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Cronache Economiche. N.007-008, Anno 1974

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(1)

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO E AGRICOLTURA

(2)

Le preoccupazioni

sono il peggior compagno di viaggio.

Non guastatevi il più bel

programma di viaggio con la preoccupazione di portarvi dietro tutto, o di ricordare se avete chiuso bene la porta di casa. Ci sono ladri specializzati in scippi, ed altri che emergono nel furto d'appartamenti.

Meglio affidarsi alle nostre Cassette di sicurezza, perfette per proteggere il vostro tesoro di famiglia:

argenteria, gioielli, documenti Depositateli da noi e partite leggeri.

Con un modesto canone, metterete al sicuro i vostri valori e sarete assicurati contro l'ansia da furto.

È il nostro modo di augurarvi " b u o n e vacanze! ".

vediamoci più spesso.

la banca aperta.

CASSA DI RISPARMIO

DI TORINO

(3)

cronache

economiche

sommario

rivista della camera di commercio industria artigianato e

agricol-tura di forino

numero 7/8 anno 1974

Corrispondenza, manoscritti, pubblicazioni deb-bono essere indirizzati alla D i r e z i o n e della Ri-vista. L'accettazione desìi articoli dipende dal Ciudi zio insindacabile della D i r e z i o n e . Gli scritti firmati o siglati rispecchiano soltanto il pen-siero d e l l ' A u t o r e e non impegnano la D i r e z i o n e della Rivista né l'Amministrazione Camerale. Per le recensioni le pubblicazioni debbono es-sere inviate in duplice copia. É vietata la ri-produzione degli articoli e delle note senza l'autorizzazione della D i r e z i o n e . I manoscritti anche se non pubblicati, non si restituiscono

D i r e t t o r e r e s p o n s a b i l e : Francesco Sarasso V i c e d i r e t t o r e : Franco Alunno R e d a t t o r e c a p o : Bruno Cerrato L. T a m b u r i n i

3 Torino fra antico e nuovo nell'opera di Antonio Milanesio * * *

11 Bilancio dell'economia torinese a metà anno

G. Z a n d a n o

15 Continua a crescere il deficit con l'estero

| S p e c i a l e |

2 0 Dibattito sulla programmazione in Piemonte

B. C e r r a t o

34 Siamo davvero consumatori smodatamente carnivori?

S. M a l e t t o

46 Situazione e prospettive di sviluppo degli allevamenti dei bovini da carne in Piemonte

A. C i c o g n a M o z z o n i

52 Analisi degli interventi a favore della zootecnia piemontese

P. F. B e c c h i n o

57 A proposito del passaggio dei lavoratori da una azienda all'altra

S . T o r a s s o

61 Sempre più urgente nella CEE l'attuazione di un'organica politica energetica comune

c . B e l t r a m e

67 L'esperienza spagnola dei calcoli sul reddito

F . F o x

71 Note ecologiche sul Piemonte

A . V i g n a

78 Environment '74: una mostra per vivere meglio

E. B a t l i s t e l l i

83 Notizie « flash » 85 Tra i libri 90 Dalle riviste

Figuri in copertina:

Pian général d'embellissement pour la ville de Turin. (c. 1808) -Disegno a penna colorato, non datato né firmato. (Torino Archivio storico comunale).

D i r e z i o n e , r e d a z i o n e e a m m i n i s t r a z i o n e

(4)

C A M E R A DI C O M M E R C I O

I N D U S T R I A A R T I G I A N A T O E A G R I C O L T U R A

E U F F I C I O P R O V I N C I A L E I N D U S T R I A C O M M E R C I O E A R T I G I A N A T O Sede: Palazzo degli Affari - Via S. Francesco da Paola, 24 Corrispondenza: 10123 Torino - Via S. Francesco da Paola, 24 10100 Torino - Casella Postale 413.

Telegrammi: Camcomm. Telefoni: 5716 (5 linee). Telex: 21247 CCIAA Torino. C/c postale: 2/26170.

Servizio Cassa: Cassa di Risparmio di Torino - Sede Centrale - C/c 53.

BORSA V A L O R I

10123 Torino - Via San Francesco da Paola, 28. Telegrammi: Borsa.

Telefoni: Uffici 54.77.04 - Comitato Borsa 54.77.43 - Ispettore Tesoro 54.77.03.

BORSA M E R C I

10123 Torino - Via Andrea Doria, 15.

Telegrammi: Borsa Merci - Via Andrea Doria, 15. Telefoni: 55.31.21 (5 linee).

G A B I N E T T O C H I M I C O M E R C E O L O G I C O

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Torino fra antico e nuovo

nell' opera di Antonio Milanesio

Luciano Tamburini

Non pili che pallida comparsa nel mondo critico locale o, as-sai meno, diligente e semplice annotatore dei mutamenti in at-to in una Torino in bilico fra an-tico e nuovo. Quando ciò ebbe inizio Antonio Milanesio (il fu-turo e ignorato storico della città all'epoca della Restaura-zione) non era però là ad in-tendere « II Repubblicano

Pie-montese » annunciare che « sulle

rive sanguinolente del Po » era sorto infine il giorno della liber-tà. Nato a Casale otto anni pri-ma (19 novembre 1790) ben po-co poteva dirgli, in bene o in male, l'« ancien regime »: spen-tasi la vampata scapittiana la città aveva austerizzata un po' la sua eleganza accostandola al gu-sto della capitale, non meno di essa effervescente e tetra, rab-buffata dagli eventi storici ma ri-condotta all'ordine dal ritorno del re, fra le sue truppe, nell'am-pia conca de « la Piazza ».

Il suo avvio fu di modesto maestro di scrittura al liceo lo-cale. Poco per le suggestioni evo-cate dal turbinio di quegli anni fra repubblica e impero: ma la prima era schiusa lui fanciullo, il secondo s'era estinto all'uscire dalla giovinezza. Carriera e vita s'aprivano su un mondo ritorna-to vecchio o intenritorna-to, almeno, ad apparire tale: degli ardori, dei fulgori precedenti più nulla, un celarsi d'ambizioni e progetti die-tro il calcolo politico o il velo

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.'ne fati. J<t\<n n/"' .'('//. Hunn tn.ihu ..•!<> \<mu:Y

F Bonslgnora Disagno por la nuova Torre Civica A panna, coloralo, datalo 30 ventoso anno IX <21 marzo 1801 |, cm 64,50 . 45,40 (Torino, Archivio storico comunale).

(6)

delle difficoltà economiche, un tempo d'attesa perché le simbo-logie imperiali sbiadissero e sul tessuto stinto si potessero dipin-ger nuovi fasti. Ma eran cose d'altri climi e d'altri ambienti e al casalese dovevano apparir lon-tane e quasi estranee. La spinta clal basso lo spronava a fatti più concreti: a integrarsi al mondo circostante senza assilli e no-stalgie, cercando un mezzo per emergere.

Ben distante quindi l'esordio da interessi critici se nel 1819 pubblicava — presso la tipogra-fia Pomba — un « Trattato teo-rico pratico di stenografia italia-na »: ciò indicava peraltro che il provinciale s'era inurbato, la-sciando Casale per Torino. Il tra-passo dovette avvenire

all'indo-mani della restaurazione poiché nel '15 frequentava un corso in casa Delpino e quest'ultimo era appena giunto da Milano.

Stenografia dunque: quasi un volonteroso ripiego alla Copper-field in attesa di miglior fortuna. Ma al Milanesio bastava, pago di un'ascesa né rapida né irresi-stibile. Insegnante di stenografia e calligrafia (viene in mente il Bor gonio, maestro anch'e gli « di scrivere », e la tradizione secen-tesca dei « Laberinti de Grop-pi » ) all'Accademia Militare

(1816-33) ove Ferdinando Bon-signore era professore di dise-gno: segretario quindi all'Azien-da generale di artiglieria, forti-ficazioni e fabbriche militari e, infine, capo divisione, geometra, estimatore generale.

S'avvicenda-vano frattanto due sovrani e il terzo, Carlo Alberto, lo

giubila-va col grado d'Intendente men-tre gli perveniva, in riconosci-mento, l'aggregazione a varie ac-cademie. Il resto è storia sua e unicamente sua: la passione po-pulista che lo spinse a patrocina-re l'elevazione dei lavoratori, cooperando allo Statuto dell'As-sociazione generale degli operai torinesi e all'istituzione di scuo-le tecniche popolari oltre che al-la compial-lazione, per loro uso, di varie opere: dal « Quaderno arit-metico » (1843) a «La metro-logia comparata» (1847), alla «Nuova aritmetica», alla «Nuo-va geometria elementare », ai « Primi rudimenti della scienza insegnati al popolo» (1849) e al « Nuovo Euclide in

campa-W n campa-W l f ^ i l l a K l I g r H ' f — : . .

G. L o m b a r d i - Progetto di Casa V o l o r y in via delle Finanze ( o r a C. B a t t i s t i ) - Disegno a penna, colorato e datato 13 giugno 1812, cm. 41,20 X 61,80. ( T o r i n o , A r c h i v i o storico c o m u n a l e ) .

(7)

l'i \ V R \ I I K U , \ T J T T V ni T O H I V I rtU Stir

Pianta della città d i T o r i n o (1814) - Disegno a penna colorato, n , n f i r m a t o , c m . 55,80 x 81. ( T o r i n o , A r c h i v i o storico c o m u n a l e ) .

Al r i t o r n o del re la c i t t à appare d i l a t a t a in ogni parte e la linea degli spalti non fa p i ù da argine alla sua espansione Piazza V i t t o r i o r i s u l t a olà trac

m e n , r e' " l a" e Porta Palazzo mostrano una sistemazione urbana ariosa e sfogata verso la natura circostante

gna » (1853), edito tre anni prima della morte, avvenuta il 27 luglio 1856. Non era manca-to ai congressi di scienzati ante-riori al '48 e fu in rapporto con personalità eminenti, da Gusta-vo di CaGusta-vour a Cesare Saluzzo, da Prospero Balbo a Cesare Cor-renti e Federico Sclopis.

Solitario excursus quindi — certo fuor del campo — il libret-to stampalibret-to nel 1826 da Favule col titolo « Cenni storici sulla

Città e Cittadella di Torino »,

« summa » più di pratiche scru-polosamente evase ed elencale che non frutto di sincero attacca-mento alla materia o all'osserva-zione e all'analisi. Ritegno

(8)

G. Taiucchi - Ospedale S. Luigi Gonzaga (ora A r c h i v i o d i Stato). Iniziato nel 1818. Ai p i a n i u r b a n i s t i c i e al restauro d i chiese e conventi s'accompagna l'interesse per opere d i u t i l i t à p u b b l i c a . L'ospedale S. L u i g i , a croce di S. Andrea, sviluppa un i m p i a n t o o r i g i n a l e che soddisfa esi-genze f u n z i o n a l i .

denziale lo indusse anzi ad oc-cultare in due paginette, fra una stringata sintesi dello sviluppo di Torino dal 1418 al 1787 e il regesto delle costruzioni innalza-te fra il 1816 e il '26, le opere intraprese durante la « occupa-zione militare dei francesi ». V'è già, nella dizione slessa, un sen-so d'insen-sofferenza (non si sa quanto convinto, tuttavia esibi-to), lo sforzo di enucleare un corpo estraneo conficcalo a for-za, quasi che la sua estrazione potesse riuscire indolore o, an-che cosi, senza lasciar traccia.

E v'è come il rimpianto d'aver persa un'occasione unica e per questo forse il cenno è cosi scar-no e la rievocazione scar-non va oltre il ricordo delle porte demolite, colle « maestose facciate rivesti-te di marmo, di colonne e di al-tri ornati ». Un passo invece è illuminante, per quanto inespres-so e inespres-sottinteinespres-so, e concerne i

« parecchi abbellimenti »

proget-tati dai francesi. Poiché solo do-po la prima parte il libro ha ve-ramente inizio, entrando nel vi-vo di realizzazioni cui egli stes-so ebbe mano, v'è come un

inten-zionale « diminuendo » per dar „j)iu forza al concetto di

continui-tà della tradizione, interrotta appena dall'invasione.

Certo, quando il re aveva fat-to rifat-torno, pochi erano i cambia-menti che gli eran balzati all'oc-chio né alla esecrazione dei lea-listi s'eran mostrati simulacri vi-stosi da abbattere. Ma se la ri-costituzione del clima « ci-devant » aveva potuto avve-nire, esteriormente almeno, sen-za scosse per i parchi interventi degli occupanti (d'importanza solo l'eliminazione della torre ci-vica, del « pavaglione » e della manica fra la reggia e il Castel-lo) qualcosa per causa loro era irrimediabilmente mutato. Non era solo l'ardita mole in pietra scavalcante il Po, per la cui ere-zione s'era dovuta sacrificare la vittoniana chiesa dei SS. Marco e Leonardo: era piuttosto la par-ziale caduta dei bastioni ad atte-stare il recupero d'un ambiente rimasto fino allora estraneo.

Con lo spianamento delle mu-ra, deciso da Bonaparte il 24 giugno 1800, cadeva infatti il diaframma che da secoli aveva bloccato l'espansione di Torino verso il circondario. Con le por-te cittadine (fra cui quella gua-riniana di Po) non spariva solo una componente stabile del pae-saggio urbano: s'ampliava l'oriz-zonte interno, ben oltre il fatto fisico d'una prospettiva non pili ridotta al giro dei bastioni. Cade-va cioè lo spirito ferrigno che da due millenni connotava la città, quel serrarsi aggrondato sul pen-dio del tavoliere, estranea all'am-biente circostante se non per l'approvvigionamento o il « pia-cere », i campanili alzati come coffe sull'onda dei colli e delle montagne.

(9)

tessuto urbano. Ma all'aprirsi d'un varco fra le mura e l'im-mettersi, suggestivo e veemente, dell'esterno s'imponeva un con-fronto che era causa d'imbaraz-zo. V'era stata la città vitozziana — lineare e severa — rincalzata da quella, progressivamente in-cupita, dei Castellamonte: e poi Guarini, Juvarra, Vittone, Alfie-ri coi loro timbAlfie-ri diversi. Ma ora? S'affacciava, fuor di porta, un mondo che non era stato mai compiutamente acquisito. C'eran vie che portavano a cascine e vil-le, s'intende; e al tempo dell'as-sedio la collina era avvampata dei loro incendi. Ma era terra di pochi se già a metà via Po ca-lava la cortina delle mura e due passi più in là l'insediamento umano aveva più l'aspetto di vil-laggio che di borgo.

Quel gran fiume scorrente fra erbosi argini (col ricordo d'an-tiche corse in slitta sul ghiaccio), il ponte ligneo diruto, l'erta gra-diente ai Cappuccini assumeva-no aspetto più tangibile, come cosa vista non solo — e per po-co — di lontano ma afferrabile coi sensi. In tal modo il primo effetto fu come se vie e piazze di Torino si trovassero in qualche sorta diminuite: più anguste en-trambe ma inospiti e squallide le prime, reticolo buio e disagiato cui pareva contrastare l'ampio spazio che s'apriva da ogni lato.

Fu proprio l'immissione di questo spazio arboreo a condi-zionare i piani d'abbellimento degli occupanti. Correvan giorni tempestosi, requisizioni e leve ovunque, finanze esauste e in-temperanze ideologiche, e tutta-via il Primo Console, nell'appres-sarsi al trono, volle che anche Torino fosse degna della nuova èra.

L'idea di surrogare le difese, ormai inutili, con un giro di giardini e viali era tipica della

G. Taiucchi . Ospedale S. L u i g i Gonzaga.

,L° s"r c i 0 ! " I u" 9 h e z z a p e r m e i l e di scorgere l ' i n n e s t o d ' u n o dei bracci c o n t r o il massiccio f r o n t o n e L e d i f i c i o echeggia m o d i settecenteschi e s ' i m p r o n t a a sobrietà tipicamente torinese.

epoca e valida non solo per l'Ita-lia: ed era anzi il modo più di-retto di compenetrare e fondere due entità finora autonome. Ciò escludeva il concetto di periferia nell'accezione odierna né avreb-be risolto problemi d'espansione organica: s'era però ancor lon-tani dall'urbanesimo industriale e le strutture presenti parevano bastare.

I piani rimasero comunque sulla carta: non solo perché il concorso indetto il 21 gennaio 1801 ri usci quasi deserto ma in quanto il rappresentante del re a

Parigi (solo l'U settembre 1802 la città fu annessa alla Francia) li definì « inutili al benessere del popolo e nocivi per le enormi spese che avrebbero causalo ». Forzatura oratoria, come il cen-no alla ideata soppressione di Su-per ga? Può darsi, anche se ma-nomissioni e guasti non manca-rono.

(10)

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A. G i u l i a n o - Progetto n. 7 presentato al concorso per la chiesa della Gran Madre di Dio, 4 a p r i l e 1818. Disegno a penna, cm. 57 X 37,10. ( T o r i n o , A r c h i v i o storico c o m u n a l e ) .

Il t e m p i o votato, con non lievi perplessità, per celebrare il r i s t a b i l i m e n t o della monarchia f u eretto dal Bonsignore a imitazione del Pantheon. Nella fase p r e l i m i n a r e v a r i f u r o n o i progetti i n v i a t i : il presente, nel turgore aulico, mostra bene la mutata atmosfera di T o r i n o .

so proporzionalmente inverso, i costi alle comodità, realizzando sul tracciato delle mura un ca-nale per prevenire il contrabban-do. Nulla d'innovato, insomma, rispetto alla situazione preesi-stente, nel senso d'un concentri-co recinto da uno sbarramento. Ma le piante esibite all'esame della Commissione smentivano, senza volerlo, le intenzioni origi-narie. Perdute (o ignorate in

qualche archivio) quelle degli architetti Rondoni e Bossi, cui peraltro il Botta riservò appena un cenno; conservate quelle del Pregliasco e dell'equipe Bonsi-gnore-Boyer-Lombardi, il meglio che la cultura locale potesse e-sprimere.

Il primo chiudeva l'abitato in un rettangolo circoscritto da un canale ininterrotto e tagliato da quattro nuove porte (Monviso,

Eridano, Italia e Francia) : a fianco d'esse ipotizzava giardini

costruzioni di parata o d'uso pubblico oltre a monumenti ce-lebrativi. I secondi, limitando a due i canali, permettevan libe-ro accesso al verde, tale da formare una cintura continua. Anch'essi conservavano il tradi-zionale modulo delle quattro porte ma — ed è il primo accen-no esplicito — postulavaaccen-no an-zitutto la sostituzione del ponte fatiscente. Non importa se a lato era prevista una miriade d'obe-lischi ed archi commemorativi: per la prima volta era affermato il principio eli continuità fra cen-tro urbano e circondario e si da-va credito all'istanza della Com-missione esecutiva del Piemon-te (2 aprile 1801) sull'utilità di favorire « il necessario corrente d'aria nella strada dell'Eridano » e « l'amena vista della collina ».

(11)

Era concessione estorta dalle proteste di pochi illuminati: « c'est le seul monument — ha l'aria dì rimpiangere il funziona-rio — qui existe à Turin et il faut, aux dépens de tout embel-lissement, le conserver ».

Ma già finiva l'impero né ha più importanza che un altro pia-no complessivo fosse sottoscritto da Napoleone il 16 settembre 1808. Alle scadenze ivi previste si sovrapponevano quelle, più cruente, della storia: tramontava un'epoca, tornava un tempo di inerzia mentale (almeno appa-rente) e d'immobilismo. Ma, stranamente, in campo edilizio gli anni seguenti furon pieni di fervore. Nel darne il resoconto Milanesio accenna, con appena un poco d'enfasi, a un'« aurora

di belle speranze »: ed è si elo-gio di prammatica (ma all'atto della pubblicazione c'eran di mezzo i moti del '21 e sui gradi-ni del trono era inciampato ma-lamente Carlo Alberto stesso) ma pure riconoscimento della esplicita volontà di ristrutturare la città intera.

Venne prima il ponte « giaco-bino » che qualcuno — più rea-zionario — volle abbattere e che bonariamente il re si limitò a « fouler aux pieds »: quindi, mentre proseguiva l'atterramen-to dei bastioni, l'erezione d'un monumento commemorativo sul luogo eia cui egli aveva fatto in-gresso nella capitale. E fu deci-sione laboriosa perché vari era-no gli orientamenti della com-missione deputata dal Consiglio

comunale: vi fu chi propose il compimento della torre civica o della facciata di S. Carlo, chi l'erezione di fontane, archi, sta-tue equestri. Prevalse l'idea d'un tempio votivo («a pubblica te-stimonianza che da Dio solo si riconosce la massima ventura di questi popoli d'esser restituiti al dominio del legittimo sovrano ») in capo al ponte. Ma la sua sto-ria travalica i limiti del libro perché solo il 20 maggio 1831

(regnando Carlo Alberto) ne av-venne la consacrazione. Architet-to era staArchitet-to il Bonsignore, forma-to in ambiforma-to neoclassico, e il calco palese del Pantheon si ri-solveva nell'adesione meditata « alla più bella Fabbrica che ci resta dell'antichità ». « The Pantheon as a paradigm » è il

a q u e l l a del Po » o r d i n a t i con e d i t t o del 19 » concede olla vista la fuga I n i n t e r r o t t a del

marzo 1819 o p r o g e t t a t i da F. Bonsignore.

(12)

Porta della R. Università in via della Zecca ( o r a G. V e r d i ) , 1823. o r m a i successo Carlo Felice e, pur continuando l ' a t t i v i t à e d i l i z i a , G. Talucchi

A V i t t o r i o Emanuele è

tende a farsi sempre p i ù raggelato. Di questo m i s t o di a u l i c i t à e portone dell'Ateneo torinese.

titolo d'un saggio che esamina la fortuna, in Italia e fuori, del celebre modello: a Torino l'im-portanza stava meno nei discuti-bili esiti estetici quanto nel senso di rottura implicito nel suo pro-tendersi verso la collina.

Aveva contribuito in passato a caratterizzarla A scanio Vi toz-zi tramutando un apprestamento difensivo in S. Maria, seguito in ciò da fuvarra con la basilica di Superga. Un disegno del messi-nese mostra significativamente

c l i m a contenutezza è buon esempio il

accostati i due edifici, per tale fatto collegandoli come parti in-tegranti di uno stesso habitat. Chiave di tale giunzione veniva ora a esser la Gran Madre, sal-dante il nucleo urbano (ormai centrifugato) al fondale dei col-li, cui l'immensa piazza Vittorio doveva servir da camera di com-pensazione.

Ma anche all'edilizia interna — nel senso di fruizione minuta e quotidiana — andavan le cure dei sovrani. Il 7 aprile 1818

av-venne la posa della prima pietra —>dell'ospedale S. Luigi, disegnato

dal Talucchi: edificio originale (ultimato anch'esso fuori tem-po) a croce di S. Andrea con cappella al centro. E contempo-raneamente veniva rifatta dal Lombardi un'ala del Palazzo di Città, deturpata da un incendio.

Seguendo il filo cronologico l'autore ripartisce la materia se-condo i regni dei sovrani per cui operò: ma una cosi netta distin-zione non è attuabile se si passa all'esame delle iniziative singo-le. Esse infatti s'intersecano e di-stanziano temporalmente; non solo, ma accanto a quelle in sé concluse altre se ne affiancano aperte verso il futuro e prefigu-ranti la città a venire, quali piaz-za Vittorio e Porta Nuova. E fra le prime, inoltre, è da distingue-re una varietà di toni: dal sacro

(restauro o compimento di nu-merose chiese: S. Cristina, S. Carlo, S. Lorenzo, S. Filippo) al mondano. La « trabacca di legno » ricordata dal Brofferio cedeva ad esempio il posto alla dignità neoclassica del Teatro d'Angennes (poi Gianduia), se-de se-della Reale Compagnia Sarda: e gli si affiancava il Sutera (poi Rossini), arso nel '28 e subito ricostruito, mentre la creazione del Giardino dei Ripari era cau-sa indiretta della nascita del Cir-co Sales (poi Teatro Gerbino) e della stagione più viva della To-rino demi-siècle.

(13)

Bilancio dell'economia torinese a metà anno

Lineamenti generali.

L'Ufficio studi della Camera di commercio di Torino ha con-dotto, presso il consueto « fo-r u m » di impfo-rese opefo-ranti nella provincia, l'indagine congiuntu-rale riguardante il secondo tri-mestre del 1974 (*).

Il c o n f r o n t o dei risultati ot-tenuti dall'elaborazione delle ri-sposte contenute nel questiona-rio con quelli relativi all'indagi-ne precedente (relativa al pe-riodo gennaio-marzo) consente di affermare che l'economia to-rinese ha segnato un a n d a m e n t o piuttosto differenziato a secon-da se si considera l'attività pro-duttiva o la d o m a n d a . Infatti, m e n t r e la p r i m a si è m a n t e n u t a discretamente sostenuta, raffor-zandosi addirittura in alcuni set-tori, la seconda è cresciuta nella sua c o m p o n e n t e interna più che quella estera a un ritmo alquto più contenualquto che nei mesi an-tecedenti. Q u e s t o r a l l e n t a m e n t o non ha finora sortito effetti sen-sibili sul sistema, se si pensa, ad esempio, che il livello delle gia-cenze di prodotti finiti è media-m e n t e ritenuto inadeguato; c'è da temere tuttavia che le riper-cussioni negative a b b i a n o a svi-lupparsi seriamente negli ultimi mesi d e l l ' a n n o .

Se poi si e s a m i n a n o le previ-sioni f o r m u l a t e dagli operatori economici intervistati, risulta un netto peggioramento rispetto al trimestre precedente. Infatti, a giudizio delle imprese costituen-ti il c a m p i o n e , sia la p r o d u z i o n e ,

sia la d o m a n d a (italiana ed este-ra), sia l'occupazione dovrebbe-ro segnare il passo. La nota meno amara è costituita dalle aspetta-tive sull'andamento dei costi di produzione e dei prezzi di ven-dita, che si prevede dovrebbero continuare a crescere, ma a ritmi più contenuti.

Ecco c o m u n q u e in sintesi i giudizi formulati dalle aziende interpellate.

I N D U S T R I A .

a) Il 21 % delle imprese ha

comunicato un a u m e n t o di

pro-duzione rispetto al p r i m o

trime-stre, mentre il 6 0 % ha segnalato stazionarietà e il 1 9 % flessione (saldo + 2 % , contro + 5 % dei tre mesi precedenti). Le risposte alla d o m a n d a relativa alle varia-zioni produttive nei confronti del secondo trimestre del 1973 han-no fornito un saldo pari a + 2 5 % .

b) I costi di produzione

han-no c o n f e r m a t o la tendenza al rialzo. Il 9 0 % ha indicato lievi-tazione, 1*8% stazionarietà e so-lo il 2% un caso-lo (saldo + 8 8 % , contro + 9 2 % nel trimestre pre-cedente).

c) Il grado di s f r u t t a m e n t o della capacità produttiva è stato considerato più elevato di quel-lo del trimestre precedente dal 6 % degli operatori economici tervistati, uguale dal 9 0 % e in-feriore dal 4 % (saldo + 2 % , a f r o n t e di + 1 9 % di gennaio-marzo).

d) Le giacenze di prodotti

de-stinati alla vendita sono ancora mediamente apparse al di sotto del livello di normalità. Il saldo tra giudizi di esuberanza e di scarsità è infatti risultato pari a - 7 % , rispetto a - 1 8 % nel pri-mo trimestre.

e) II 2 6 % delle aziende ha

rilevato un accrescimento delle proprie vendite complessive nei riguardi del trascorso trimestre, il 5 5 % ha denunciato una situa-zione invariata e il restante 1 9 % una flessione (saldo + 7 % , con-tro + 1 5 % nel precedente son-daggio). Le vendite sono salite anche nei confronti del corri-spondente periodo del 1973 (sal-do + 3 3 % ) .

/) Per quel che concerne gli

ordinativi provenienti dal

mer-cato nazionale, sempre raffronta-ti al primo trimestre, si sono ri-levate le seguenti percentuali:

1 4 % lievitazione, 5 8 % staziona-rietà e 2 8 % cedimento (saldo - 1 4 % , contro + 1 2 % di tre mesi prima).

g) La domanda estera ha dal

canto suo presentato un saldo pa-ri a - 4 % (contro 4- 7% a fine marzo), risultato dalla differenza tra risposte indicanti a u m e n t o ( 1 7 % ) e calo ( 2 1 % ) , avendo il

(14)

rimanente 6 2 % giudicato una si-tuazione immutata.

h) Le previsioni a breve

ter-mine relative al terzo trimestre 1974 sono racchiuse nei seguenti saldi (tra parentesi i valori corri-spondenti rilevati al 31 marzo):

- 2 0 % produz. ( + 1 9 % ) ; — 9 % occupaz. ( + 8 % ) ; — 3 7 % domanda interna ( - 5 % ) ; — 11 % domanda estera ( - 4 % ) ; + 5 6 % prezzi di vendita ( + 7 5 % ) . C O M M E R C I O .

a) Il volume delle vendite è

apparso in cedenza nei confronti del trimestre precedente, sia sui mercati all'ingrosso (saldo — 1 7 % ) , sia su quelli al detta-glio (saldo — 4 % ) . I risultati re-lativi ai primi tre mesi dell'anno erano stati pari, nell'ordine, a — 1 7 % e - 3 6 % .

b) I prezzi h a n n o seguitato a

salire, e all'ingrosso (saldo + 6 6 % , invece di + 7 5 % del precedente sondaggio), e al mi-nuto (saldo + 8 6 % per entram-be le rilevazioni).

e) In merito alle previsioni

sull'andamento degli scambi nei tre mesi successivi, si osserva che, per q u a n t o riguarda i gros-sisti, il 1 0 % degli intervistati at-tende un'evoluzione nel proprio giro d'affari, il 3 4 % stazionarie-tà e il 5 6 % una riduzione (saldo — 4 6 % , contro — 2 5 % nella pre-cedente rilevazione). Nei con-fronti dei dettaglianti le conclu-sioni sono: 6 % crescita, 2 3 % stazionarietà e 7 2 % calo (saldo — 6 6 % , contro zero).

CREDITO.

a) Il 5 0 % degli istituti d U , credito ha segnalato un aumento dell'affluenza del risparmio, men-tre l'altra metà ha indicato sta-zionarietà (saldo + 5 0 % , contro

+ 5 6 % nel trimestre gennaio-marzo).

b) Le richieste di

finanzia-mento si sono mostrate in

note-vole ascesa (saldo tra risposte di aumento e di riduzione + 8 7 % , contro + 3 3 % del precedente sondaggio), mentre diametral-mente opposta è stata la dina-mica delle concessioni di

cre-dito (saldo — 5 0 % , a fronte di

- 1 1 % ) .

c) Gli operatori del settore h a n n o previsto per il trimestre luglio-settembre un ulteriore ag-gravamento della situazione con-giunturale della provincia (saldo tra giudizi positivi e negativi - 7 5 % , contro - 6 7 % ) .

I diversi settori.

Alla chiusura del primo seme-stre, da una prima, rapida ana-lisi dell'andamento dell'econo-mia torinese, mette conto rileva-re che le prileva-revisioni formulate dagli operatori dei diversi rami di attività a fine marzo sull'evo-luzione della congiuntura nel se-condo trimestre si sono purtrop-po avverate. Infatti, se da un la-to nell'aprile-giugno la produzio-ne ha continuato, eccezion fatta per alcuni comparti, a sviluppar-si in modo abbastanza soddisfa-cente consentendo un certo mi-glioramento del grado medio di utilizzazione della capacità pro-duttiva, dall'altro il volume de-gli ordinativi ha cominciato a denunciare preoccupanti segni di cedimento.

O r b e n e , se anche le aspettati-ve che le imprese intervistate

hanno indicato in quest'ultimo sondaggio, dovessero trovare pie-na conferma al termine del terzo trimestre le conseguenze più immediate, sarebbero sicuramen-te riduzione del ritmo produtti-vo e della domanda interna, con-trazione degli attuali livelli occu-pazionali, non potendo assoluta-mente contrastare tale tendenza, se non in minima parte, la discre-ta tenudiscre-ta dei mercati esteri o la necessità, da parte delle aziende, di riportare le giacenze di pro-dotti finiti su livelli ottimali.

In altre parole, l'economia to-rinese, e in particolare il siste-ma industriale, andrebbero in-contro ad un periodo di rallenta-mento produttivo, se non addirit-tura di recessione. Queste aspet-tative improntate al pessimismo derivano indubbiamente dai ti-mori legati alla delicata situazio-ne in cui versa l'industria del-l'auto, nonché allo stato dell'edi-lizia che si trova ad attraversare una fase di allarmante stagna-zione. Bisogna poi considerare che il ritmo di crescita della pro-duttività nelle imprese, non cer-to superiore a quello dei costi, impedisce la ricostruzione del-l'equilibrio tra questi ultimi e i ricavi e che la competitività dei prodotti della provincia sui mer-cati esteri, nonostante la svalu-tazione di fatto segnata dalla li-ra, non riesce ancora a tornare sugli standards di qualche tem-po fa.

(15)

IL CLIMA DI OPINIONI DEGLI OPERATORI INTERVISTATI (previsioni per il 3° trimestre 1974)

835.930 autoveicoli tra gennaio e maggio, mentre nell'analogo scorcio del 1973 ne aveva co-struiti 724.958 ( + 1 5 , 3 % ) . Oc-corre però osservare che tale raf-fronto è scarsamente significati-vo, poiché nei primi mesi 1973 l'attività operativa era stata non poco ostacolata dagli scioperi per il rinnovo del contratto naziona-le di lavoro dei metalmeccanici. Rispetto all'analogo lasso tem-porale del 1972, si deve infatti prendere con rammarico atto che si è realizzata una diminuzione dell'I % . I restanti settori metal-meccanici hanno manifestato in-vece una discreta vivacità che ha permesso di rimanere su soddi-sfacenti livelli produttivi.

L'industria tessile è andata progressivamente peggiorando nel corso dei sei mesi, correlati-vamente alla sempre maggiore regressività mostrata dalla do-manda globale. La chimica per converso ha mantenuto discreti toni operativi, con un buon gra-do di utilizzazione degli impian-ti. La gomma, debole sul fronte dei pneumatici, è apparsa me-glio intonata nei confronti

del-la produzione degli articoli tec-nici, la cui richiesta ha continua-to a tirare con discreta vivacità.

Le cartiere e soprattutto le in-dustrie editoriali, nonostante le non irrilevanti difficoltà di ordi-ne congiunturale e strutturale, hanno rafforzato discretamente i propri toni operativi, rispetto alla prima metà del 1973. J1 com-parto alimentare ha presentato un andamento sostanzialmente poco brillante, specialmente nei riguardi dell'industria dolciaria e delle bevande alcoliche.

In merito all'edilizia il primo semestre non ha portato novità di rilievo, anzi si è assistito a un peggioramento della già precaria situazione. Nella provincia di Torino, infatti, all'infuori del ca-poluogo, nei primi cinque mesi si sono registrate flessioni nel nu-mero di vani ultimati e progetta-ti, rispettivamente, del 7 , 7 % e del 2 1 , 9 % . Come diretta conse-guenza di siffatto stato di cose, l'industria del legno e quella dei materiali da costruzione hanno dovuto accusare pesanti flessioni produttive con una punta

parti-colarmente elevata per il com-parto marmifero.

Come indicatore globale del-l'attività del secondario si ripor-tano i dati sui consumi di ener-gia elettrica per usi industriali: essi sono ammontati a tutto marzo a 1.128.350 k W h , con un accrescimento nei confronti del corrispondente periodo del 1973 del solo 3 , 7 % .

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pre-sentato nel periodo in esame un sufficiente dinamismo.

Le vendite sui mercati al

mi-nuto, ancora abbastanza

sostenu-te, hanno accennato, in special modo nel secondo trimestre, a un certo ridimensionamento del rit-mo di crescita. Tale situazione è da connettere in via prevalente alla forte erosione del potere di acquisto dei redditi fìssi a causa della spinta inflazionistica in at-to e in misura comunque non trascurabile ai timori sui possi-bili sviluppi nei prossimi mesi.

A proposito dell'andamento del costo della vita si segnala che l'indice dei prezzi al consu-mo per le famiglie di operai e im-piegati della città di Torino è sa-lito, tra il giugno 1973 e il lu-glio 1974, del 1 6 % . Limitata-mente ai primi sei mesi del cor-rente anno la crescita è stata del

10,8%.

Anche per quanto concerne gli investimenti, i pochi elementi statistici a disposizione non in-ducono all'ottimismo. Infatti, dall'analisi dei dati sull'edilizia non residenziale risulta che tra gennaio e maggio le progettazio-ni nella provincia di Torino (e-sclusa la città capoluogo) sono ammontate a 254.431 mq, con-tro 466.260 nel corrispondente lasso del 1973 ( - 4 5 , 4 % ) . In merito alle sole costruzioni de-stinate all'industria, il calo è stato ancora più consistente (—53,5%). Più confortanti in-vece le notizie concernenti le im-matricolazioni al P.R.A. della provincia di autoveicoli

indu-striali nuovi di fabbrica. Esse so-no infatti risultate nel primo tri- „ mestre pari a 1804 unità, con-tro 1468 nello stesso periodo del 1973 ( + 22,9%).

È evidente che le nuove ini-ziative di investimento sono state non poco ostacolate dalla stretta creditizia in atto. Dal sondaggio condotto dalla Camera di com-mercio di Torino presso alcune delle principali aziende di cre-dito della provincia risulta che, mentre le richieste di credito so-no apparse in continua espansio-ne (saldo tra risposte di aumen-to e di diminuzione + 8 7 % ) , le concessioni di finanziamenti han-no seguito una linea opposta (sal-do - 5 0 % ) .

In ordine alle esportazioni non si dispone di notizie precise, poiché i dati valutari elaborati dall'Unione italiana delle Came-re di commercio si arCame-restano alla fine del 1973. I pochi indicatori significativi al riguardo sono co-stituiti da un lato dalle vendite all'estero di autovetture (che rap-presentano una rilevante aliquo-ta delle esporaliquo-tazioni torinesi), e dall'altro dalle spedizioni ferro-viarie. Rispetto al primo seme-stre del 1973 entrambi questi elementi hanno presentato un ac-crescimento dell'ordine, rispetti-vamente, del 18,2% e del 2 0 , 8 % . Occorre però ricordare che queste percentuali di cresci-ta sopravvalucresci-tano l'ampiezza del fenomeno, in quanto l'anno scorso era stato interessato dai noti, prolungati scioperi del set-tore metalmeccanico. È quindi

presumibile che le esportazioni 4ella provincia nella prima metà

del 1974, soprattutto a causa del-la difficile situazione congiuntu-rale attraversata dall'industria dell'auto, non abbiano compiu-to sostanziali passi in avanti.

Infine un accenno alla situa-zione demografica e allo stato occupazionale. Tra gennaio e aprile la popolazione della pro-vincia si è accresciuta di 7651 unità, contro 6298 nel corrispon-dente periodo del 1973. Tale au-mento è dipeso interamente dal saldo naturale ( + 3764 unità, contro + 2411), in quanto la dif-ferenza tra immigrati e emigrati è rimasta invariata nei due anni ( + 3887 persone).

In merito allo stato

occupazio-nale si constata che la

disoccupa-zione ha subito un lieve accre-scimento. Il numero di iscritti (prime due classi) nelle liste di collocamento dell'Ufficio provin-ciale del lavoro è risultato a fine giugno pari a 20.516 unità, con-tro 20.411 all'analogo mese

1973. Tale sviluppo è ascrivibile totalmente alla maggior consi-stenza dei lavoratori in cerca di prima occupazione (5921 nel

1974 contro 5232 nel 1973). Gli interventi della Cassa integrazio-ne guadagni, infiintegrazio-ne, sono saliti da 2.370.633 nel primo semestre del 1973 a 3.352.456 nel corrispon-dente intervallo di quest'anno ( + 4 1 , 4 % ) . Occorre però tene-re ptene-resente che i dati tene-relativi al

(17)

Continua a crescere il deficit con l'estero

Gianni Zanclano

1. La situazione congiunturale italiana.

La situazione congiunturale in cui si trova coinvolta l'economia italiana permane caratteriz-zata da due problemi centrali strettamente colle-gati: i ritmi sudamericani assunti dall'inflazione, che rischia di trasformarci — per usare un'espres-sione del Presidente della Confindustria — da paese industriale in una società di collezionisti di beni-rifugio; ed un pauroso disavanzo nei conti con l'estero. La bilancia commerciale ha registra-to un saldo passivo di 490 miliardi di lire in gen-naio, di 714 in febbraio, di 751 in marzo, di 814 in aprile, di 580 in maggio. A partire dal giugno si sono manifestati i primi sintomi di migliora-mento, imputabili a molteplici cause: gli effetti della stretta creditizia, riflessi anche da tassi a vista dell'ordine del 2 0 % , che h a n n o indotto o costretto molte imprese a f a r riaffluire le dispo-nibilità detenute all'estero, riducendo le possibi-lità di operazioni speculative; le aspettative di un rafforzamento della quotazione della lira -— del resto già evidenti sul mercato nero, dove la Banca d'Italia non interviene — come conseguenza del-l'accordo sulle riserve auree e del varo delle mi-sure fiscali; l'obbligo del deposito cauzionale sulle importazioni, che ha spinto molti fornitori esteri ad estendere crediti agli importatori italiani p u r di non perdere le loro quote di mercato; il tra-dizionale miglioramento estivo di alcune voci delle partite invisibili (es.: turismo), ecc. Ma non si p u ò ancora parlare di una inversione di ten-denza: il disavanzo commerciale a c c u m u l a t o nei primi cinque mesi d e l l ' a n n o in corso ha già supe-rato il pesante saldo passivo registsupe-rato nell'intero 1973. Di questo passo, il deficit atteso della bi-lancia dei pagamenti su base a n n u a l e potrebbe raggiungere il 6 % del P N L , una percentuale mai eguagliata da alcun paese industriale.

Nel volgere di q u a l c h e a n n o , la struttura della bilancia dei pagamenti è cosi radicalmente muta-ta. Non sono passati d u e anni da q u a n d o

l'espan-sione italiana dipendeva ancora da un cospicuo avanzo di parte corrente, bilanciato da un deficit nel movimento dei capitali, e l'Italia costituiva un paradossale esempio di paese povero che espor-tava nello stesso tempo mano d'opera e risparmio reale, e oltretutto verso paesi con tenore di vita più elevato. Le ragioni del repentino m u t a m e n t o sono sostanzialmente riassumibili nella rottura di due equilibri: l'equilibrio tra i prezzi dei pro-dotti industriali ed i prezzi delle materie prime e delle fonti d'energia, e l'equilibrio tra salari e produttività.

2. L'aumento dei prezzi delle materie prime e delle fonti d'energia.

(18)

esportazioni — tenuto conto della svalutazione della lira — si collocava intorno al 5 % . Su que-sta situazione si è abbattuta, nell'ultimo scorcio del 1973, la mazzata finale: il quadruplicarsi del prezzo del petrolio, che ha manifestato i suoi ef-fetti devastanti soprattutto nei primi mesi dell'an-no in corso.

3. Il rapporto tra produttività e salari.

Sarebbe tuttavia semplicistico attribuire sol-tanto a cause esogene lo squilibrio dei conti con l'estero: esso affonda le sue radici anche in mo-tivi interni, nella rottura del rapporto tra produt-tività e salari. Lo sviluppo economico italiano è avvenuto all'insegna di uno « spontaneismo » che ha privilegiato l'espansione dei consumi privati a scapito dei consumi collettivi. Lo sbilancio si è tradotto in una perdita di efficienza del sistema apparsa anche sotto la forma di rendite parassi-tarie nel settore edilizio, nel settore distributivo, nel settore sanitario-assistenziale, nel settore buro-cratico; rendite che la conquista di una situazione di pieno impiego, sia pure precario e parzial-mente improduttivo, ha permesso di scaricare — sotto forma di massicce rivendicazioni salariali — sulla pubblica amministrazione e sugli equilibrii interni aziendali. Uno degli ingredienti fonda-mentali di quel cocktail micidiale che, tra il 1969 ed il 1972, è divenuto un po' la bevanda nazio-nale — inflazione più stagnazione — è da ricer-carsi in una anomala conflittualità aziendale, f r u t t o del tentativo dei lavoratori di compensare, attraverso l'aumento dei redditi individuali, l'ina-deguata soddisfazione dei bisogni collettivi. Se quote rilevanti delle retribuzioni sono assorbite da rendite patologiche, gli incrementi della pro-duttività non possono più essere un p u n t o di rife-rimento accettabile, da parte del movimento dei lavoratori, per l'elaborazione delle piattaforme ri vendicati ve. Il risultato è stato quello di provo-care, con l ' a u m e n t o del costo del lavoro e l'in-sufficiente utilizzo degli impianti, un aggravio ge-nerale dei costi unitari di produzione, l ' a u m e n t o dei prezzi e la relativa emarginazione dell'econo-mia italiana dal contesto internazionale.

4. Un disavanzo di 5 5 0 0 miliardi.

Gli effetti della rottura di questi due rapporti, uno esterno ed uno interno, si sono manifestati

nel primo scorcio del 1974 sotto forma di acute tensioni inflazionistiche e di un disavanzo della bilancia dei pagamenti stimato dalla Banca d'Ita-lia intorno ai 5500 mid'Ita-liardi di lire su base d'an-no. Un deficit di tali proporzioni non è sostenibile da alcun paese che non abbia rinunciato ad eser-citare un certo grado di controllo sui cambi, e intenda continuare a partecipare ai benefìci degli scambi internazionali. I mezzi per porvi rimedio sono noti. Se si astrae dai movimenti di capitali, il disavanzo dei conti con l'estero non è altro che la differenza tra il totale dei beni e servizi « assor-biti » (consumati ed investiti) ed il totale dei beni e servizi prodotti all'interno dell'economia. Esso può d u n q u e essere ridotto o aumentando il totale delle risorse prodotte all'interno, o diminuendo la d o m a n d a globale, o agendo contemporaneamente sui due termini della differenza. In u n a situazione quale quella italiana, la prima alternativa è diffi-cilmente perseguibile nel breve periodo, poiché i margini di manovra sono compressi dalla rigidità dell'offerta, dalla scarsa flessibilità nell'uso del lavoro, e da una ridotta mobilità dei fattori. Quan-to alla seconda, nel corso del 1973 non era parso o p p o r t u n o ricorrervi per non f r a p p o r r e ostacoli ad u n a ripresa appena avviata. Restava una solu-zione intermedia in teoria capace di agire sui due fronti: lasciar fluttuare anche la lira commerciale, e permetterne il deprezzamento. La manovra, pe-raltro utilissima per contenere la perdita di riser-ve, non incide però sensibilmente sullo scarto tra d o m a n d a ed offerta di valuta estera, per le ricor-date inelasticità di prezzo della d o m a n d a di im-portazioni e dell'offerta di esim-portazioni. In ogni caso, gli effetti di attivazione della produzione interna sono largamente neutralizzati dalla caduta della ragione di scambio, che accentua le pres-sioni inflazionistiche. Già sul finire del 1973 ap-pare inevitabile il ricorso alla seconda alternativa, il contenimento della d o m a n d a globale: e poiché l'impiego della politica monetaria per curare un disavanzo della bilancia dei pagamenti è come usare un martello per uccidere una mosca, era evidente l'urgenza di ricorrere a misure fiscali, che agissero in un primo tempo sui consumi (possi-bilmente in modo selettivo) e solo in u n secondo tempo sugli investimenti e sull'occupazione.

5. Incoscienti giri di valzer.

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in esercizi elettorali di alto contenuto civile, ma che equivalevano — date le circostanze — ad incoscienti giri di valzer sul ponte di una nave in procinto di affondare. Nel frattempo, il pesante passivo dei conti con l'estero veniva fronteggiato nell'unico modo possibile: finanziandolo, con un massiccio ricorso all'indebitamento. Nell'arco di tempo compreso tra il giugno 1972 ed il marzo 1974, secondo l'ultima relazione di Carli, gli in-terventi netti (depurati delle operazioni swap con banche italiane) sul mercato dei cambi in soste-gno della lira, prima per mantenerne le quota-zioni entro i margini comunitari e, dopo il feb-braio 1973, per impedirne un eccessivo deprez-zamento, sono ammontati a 8 8 5 0 milioni di dol-lari. Le imponenti disponibilità valutarie neces-sarie per f a r f r o n t e a tali interventi sono state otte-nute mediante l'attivazione del sostegno a breve termine nell'ambito della CEE ma, soprattutto, con l'accensione di prestiti sul mercato dell'euro-dollaro.

milioni di dollari nel 1972, 4686 nel 1973, 2600 solo nei primi cinque mesi dell'anno in corso.

TAVOLA 1. — P R I N C I P A L I E M I S S I O N I DI PRESTITI E MUTUI C O N T R A T T I IN V A L U T A ESTERA, 1972-1974 (milioni di $) Periodo Enti emittenti \ 1972 1973 Genn.-Maggio 1974 Totale Gen-naio '72- Mag-Gio '74 Istituti speciali di credito 1 . 0 5 0 2 . 9 0 0 1 . 9 5 0 5 . 9 0 0 Banche 4 5 0 — 4 5 0 9 0 0 Imprese pubbliche 1 4 4 1 . 7 8 6 — 1 . 9 3 0 Altre imprese 5 6 — 2 0 0 2 5 6 T O T A L E 1 . 7 0 0 4 . 6 8 6 2 . 6 0 0 8 . 9 8 6

6. Il debito esterno dell'Italia.

L'Italia ha collezionato cosi un altro p r i m a t o negativo: ora siamo non solo il paese della C E E col più alto tasso d'inflazione ed il più a m p i o deficit nella bilancia dei pagamenti, ma anche quello con il più elevato debito esterno. N o n è facile orientarsi nella selva di statistiche, non sempre concordanti, fornite dai documenti uffi-ciali sui prestiti esteri. Secondo la Relazione della Banca d'Italia per l'anno 1973, i debiti comples-sivi risultavano pari, a fine 1973, a 6 3 8 8 miliardi di lire. Se aggiungiamo i prestiti accesi sul mer-cato dell'eurodollaro tra il 1° gennaio ed il 31 maggio 1974 (2600 milioni di dollari, secondo i dati della Tav. 1), il totale comincia a farsi con-sistente. Si tratta, in larghissima parte, di prestiti compensativi o « pilotati », la cui consistenza il governatore Carli fa ascendere nelle « Considera-zioni finali » a 10,5 miliardi di dollari. O c c o r r e notare che la stima include la posizione netta sul-l'estero delle aziende di credito, ma non lo

stand-by di 1,2 miliardi di dollari del F M I , né il

soste-gno a breve termine della C E E , né la linea swap di 3 miliardi di dollari delia Federai Reserve. Un'idea della rapida escalation dell'indebitamen-to esterno dell'Italia tra il 1972 ed il 1974 è for-nita dalla T a v . 1, che riporta le principali emis-sioni di prestiti e mutui in valuta estera: 1700

7. Un onere finanziario senza precedenti. Questi prestiti impongono un onere finanzia-rio senza precedenti sulla nostra economia. Se-condo Carli, l ' a m m o n t a r e degli interessi sui pre-stiti è dell'ordine di 700 milioni di dollari in ragione d ' a n n o . T e n u t o conto del piano di am-m o r t a am-m e n t o dei prestiti in essere al 31 diceam-m- dicem-bre 1973 (Tav. 2) e dei 2,6 miliardi di dollari

ottenuti nel 1974, non si è lontani dal vero nel-l'affermare che nel q u a d r i e n n i o 1975-78 la bilan-cia dei pagamenti italiana sarà gravata da un one-re medio annuale, tra a m m o r t a m e n t i ed inteone-ressi, di 2 0 0 0 milioni di dollari circa. Si tratta di conti che i banchieri internazionali privati stanno an-siosamente facendo da qualche mese: li f a n n o anche per la G r a n Bretagna, m a soprattutto per l'Italia, che non dispone delle riserve di petrolio del Mare del N o r d . In altre parole, le nostre ca-pacità di i n d e b i t a m e n t o sull'eurodollaro — dove forse s p e r a v a m o di attingere q u e s t ' a n n o altri 4 miliardi di dollari — devono ritenersi per ora pressoché esaurite. Il d e t e r i o r a m e n t o del

credit-standing internazionale del nostro paese è riflesso

d a l l ' a n d a m e n t o degli spread — il premio sul tasso d'interesse di riferimento (London interbank

ofje-red rate) — imposto ai prenditori di prestiti

(20)

pre-TAVOLA 2. — P I A N O DI A M M O R T A M E N T O DEI PRESTITI ESTERI (*) C O N T R A T T I A T U T T O IL 1973 (miliardi di lire)

Consistenza debiti Rimborsi

a fine 1973

1974 197 5 1976 1977 1978 1979 1980 1981 1982 1983 oltre

6 . 3 8 8 2 1 5 7 5 0 4 0 9 3 3 9 111, 3 9 1 8 5 2 2 7 1 3 4 9 9 8 6 1 . 0 5 3

Fonte: B a n c a d ' I t a l i a .

( * ) P r e s t i t i e s t e r i p r i v a t i e p u b b l i c i ( g a r a n t i t i d a l l o S t a t o ) .

stito Mediobanca è indicativa della crescente rilut-tanza delle eurobanche a concedere credito anche ad importanti istituzioni italiane: dopo aver fati-cosamente reperito i primi 500 milioni di dollari, le tre banche italiane e le nove banche americane incaricate di collocare il prestito h a n n o potuto rastrellare gli altri 700 milioni soltanto distribuen-doli su 110 partecipanti; dopo aver interpellato oltre 400 aziende di credito. Non è la sorta di esercizio che possa essere ripetuta molte volte, come mostra l'elenco ormai lungo delle disfatte: la rinuncia dell'Italian International Bank ai ten-tativi di collocare un prestito SIR a medio termine ed un prestito di 20 milioni di dollari per il comu-ne di Genova; la rinuncia della Bankers Trust incaricata di reperire un prestito di 40 milioni di dollari per il comune di Milano; l'assenza di pro-gressi eli un prestito per Venezia sindacato dai Rothschild.

8. Eurobanchieri in difficoltà.

Le difficoltà di accedere al mercato finanzia-rio internazionale non si ricollegano soltanto alla scarsa fiducia di cui gode l'economia italiana presso i banchieri privati: per il mercato dell'eu-rodollaro è cessata l'euforia, l'epoca del prestito facile. Le perdite su operazioni speculative in cam-bi della Westdeutsche Landesbank Girozentrale, dell'Union des Banques Svisses, della Franklin National, seguite dal crollo della Herstatt, h a n n o rappresentato un duro monito per gli euroban-chieri, da qualche mese in preda a vivo nervo-sismo e molto più attenti alla qualità dei debitori e delle garanzie: il grado di interdipendenza delle operazioni è ormai tale che il tracollo di un debi-tore importante potrebbe innescare incontrolla-bili reazioni a catena. Le stesse conseguenze po-trebbero derivare dal massiccio ritiro di eurode-positi, se si considera che l'accresciuta sfasatura

tra un'offerta sempre più orientata verso gli impie-ghi a breve termine, ed una forte domanda di fondi a medio-lungo termine ha stimolato la peri-colosa pratica dei « roll-over », crediti concessi a lungo termine ma rifinanziati dalle banche con capitali a breve. Queste diffuse preoccupazioni si innestano su una evoluzione non favorevole del mercato: le eurobanche si sono rese conto che il riciclaggio dei dollari arabi ha limiti ben pre-cisi, costituiti da u n a parte dalla preferenza per gli investimenti a brevissimo termine, e dall'altra da una crescente propensione all'investimento im-mobiliare negli USA, nel tentativo di sottrarsi ai micidiali tassi d'inflazione occidentali.

9. Eurodollaro: da Mr. Hide a dr. Jekill?

L'insieme di queste difficoltà suggerisce che gli euromereati privati possono non essere in grado di accollarsi l'onere del finanziamento del deficit petrolifero della bilancia dei pagamenti cosi fa-cilmente come avevano sperato gli ottimisti. È sin-golare che ciò accada proprio nel momento in cui governi ed istituzioni internazionali manifestano un rinnovato interesse per l'eurodollaro, non più motivato come nel passato dal desiderio di

preve-nirne i flussi di capitali tra paesi, quanto piuttosto

(21)

mo-neta speculativa » o addirittura come « il cancro dell'Europa », per assumere il ruolo riabilitante di meccanismo finanziario essenziale per incana-lare i surplus dei produttori di petrolio verso i paesi deficitari, si affacciano seri dubbi sulla capacità degli euromereati di assolvere i nuovi compiti.

10. Cominciano gli anni delle vacche magre?

Le implicazioni per la politica economica ita-liana ed in particolare per il finanziamento del disavanzo commerciale di origine petrolifera che il nostro paese continuerà per qualche anno alme-no a registrare nei conti con l'estero soalme-no sin trop-po ovvie. Se il ricorso ai banchieri internazionali privati è complicato dal peso senza precedenti degli oneri finanziari già assunti e dalle nuove obiettive difficoltà di f u n z i o n a m e n t o degli euro-mercati, le possibilità di ulteriore indebitamento si restringono ai canali ufficiali. Ma non è detto che i banchieri pubblici n o n sappiano fare le somme altrettanto bene dei privati. Si c o m p r e n d e d u n q u e l'inevitabilità della stretta creditizia, e l'importanza attribuita dalle autorità monetarie italiane alle recenti misure fiscali e tariffarie adot-tate dal governo. Si c o m p r e n d e anche il nostro vitale interesse alla creazione di facilitazioni uf-ficiali per il riciclaggio dei dollari arabi attraverso il F M I (Piano Witteveen). Quel che si c o m p r e n d e m e n o è l ' a p p a r e n t e silenzio della Banca d'Italia di fronte al mostruoso avanzo commerciale tede-sco e, più in generale, di f r o n t e al problema della equa distribuzione del deficit petrolifero tra i pae-si consumatori. Se q u a l c u n o di questi paepae-si cer-casse l'equilibrio di breve periodo della bilancia dei pagamenti, il disavanzo si concentrerebbe su-gli altri; se tutti si comportassero allo stesso

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Dibattito sulla programmazione in Piemonte

Nel precedente numero presentando l'articolo del prof. Angelo Detragiache sulla politica di pianificazione in Piemonte, la rivista « Cronache Economiche » ha offerto a tutte le componenti della vita politica, economica e sociale della regione la possibilità di portare sulle proprie colonne un fattivo contributo d'idee ed esperienze sul tema della programmazione regionale sia a livello globale sia nei riguardi dei settori di più diretto interesse.

L'iniziativa, ha incontrato un largo e lusinghiero successo, dimostrato dal vivo entu-siasmo con cui vari organismi pubblici e privati hanno accolto l'invito al dibattito, predi-sponendo sintetiche ma costruttive memorie critiche sulle modalità di intervento ritenute più efficaci per l'impostazione di un'organica e concreta politica di razionalizzazione e ade-guamento delle strutture operative e/o di servizio alle sempre più crescenti esigenze della popolazione regionale.

Ecco qui di seguito i contributi d'analisi forniti dalla Federazione italiana coltivatori diretti, dall'Unione industriale di Torino, dall'Unione dell'edilizia del Piemonte e della Valle d'Aosta, dall'Associazione commercianti di Torino, dalla Cassa di Risparmio di To-rino e dall'Ente provinciale per il turismo di ToTo-rino. Al prossimo numero la seconda parte degli interventi.

( N . D . D . )

Il rilancio dell'agricoltura passa attraverso la formulazione dei piani zonali.

L'impegno ad operare per il superamento degli squilibri settoriali, territoriali e sociali attraverso il metodo e gli strumenti della programmazione trova il pieno consenso di una organizzazione professionale quale quella dei Coltivatori Diretti che, da ormai tre decenni, si prefigge come obiet-tivo primario la tutela degli interessi degli im-prenditori-titolari di imprese agricole familiari, le cui condizioni sociali, u m a n e e di reddito sono a tutt'oggi sensibilmente inferiori a quelle delle altre categorie di lavoratori.

Infatti fin dall'approvazione del primo Piano di sviluppo economico nazionale 1 9 6 6 / 7 0 , la Coltivatori Diretti — che alla definizione del me-desimo ebbe a contribuire attivamente con l'in-troduzione di numerosi emendamenti per il tra-mite della sua rappresentanza p a r l a m e n t a r e — ha richiamato p u n t u a l m e n t e e ripetutamente i pub-blici poteri ed in particolare i Governi succedutisi all'osservanza degli obiettivi indicati nel capi-tolo X V I I I , specialmente di quello volto al con-seguimento della parità dei redditi tra lavoratori agricoli ed extra-agricoli, anche con il ricorso alle previste misure di redistribuzione del reddito

na-zionale per mezzo di provvidenze di natura sociale.

I richiami contenuti peraltro nella stragrande maggioranza degli statuti delle Regioni al conse-guimento delle loro finalità di sviluppo economico e sociale attraverso il metodo della programma-zione viene a cogliere nella loro completezza le istanze e le richieste delle categorie più deboli, quali a p p u n t o i coltivatori diretti. L'impegno della nostra Regione — per esempio — ad ope-rare per il superamento degli squilibri territoriali, economici, sociali e culturali (art. 73 dello Statu-to) si fa carico della realtà del m o n d o rurale e dell'agricoltura piemontese che, nel contesto del-l'economia regionale, ne costituisce sotto tutti gli aspetti il relativo « mezzogiorno ».

Dal punto di vista territoriale, le aree depresse si identificano poi, in m o d o sostanziale, con le aree rurali, laddove più carente si è manifestata fino ad oggi una tendenza allo sviluppo, nonché una presenza attiva delle comunità locali.

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hanno in generale fino ad oggi subito alcune scelte di fondo riguardanti il modello di sviluppo della zona in cui operano.

Il recepimento da parte del nostro Paese delle direttive comunitarie per l ' a m m o d e r n a m e n t o del-l'agricoltura, che peraltro si sarebbe dovuto veri-ficare fin dall'aprile dello scorso anno, acconsente di pensare in termini concreti alle enunciazioni di parità fatte dai programmi economici nazionali ai quali non è mai seguita una politica reale tesa al conseguimento di detta parità.

Le direttive pongono infatti come obiettivo l'equiparazione dei redditi agricoli a quelli extra-agricoli e che tale raggiungimento costituisce vin-colo alla concessione dei contributi. A tale scopo le direttive, com'è noto, indicano gli strumenti per conseguirlo: riduzione degli addetti attra-verso il pensionamento anticipato, messa a dispo-sizione delle terre, contributi per miglioramenti strutturali e per settori produttivi da sviluppare secondo un preciso piano economico e finanzia-rio, servizi di informazione socio-economica per gli agricoltori, ecc.

All'obiettivo della tendenziale parificazione dei redditi, cioè alla eliminazione degli squilibri set-toriali, non si può giungere mediante interventi generici ed indifferenziati, bensì solo attraverso la formulazione di piani zonali, a livello dei quali è possibile rispondere a due esigenze: una cono-scenza della complessa realtà agricola nazionale e regionale — disaggregata a livello zonale — e quindi una articolazione degli interventi coerenti a tale realtà; una partecipazione democratica e responsabile della base, che cosi diventa la prota-gonista del processo di sviluppo.

Il p i a n o zonale costituisce quindi un prezioso strumento p r o g r a m m a t o r i o e partecipativo che tiene conto della realtà di un comprensorio e ne preconizza il modello di sviluppo.

A tali studi zonali si sono in questi anni eser-citate alcune regioni italiane ed enti di sviluppo a volte con metodologie eterogenee anche a livello della stessa regione.

Cosa deve considerare il piano zonale? Su tale argomento, la discussione tra economisti, socio-logi e tecnici è ancora viva. Il dibattito ha evi-denziato gli inconvenienti che avrebbe compor-tato la predisposizione di un piano zonale agri-colo in assenza di un piano globale di riferimento, per cui alcuni h a n n o proposto una formulazione globale del piano zonale, quale articolazione terri-toriale del piano economico regionale; altri inve-ce un piano zonale, quale articolazione territo-riale di q u a n t o previsto nel piano economico regionale per lo sviluppo del settore agricolo.

Si condivide senz'altro la prima impostazione purché si intenda per piano zonale globale non un piano che si esaurisca in se stesso, nell'ambito cioè della zona, raggiungendo l'equilibrio tra i diversi settori, perché oltre all'impossibilità mate-riale di determinare una tale zona, vi sono dei problemi risolvibili solo a livello regionale o na-zionale, ma intendendosi per piano zonale una pluralità di prodotti per i quali è possibile calco-lare la fattibilità economica e sociale, che realiz-zino con interventi locali, le scelte della base e gli obiettivi definiti a livello regionale, valutan-done la reciproca congruità e le priorità nei limiti posti dalle disponibilità finanziarie.

Da q u a n t o sin qui detto, si dovrà prevedere un p r o g r a m m a regionale globale che definisca gli obiettivi e tanti piani zonali globali intesi nel senso di una pluralità di progetti che compren-dono anche l'agricoltura studiata a priori a livello di aree omogenee e ciò per q u a n t o riguarda le strutture di produzione, di p r i m a trasformazione e commercializzazione.

In tal m o d o e con la partecipazione attiva della base operante sul territorio, cui spetta in definitiva la definizione delle proposte di sviluppo della zona, da raccordare agli obiettivi del pro-g r a m m a repro-gionale, si introdurrà concretamente un discorso p r o g r a m m a t o r i o di interventi per il set-tore agricolo non più dispersivo e calalo dall'alto, bensì coordinato e sentito dalle stesse categorie produttive.

G I A N F R A N C O T A M I E T T O Direttore Federazione Regionale

Coltivatori Diretti

L'ulteriore crescita dell'industria è la condizione fi

È ormai passato parecchio t e m p o dal momento in cui si è cominciamomento a parlare di p r o g r a m m a -zione, nazionale e regionale, in Italia; c o m u n q u e

nentale per il riequilibrio dello sviluppo regionale.

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come può operare la programmazione in una re-gione come la nostra.

A livello di regione la programmazione ha per forza di cose due aspetti, discriminati dall'esi-stenza dei vincoli obiettivi delle competenze che la Costituzione attribuisce alle regioni stesse. Il primo aspetto, il più evidente, è quello tecnico — del « fare » operativo — e deriva appunto dalle specifiche attribuzioni di compiti all'ente regionale (visto che si vuol qui parlare del « fare » non si deve dimenticare l'esigenza della sollecita attuazione delle leggi cornice o quadro che dir si voglia, la cui carenza determina contemporanea-mente sia l'impossibilità di decidere, sia i con-flitti di competenza). Il secondo aspetto, che si potrebbe chiamare politico o del « far fare », o « del coordinare » è quello che legittima l'inter-vento della Regione nei confronti della proble-matica locale, affrontata integralmente anche al di là del presupposto tecnico della competenza. Il primo aspetto delineato è poi anche uno de-gli strumenti operativi del secondo; cosi ad esem-pio, dal quadro globale della situazione regionale si possono trarre le linee dell'azione specifica nel campo della formazione professionale o dell'ur-banistica o dei trasporti, e cosi via. Ma come agi-re, come intervenire in modo complementare e coerente, in quei campi — e qui vogliamo ricor-dare primo fra tutti quello della industria — per cui manca la competenza diretta?

In teoria è possibile pensare a delle strategie indirette incentivanti o disincentivanti attuate mediante gli strumenti disponibili, in modo da incidere sul comportamento degli operatori dei settori che si trovano fuori della portata ammi-nistrativa della regione. Ma si tratta di strategie che facilmente alienano all'operatore pubblico il consenso di talune parti sociali (e a volte contem-poraneamente di più parti sociali i cui interessi possono anche non essere comuni); si tratta di strategie necessariamente poco incisive; si tratta infine di strategie che finiscono per sfociare in provvedimenti rigidi, rapidamente obsoleti. Nel-l'ottica del confronto con l'intera problematica regionale devono essere invece tenuti ben presenti i criteri del « far fare » o del « coordinare »; e ciò in modo tale da permettere l'individuazione di altri soggetti diretti della programmazione re-gionale, che possano essere chiamati ad affiancare, nei campi di loro spettanza, l'azione dell'opera-tore regione (e pensiamo alle province, ai comuni, alle organizzazioni imprenditoriali; alle grandi

aziende; non ci si stupisca se da questo elenco sono esclusi i snjdacati dei lavoratori, il cui ruolo è fondamentale nel momento in cui si dibattono le scelte del piano coordinato di azione ma che, per la loro stessa natura, non possono essere de-legatari di specifiche attività).

Idee assai prossime alla nostra del « coordi-nare » nell'ambito di una interpretazione più va-sta della programmazione regionale si trovano sia nell'ultimo documento IRES (« Rapporto del-l'IRES per il piano regionale 1974-1978 ») sia nel recente documento della Giunta Regionale Piemontese che costituisce la relazione al bilan-cio di previsione per il corrente anno. È quindi possibile un discorso di tempi brevi e non solo di enunciazioni di principio.

Tutto ciò, ovviamente, deve basarsi su pro-grammi ampiamente concordati, sia pur flessibili (agricoltura, industria, servizi pubblici e privati, territorio e urbanistica, formazione, l'elenco dei punti nodali della programmazione è immediato e ben noto). Se i programmi concordati devono necessariamente essere comuni, parziali sarebbe-ro invece le attribuzioni di impegno e di compe-tenza ai soggetti della programmazione via via individuati. Ed è qui che si può compiere un grosso salto di qualità verso l'attuazione della programmazione: attribuendo gli impegni di atti-vità (« facendo fare ») non tanto a chi è formal-mente competente, ma direttaformal-mente a chi è in grado di operare.

Come presupposto per la sua utilità ed efficacia la programmazione piemontese deve indirizzarsi secondo quella che può essere definita la « voca-zione industriale » della nostra regione. Secondo i dati più recenti, in Piemonte gli occupati del-l'industria sono il 5 4 , 7 % del totale, contro il 4 3 , 9 % per l'Italia; sul totale dei lavoratori del-l'industria e del terziario privato gli addetti me-talmeccanici piemontesi sono il 5 3 , 7 % , contro il

19,5% dell'analogo raffronto a livello nazionale: il Piemonte contribuisce ad oltre il 10% dell'in-tero prodotto lordo nazionale e ad oltre il 13% di quello dell'industria (prodotto lordo nazionale dell'industria).

Questi dati possono essere anche usati per mettere in evidenza la contraddizione: tanta in-dustria, pochi servizi. Ebbene, mettiamo in evi-denza la contraddizione, ma esaminiamola serena-mente, alla luce della programmazione.

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