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FOCUS SULLA PROTEZIONE FORNITA DAI MARCHI COLLETTIVI E SULLE PRINCIPALI DIFFERENZE CON LE INDICAZIONI GEOGRAFICHE

La tutela della qualità dei prodotti agroalimentari viene garantita non solo dalle indicazioni geografiche e denominazioni d’origine, di cui si tratterà nel successivo paragrafo, e dai marchi in generale, come descritti precedentemente, ma anche sempre rife-rendosi a questa stessa categoria, soprattutto da una delle più diffuse specificazioni dei marchi, quella dei marchi collettivi. Infatti nel settore merceologico del food and beverage, dove la parola d’ordine è produzione standardizzata e la concorrenzialità è appiattita dal-l’omogeneità dei prodotti e del prezzo di essi, sussiste una debolezza intrinseca della sin-gola impresa che conseguentemente riscontrerà difficoltà nell’utilizzo esclusivo del solo marchio individuale come segno distintivo e preferirà invece optare per lo strumento del marchio collettivo . Il marchio in sé risulta, infatti, incapace di comunicare la qualità spe74 -cifica di un prodotto tipico legato a un certo territorio, perciò l’ordinamento annovera, al-l’uopo, tra i segni distintivi anche i marchi collettivi e i marchi di certificazione. Queste tipologie di marchi si trovano in analogia strutturale e funzionale rispetto alle indicazioni geografiche, nonostante tra i due istituti vi siano ineludibili differenze che rendono il rap-porto tra i due segni piuttosto problematico.

«Mentre i marchi collettivi, infatti, nascono da un atto di autonomia privata, dato dalla domanda di registrazione del segno proveniente dall’ente o dal consorzio di im-prenditori» , le indicazioni geografiche vengono istituite per legge e il loro utilizzo è ri75 -servato solo a certe imprese ed è inibito ad altre, senza che la loro protezione sia subordi-nata ad una registrazione presso l’UIBM. I marchi collettivi, come si è visto per la

A. VANZETTI, I marchi nel mercato globale, in Rivista di diritto industriale, n.3, parte I, 2002, p.92, «In

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realtà questa contrapposizione fra Paesi dove i grandi marchi nascono e i Paesi che possono essere, che sono l’obiettivo della <conquista> da parte di questi marchi, e che sono i Paesi meno ricchi, caratterizza un poco tutto il discorso dei marchi oggi, a qualsiasi livello venga fatto».

M. NICOLAI, Il vino tra tutela e logiche della commercializzazione, in Diritto e giurisprudenza agraria,

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alimentare e dell’ambiente, 2006, p. 638.

A. BRANDONISIO, Il fenomeno dell'Italian Sounding e la tutela dell'agroalimentare italiano, in Cultura

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e diritti, p. 118.

ria dei marchi individuali, hanno le medesime funzioni distintiva, attrattiva e di garanzia di una certa costanza qualitativa, anche se l’indicazione d’origine che emerge dalla prima funzione è nata, originariamente , per ricondurre ad un insieme di imprenditori, e non più 76 alla singola impresa, come nel caso del marchio individuale. In questo modo era nata la peculiare natura del marchio collettivo che si avvicinava alla natura collettiva delle indica-zioni geografiche. Se è vero che questa tipologia di marchi condivide con la categoria dei marchi individuali sia la garanzia di qualità, sia il possibile uso da parte di una pluralità di soggetti, ciò che davvero contraddistingue le due qualifiche sarà il fatto che «il marchio collettivo deve obbligatoriamente prevedere un disciplinare depositato, regole d’utilizzo e, soprattutto, controlli e sanzioni», ossia «un elemento supplementare forte, ancora rispon-dente ad una logica pubblicistica e di tutela del consumatore» . 77

Se ci si focalizza sulla definizione di marchio collettivo, si evince dall’art.

11 c.p.i. e dall’art. 2570 del Codice civile che si tratta di una tipologia ulteriore rispetto al marchio individuale, in grado non solo di distinguere un prodotto da altri sul mercato, ma anche di garantire che il prodotto possieda determinate caratteristiche e sia destinato ad essere utilizzato da una pluralità di «fabbricanti, produttori, prestatori di servizi o com-mercianti» diversi dal titolare, il quale può essere un’associazione o un ente che non utiliz-za il segno distintivo che concede in uso, ma si occupa di distinguere l’origine dei prodotti provenienti dalle imprese della propria realtà associativa, rispetto a quelli provenienti dalle altre imprese. Alla domanda di registrazione del marchio collettivo va allegato il regola-mento sull’uso del marchio, comprensivo di disposizioni, sanzioni e controlli; questo è il vero elemento di differenziazione del marchio collettivo rispetto al marchio individuale . 78 La funzione distintiva del marchio collettivo impone che all’interno del Regolamento d’uso siano inserite clausole che specifichino i prodotti da contrassegnare col marchio, le modalità di richiesta della licenza d’uso del marchio e i requisiti per la concessione e revo-ca della stessa, nonché la nomina di un organo con funzioni di controllo sull’utilizzo del marchio . 79

C. GALLI, Marchi collettivi, marchi di certificazione, marchi individuali ad uso plurimo e denominazioni

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geografiche dopo le novità normative del 2019, in Il Diritto Industriale, 1, 2020, p.97.

C. GALLI, I toponimi, tra tutele, volgarizzazione e diritti consolidati, in Il Mulino, 1, 2014, p. 2.

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Ibid., p. 97.

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M. C. BALDINI, P. BERTA, Il vino e i marchi, Asti, Edizioni OICCE, 2016, p. 143.

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Una recente riforma del 2019, in attuazione della direttiva europea n.

2015/2436 ha riservato la registrazione di marchi collettivi solo alle «associazioni di fab-bricanti, produttori, prestatori di servizi o commercianti» che rispettino il principio della

"porta aperta" , permettendo l’adesione a tutti i produttori che soddisfino i requisiti del 80 regolamento, nonché agli enti pubblici, quali consorzi e amministrazioni dello stato, delle regioni, delle province e dei comuni . Tale riforma ha così riavvicinato la normativa ita81 -liana del c.p.i. alla normativa europea, che già prevedeva la differenziazione tra marchi collettivi e marchi di certificazione, introducendo nel nostro Codice il nuovo articolo 11 bis che riporta la disciplina dei marchi di certificazione. Ad oggi, per il nostro ordinamento, il criterio di distinzione tra le due tipologie di marchi risultanti dalle modifiche introdotte nel 2019 si basa, più che sulla diversa funzione, sulla diversa legittimazione alla registrazione.

Infatti, sulla scorta della normativa europea, i marchi collettivi hanno, tendenzialmente, una mera funzione distintiva delle caratteristiche qualitative del prodotto proprio del grup-po di soggetti aderenti agli enti di diritto pubblico e alle associazioni di cui all’art. 11, in-vece i marchi di certificazione distingueranno i prodotti, con ulteriore funzione di garanzia circa «l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi», come descritto nell’art. 11 bis c.p.i. Nel nostro ordinamento la seconda differenza tra le due figure, che è anche quella principale, risiede nella legittimazione alla registrazione dei marchi di certifi-cazione permessa a qualsiasi persona fisica e giuridica, quindi anche a soggetti non costi-tuiti in forma associativa o che non rispettino i principi del regolamento, come una persona fisica che registri marchi individuali, nonché a società lucrative.

Per quanto attiene alla costituzione di marchi collettivi e di certificazione, emerge una dissociazione tra la titolarità del segno e il suo uso, tanto che i legittimati alla registrazione saranno «soggetti diretti a controllare e garantire gli standard, la provenienza

Tale principio viene previsto anche in tema di indicazioni geografiche DOP e IGP, come si vedrà nel pro

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-sieguo.

Come precisa, G. CAFORIO, La tutela delle tipicità appartenenti alla pubblica amministrazione, in Il Mu

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-lino, 1, gennaio-aprile 2014, l’ente comunale può registrare un marchio collettivo geografico con un semplice atto amministrativo quale la delibera di giunta e senza la necessità di adottare alcun regolamento. Va precisa-to che in seguiprecisa-to alle indicazioni della Commissione europea che esercita un ruolo di vigilanza sull’uso delle denominazioni commerciali e la loro compatibilità al Trattato, un soggetto pubblico non può registrare mar-chi collettivi geografici riferiti all’intero territorio di uno stato e all’intero territorio di una regione, ma solo indicazioni di provenienza riferite ad aree di minore estensione e inoltre non sono ammissibili indicazioni di provenienza nazionale riferiti a tutti i prodotti agroalimentari dello stato, ma possono essere ammesse indica-zioni specifiche riferite a specifici prodotti.

e la composizione di un prodotto» , mentre i terzi utilizzatori saranno una pluralità di li82 -cenziatari. Queste tipologie di marchi sono da sempre utilizzate in ambito agroalimentare ed essi, vista la funzione soggettiva di indicazione di origine del prodotto, vengono privile-giati dalle varie imprese, le quali, per lo più, riservano un certo apprezzamento per la pecu-liare funzione oggettiva di garanzia circa l’origine, la natura e la qualità in relazione alle materie prime, propria dei marchi di certificazione e in passato caratteristica anche del marchio collettivo italiano.

La funzione di garanzia del marchio di certificazione si attua con il rispetto, da parte di produttori o commercianti, del regolamento del marchio, anche se poi vengono richieste, ai fini della concessione d'uso del marchio, caratteristiche qualitative che rappre-sentano dei requisiti ulteriori, rispetto a quelli previsti ad esempio dalla legislazione ali-mentare comunitaria o nazionale ai fini della tracciabilità o sicurezza aliali-mentare, ma non tali da sconfinare in caratteristiche che rimandino al concetto classico di "tradizione" , 83 come invece prevede la disciplina delle indicazioni geografiche. Proprio per questo motivo alcuni autori sostengono che il vantaggio creato sul mercato dall’utilizzo dei marchi di cer-tificazione è costituito dal «maggiore affidamento che possono suscitare nei consumatori» . 84

Va precisato che i marchi collettivi e di certificazione non vanno, però, con-fusi col marchio di qualità , il quale, peraltro, non fa riferimento a caratteristiche dei beni 85 che dipendano dalla loro provenienza geografica, ma ha una disciplina di natura pubblici-stica e può essere utilizzato se i beni corrispondono alle caratteristiche stabilite dalla fonte istitutiva. Al contrario, ai sensi degli artt. 11 e 11 bis c.p.i., i marchi collettivi e di certifica-zione, in deroga al successivo art. 13, possono effettivamente garantire la qualità di un prodotto, legata ad una certa origine geografica, strutturandosi in marchi collettivi o di

G. CAFORIO, La tutela delle tipicità appartenenti alla pubblica amministrazione, in Il Mulino,1, 2014,

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p.3.

A. BRANDONISIO, Il fenomeno dell'Italian Sounding e la tutela dell'agroalimentare italiano, in Cultura

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e diritti, p. 119.

C.GALLI, Marchi collettivi, marchi di certificazione, marchi individuali ad uso plurimo e denominazioni

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geografiche dopo le novità normative del 2019, in Il Diritto Industriale, n.1, 2020, p.99

A. BRANDONISIO, Il fenomeno dell'Italian Sounding e la tutela dell'agroalimentare italiano, in Cultura

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e diritti, p. 117.

tificazione geografici, purché non si crei un ingiustificato privilegio o un pregiudizio allo sviluppo di analoghe iniziative nella stessa regione e, purché non approfittino della reputa-zione di un’indicareputa-zione geografica . Tale deroga è giustificata dal fatto che tali marchi, in 86 genere, «non garantiscono solo la provenienza geografica, ma possono attestare anche ulte-riori elementi come per esempio modalità, tempi, procedimenti di produzione di un deter-minato prodotto» . Proprio dal momento che è possibile adottare come marchio nomi 87 geografici che indichino esclusivamente la provenienza del prodotto, si evince che il mar-chio collettivo (o di certificazione) geografico si può avvicinare alla funzione tipica delle indicazioni geografiche, ma con la principale differenza che i titolari di un marchio collet-tivo (o di certificazione) geografico, sulla base dell’art. 21 c.p.i., non possono vietare ai terzi l’uso del nome geografico se esso sia rispettoso dei principi di correttezza professio-nale e sia volto ad indicare una determinata provenienza, dato che si tratterà di un elemento

Quest’ultima costituisce infatti una causa di nullità assoluta del marchio, in quanto, in tema di marchi col

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-lettivi geografici, secondo l’art 11, comma 4, l’Ufficio italiano brevetti e marchi può rifiutare la registrazione quando i marchi di cui è chiesta la registrazione possano creare situazioni di ingiustificato privilegio o co-munque recare pregiudizio allo sviluppo di altre analoghe iniziative nella regione. La portata di queste dispo-sizioni di origine comunitaria si è manifestata nella sentenza della Corte di Giustizia tra ’Feta’, C- 465/2002 e C- 466/2002,e ’Cambozola’, C- 87/1997, dove al punto 41 si è precisato che «l’ipotesi di diniego di registra-zione, di nullità del marchio o di decadenza dei diritti del titolare che ostano alla prosecuzione dell’uso del marchio medesimo ai sensi dell’art.14 del regolamento presuppongono l’accertamento di un inganno effetti-vo o di un rischio sufficientemente grave di inganno del consumatore».

Sempre in ambito di marchi collettivi geografici la tutela è più stringente se si tratta di denominazioni di vini dove il Tribunale CE, 11 maggio 2010 nel procedimento T-237/08, Abadìa Retuerta contro UAMI per la do-manda di marchio denominativo Cuvèe Palomar ha stabilito un divieto assoluto e automatico di registrazione di un toponimo come marchio, in qualsiasi forma e per qualsiasi prodotto sia richiesto. Si stabilisce quindi un impedimento assoluto alla registrazione di marchi di vini che contengono indicazioni geografiche per il solo motivo che detto marchio contiene un’indicazione geografica che identifica vini che invece non hanno tale origine. Nel caso di specie la denominazione d’origine con cui nasceva il contrasto tra la DOC Valencia e il marchio che comprendeva il toponimo che richiamava al comune di el Palomar inserito nella zona di produ-zione della DOC.

Si veda la nota n. 1 in C. GALLI, Marchi collettivi, marchi di certificazione, marchi individuali ad uso plu-rimo e denominazioni geografiche dopo le novità normative del 2019, in Il Diritto industriale, 1, 2020, p. 95.

Si badi bene però che vi è la possibilità che un’indicazione geografica protetta o una denominazione d’origi-ne formi oggetto di un marchio collettivo. Una pronuncia della Corte Suprema (Cass. Civ., 12848/2019) ha infatti ammesso che vi possono essere marchi collettivi che identificano i prodotti DOP e IGP detenuti dai relativi Consorzi di tutela, al fine di rafforzare la tutela delle denominazioni. Il Tribunale di Parma il 22 gen-naio 2001 ha infatti ritenuto tutelabile il marchio collettivo Prosciutto di Parma, corrispondente all’omonima DOP e appartenente al Consorzio di Tutela del Prosciutto di Parma. Differente invece il caso di marchi collet-tivi geografici che contengano un nome geografico che è diventato denominazione d’origine. La norma sulle denominazioni vitivinicole è stata interpretata dal Tribunale dell’Unione nel senso che il divieto di registra-zione del toponimo come marchio è automatico e assoluto, per qualunque tipo di prodotto e forma di inseri-mento del nome geografico nel segno. Secondo Galli vi è una contraddittorietà intrinseca in tale ragionamen-to, che non richiamando alle esigenze peculiari di tutela delle DOP e IGP, non può giustificarsi per un rischio di inganno e di agganciamento parassitario al messaggio evocativo del segno.

Si vedano le note n. 19 e 20 in C. GALLI, Marchi collettivi, marchi di certificazione, marchi individuali ad uso plurimo e denominazioni geografiche dopo le novità normative del 2019, in Il Diritto industriale, 1, 2020, p. 100.

M. C. BALDINI, P. BERTA, Il vino e i marchi, Asti, Edizioni OICCE, 2016, p. 93.

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solo descrittivo. Un uso del marchio collettivo o di certificazione consistente in un nome geografico accentua la qualità del prodotto per la sua localizzazione geografica, ma non è del tutto assimilabile ad una indicazione geografica, quali DOP e IGP, dato che solo in queste ultime il prodotto ha delle peculiarità date dalla particolare incidenza di fattori am-bientali caratteristici come la provenienza territoriale, o dall'incidenza di fattori umani, come si ritrova stabilito in un provvedimento legislativo istitutivo . In effetti «la specialità 88 delle indicazioni geografiche è che esse racchiudono in sé anche la capacità di esprimere una ‹cultura›, la cui memoria, se non fosse raccontata, appunto, attraverso il toponimo, si perderebbe con lo scorrere del tempo» . 89

A proposito di tali marchi, in dottrina qualcuno sostiene che così facendo il marchio collettivo geografico, e di conseguenza anche il nuovo marchio di certificazione geografico, «perde la sua stessa natura di segno distintivo oggetto di un diritto esclusivo di natura assoluta, per divenire un diverso strumento di tutela di un interesse generale di im-prese e consumatori» . In realtà una più spiccata tutela dell'interesse della collettiva è og90 -getto di un'altra esperienza degna di nota, circa la registrazione di segni distintivi della qua-lità legati alla provenienza da un determinato luogo d‘origine, e proviene dalle registrazio-ni di marchi collettivi da parte di Regioregistrazio-ni e Comuregistrazio-ni, principalmente in ambito alimentare e artigianale, per identificare produzioni locali, garantendo l‘origine e un prodotto compati-bile con il regolamento e sottoposta a controlli. L’ente locale attua, con questo marchio col-lettivo pubblico, c.d. marchio territoriale, la finalità di tutela degli interessi della collettivi-tà, ma allo stesso tempo predispone «azioni di marketing collettivo, offrendo agli utilizza-tori del segno distintivo un servizio reale di garanzia e pubblicità, talvolta accompagnato dall’elargizione di incentivi finanziari» . Su questa scia si è proseguito, traendo spunto per 91 lo sviluppo anche di un'altra tipologia di marchio la cui registrazione spetta ad un ente lo-cale, ossia la tipologia di marchio comunale denominata DeCO, in grado di certificare la

M. NICOLAI, Il vino tra tutela e logiche della commercializzazione, in Diritto e giurisprudenza agraria,

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alimentare e dell’ambiente, 2006, p. 639.

A. GERMANÒ, La disciplina dei vini dalla produzione al mercato, (in F. ALBISINNI), Le regole del vino.

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Atti del Convegno (Roma 23-24 novembre 2007), Milano, Giuffrè, p 31.

G.SENA, Il diritto dei marchi, Milano, Giuffrè, 2007, p.253.

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G. CAFORIO, La tutela delle tipicità appartenenti alla pubblica amministrazione, in Il Mulino, 1, 2014, p.

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provenienza di un certo prodotto enogastronomico o artigianale da un certo territorio. Le DeCO, ossia le denominazioni comunali, di solito organizzate nelle forme del marchio col-lettivo, valorizzano particolari contesti di una certa rilevanza come, ad esempio, un ele-mento identificativo di un luogo, un bene storico-culturale e vengono date in concessione dai comuni in cambio di royalty. Se, come si è constatato in tema di Made in Italy, l’Italia è per antonomasia sinonimo di tradizioni, soprattutto in tema di enogastronomia, allora è in-dubbio che gli oltre ottomila comuni presenti nel Bel paese si potrebbero far carico della promozione di cibi, vini e varie tipicità, utilizzando l’opportunità loro riconosciuta dall’art.19, comma 3, per la registrazione di un marchio che diventerebbe collettore di ric-chezza. La costituzione da parte del comune oltretutto è molto semplice, si tratta di una delibera in consiglio comunale, alla quale poi seguiranno delle azioni dell’Associazione nazionale dei comuni italiani volte all’implementazione della promozione, anche in realtà commerciali all’estero.

Ritornando a focalizzare l'attenzione sulla più comprensiva categoria dei marchi collettivi e di certificazione, va ribadito che anche ad essi si applicano le norme che regolano i marchi individuali in quanto compatibili, perciò si applicheranno le cause di nullità e decadenza viste nel paragrafo riferito ai marchi individuali, ma con l’aggiunta di un ulteriore caso di decadenza per omissione da parte del titolare dei controlli previsti dal regolamento sull’uso del marchio; si tratta di un’ulteriore applicazione della disposizione sulla decadenza sopravvenuta per decettività di cui all’art. 14, comma 1, lett. b, c.p.i. Per-ciò anche un marchio collettivo o di certificazione deve avere la caratteristica della novità rispetto a marchi collettivi o individuali anteriori, ma, da un certo punto di vista, la sua ca-pacità distintiva viene valutata in maniera meno rigida rispetto ai marchi individuali, data la possibilità di inserire un nome geografico all’interno del marchio e data la peculiare fun-zione garantista dei marchi di certificafun-zione . 92

In definitiva il marchio collettivo viene protetto da un diritto di esclusiva riferito solo ai prodotti e servizi da esso delineati, quindi non estendibile ai prodotti affini,

M. C. BALDINI, P. BERTA, Il vino e i marchi, Asti, Edizioni OICCE, 2016, p. 144.

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con una peculiare natura che ricalca principalmente una garanzia per il consumatore , dato 93 che si tratta di uno strumento valido per certificare la qualità e la provenienza, con delle analogie con la normativa comunitaria in materia di denominazione d’origine. Infatti, at-traverso il regolamento d’uso, si garantisce la tutela legale del diritto all’uso, la repressione delle imitazioni e delle contraffazioni, nonché il peculiare sistema di controlli esterni e sanzioni, nel caso in cui i soggetti autorizzati utilizzino il marchio in modo difforme dal regolamento. I marchi collettivo e di certificazione rappresentano un valido strumento per soggetti che vogliano contraddistinguersi in riferimento a degli standard di qualità tenden-zialmente costanti nel tempo e basino la propria comunicazione pubblicitaria sull’esistenza di controlli che certifichino la qualità offerta, ma rappresentano «uno strumento obsoleto» , perché troppo rigido, per soggetti che intendano riferirsi a standard qualitativi 94 mutevoli e intendano risparmiare i costi dei controlli e stipulare in piena libertà contratti di cessione d’uso del marchio a licenziatari di cui abbiano fiducia.