scoperdocumen-to porta una luce non
trascu-rabile.
Rappresenta un preciso punto di
rife-rimento nella millenaria storia degli
edi-fici sorti sull'antica Porta Praetoria e,
consentendo di colmare una evidente
la-cuna della sua evoluzione, anticipa di
circa un secolo la ricostruzione
prece-dentemente presunta opera solo di
Lu-dovico d'Acaja.
Dà importanti informazioni sui rapporti
tra il Principe e i suoi territori,
soprat-tutto laddove tratta delle ' royde '
(cor-vées che qui sono richieste per il
tra-sporto dei materiali, con fornitura dei
traini, in genere buoi) o quando indica,
da parte del feudatario, una richiesta di
denaro alle comunità.
Dà ancora importantissime indicazioni
topologiche, quando si riferisce agli
edi-fici da cui vengono tratti materiali
10di
ricupero, come la Porta Marmorea, la
Segusina, vari conventi, le mura stesse
della città.
Anticipando le conclusioni dello studio
di Monetti, possiamo ancora affermare
che dalle carte ritrovate emerge un
pre-ciso quadro dell'organizzazione del
la-voro
11del tempo, si individua il
carat-tere dei materiali impiegati
n, con la
lo-ro plo-rovenienza ed il lolo-ro costo; il
siste-ma costruttivo semplice e saldissimo è
descritto nei minimi particolari
13con
tutto il corredo di macchine
necessa-rio
14.
La lingua latina del basso medioevo,
sufficientemente semplice e chiara per
essere intesa, ci offre termini coloriti
ed intuibili
15specchio di un'età
reali-stica e concreta.
Le maestranze casalesi, ampiamente
ci-tate
16, con le loro tecniche, vive cosi
come emergono dal documento, si
con-trappongono in Piemonte alla
tradizio-ne comacina, costituendo un preciso
nu-cleo di attività costruttiva finora
abba-stanza trascurato
17.
Le ricerche, cosi fruttuosamente
inizia-te, devono ora proseguire, per far luce
su una problematica che ci dà del
Pie-monte medioevale un volto finora
sco-nosciuto.
N O T E
1 SARACENO V., Regesto dei Principi di Casa
d'Acaja, in Miscellanea di Storia italiana XX,
1882; GABOTTO F., Gli ultimi principi d'Acaja
Pinerolo, 1887; DATTA P. L., Storia dei Principi d'Acaia, Torino, 1832.
2 Ha coperta in cartapecore su cui è la scritta riportata nel testo, posteriore, di mano ignota. Si divide in ' Tituli expensae ' {ventinove), quasi tutti ricostruibili in toto, nonostante la perdita di alcune carte.
3 Egli ci informa che Filippo « pagò duecento
lire per l'edifìcio del Castello, ossia le case del castello vecchio, che puosi ragionevolmente ritro-vare nella statio. Si può anzi argomentare che queste opere, di non lieve dispendio, terminate due anni dopo, avessero costituito un nuovo edi-ficio » (Archivio di Torino Ordinati Comunali
Lettere 14 settembre 1346).
4 TELLUCINI ci dice, fra l'altro, che preposto al
controllo delle spese era il « chiavaro, che
soprin-tendeva al patrimonio comunale e rappresentava 11 comune proprietario dell'edificio ».
5 La documentazione è contenuta in una Relazio-ne dalla CommissioRelazio-ne preposta al restauro del
Palazzo Madama che operò negli anni 1883-85.
6 II MALI,È ricorda anche lavori compiuti nel
1350 per il matrimonio, in Castello, tra Bianca
di Savoia, figlia del conte Ajmone — del ramo primogenito — e Galeazzo Visconti.
7 La mancanza di alcune carte non nuoce molto
alla intelligibilità del testo. Importante è, inoltre un foglio con i nomi dei magistri.
8 Sorto nel 1210, dopo la quarta crociata, il principato di Acaja comprendeva Elide, Messe-nia, parte dell'Arcadia oltre all'Acaja propriamen-te detta. Isabella di Villehardouin, che aveva spo-sato in terze nozze Filippo di Savoia, dovette cedere il principato a Carlo d'Angiò, che ne in-vesti' il figlio, da ciò i tentativi di riconquista del Savoia.
9 Le congiure si moltiplicano una nuova trama è scoperta a Fossano nel 1328. (COGNASSO, Storia di Torino, Milano 1969, pag. 151).
10 Nel testo sono detti de recaucio. Tra i
con-venti, offre materiali di ricupero San Saverio, pos-sesso abbandonato dai Templari in seguito alla condanna di Clemente V (1307).
u Ad essi sovrintende Germano da Casale ed, ogni tanto, Giacomo da Casale, frate cappuccino, Panissera, il chiavaro, è sempre l'estensore del testo.
12 Importanti sono i rapporti con le fornaci per fornitura e consegna dei mattoni (si tratta di
cen-tomila mattoni circa). La sabbia si trae dalla Dora.
13 Interessanti sono i problemi di carpenteria; il
reperimento delle travi per i solai è fatto con il taglio sistematico di boschi di vari proprietari; dovendosi costruire ex novo due torri quadrate 11 lavoro viene eseguito da specialisti casalesi: Barriono e Perono di Casale S. Evasio.
14 Fra le macchine appositamente costruite è un arcicarro attrezzato in particolare per il trasporto
di grosse pietre (probabilmente di ricupero).
!5 Zapusi sono i boscaioli; roncinus il cavallo da traino; si ricorre a Bozardo mazoco et tribus eius
sociis prò carreando grossos lapides de muro Por-te Nove, ecc.
16 Anche oggi, Casale, centro produttore di
ce-mento, è importante per l'edilizia. Nel medioevo le maestranze, di là provenienti, dovevano essere ben note e richieste.
17 Maestranze piemontesi Friazin lavorarono
qual-che tempo dopo perfino al Cremlino di Mosca (Cfr. CAZZOLA, in « Boll. Spaba », Torino, 1978). Citiamo il testo dei Monetti: Germano di Casale,
DATI E PROBLEMI
DELL'ALPICOLTURA PIEMONTESE
Fausto M. Pastorini
Poco più di vent'anni fa, all'inizio del
1958, fu realizzato il 1° censimento dei
pascoli ricadenti nei comuni montani del
Piemonte. L'ampia indagine che ne
com-mentò le risultanze fu molto puntuale e
precisa nel descrivere i terreni pascolivi
e nell'elencare gli interventi necessari a
proteggere, con il miglioramento dei
pa-scoli, le risorse naturali e la stabilità del
suolo montano: essa trovò degna sede in
un apposito volume che costituì il
« Quaderno XI » di « Cronache
Econo-miche » pubblicato dalla Camera di
com-mercio IAA di Torino
Negli anni successivi e più vicini ad
og-gi analoghe iniziative sono state
intra-prese in altre Regioni ed anche in altri
Paesi: nel 1974 la Giunta regionale
lom-barda ha portato a compimento una
« Indagine sui pascoli montani della
Lombardia », ricca di dati e di
informa-zioni sull'alpicoltura di quel territorio, e
nel 1976 il Ministero dell'agricoltura
francese ha presentato una
pubblicazio-ne dal titolo: « Enquéte pastorale » ove
si espongono i principali risultati
riguar-danti le unità pastorali della montagna
francese.
Intanto nel nostro Paese le varie
vicen-de politiche ed economiche vicen-dell'ultimo
decennio hanno dato l'avvio alla
crea-zione di strutture amministrative
inno-vate tra cui. si pongono, sulle antiche
ra-dici dei Consigli di valle, le « Comunità
montane » che hanno il compito di
pro-grammare ed attuare lo sviluppo
econo-mico e sociale delle zone di montagna.
Alla luce di tutti questi avvenimenti
l'Unione regionale delle Camere di
com-mercio IAA del Piemonte ha ritenuto
che lo studio a suo tempo eseguito
meri-tasse di essere ripreso ed aggiornato.
Questo proposito si è dimostrato assai
perspicace nell'interpretare un'esigenza
avvertita non solo dagli alpicoltori, dai
Comuni e dalle Comunità montane
di-rettamente interessate ai problemi
prati-ci connessi alla gestione delle malghe,
ma anche dalle istituzioni delegate alla
ricerca, alla sperimentazione ed agli
ap-profondimenti scientifici dei temi
perti-nenti allo sviluppo zootecnico ed
all'ali-mentazione animale.
Va quindi riconosciuto pieno merito
al-l'iniziativa assunta dall'Unione
regiona-| le, che in un volume di prossima
pubbli-cazione propone una completa e
sugge-stiva panoramica dell'attività che si
ma-nifesta sulle « alpi » stagione per
sta-gione, cogliendone i fondamentali
aspet-ti tecnico-economici e sociali.
Alla raccolta dei dati hanno collaborato
i quadri del personale addetto ai
Co-mandi di stazione del Corpo forestale
dello Stato nel cui territorio sono
ubi-cate le « alpi » oggetto d'indagine,
non-ché il personale degli Ispettorati
ripar-timentali forestali delle province
pie-montesi.
Il coordinamento e l'elaborazione dei
da-ti raccolda-ti sono poi stada-ti affidada-ti a tre
studiosi di problemi montani ed
alpi-colturali, cioè al Dott. A. Salsotto, capo
dell'Ispettorato regionale forestale del
Piemonte, al Dott. G. R. Bignami,
re-sponsabile dell'Ufficio delle Comunità
montane della Regione Piemonte, sede
di Cuneo ed allo scrivente, docente di
Zooeconomia nell'Università di Torino.
1. IL RICENSIMENTO DELLE UNITÀ PASTORALI
Nell'ordito dell'opera in corso di
pub-blicazione due punti appaiono
essenzia-li e quaessenzia-lificanti.
Il primo riguarda l'unità di rilevamento,
identificata nell'« alpe » o « malga » o
« unità pastorale ».
Per « alpe » deve intendersi un terreno
in unico grande corpo, oppure un
com-plesso di terreni (tramuti o gias)
collo-cati a diversa altitudine, appartenenti ad
uno o a più proprietari ma utilizzati da
un unico imprenditore (persona fìsica,
oppure associazione o consorzio o
coo-perativa di allevatori) la cui attività
eco-nomica è diretta esclusivamente al
con-seguimento di prodotti di origine
anima-le. L'alpe è formata da pascoli — che
ne rappresentano lo strumento
produtti-vo fondamentale — da incolti pascolivi,
eventualmente da prati, da boschi, da
incolti sterili e rocce, nonché da
fabbri-cati ed infrastrutture intese ad
incre-mentarne la produttività. Sull'alpe il
ti-tolare dell'impresa pastorale conduce gli
animali — di una medesima o di più
mandrie o/e greggi — perché vi
eserci-tino il pascolo nel corso della stagione
estiva, consecutivamente per un
deter-minato periodo senza ritorno
giornalie-ro nei luoghi di svernamento. L'alpe è
quindi l'unità tecnico-produttiva a
ser-vizio dell'impresa pastorale.
Nell'ambito delle alpi esistenti sono
sta-te rilevasta-te le unità la cui superficie a
pascolo ed a prato non è risultata
infe-riore ad ha 20, poiché è stato ritenuto
che tale superficie costituisca, nella più
ampia generalità dei casi, la dimensione
areale minima atta ad indurre l'impresa
all'effettivo esercizio dell'attività che le
compete, pur con le più ridotte garanzie
di efficienza.
Attesa la circostanza del minimo areale
ora citato, sono state rilevate e censite
1053 alpi collocate in 214 Comuni
di-stribuiti in 39 Comunità montane
pie-montesi interessate all'attività pastorale.
Per ogni alpe è stata raccolta, con
appo-sita « scheda di rilevamento », una
lun-ga serie di dati e di informazioni
riguar-danti: le forme di proprietà ed i tipi
d'impresa, i fattori produttivi
(superfi-cie complessiva e sua ripartizione;
alti-tudine; investimenti immobiliari
disponi-bili ed interventi migliorativi
auspicabi-li; carico animale stagionale
mediamen-te rilevato nell'ultimo quinquennio,
di-stinto per specie (bovini, ovini, caprini,
suini, equini) e nell'ambito dei bovini
per categoria (tori, vacche in lattazione,
vacche senza latte e bovini con più di
2 anni, bovini da 6 mesi a 2 anni); i
prodotti conseguiti (latte, burro,
formag-gio), il periodo d'alpeggio, il canone di
affitto corrisposto, le zone di
provenien-za delle maestranze, la provenienprovenien-za e le
condizioni sanitarie degli animali
alpeg-giati.
Il secondo punto qualificante
dell'inda-gine concerne l'accertamento del carico
animale espresso in UBA (unità
bestia-me adulto).
In proposito è opportuno ricordare che
i vari capi allevati manifestano proprie
necessità nutrizionali in rapporto al
di-verso livello quali-quantitativo delle
pro-duzioni offerte, nonché allo sviluppo,
nelle diverse età, del p.v. collegato alla
specie di appartenenza ed alla
particola-re destinazione produttiva.
sopraindicate, gli studiosi e gli esperti di
zooeconomia e di alimentazione animale
hanno da tempo proposto di utilizzare
alcune semplici unità di misura,
avvalo-rate dall'esperienza pratica degli
alleva-tori ed identificabili, per es., in un capo
standard, cioè in una grandezza
con-venzionale che la consuetudine ha
fissa-to nel cosiddetfissa-to « capo grosso » o
« capo adulto » e che negli ultimi anni
ha trovato altre più elaborate
espressio-ni costituite dall'UGB (uespressio-nité gros
bé-tail)
2e dalla UCA (unità consumatrice
animale)
3.
Nell'indagine che qui si presenta si è
ri-tenuto di assumere l'anzidetta UBA
co-me capo standard in parallelo ad uno
specifico riferimento contenuto nella
Legge nazionale n. 352/76, che
istitui-sce un regime di aiuti a favore
dell'agri-coltura di montagna.
La conversione in UBA degli animali
presi in carico nelle unità di rilevamento
è stata effettuata per Comunità montana,
dopo aver conferito alla medesima UBA
un puntuale significato agli effetti
nutri-zionali, con riguardo ai fabbisogni
ali-mentari degli animali in produzione
zoo-tecnica riscontrabili nelle malghe
pie-montesi durante l'alpeggio
4.
Il carico animale tradotto in UBA ha
co-stituito un utile paradigma per rilevare,
sia pure in via deduttiva ma con
suffi-ciente approssimazione, la produzione
foraggera media utilizzata dagli animali
e ricavata dalle aree a pascolo ed a
pra-to ricadenti nelle alpi delle varie
Comu-nità montane.
Con riferimento ed ispirazione ai due
punti determinanti sopracitati sono
sta-ti formalizzasta-ti i documensta-ti dello studio.
Le 1053 « schede di rilevamento »,
co-me docuco-menti primitivi, le 90 Tabelle,
le 45 schede segnaletiche e la
cartogra-fia, come documenti derivati ed
elabo-rati, rappresentano l'ossatura
dell'indagi-ne, la quale si sviluppa in una rete
me-todologica che al rigore scientifico
uni-sce ben precise finalità pratiche di
ca-rattere applicativo.
pro-vinciale e le diverse Province su base
re-gionale.
Infine, per introdurre il lettore nella
dia-lettica dell'indagine lo studio si apre con
un capitolo dedicato al Piemonte dei
pascoli alpini, ove si analizzano alcuni
problemi di fondo, quali la
geomorfolo-gia e l'organizzazione di tutela ed
utiliz-zazione dei pascoli, le vicende storiche
e sociologiche dell'uomo che risale
len-tamente le valli guidando mandrie e
greggi verso coperture erbose sempre
più alte, le risorse agro-zootecniche
di-sponibili e la struttura dell'azienda
mon-tana.
Tabella 1. Ripartizione della superficie per coltura
S U P E R F I C I E Categorie colturali ha ha ha ha % % % Pascolo 116.751 71,3 Incolto pascolivo 39.283 24,0 Prato 7.696 4,7 Superficie a produzione foraggera 163.730 100,0 90,8 71,2 Superficie boscata 16.574 9,2 7,2 Superficie produttiva 180.304 100,0 Superficie improduttiva 49.651 21,6 Superficie complessiva 229.955 100,0
2. I RISULTATI DELL'INDAGINE
A LIVELLO REGIONALE
E NELLE DIVERSE PROVINCE
Dal complesso delle rilevazioni
effettua-te si è avuto la conferma che le 1053
alpi censite nel territorio montano
pie-montese costituiscono un'industria di
di-mensioni veramente considerevoli.
Che si tratti di una grande impresa
ap-pare con certezza da pochi dati
essen-ziali. Espressi in cifre tonde, tali dati
informano che l'alpicoltura della nostra
Regione si sviluppa su una superficie
complessiva di 230.000 ettari ed
impe-gna 3500 pastori in prestazioni di
lavo-ro e di capitali.
L'area a produzione foraggera è di
163.000 ettari e con i foraggi che se ne
ottengono (q 1.130.000 di fieno
norma-le) vengono alimentati 68.000 bovini,
75.000 capi ovini e caprini, 2400 suini
ed equini. Dagli allevamenti bovini si
consegue un insieme di prodotti
lattie-ro-caseari pari a q 167.200 di latte,
q 12.300 di formaggio e q 3000 di
bur-ro. E tutto questo nel corso di 110
gior-ni, che possono considerarsi
mediamen-te rappresentativi della durata normale
dell'alpeggio.
2.1. Ripartizione della superficie
complessiva
La tab. 1 indica la ripartizione della
superficie occupata dalle alpi censite.
L'essenziale dei dati esposti è
rappresen-tato dall'alta percentuale di territorio
occupata dalle produzioni foraggere, la
cui area relativa si estende sul 90,8%
della superfìcie produttiva e sul 71,2%
di quella complessiva; non pare
super-fluo notare che su quest'ultima si
svi-luppa una non piccola quota (poco più
di 1/5) dominata dall'incolto sterile e
coperta da rocce.
Al pascolo va poi attribuita la frazione
più rilevante (71,3%) dell'area a
pro-duzione foraggera; riguardo alla
super-ficie prativa, che risulta di ben modesta
dimensione (4,7%), è auspicabile che
le prove sperimentali intraprese dagli
Istituti delegati a ricerche di questo
ti-po riescano a dare quanto prima validi
orientamenti per allargarne le
dimensio-ni ed accrescerne la produttività.
2.2. Distribuzione delle alpi
e della superficie foraggera
La distribuzione delle alpi rilevate e
della superficie foraggera sul piano
pro-vinciale si configura nella tab. 2.
Come risulta dai valori numerici
rac-colti nel prospetto soprariprodotto, le
Provincie più alpicole del Piemonte
so-no quelle di Toriso-no e di Cuneo, che
nel-l'insieme contano il 74% delle alpi
cen-site e 1*81,3% della superficie a
produ-zione foraggera. Le minime percentuali
si riscontrano nella provincia di
Ales-Tabella 2. Distribuzione della superficie per
provincia Province Alpi Sup. a produz. foraggera n. % ha % Torino 411 39,0 69.110 42,2 Cuneo 369 35,0 63.984 39,1 Vercelli 188 17,9 12.341 7,5 Novara 76 7,2 15.977 9,8 Alessandria 9 0,9 2.318 1,4 Regione 1.053 100,0 163.730 100,0
sandria a causa delle caratteristiche
ap-penniniche proprie del sistema montano
di questo territorio.
2.3. Produzione foraggera
e carichi animali
La distribuzione della produzione
forag-gera totale ricavata dalle aree pascolive
delle varie province ed utilizzata dagli
animali alpeggiami, nonché l'indicazione
delle produzioni unitarie, si articolano
cosi come risulta nella tab. 3.
Tabella 3. Produzione foraggera per provincia
Produzione foraggera
Province Produz. totale Prod.unit. e regione (in q di fieno normale) (per ha)
q
%q
Torino 438.247 38,7 6,34 Cuneo 426.018 37,7 6,66 Vercelli 144.764 12,8 11,73 Novara 88.053 7,8 5,51 Alessandria 33.974 3,0 14,66 Regione 1.131.056 100,0 6,91Le produzioni foraggere sopraindicate
derivano, come si è già accennato, da
accertamenti effettuati in via deduttiva,
ma possono ugualmente considerarsi
si-gnificative poiché si basano su consumi
foraggeri comunemente accettati nel
campo dell'alimentazione animale e su
periodi di alpeggio direttamente rilevati.
Merita menzione la circostanza che il
76,4% della ragguardevole produzione
totale proviene dalle malghe torinesi e
cuneesi, le quali tuttavia non sono ai
primi posti in fatto di produzioni
unita-rie ove il primato tocca alle alpi
del-l'Alessandrino seguite da quelle del
Ver-cellese.
La situazione dei rendimenti unitari
in-duce a qualche notazione critica, atteso
che le rese medie delle succitate
provin-ce di Alessandria e di Verprovin-celli si
scosta-no in scosta-notevole misura da quelle delle
altre province ed anche dal valore medio
regionale, pari a q 6,91.
Apposite ricerche in argomento
condot-te hanno consentito di appurare che
nelle alpi del Vercellese e
dell'Alessan-drino la superficie a produzione
forag-gera viene usufruita pressoché
integral-mente, mentre nelle alpi delle altre
pro-vince mandrie e greggi utilizzano solo
una parte della predetta superficie,
me-diamente pari all'80%.
Va ancora aggiunto che i rendimenti
dell'Alessandrino sono favoriti dalle
mi-nori altitudini e dal carattere
appenni-nico dei pascoli, mentre quelli del
Ver-cellese sono secondati dal particolare
regime pluviometrico di talune sue zone
di montagna ed anche dal fatto che
l'ir-rigazione delle foraggere si estende su
una superficie la cui percentuale,
rispet-to all'area rispet-totale riservata a produzione
foraggera, risulta essere la più alta
(4,38%) di tutta la Regione.
Considerate queste circostanze appare
verosimile che la produzione foraggera
unitaria — osservata al livello medio
regionale — venga ad assumere un
va-lore prossimo a q 8,45 per ha, e che
pertanto la superficie a foraggio
riser-vata ad ogni UBA non si discosti da
ha 1,94.
Quanto al carico animale mediamente
riscontrato nell'ultimo quinquennio
sul-le alpi piemontesi, vasul-le la situazione
riassunta nella tab. 4.
Tra i bovini prevalgono le vacche da
latte (41,7%), cui fa seguito il gruppo
dei giovani bovini (34,1%) che gli
al-levatori opportunamente avviano sulle
alpi per esaltarne la funzione dinamica
e conseguirne i molti vantaggi dovuti
al-l'ambiente ossigenato ed alle
caratteristi-che della flora pabulare, diversamente
utile per ragioni di quota, di esposizione,
di substrato pedoclimatico.
La maggior presenza di vacche in
lat-tazione, di allievi e di bovini in totale
viene registrata nelle province di
Cu-neo e di Torino, che insieme sommano
più dell'80% di capi; analoghe
conside-razioni valgono anche per il patrimonio
ovino la cui consistenza,
nell'associazio-ne delle due province citate, supera il
7 9 % : è questa una conferma, per
al-tra via, che nelle montagne del Cuneese
e del Torinese l'alpicoltura piemontese
trova le più rilevanti espressioni di
svi-luppo.
Riguardo agli equini presenti, va notato
che la maggior parte di essi si trova
inse-rita nel sistema di trasporti in atto sulle
alpi per carenza di piste interne adatte
ai mezzi meccanici.
2.4. Conversione in UBA
degli animali presi in carico
Se alla consistenza totale dei capi
effet-tivamente riscontrati in ogni provincia
si affianca il numero totale delle UBA
corrispondenti, la rappresentazione che
ne deriva trova puntuale riferimento
nella tab. 5.
I differenti valori presentati nelle varie
province dal coefficiente medio di
con-Tabella 4. Suddivisione per specie di animali
Capi animali Specie e categoria
n. n. % %
Tori 854 1,2
Bovine in lattazione 28.325 41,7
Bovine senza latte e altri
Bovini con più di 2 anni 15.634 23,0
Bovini da 6 mesi a 2 anni 23.134 34,1
Tabella 5. Conversione in UBA dei capi animali
Durata C a p i a n i m a| i Coeff. U B A
Province media ril. m.H ì. sf
deli
.
a,
dmed,o
regione ^ e g g . o ^ r % in UBA n. o/o On ha)
Alessandria Cuneo Novara Torino Vercelli Regione 177 1.147 0,8 1,086 1.246 1,8 1,86 98 61.132 42,1 0,458 28.010 40,6 2,28 94 17.656 12,1 0,383 6.764 9,8 2,36 118 48.817 33,6 0,508 24.793 36,0 2,79 114 16.521 11,4 0,494 8.155 11,8 1,51 110 145.273 100,0 0,475 68.968 100,0 2,37
nella constatazione, già prospettata, di
un completo o parziale usufruimento
della superficie a produzione foraggera.
Già si è rilevato che, ove non tutta la
superfìcie a foraggera venga
integral-mente utilizzata come è lecito supporre
per le province di Torino, Cuneo e
No-vara, il valore medio riscontrato di sf
— pari a ha 2,37 per UBA —
diminui-sce e si accosta verosimilmente ad ha
1,94, cui corrisponde una produzione
foraggera unitaria prossima a q 8,45
per ha.
Tabella 6. Produzione lattiero-casearia per provincia
Vacche in lattazione Latte bovino prodotto Resa media Province prò bovina e regione prò die n. % q % (in kg) Alessandria 170 0,6 2.885 1,7 8,22 Cuneo 11.047 39,0 53.686 32,1 4,94 Novara 3.008 10,6 16.138 9,7 6,95 Torino 10.936 38,6 71.790 42,9 5,66 Vercelli 3.164 11,2 22.727 13,6 6,32 Regione 28.325 100,0 167.226 100,0 5,61
versione in UBA dipendono, come si sa,
dalla circostanza che a formare tale
coefficiente concorrono molte variabili
tra loro correlate, cioè la durata
dell'al-peggio, la specie animale e, nell'ambito
della specie, la categoria cui gli animali
appartengono.
È ovvio che il valore medio del
coeffi-ciente cresce, in via generale, al
cresce-re della durata dell'alpeggio e del
nume-ro dei bovini adulti, mentre diminuisce
all'aumentare del numero degli ovini e
caprini e di quello dei giovani bovini.
Gli effetti delle intedipendenze ora
de-nunciate trovano preciso riferimento nei
diversi valori assunti dal coefficiente
medio di conversione.
Così, ad es., l'alto coefficiente della
pro-vincia di Alessandria (1,086, max.
del-la Regione) è dovuto aldel-la lunga durata
dell'alpeggio ed anche al fatto che ovini
e caprini rappresentano soltanto l'I 1,8%
del patrimonio animale alpeggiante; il
basso coefficiente del Novarese (0,383,
min. della Regione) dipende dalla
ridot-ta duraridot-ta dell'alpeggio (94 gg.) e dal
fatto che ovini e caprini costituiscono il
64,6% del totale degli animali
alpeg-giami.
Nel complesso del territorio regionale la
combinazione delle variabili ora
indica-te conduce ad un risultato inindica-teressanindica-te
poiché viene a stabilire che un generico
capo animale alpeggiante corrisponde, in
termini di UBA, ad un valore prossimo
alla metà (0,475).
Un altro dato medio di notevole
mo-mento è rappresentato dalla superficie a
produzione foraggera, sf, riservata ad
ogni UBA, considerato che tale
superfi-cie esprime la capacità di carico animale
dei pascoli piemontesi.
È un dato che riflette la varia realtà
geo-morfologica ed il mutare dei
comporta-menti socio-economici nelle singole
pro-vince e che va correttamente
interpre-tato nel riscontro tra carichi
potenzial-mente immissibili e realpotenzial-mente immessi, e
2.5. Produzioni lattiero-casearie
Le indicazioni riguardanti le vacche in
lattazione, il latte bovino prodotto, le
rese medie in latte prò bovina e prò die
vengono riassunte nella tab. 6.
La rassegna delle rese medie in latte
po-ne in evidenza, fra l'altro, le diverse
at-titudini lattifere delle razze bovine
con-dotte in alpe nelle varie province. La
minima resa contrassegna le vacche
del-la provincia di Cuneo, quasi tutte
ap-partenenti alla r. Piemontese, ancorché
questa provincia annoveri il massimo
numero di capi. Le più alte rese
con-traddistinguono invece le province di
Alessandria, Novara e Vercelli ove le
vacche alpeggianti fanno parte
prevalen-temente o pressoché esclusivamente
del-la r. Bruno-alpina.
La maggiore quantità del latte ottenuto
(88%) viene trasformata in prodotti
ca-seari, cioè in burro (q 3030) ed in
for-maggio (q 11.960) con rese,
rispettiva-mente, di kg 2,06 e di kg 8,15 per ogni
100 kg di latte impiegato. La quota
re-sidua del latte prodotto viene riservata
all'alimentazione dei vitelli (7%) ed
al-la vendita a al-latterie, nonché a caseifici
cooperativi o industriali (5%).
Il latte di pecora e di capra, mescolato
con latte vaccino, viene
prevalentemen-te destinato alla fabbricazione di
for-maggi misti e di ricotta, mentre la
resi-dua parte risulta impiegata, previa
di-luizione con acqua, per l'alimentazione
dei vitelli.
e natalizio che rappresentano i due
mo-menti dell'anno più favorevoli per la
collocazione dei capretti e degli agnelli.
2.6. Reddito medio lordo per unità
lavorativa uomo (ULU)
Nelle 1053 alpi della Regione operano
3504 pastori impegnati in prestazioni di
lavoro e di capitali. I capi malga, i
ca-sari ed i pastori di età superiore a 16
anni risultano pari a 2910 unità; tenuto
conto dei pastori con età non superiore
a 16 anni le unità di manodopera
im-piegate sono ragguagliabili in
comples-so a 3267 ULU.
Il reddito medio lordo spettante ad ogni
ULU per le prestazioni rese nel corso
dell'alpeggio si traduce in q 3,66 di
for-maggio, q 0,93 di burro e q 2,50 di
lat-te munto e consegnato direttamenlat-te ai
raccoglitori.
2.7. Situazione delle strutture
La rassegna degli investimenti
immobi-liari, sia a livello provinciale che
regio-nale, induce ad esprimere giudizi
preoc-cupanti, i quali dipendono dai valori
as-sunti dagli indici di degrado e
disinve-stimento, correlati agli indici di
affolla-mento relativamente ai locali riservati
alle maestranze ed alle stalle per bovini.
L'affollamento riscontrato nei 2544 vani
destinati in complesso all'alloggiamento
dei pastori è inferiore alla capienza
nor-male. Questo fatto rappresenta un
con-trassegno favorevole nei rispetti
del-l'area disponibile per persona, ma tale
contrassegno viene subito contraddetto
da un indice di degrado alquanto
rile-vante (92%), a significare che il
perso-nale trova riparo in locali piuttosto
fati-scenti, considerato che il 5 2 % dei
me-desimi risulta da riattare, il 4 0 % da
ri-costruire ed appena l'8% viene
giudi-cato idoneo alle volute funzioni.
Riguardo ai ricoveri per bovini si
osser-va anzitutto che la relatiosser-va capienza
uni-taria è assai modesta (10-11 capi per
stalla), trattandosi di ricoveri situati di
massima nelle zone dei pascoli di casa,
le cosiddette « cassine », « tetti », «
fo-rest ».
Soltanto il 53 % dei bovini normalmente
alpeggianti trova ricovero nelle 3524
stalle in oggi disponibili, per metà delle
quali le segnalazioni ricevute
convergo-no nel richiedere, per giunta, urgenti
ed indispensabili opere di restauro.
È ben vero che l'ubicazione delle stalle
non sempre coincide con le necessità di
uso del pascolo; comunque sia, sta di
fatto che un gran numero di bovini
ri-mane all'addiaccio o viene ricoverato
limitatamente sotto tettoia.
Questa situazione di insufficienza è
par-ticolarmente acuta nelle province di
Cuneo e di Alessandria ove,
rispettiva-mente, soltanto l'8% ed il 12% dei
bo-vini monticati ha la possibilità di un
ricovero in stalla.
Se uomini ed animali non trovano
adat-te condizioni di soggiorno, i riflessi
in-dotti da tali condizioni sono s'empre
negativi dal lato economico e, per quello
che si riferisce al fattore uomo,
risul-tano anche depressivi dal lato
psicolo-gico.
Per questi motivi l'indagine pone in
ri-lievo la necessità di intervenire con
solu-zioni tecniche moderne (ad es.
sceglien-do tra i diversi processi di
prefabbrica-zione) che forniscono servizi non
dissi-mili da quelli dell'edilizia rurale
tradi-zionale, ma che consentono di
conte-nerne i costi in limiti assai inferiori.
Per quel che concerne gli animali va
ancora notato che, in difetto di
suffi-cienti ricoveri chiusi, andrebbe almeno
estesa la costruzione di tettoie che
costi-tuiscono pur sempre un riparo più che
idoneo per certi gruppi di animali
alpeg-gianti ed una conveniente soluzione dal
lato economico. Ma anche in fatto di
tettoie la situazione è molto precaria
poiché la superfìcie attualmente
disponi-bile (mq 23.885) dovrebbe venire
riat-tata ed anche sviluppata su una
super-ficie complessiva di mq 148.480, che
risulta sestuplicata rispetto a quella
odierna.
Analoghe considerazioni valgono per i
restanti investimenti immobiliari (opere
di presa e somministrazione dell'acqua,
viabilità interna con strade camionabili
e carrarecce) per i quali il valore medio
dell'indice di degrado e disinvestimento
è sempre superiore al 100%, con ciò
denunciando una situazione di
conside-revole carenza ed un grado precario di
agibilità. A ciò va aggiunto che
l'esten-sione e le attuali condizioni di
funziona-mento della rete irrigua sono assai
con-tenute e ridotte, tanto che la parte della
superficie a produzione foraggera
sotto-posta ad irrigazione è appena pari
al-l'1,5% del totale, quando è ben
risa-puto che l'acqua irrigua, specialmente
se « fertilizzata », può stimolare le
pian-te foraggere verso alti livelli di
produt-tività. Ecco perché occorre prendere in
attento esame le proposte avanzate
in-tese ad aumentare il numero degli
im-pianti fissi ed a riordinare la rete dei
canaletti d'irrigazione con lavori di
riat-tamento e con integrazioni, in modo da
allargarne lo sviluppo lineare di circa
1/5, portandolo dagli attuali mi 405.070
a mi 481.595.
Infine, non minore attenzione va
dedi-cata alle opere di miglioramento
agrono-mico suggerite, cioè spietramenti,
dice-spugliamenti, trasemina di foraggere,
concimazioni, selezionando la
realizza-zione delle medesime su aree a pascolo
e ad incolto pascolivo maggiormente
su-scettibili di più rapidi incrementi
pro-duttivi; né va posta in subordine
l'op-portunità di estendere le aree a prato da
cui si potranno ottenere notevoli esiti
produttivi ove venga intensificata la
spe-rimentazione diretta ad arricchire la
flo-ra di pflo-raterie con nuove tecniche di
mi-glioramento.
3. CONCLUSIONI
Già si è osservato che le 1053 alpi
cen-site costituiscono un'impresa di grandi
dimensioni, un'impresa che lavora in
situazioni di notevole disagio, ma che
tuttavia riesce ugualmente a produrre
per l'impegno ed i sacrifici di una classe
di imprenditori i cui quadri vanno però
riducendosi, malauguratamente, di anno
in anno.
spe-cialmente attraverso la via
dell'associa-zionismo.
D'altro canto, se gli auspicati interventi
non dovessero giungere a garantire la
continuità dell'impresa pastorale, il
man-cato esercizio stagionale dell'attività
zoo-tecnica sui pascoli alpini finirebbe di
condurre alla graduale desertificazione
di ampi territori secondo un processo
inarrestabile ed irreversibile, con le ben
note e gravi conseguenze che
all'ambien-te derivano dalla rottura degli equilibri
ecologici.
Lo scopo ultimo dell'opera è quello di
fornire agli amministratori delle
Comu-nità montane uno strumento aggiornato
di consultazione ed una serie di proposte
concrete — tratte da realtà situazionali
scrupolosamente rilevate — da
utilizza-re nelle loro iniziative progettuali e nei
disegni che mirano a creare le premesse
per la razionale gestione del territorio.
Oltre a questo risultato diretto si ritiene
che lo studio possa anche presentare
in-teressanti suggestioni per aprire nuove
ricerche in settori collaterali o di diverso
orientamento, ma pur sempre collegati
all'alpicoltura nell'articolato contesto
delle economie locali.
A chiusura di questa presentazione si
crede opportuno di riprendere il
pen-siero che nel volume compare alla fine
della nota introduttiva. Tale pensiero
si traduce nell'augurio che, di fronte
al-l'inevitabile declino delle fonti
energeti-che tradizionali, ogni migliore
sensibi-lità politica ed ogni più avveduta
tecno-logia vengano poste in atto per utilizzare
al meglio l'ineguagliabile patrimonio di
risorse naturali ed indotte di cui le
no-stre valli sono portatrici, patrimonio che,
attraverso la gratuita energia solare,
po-trà fornire più foraggi, e quindi più
pro-dotti di origine animale a beneficio
del-l'umanità.
3 Cfr. L. CASTELLANI, L'unità consumatrice
ani-male quale parametro utilizzabile nell'analisi eco-nomica dell'azienda agraria, Produzione animale,
1973, 12, 145.
4 Limitatamente agli animali alpeggiatiti nelle
malghe piemontesi ed in riferimento alla norma-tiva prevista in apposita tabella allegata alla Legge 352/76, si è ritenuto di far corrispondere
l'UBA ad un capo bovino di qualsiasi razza con più di due anni d'età le cui esigenze a livello nutrizionale sono costituite, nel corso di 110 gior-ni che rappresentano la durata media normale dell'alpeggio, da un fabbisogno alimentare
equi-valente ad UF 682, pari a u.f.n. 1.705. Tale fab-bisogno, proporzionato ad una razione comples-siva prò die formata da UF 6,20, pari a u.f.n. 15,50, pertiene ad una bovina, contrassegnata da un p.v. di kg 500 e da una produzione lattea prò die di kg 5,50 con un contenuto lipidico di 0,035 + 0,040.
Secondo la L. 352/76 l'UBA è rappresentata dal toro, dalla vacca e da altro bovino con più di 2 anni d'età. Per capi bovini di diversa categoria e per capi di altre specie vengono stabilite le seguenti equivalenze:
bovino da 6 mesi a 2 anni: 0,60 UBA; pecora: 0,15 UBA; capra: 0,16 UBA.
Nello studio in pubblicazione si considerano le citate equivalenze come dati di riferimento e si stabilisce altresì di far corrispondere il capo sui-no a 0,35 UBA ed il capo equisui-no a 1 UBA. Su la base delle equivalenze sopratrascritte sono stati costruiti i coefficienti di conversione dei bo-vini, distinti per categoria, e delle altre specie in carico in ogni Comunità, tenuto conto della du-rata media rilevata dell'alpeggio rispetto a quella normale <= gg. 110) ed anche, per le bovine, della quantità di latte prodotto.
N O T E
1 C f r . P . FRANCARDI, G . TERRENO, F . M .
PASTO-RINI, I pascoli nei comuni montani del Piemonte, « Quaderno XI » di Cronache economiche, Came-ra di Commercio IAA di Torino, 195S, pagg. 417.
2 C f r . CHOMBART DE L A U W E , J . POITEVIN, J . T I R E L ,
La moderna gestione delle aziende agrarie, EDA,