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LA GENESI DELLE INDICAZIONI GEOGRAFICHE: UN SISTEMA PRIMA- PRIMA-RIAMENTE RIFERITO AL SETTORE VITIVINICOLO

Nel settore vitivinicolo, da tempo immemore, si è avvertita l’esigenza di dif-ferenziare i singoli prodotti tra loro per una vendita che andasse al di là del solo territorio di produzione, apponendo elementi distintivi sui recipienti, anticamente sulle anfore e più di recente su botti e bottiglie . Oggi si intravede un legame sempre più forte tra il mondo 131 del vino e il complesso universo dei segni distintivi, ciò per l’importante ruolo che il primo riscuote nella nostra società, soprattutto nel nostro Paese, ma in particolare per la continua tendenza, del settore vino, all’espansione verso nuovi stati. Il vino, infatti, è uno dei princi-pali ambasciatori del Made in Italy a livello internazionale, senza contare che, essendo il frutto di innumerevoli tradizioni secolari, è quello maggiormente in grado di valorizzare le peculiarità delle varie località di produzione e, allo stesso modo, a necessitare, in misura maggiore, di più efficaci strumenti di proprietà industriale per permettere ai vari produttori di competere equamente tra loro. Dal momento che nel settore vitivinicolo è fondamentale la provenienza, si è sempre apprestata una certa attenzione nel comunicare al meglio l'ori-gine da un certo luogo, che solitamente viene proposto in etichetta come nome geografico, indicazione geografica oppure anche semplicemente utilizzando, nel marchio, immagini agresti particolarmente evocative . 132

Le caratteristiche peculiari del vino nascono sia dall'incidenza di fattori na-turali come il suolo, il sottosuolo e il clima, sia dalla trasformazione impressa sulle uve da particolari metodi di lavorazione e tecniche di affinamento; si tratta di caratteristiche con-dizionate dalla particolare influenza del fattore umano e che contribuiscono a rendere il prodotto vinicolo sinonimo di qualità . Sul tema della qualità è infatti imperniato tutto il 133 settore agroalimentare, e in particolare il settore vitivinicolo dove si assiste a degli

M. C. BALDINI, P. BERTA, Il vino e i marchi, Asti, Edizioni OICCE, 2016, p. 15.

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M. NICOLAI, Il vino tra tutela e logiche della commercializzazione, in Diritto e giurisprudenza agraria,

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alimentare e dell’ambiente, 2006, p. 633.

Ibid., p. 640.

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dibili legami, come quelli tra il prodotto iniziale e l’ambiente di produzione dell’uva, tra il prodotto iniziale e il clima espresso con l’annata, e infine tra prodotto iniziale e l’azienda produttrice con propri metodi di vinificazione e affinamento. Diversamente, dal punto di osservazione del legislatore nazionale e comunitario, il concetto di qualità è strettamente connessa, prima di tutto, alla sicurezza e alla tracciabilità e, apparentemente, solo in secon-da battuta all’origine e alla tipicità del prodotto, tanto che l’elemento qualitativo assume rilevanza per espressa previsione normativa, traducendosi anche in specifici aspetti relativi alla produzione, circolazione, immissione in consumo del vino, fino a spingersi a discipli-nare le pratiche enologiche, stabilendo quali procedure e trattamenti sono autorizzati e qua-li no . 134

Oggi, per di più, ci si trova di fronte, come si è visto, ad un diritto alimenta-re multilivello, il quale inevitabilmente influenza anche la disciplina settoriale sul prodotto enologico, facendo del vino il prodotto agroalimentare più regolamentato e interessato dal-la globalizzazione dei mercati, pur essendo neldal-la sostanza un prodotto caratterizzato dal forte legame col territorio . Se si dovessero ripercorrere, poi, le ragioni di una sempre 135 maggiore attenzione da parte del legislatore per la regolamentazione del settore vitivinico-lo, si dovrebbe studiarne le radici profonde che risalgono al periodo medievale, dove già negli Statuti dei Comuni si trovavano delle regole importanti sulla viticoltura e l’enologia, seppur con una certa commistione tra i nomi del vitigno, dell’origine geografica e del vino, così che non vi era univocità tra coloro che optavano per una denominazione collegata al-l’origine e quelli che invece si limitavano a prevedere la denominazione della varietà del-l’uvaggio . Soltanto nel XVII secolo si evidenziava un nuovo approccio verso le indica136 -zioni geografiche e denomina-zioni d'origine, in concomitanza con la nascita di famosi vini, come il Chianti in Toscana, che vanta un regolamento che nel 1716, in assoluto per la

Ibid.,p. 633- 634.

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G. SGARBANTI, Regole multilevel del vino e nuova didattica, (in F. ALBISINNI), Le regole del vino. Atti

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del Convegno (Roma 23-24 novembre 2007), Milano, Giuffrè, 2008, p. 296.

M. C. BALDINI, P. BERTA, Il vino e i marchi, Asti, Edizioni OICCE, 2016, p. 22.

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Un esempio emblematico della commistione tra origine geografica e nome del vino «è quello del termine

‹Malvasia›, che nasce da una origine geografica (il porto di Monemvasia in Grecia) per diventare termine descrittivo di n tipo di vino, ma anche nome riferito a un ampio numero di varietà di vite, non sempre impa-rentate o simili tra loro».

ma volta, disciplinava un’area geografica di produzione del vino . A partire dagli inizi del 137

’900 presero il via una serie di Conferenze internazionali che videro i vari Paesi produttori di vino a confronto per definire i confini della categoria merceologica rappresentata dal vino e per difendere gli interessi vitivinicoli nel mondo. I Paesi produttori riunitisi a Geno-va e a Parigi nel 1923 e poi l’anno successivo di nuovo per due volte a Parigi, portarono, in quell’anno, alla costituzione dell’OIV, oggi Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino che si compone di 48 Stati e a cui si deve la cristallizzazione di un’unica denomi-nazione legale di vino uguale per tutti. Infine un’ulteriore tappa importante per il settore 138 enologico, ma soprattutto per la nascita delle denominazioni d’origine, è frutto dell’inter-vento legislativo italiano, antesignano rispetto ai successivi interventi europei, che ha costi-tuito la DOC, la denominazione di origine controllata e la DOCG, la denominazione di origine controllata e garantita, grazie alla proposta di legge avanzata da un senatore pie-montese . In particolare, le diciture DOC e DOCG, introdotte in Italia nel 1963 , e la 139 140 dicitura IGT, introdotta nel 1992 , sono tuttora utilizzate e riconosciute nel loro significa141 -to all’interno dell’Allega-to XII del Regolamen-to attuativo dell’OCM vino. La denomi142 -nazione di origine controllata è il nome geografico di una zona viticola particolarmente vocata e designa un prodotto di qualità con caratteristiche connesse all’ambiente naturale e ai fattori umani, dove hanno importanza essenziale gli aspetti qualitativi e tradizionali . 143 La denominazione di origine controllata e garantita è il nome riservato invece a vini di par-ticolare pregio riconosciuti DOC da almeno cinque anni, commercializzati in recipienti di

Ibid., p.24. Si tratta del «bando del 24 settembre 1716 dove il Gran Duca di Toscana Cosimo III stabiliva i

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confini geografici per alcune regioni vitivinicole della Toscana: Chianti, Pomino, Carmignano e Valdarno di Sopra. In rispetto a tali denominazioni, ai commercianti era proibito usare questi nomi geografici per vini che non fossero di queste zone».

Il continuo allargamento del mercato a spazi commerciali sempre più ampi ha reso necessaria un’identica

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denominazione legale di vino, inteso come quel prodotto proveniente dalla fermentazione alcolica del succo di uva fresca. L’OIV è un’istituzione intergovernativa a carattere scientifico e tecnico che ha anche il rilevan-te compito di formulare raccomandazioni in marilevan-teria di pratiche enologiche. Si veda A. GERMANÒ, La disci-plina dei vini dalla produzione al mercato, (in F. ALBISINNI), Le regole del vino. Atti del Convegno (Roma 23-24 novembre 2007), Milano, Giuffrè, p 12.

Si tratta del senatore piemontese Paolo Desana, originario di Casale Monferrato in provincia di Alessan

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-dria.

Legge n. 930 del 1963, proposta dal senatore piemontese Paolo Desana.

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Legge n. 164 del 1992.

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Si tratta del Regolamento CE n. 607/2009 dove all’Allegato XII si trovano le menzioni tradizionali utiliz

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-zate il Italia per le DOC, DOCG, IGT.

Si veda l’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 1992.

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capacità non superiore a cinque litri e provvisti di un contrassegno di Stato per tutelare i consumatori. L’indicazione geografica tipica è il nome, utilizzato solo in Italia, per vini la cui natura specifica e il cui livello qualitativo sono dovuti alla zona geografica, di ampia dimensione, dove sono prodotte le uve, che hanno uniformità ambientali tali da conferire caratteri omogenei al prodotto . Più nello specifico, poi, una pluralità di produttori può 144 anche far riconoscere il nome di una sottozona per un certo vino, far prevedere un discipli-nare più restrittivo per le particolarità di quella determinata microzona che produce un vino di alta qualità . Il riconoscimento delle denominazioni DOC e DOCG è consentito solo ai 145 vini autorizzati con decreto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, c.d. MIPAAF, infatti i relativi disciplinari di produzione di questi vini vengono approvati 146 con decreto ministeriale, previo parere conforme del Comitato nazionale per la tutela e va-lorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini.

Come si evince dall’excursus storico appena proposto, il legislatore ha sem-pre dimostrato una particolare attenzione per il settore vitivinicolo, tanto più che anche in tempi più recenti e a livello europeo l’intero sistema delle indicazioni geografiche DOC e IGT è nato con riferimento ai vini e, solo successivamente, le indicazioni geografiche di creazione europea sono state estese anche a tutto il restante settore dell’agroalimentare.

Infatti, come si è visto in precedenza il legislatore europeo aveva provveduto a interventi settoriali per la tutela di indicazioni geografiche di alcuni settori merceologici, in primis, per il settore enologico, dove attualmente è in vigore il Regolamento UE n. 1308/2013 la c.d. “OCM vino”, che sostituisce il Regolamento n. 479/2008. Nella disciplina delle indi-cazioni geografiche dei vini si trova un maggiore attenzione alla specificità della materia e quindi un maggior grado di dettaglio nel normare il luogo di provenienza delle uve e le va-rietà di uve utilizzabili. Si specifica infatti che sia per i vini DOP e IGP la produzione deb-ba avvenire nella zona indicata e protetta dalla denominazione, e che solo per i vini IGP le uve, per una percentuale massima del 15% possono provenire da una zona geografica di-versa da quella protetta dalla denominazione.

Si veda l’art. 7, comma 1, della legge n. 164 del 1992.

144

Si veda l’art. 2, comma 1, della legge n. 164 del 1992.

145

Il loro contenuto è previsto dall’art. 9 della legge n. 164 del 1992.

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Sebbene, inizialmente, il Regolamento CE n. 1493/1999 distinguesse due tipologie di vini: i vini di qualità provenienti da regioni determinate, c.d. V.Q.P.R.D., pro-teggibili come DOC e i vini da tavola propro-teggibili solo come IGT; successivamente il Re-golamento CE n. 1234/2007 , il ReRe-golamento UE n. 479/2008 e ad oggi il ReRe-golamento n.

1308/2013 hanno unificato l’appartenenza ad un unico disciplinare sia per i vini DOP sia per gli IGP, permettendo così che vini di qualità potessero essere denominati anche come IGP. Tali modifiche portano quindi all’abbandono di formule che erano consolidate sul piano della comunicazione simbolica con il consumatore, in favore, anche per il settore dei vini, delle formule DOP e IGP, con un’unificazione non richiesta dagli accordi internazio-nali e che ha come conseguenza una maggiore confusione sul piano della comunicazione commerciale, ma anche una forte incidenza sull’assetto disciplinare . In particolare una 147 certa preoccupazione era stata dimostrata dai paesi mediterranei, tradizionali produttori di vino, mentre i paesi di cultura anglosassone e del nord Europa non produttori di vini e meno attenti alle indicazioni di qualità avevano sempre enfatizzato il rischio di confusione creato da troppi e differenziati segni di qualità . Di fatto oggi il consumatore potrà, così, 148 trovare sul mercato vini di qualità denominati anche come IGP, che non sono più ricompre-si nella categoria dei vini da tavola, ma afferiscono all’unica categoria DOP-IGP, e che possono essere ottenuti anche solo con l’85% di uve provenienti da un certo territorio de-terminato dal disciplinare , senza l’obbligo che il prodotto venga elaborato nel luogo di 149 raccolta delle uve . Il risultato è un’attenuazione delle differenze tra le due indicazioni 150 geografiche e quindi la creazione di una possibile confusione nel consumatore per la scarsa differenziazione tra vini DOP e IGP. Inoltre anche la possibilità, accordata dalla nuova OCM vino, sulla scorta di quella precedentemente in vigore, di indicare dettagli come l’annata e la varietà di uvaggi utilizzati, anche su etichette di vini da tavola privi di indica-zione geografica, ha contribuito ad indurre a equiparare sullo stesso piano diversi livelli di qualità produttiva. Il rischio è quello di una dilatazione della classe dei vini di qualità e

F. ALBISINNI, La OCM vino nel percorso europeo di riforma, in Le regole del vino, Giuffrè, Milano,

147

2008, p. 364.

Ibid., p. 365.

148

F. ALBISINNI, Strumentario di diritto alimentare europeo, Milano, UTET giuridica, 2020, p. 468.

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A. GERMANÒ, Le regole del vino, (in F. ALBISINNI), Le regole del vino. Atti del Convegno (Roma 23-24

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novembre 2007), Milano, Giuffrè, p. 313.

quindi una certa banalizzazione dei prodotti di maggior pregio, a vantaggio di quelli più economici, che possono però vantare l’appartenenza al medesimo ambito disciplinare, gra-zie al fatto che il legislatore europeo ha ritrattato il nuovo perimetro della qualità dichiarata al consumatore, in un’ottica di allargamento quantitativo dei beneficiari di indicazioni di qualità, con agevolazione per i grandi produttori . 151

Il Regolamento n. 479/2008, che trova conferma nella nuova OCM vino, ha inoltre esteso al settore vitivinicolo i segni DOP e IGP, uniformando così il segno distintivo per tutto il settore agroalimentare, contribuendo ad indurre il pubblico a perdere concentra-zione sulle peculiarità garantite dai disciplinari di produconcentra-zione dei vini rispetto a tutto l’am-pio settore merceologico del food and beverage. Alcuni di fronte a tali modifiche sembrano individuare, ancora una volta, il tentativo del legislatore europeo di premiare le produzioni di qualità dei grandi produttori, assegnando loro segni di qualità, che la previgente disci-plina riservava a produzioni quantitativamente minori , ma è fuor di dubbio che ridise152 -gnare i confini della qualità in questo modo, volendo ampliare a dismisura i suoi confini è un’operazione che pare non rispondere a logiche di tutela delle tipicità tradizionali, quali sono quelle che guidano il riconoscimento di indicazioni geografiche, e che richiederebbe-ro il coraggio di sacrificare la quantità in favore della qualità della prichiederebbe-roduzione locale più di nicchia. Nello specifico il rischio è quello di dare supporto alle logiche di mercato di alcuni paesi, che devono la loro ricchezza a produzioni standardizzate immesse sul mercato a prezzi concorrenziali, ma prive di una qualità per la quale far valere una certa capacità di-stintiva. Nonostante questa critica circa l’avvenuta estensione delle diciture DOP e IGP anche al settore enologico, quasi in spregio all’iniziale primato di tale settore per il quale le indicazioni geografiche erano state introdotte, va detto che tuttora in Italia, soprattutto gra-zie al ruolo del Consorzi di Tutela, vengono più frequentemente utilizzate le diciture DOC, DOCG e IGT e ciò mette al riparo nuovi potenziali consumatori da eventuali confusioni e allo stesso tempo permette agli intenditori di vino di riconoscersi nelle scelte di acquisto di sempre.

Il profilo di peculiarità del settore vitivinicolo è stato mantenuto, come già si è visto, anche in ambito internazionale, dove – sempre nel settore delle denominazioni dei

F. ALBISINNI, La OCM vino nel percorso europeo di riforma, in Le regole del vino, Giuffrè, Milano,

151

2008, p. 367.

Ibid., p. 468.

152

vini – si è dato vita ad un sistema di protezione ulteriore previsto dall’art. 23 dell’accordo TRIPs, accordando una tutela del segno che va oltre il principio di ingannevolezza previsto dall’art. 22 per le altre categorie di food and beverage . 153

Di particolare rilevanza nel settore enologico è poi anche la menzionata in-terferenza tra indicazioni geografiche e marchi collettivi e di certificazione dal momento che le rispettive strutture giuridiche hanno alcune analogie e visto che nella prassi solita-mente i due segni distintivi coesistono, ed addirittura si integrano al fine di implementare la tutela di un certo nome. Va rilevato infatti che marchi collettivi e di certificazione hanno un ruolo importante nel settore del vino, laddove i Consorzi di Tutela, in combinazione con gli strumenti pubblicistici delle indicazioni geografiche, li hanno sempre utilizzati, come strumento di natura privatistica volti a garantire la qualità, l’origine e le caratteristiche di determinati prodotti . Il fatto che i Consorzi di Tutela, già concessionari di DOP e IGP, 154 abbiano finora spesso richiesto la registrazione di marchi collettivi, è di particolare impor-tanza laddove il marchio collettivo indichi il luogo della provenienza geografica, in quanto, come si è visto in apertura del presente paragrafo, prodotti come il vino, così come in ge-nerale molti prodotti agroalimentari, per richiamare i valori delle tradizioni locali, hanno da sempre utilizzato nomi geografici abbinandoli ad elementi grafici e verbali. Solo in que-sta prospettiva si comprende il grande successo del marchio collettivo e di certificazione nel settore di cui ci si sta occupando, dato che il medesimo risultato, di certificazione della indicazione geografica, non è altrimenti raggiungibile con l’utilizzo di marchi individua-li . 155

In conclusione va detto che l’importante strumento di comunicazione del nesso tra provenienza e qualità del prodotto incarnato dall’indicazione geografica DOP e IGP rappresenta sicuramente, per il settore enologico, che primariamente si basa sullo stretto legame tra terroir e qualità organolettiche del vino, quel fondamentale diritto di proprietà industriale - in grado di esprimere una cultura - da cui le aziende vitivinicole 156 non possono prescindere, dal momento che addirittura la forza delle indicazioni

Cfr. Supra.

153

M. C. BALDINI, P. BERTA, Il vino e i marchi, Asti, Edizioni OICCE, 2016, p. 139.

154

Ibid., p. 139.

155

A. GERMANÒ, La disciplina dei vini dalla produzione al mercato, (in F. ALBISINNI), Le regole del vino.

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Atti del Convegno (Roma 23-24 novembre 2007), Milano, Giuffrè, p. 313.

che può essere una solida base a cui abbinare anche i marchi di natura privatistica. Sicura-mente per attuare al meglio questa strategia le aziende del vino necessiteranno di una sem-pre maggiore attenzione degli enti pubblici e dei Consorzi di Tutela, (ma anche ipotetica-mente delle imprese, per quanto attiene ai marchi di certificazione) all’implementazione del valore dei territori, attraverso la costituzione, in parallelo, di marchi collettivi e di certi-ficazione geografici che incentivino le imprese a fare rete, beneficiando di un marketing di promozione territoriale maggiormente strutturato ed unitario.

Va detto, ad ogni modo, che la complessa stratificazione di norme che rego-lamentano la presente materia e la necessità di un periodo di transizione, anche per vedere l’applicazione delle novità normative sui marchi di certificazione introdotte nel 2019, non ci consentono di fare ulteriori previsioni. Per meglio comprendere i possibili sviluppi della materia può però risultare interessante focalizzarsi sulle competenze dei Consorzi di tutela, di cui si avrà modo di parlare in prosieguo. Infatti il vero cuore pulsante di un soggetto come il Consorzio di tutela è rappresentato, da una parte, dalla potestà regolamentare rea-lizzata con lo strumento del disciplinare di produzione e, dell'altra, dai corrispondenti con-trolli nei confronti di tutti gli appartenenti alla filiera produttiva, i c.d. concon-trolli erga omnes al fine di garantire sia la conformità ai disciplinari, sia la tracciabilità in tutte le fasi del processo produttivo, rivolti non solo per i produttori consorziati, ma anche ai produttori non iscritti al Consorzio . Queste due funzioni fondamentali del Consorzio, oltre a quelle 157 più comunemente volte alla promozione e alla valorizzazione delle indicazioni d'origine, non possono che rappresentare quella chiave di volta per garantire la tutela della qualità del prodotto e, in particolare, per operare la salvaguardia da abusi, contraffazioni, usi impropri e eventuali altri comportamenti vietati dalla legge e dai disciplinari di cui ci si occuperà nei capitoli successivi del presente lavoro.

F. ALBISINNI, La OCM vino nel percorso europeo di riforma, in Le regole del vino, Giuffrè, Milano,

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2008, p. 374.

CAPITOLO III

3.1 LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEL MARCHIO NEL C.P.I. E LE PECULIARITÀ DEL PROCESSO INDUSTRIALE: LE SEZIONI

SPECIALIZZATE

La tutela giurisdizionale in materia di diritto industriale, sia che si tratti di un accertamento della validità del marchio nazionale per mezzo delle azioni di nullità e decadenza, sia che si tratti di accertare una condotta illecita per mezzo delle azioni di con-traffazione di tale marchio, è affidata in via esclusiva ai giudici nazionali, come statuito dall'art. 120 c.p.i. Con riguardo ai diritti di proprietà industriale si segue infatti un principio di territorialità che, come prevede l'art 120 c.p.i., prescinde dalla cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti e ciò rispecchia appieno la riserva monopolistica che l'ordinamen-to riconosce al til'ordinamen-tolare del marchio nell'ambil'ordinamen-to del terril'ordinamen-torio nazionale nel quale è avvenuta

La tutela giurisdizionale in materia di diritto industriale, sia che si tratti di un accertamento della validità del marchio nazionale per mezzo delle azioni di nullità e decadenza, sia che si tratti di accertare una condotta illecita per mezzo delle azioni di con-traffazione di tale marchio, è affidata in via esclusiva ai giudici nazionali, come statuito dall'art. 120 c.p.i. Con riguardo ai diritti di proprietà industriale si segue infatti un principio di territorialità che, come prevede l'art 120 c.p.i., prescinde dalla cittadinanza, il domicilio e la residenza delle parti e ciò rispecchia appieno la riserva monopolistica che l'ordinamen-to riconosce al til'ordinamen-tolare del marchio nell'ambil'ordinamen-to del terril'ordinamen-torio nazionale nel quale è avvenuta