SCIENZA'ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, INTERESSI PRIVATI
Anno XXXII - Yol, XXXYI
Firenze, 12 Novembre 1905
N. 1645
S O M M A R I O : Cifre dolorose — A . J. de Johannis, Sgravi e riforma dei tributi — Il Comune di Milano pel 1904 — E. Z., È possibile assimilare gli italiani della Tunisia ? —R i v i s t a ‘bibliografica : Case popolari a Venezia - Gino Arias, Il sistema della costituzione economica e sociale italiana nell’ età dei Comuni - Prof. Eduardo Cimbali, L’ ipocrisia del presente movimento per l ’ arbitrato e la pace internazionale — R i - v is ta econom ica e fin a n ziaria l II Congresso economico di Cuneo - Per un nuovo grande istituto di credito agrario - La nuova convenzione commerciale franco-russa - La riduzione del dazio sui foraggi in Spagna - La rior ganizzazione del sistema monetario colombiano - La riforma monetaria al Messico R a s s e g n a del com m ercio in te rn a zio n a le ; Il commercio italiano e della Germania nei primi nove mesi del 1905 I servizi dell’ emigrazione nel 1904 — Il valore di Borsa delle azioni di'Banche e di Società italiane — Banche Popolari e Cooperative — Camere di commercio — Mercato monetario e Rivista delle Borse Società commerciali ed industriali — Notizie commerciali.
C IF R E D O L O R O S E
Abbiamo sottocchio l’ ultimo volume della statistica giudiziaria penale pubblicata dalla D i rezione Generale della statistica, e ne rileviamo alcune notizie che costituiscono a nostro modo di vedere una vergogna della nazione, che non sa e non vuole prendere tutti i provvedimenti efficaci per rimediare allo stato di cose, che dovrebbe pesare sulla coscienza di ogni buon italiano.Ma non vogliamo alla chiara ed evidente elo quenza delle cifre aggiungere parole che certo non darebbero maggior significato ai fatti.
I furti qualificati, aggravati e semplici, quali sono contemplati dagli articoli 402 al 405 del Codice penale, si sono rilevati, nella media del quinquennio 1897-1901, in una proporzione che varia tra le diverse provincie da un minimo di 167 reati ogni 100,000 abitanti, dato dalla pro vincia di Vicenza ad un massimo di 1.101 (mil-
lecento e uno) dato dalla provincia di Cagliari.
Le provincie che stanno al di sotto di 200 reati ogni 100,000 abitanti sono tre: Vicenza 167, Cuneo 175, Lucca 180.
Fra 2(30 e 300 reati stanno venticinque provin cie e, sono: Alessandria 239, Cuneo 205, No vara 202, Torino 110, Bergamo 210, Cremona 209, Mantova 253, Pavia 234, Sondrio 236, Bel luno 234, Padova 250, R ovigo 250, Treviso 208, Udine 293, Verona 280, Forli 287, Modena 282, Parma 255, Piacenza 255, R eggio Emilia 218, Arezzo 289, Pisa 240, Siena 230, Ancona 294, Macerata 270.
Fra i 300 ed i 400 reati troviamo: To rino 310, Genova 384, Brescia 380, Milano 372, Venezia 321, Bologna 379, Ravenna 317, Fi renze 359, Grosseto 359, Massa Carrara 345, Ascoli 382, P esaro-U rtino 342, Perugia 388, Caserta 382.
Fra i 400 ed i 500 reati vi sono le pro vincie d i: Benevento 489, Chieti 492, Napoli 413,
| Cosenza 413, Girgenti 418, Salerno 484, Tra pani 462.
Fra i 500 ed i 600 reati si incontrano: Porto Maurizio, 551, Ferrara 528, Livorno 571, Teramo 568, A vellino 532, Bari 526, Caltani setta 541, Catania 516, Messina 599, Palermo 599, Siracusa 563.
Fra i 600 ed i 700 reati sono: Roma 697, Campobasso 648, Foggia 634, Lecce 615, Po tenza 632, Catanzaro 650.
Fra i 700 e gli 800 reati non si trova nes suna provincia, e invece stanno tra gli 800 ed i 900 reati le provincie di Aquila 810, R eggio Calabria 827, e finalmente, come si è già detto, Cagliari e Sassari oltrepassano i 1000 reati per ogni centomila abitanti.
La media del Regno è di 422 furti per 100.000 abitanti, e quindi vi sono 26 provincie che oltrepassano la media e 43 provincie che stanno al di sotto.
Ma ciò che è degno di nota è che due sole delle 25 provincie Meridionali ed Insulari sono al I di sotto della media, cioè Cosenza Con 413 reàti I Girgenti con 418, e quattro sole delle 44 pro vincie dell’ Italia A lta e Centrale sono al di sopra della media, Roma con 697 reati, Livorno con 571, Ferrara con 528, Porto Maurizio con 551.
Se esaminiamo i reati contemplati dagli ar ticoli 406 e 411 del Codice Penale, cioè rapine,
estorsioni, ricatti, troviamo che nella media del
quinquennio 1897-901 furono 10.46 per ogni 100.000 abitanti.
Distribuendo le diverse provincie si passa da un minimo di un reato e un quarto ogni 100,000 abitanti, dato dalla provincia di Bergamo a cui stanno vicino la provincia di R ovigo con un reato e mezzo, e le provincie di Belluno e di Vicenza
con meno di due reati per 100,000 abitanti ; -
ad un massimo di 65 reati dato dalla provincia di Trapani.
Si-ciba e tutta la Sardegna oltrepassano la media di gran lunga, quasi tutte le provinole la oltre passano del triplo, invece due sole provincie, Livorno e Grosseto dell’Italia centrale sono sopra la media, ed appena una dell’ Alta Italia, Torino oltrepassa la media avendo quasi 11 reati.
Analoghe osservazioni si potrebbero fare nel l’ altra categoria reati : frodi, appropriazioni inde
bite e reati contemplati dal Codice di Commer cio, dove la media del Regno è di 73 reati per
100,000 abitanti, il minimo è di 20 di tali reati dato da Belluno, ed il massimo è di 230 dato da Cagliari.
Le provincie che si avvicinano al minimo rimanendo al di sotto di 30 reati sono : Cuneo 29, Pavia 29, Sondrio 26 ; le provincie che stanno sopra i 100 reati sono: Milano 112, Venezia 101, Livorno 119, Roma 155, Napoli 183, Catania 110, Messina 102, Palermo 114, Siracusa 104, Sas sari 179.
Ma quello che da queste premesse vogliamo rilevare è una coincidenza, che non può a meno di impressionare grandemente, poiché dimostra che la quantità di questi reati nelle provincie dove sono più alte le cifre è causata dal Ministro della
Pubblica Istruzione.
E per dimostrare che i colpevoli di questo stato di cose sono i Ministri della Pubblica istru zione, e ad essi soltanto si deve domandare il risanamento morale delle provincie Meridionali ed insulari, basta meditare un istante su questi due prospetti : Torino Cuneo Sondrio Novara Bergamo Alessandria Como Brescia Caltanissetta Teramo Siracusa Potenza Girgenti Catanzaro Messina Cosenza
Sanno legg. e scriv.
su 10,OJO ahit. su 100,000 ab. por ogni ab.furti spese per l’istruz.
N. 9,162 N. 310 L. 4.2 » 8,932 » 175 » 2.2 » 8 643 » 280 » 2.8 » 8,824 » 252 » 2.6 » 8,832 » 210 » 2.1 » 8,130 » 239 » 2.1 » 8,293 » 205 » 2.6 » 8,469 » 380 » 2.5 » 3,152 » 541 » 1.4 » 3,690 » 568 >, 1.3 » 3,804 » 563 » 1.2 » 3,902 » 634 » 1.5 » 3,973 » 418 » 1.8 » 3,979 » 650 » 1.2 » 3,811 » 520 » 2.1 » 4,021 »» 413 » 1.3
Rileviamo questi fatti dolorosi, non già per muovere appunto alìe provincie insulari e meri dionali, le quali forse faranno i loro massimi sforzi per allargare la pubblica istruzione, ma perchè dimostrano le cifre che abbiamo -avvici nate, tutta la deficienza della politica, diremo cosi morale, che in questi 40 anni è stata seguita dai partiti che hanno governato il paese. Se vi era un dovere imprescindibile ed urgente era quello di integrare subito 1’ opera degli enti lo cali per intensificare l’insegnamento e diffondere la istruzione, la cui mancanza è causa prima di ogni inferiorità morale e quindi di inferiorità economica e politica.
Questa enorme disparità di analfabeti che ancora si riscontra nelle provincie insulari e me ridionali, colla conseguente scarsa coltura anche secondaria e superiore, è una delle principali cause, per le quali le provincie del Reo-no si
di-I_______
spongono sempre in ordine decrescente da Nord a Sud nel bene, ed in ordine crescente da Nord a Sud nel male.
L e classi dirigenti delle provincie più a Sud sono, solo apparentemente, colpevoli di negligenza; inquantochè esse stesse non possono sentirsi alla altezza di cultura sufficiente per apprezzare, si intende salve eccezioni, tutto il vantaggio che deriva ad un paese del diffondersi della istru zione. Ma i grandi colpevoli sono i Governanti, i Ministri della pubblica istruzione, che erano e sono in grado di comprendere il bisogno urgente di redimere dalla ignoranza quelle popolazioni.
Essi dovevano chiedere ai Parlamento ed al paese i mezzi adeguati per provvedere efficace mente alle urgenti necessità , di scuole'e di inse gnanti ; a loro doveva correr P obbligo di ravvi cinare le cifre che abbiamo più sopra messe vicine le une alle altre e di comprenderne tutto il significato e dar opera costante, assidua per mo dificarle più presto che fosse possibile.
Si comprende invero come le provincie Me ridionali ed Insulari sentano con mortificazione questa loro inferiorità davanti alle provincie del Nord, ma non si comprende come ancora non abbiano alzato un grido per domandare scuole, scuole e ancora scuole.
SGRAVI E RIFORMA DEI TRIBUTI
Nella Critica Sociale l’ Ivanoe Bonomi di scutendo della riforma tributaria muove tre obie zioni alle mie proposte, specie sul dazio consumo. L a prima riguarda il trattamento delle grandi città che io volevo, almeno per il mo mento lasciare in disparte, anche perchè tentas sero di provvedere da sole alla trasformazione del loro dazio di consumo. Il Bonomi mi avverte che ciò sarebbe ingiusto, perchè alcune città trag gono dal dazio troppa parte delle loro entrate, e quindi non potrebbero essere in grado di abolire la cinta. A me questo sembra una ragione di più per attendere la possibilità di provvedimenti speciali, ognuna di quelle città esigendo dispo sizioni diverse. A d ogni modo ci sembra ingiu sto di far dipendere la riforma del dazio con sumo dalle condizioni tutte particolari di una ventina di città, mentre vi sono più di 200 Comuni che possono facilmente conseguirla.
La terza obiezione, che è la più generale dice: la riforma più che allo sgravio di alcuni consumi, deve tendere a ristabilire quella giu stizia tributaria che non c ’ è affatto in Italia.
Qui il tema e più vasto e domanda alcune considerazioni. Distinguo nettamente gli sgravi dalla riforma tributaria ; perchè per il momento, se non erro si tratta urgentemente di salvare gli
avanzi del bilancio dalla voracità delle maggiori spese.
Tale salvataggio non può essere operato che con provvedimenti semplici, sui quali il Parla mento non abbia bisogno di studi o di compli cati progetti.
E le ragioni di ciò sono evidenti e cercherò di esporle brevemente.
La coltura finanziaria del pubblico italiano è così scarsa che frequentemente i giudizi che si emettono sui più importanti avvenimenti non sono che la conseguenza di una empirica conce zione. Così, per non citare che esempi molto re moti, ogni sforzo per persuadere la gente che l’ aumento della imposta sulla rendita fatto dal Sonnino non era necessario e non fu utile, a nulla serve ; tutti, anche coloro che lì per lì assen tano a tale dimostrazione, ripetono poi che quel provvedimento « salvò il bilancio e la finanza ». Così la leggenda formatasi intorno al progetto del W ollemborg, che era « un salto nel buio » non può essere sfatata, perchè le dimostrazioni non hanno presa, essendo il pubblico in genere man chevole di ogni cognizione finanziaria. E dicendo « pubblico » mi permetto di non escludere la rappresentanza nei due rami del Parlamento, dove pur troppo pochi assai sono coloro che hanno letto e sanno leggere il bilancio ed hanno, anche soltanto, una approssimativa cognizione delle sue principali divisioni.
E di questo stato di cose va tenuto conto per due motivi: — il primo, per invitare coloro i quali per ufficio o per inclinazione sono più addentro nelle questioni finanziarie, a cercare di volgarizzarle trattandone frequentemente davanti al pubblico ; — il secondo, perchè coloro, i quali desiderano veramente una riforma dei tributi, debbono procedere con quella stessa cautela colla quale il medico cerca di rinforzare gli stomachi deboli : apprestare cioè il cibo in moderata misura.
Esaminando il nostro sistema tributario e confrontandolo con quelli di altri paesi civili lo troviamo difettoso nelle sue linee generali per molti aspetti che si possono raggruppare nei se guenti principali:
a) aliquote eccessivamente, alte, che com
primono lo sviluppo della materia imponibile e trattengono l’ aumento delle entrate;
b) irrazionale partizione tra i cespiti degli
Enti locai! e quelli dello Stato, così che vi è uniformità dannosa, dove potrebbe esservi utile differenziazione, e promiscuità imbarazzante, dove potrebbe esservi vantaggiosa separazione;
c) mancanza di progressività in alcune imposte, che sopporterebbero facilmente una ra gione più logica di quella proporzionale;
d) troppo bassi i/lim iti degli esoneri così
che, pare impossibile, la pietà del fisco arriva talvolta a non applicare la legge ;
e) per alcuni casi, come il trapasso di pro
prietà immobiliari di poca importanza, od i b i lanci delle Società anonime, la fiscalità diventa proibizione o per lo meno stimolo alle frodi più sfacciate ;
/') eccesso di imposte indirette sui con sumi più popolari con risultato iniquo nella ri- partizione dei pesi fiscali.
Questi principali difetti imputabili al nostro sistema tributario, che il tempo avvenire asse gnerà a colpa dei fondatori della nuova Italia, i quali .procedettero con soverchio empirismo, la sciano comprendere che sarebbe vana opera il vagheggiare una riforma dei tributi, che valesse a rimediare a tutto ed a darci di punto in bianco un sistema esente da queste fondamentali infra zioni alla scienza ed al buon senso. Pur troppo, tranne cause anormali ed ora imprevedibili, gli italiani dovranno per molto tempo ancora subire le" conseguenze della fretta e della scarsa lar ghezza di idee di coloro che hanno costruito l’edi ficio tributario, che preme sul paese e sul suo sviluppo economico.
Ne viene di conseguenza la necessità di non poter legittimamente richiedere dai Ministri delle Finanze la elaborazione di un piano com pleto di riforme che instauri sopra basi razio nali il sistema dei tributi. Per sperare un’opera simile bisognerebbe che l’ Italia avesse la fortuna di incontrare uno di quegli uomini di indiscusso prestigio e di riconosciata autorità, il quale avesse la forza di imporsi per un lungo periodo sulla pubblica opinione. Invece abbiamo uomini e G o verni deboli, che debbono vivere giorno per giorno, destando così gli appetiti politici di vere molti tudini di aspiranti, i quali, tanto più sentono legittima la loro aspirazione al potere, quanto meno emergente e singolare veggono l’opera di coloro che vi sono arrivati.
E ciò spiega anche come gli studiosi, che cercano di eccitare gli uomini politici perchè facciano., si trovano facilmente in disaccordo sul modo di fare; sono tanti i guai da riparare, che ognuno ha un concetto suo proprio sulla mag giore urgenza ed utilità delle prime riparazioni.
Il male si è che da tali divergenze trag gono partito coloro che non hanno abbastanza chiara la visione dello stato delle cose, e credono sia migliore politica quella di non fare. Da ciò la simpatia colla quale venne accolto il proposito di alcuni socialisti di smettere ogni altra discus sione per affrettare in tutti i modi una riforma tributaria. Molti, che non sono socialisti, ma che riconoscono la utilità e la urgenza di tale riforma, hanno facilmente aderito al movimento, senza in tendere per questo di condividere le idee dei socialisti su altri argomenti. Il tempo dirà se fu una illusione.
La prima questione, che si presenta sul tema di una diminuzione dei tributi, è quella che riguarda la solidità del bilancio.
Quando, tre anni or sono, cominciò nel paese e nel Parlamento una certa agitazione per im piegare gli avanzi del bilancio a favore dei con tribuenti, si rispose : .— è necessario attendere, perchè due fatti importanti stanno per matu rarsi : la rinnovazione dei trattati di commercio, e l’ esercizio ferroviario. —• E, buona o cattiva fosse questa ragione pregiudiziale, l’ agitazione fu
lora sospesa. Ora i trattati di commercio sono rinnuovati, l’ esercizio di Stato delle strade fer rate è un fatto compiuto, quindi i conti delle entrate e delle spese si potrebbero fare con suf ficiente cognizione di causa. A ll’ altro avveni mento che si notava come buon argomento per sospendere ogni riforma tributaria, la conver sione della rendita, è inutile pensare per ora. Le buone occasioni sono passate ed ora l’ orizzonte politico è troppo nuvoloso per segnare date ed alimentare speranze. Già a poco a poco si è la sciata infiltrare la placida teoria, che essendo il debito nazionale tutto all’ interno, non vi è più la stessa utilità per procedere ad una conversione. Cosi anche in questo ramo tutte le sane ed in discusse teorie finanziarie, vengono addormentate nel placido sonno del non fare.
Si dovrebbe credere adunque che a consa crare una parte degli avanzi a favore dei con tribuenti nessun ostacolo dovrebbe sorgere.
Sono già state date in queste colonne le ci fre della situazione del bilancio negli ultimi anni e qui non si ripeteranno.
Gli ultimi cinque esercizi, terminando col 1903-904, hanno dato un avanzo nelle entrate e spese effettive di 325 milioni, oltre 59 milioni di disavanzo della categoria movimento di capi tali, in totale quei cinque esercizi ebbero dispo
nibili 384 milioni cioè in media oltre 77 milioni
l’anno; dei 384 milioni, di avanzo 85 ne furono impiegati nella costruzione di strade ferrate onde rimasero ben 300 milioni di avanzo, che furono rivolti nella maggior parte a migliorare la si tuazione del Tesoro, che al 30 giugno 1899 aveva una eccedenza dei debiti sui crediti di 562 mi lioni, la quale eccedenza fu ridotta al 30 giu gno 1905 a 385 milioni.
Quale può adunque essere la giustificazione per negare oggi di assegnare ai contribuenti, al meno una parte, degli avanzi del bilancio?
Le esigenze del nuovo esercizio ferroviario potranno chiedere molte nuove spese ; per pagare i debiti contratti nei venti anni e per amplia menti di ogni genere.
Ma i dati che pubblica la Direzione gene rale delle ferrovie di Stato annunciano un tale aumentò negli introiti dell’ esercizio, che tale spesa potrà agevolmente essere sostenuta dallo stesso bilancio ferroviario senza bisogno di un cospicuo intervento finanziario dello Stato; tanto più che le spese per ampliamenti non potranno essere consumate che gradualmente in una piccola se rie di anni.
Non è quindi arrischiato affermare che il bilancio può disporre di circa una settantina di milioni l’ anno; e tale disponibilità è tanto meno pericolante in quanto il Tesoro ha già cogli avanzi migliorata la sua situazione di quasi 200 milioni.
E d ho ripetuta la frase avanzo disponibile perchè è invalsa una pericolosa consuetudine nella struttura del bilancio, al quale si è tolto il suo fondamentale significato d i: cifre che si pareg giano in modo preciso alla entrata colla uscita. Il Governo apparecchia i bilanci ed il Par lamento li approva anche se tra la entrata o le spese vi sia nella previsione avanzo o disavanzo; mentre la buona finanza richiederebbe che, pre
vedendo disavanzo, lo si colmasse con speciali entrate ordinarie o straordinarie; prevedendo avanzo si indicasse 1’ uso che di tale avanzo deve essere fatto, così che sempre il bilancio fosse ap provato in pareggio. Si comprende che le previ sioni possono non sempre corrispondere agii ac certamenti, ma, appunto per questo, vi è un assestamento del bilancio ad esercizio molto inol trato, per mezzo del quale le previsioni possono essere corrette. Ohe se, ciò non ostante, una dif ferenza risultasse nel consuntivo, il Ministro del Tesoro dovrebbe avere 1’ obbligo di chiedere al Parlamento i fondi per colmare il disavanzo del- l’ esercizio precedente, o la designazione dell’ uso dell’ avanzo verificatosi.
Invece, perchè in Italia si ebbero molti anni di continui disavanzi, parve che al Parlamento non piacesse prendere i provvedimenti necessari per colmarli, e se ne riversò il peso sul Tesoro, senza preoccuparsi se non saltuariamente della si tuazione che tale sistema procurava. Nello stesso modo gli avanzi che questi ultimi sei anni hanno dato, furono lasciati, senza indicata destinazione; ed il Ministro, senza alcun voto del Parlamento li applicò a benefizio del Tesoro, sia non doman dando alle Banche di emissione le anticipazioni statutarie, sia emettendo un minor numero di buoni. E questo tacito sistema di non dare de signazione agli avanzi generò un’ altro inconve niente, che ho più volte lamentato; l’uso cioè di tenere nelle previsioni, anche in sede di assesta mento di bilancio, le entrate più basse del pro babile, affinchè più cospicuo risultasse poi l’avanzo dell’ esercizio che il Parlamento lasciava dispo nibile.
Questo fatto è opportuno avvertire, perchè se il Parlamento in questi sei ultimi esercizi avesse dovuto votare la destinazione dei 300 mi lioni di avanzo verificatisi, molto probabilmente avrebbe sentito che era giustizia restituirne una parte almeno ai contribuenti, così tormentati dal fisco.
Ma ciò che non si è fatto fin qui è pur ne cessario farlo ora, e se vi sono uomini di buona volontà che desiderano di veder diminuite le gravezze pubbliche con una parte degli avanzi, non vi è che da rallegrarsene e far voti perchè riescano nell’ intento. Se non chè, quando siamo al quia, si rileva che ognuno ha il proprio piano prediletto e sembra che la discordia renda in conciliabili i riformatori. Niente di meno esatto. E ’ naturale che, se si domanda ai contribuenti : ditemi quali sgravi volete, entro i limiti del bi lancio, — le opinioni sieno diverse; chi vorrà lo sgravio sul sale, chi sulla fondiaria, chi sul pe trolio, chi sul dazio consumo, chi sul grano, chi sullo zucchero, chi sulle tasse di bollo e registro, chi sulle quote minime di ricchezza mobile, e chi su tutti questi balzelli insieme (non fosse altro per contrapposto a coloro che non vorrebbero con cedere nessuno sgravio). Ma se invece di chie dere: quale sgravio v olete?; il Ministro delle Finanze domandasse : volete lo sgravio sul sale ? — è altrettanto naturale che i contribuenti rispon derebbero affermativamente ; ed egualmente ri sponderebbero per qualunque altro sgravio.
si può considerare come questione accademica: se il Governo ed il Parlamento sono disposti a diminuire i tributi per dieci o venti milioni, tutti saranno contenti di tale diminuzione a qualunque balzello sia applicata. Si potrà dire : sarebbe stato meglio questo piuttosto che quello, ma nes suno respingerà lo sgravio perchè non è questo invece che quello. Tanto più che sembra esservi una specie di dominio della moda anche per la scelta degli sgravi.
Ci fu un momento in cui la moda portò verso le quote minime della fondiaria ; un altro momento finanzieri ed igienisti non vedevano di urgente che lo sgravio del sale; si era formato allo scopo persino un partito parlamentare ; — poi venne di moda lo sgravio al petrolio ; e cosi via, tante altre proposte occupavano 1’ opinione pub blica; ora sembra di moda, e me ne felicito, il dazio consumo.
A me pare tuttavia che nella grande diffi coltà di mettere insieme concordi in un solo pro gramma le diverse tendenze sia più conveniente che tutte le forze si uniscano per domandare un provvedimento semplicissimo : « tre quarti degli avanzi di un esercizio deve essere consacrato a diminuzione di imposte o tasse ».
Il Parlamento discuterà le proposte del G o verno per applicare tale parte degli avanzi a questo o quello sgravio.
Ho detto tutto questo perchè mi pare che al punto in cui siamo bisogna separare affatto la questione degli sgravi da quella della riforma tributaria.
Gli sgravi sono una operazione finanziaria della massima facilità, che non domanda studi, che non esige formidabili progetti di legge, che non ha bisogno che di una discussione generale.
Si possono fare gli sgravi graduali su tre o quattro voci di consumo più ferocemente tassati, si può preferire di fare un solo sgravio su una sola voce e farlo più importante.
La riforma tributaria invece non può essere che il prodotto di un lento ma intenso e co stante movimento verso un dato indirizzo ; e spiegherò il mio pensiero in proposito in un prossimo numero.
A . J . D E J O H A N N IS .
IL COMUNE DI MILANO NEL 1904
In un precedente fascicolo (1), furono pubbli cati alcuni dati statistici relativi alla vita di questa grande città fino a tutto l’ anno 1903. Oggi lo stesso ragionier capo Ravizza pubblica dati statistici importanti ed estesissimi sul Co mune di Milano fino a tutto il 1904 ; e conside rando la importanza commerciale della grande me tropoli lombarda, nonché l’aumentare notevole del movimento che colà si verifica di giorno in giorno, crediamo opportuno far conoscere alcune delle più interessanti cifre, pubblicate nei Dati statistici medesimi.
Il complesso della popolazione milanese è calcolato in 520,604 abitanti al 31 dicembre 1904,
(1) V. fase, 12 marzo 19U5, pag. 162.
mentre era stato ritenuto in 507,631 quello al 31 dicembre 1903 : un aumento di 13,343 indi v id u ic i cui 3,754 compresi nella zona del Comune di Greco che fu annesso al Comune di Milano il 1° ottobre 1904.
I matrimoni celebrati in Milano nel 1904 furono 3,958, e questa cifra supera quella di tutti gli anni precedenti : nel 1903 i matrimoni fu rono 3,772. Si constata una progressiva diminu zione dei matrimoni dei vedovi che da 139 del 1894 scese a 95.
I nati vivi furono 13,718 di cui 6,976 ma schi e 6,748 femmine : si constata un aumento delle nascite illegittime, aumento che cominciò dal 1902 in poi.
I morti appartenenti al Comune di Milano ammontarono a 8,792, superando di 428 la cifra avutasi nel 1903.
La Relazione dà pure un largo ragguaglio del movimento dell’ emigrazione milanese, tanto importante e influente pel quantitativo della po polazione. Da essa ricavasi che il totale degli emigrati di ambo i sessi fu nel 1904 di 11,181, quello degli immigrati di 4,566, contro 10,379 e 4,304 rispettivamente nell’ anno 1903.
Interessanti sono le cifre relative al bilancio delle tramvie cittadine. E ’ noto infatti come a Milano le tramvie stesse hanno preso uno svi luppo che poche città han preso, e come il si stema e 1’ organizzazione delle tramvie milanesi siasi preso ad imitazione in moltissime città an che di minor movimento.
Basti dire, poiché, questo è l’ indice diretto della frequenza dei viaggiatori nelle tramvie, che il totale dei biglietti venduti fu di 75,406,025 nel 1902, di 81,762,616 nel 1903, di 86,762,616 nel 1904.
Venendo alle rendite dei dazi milanesi del comune chiuso, queste furono :
1908 3904
Per i dazi governativi e
addizionali comunali 11,847,997.28 11,711,790.56 Per i dazi di esclusiva im
posizione comunale 3,605,822.61 3,848,614.68 Totale 15,353,819.89 15,560,405.66 I principali redditi delle tasse e imposte fu rono i seguenti :
Tassa sul valor locativo Tassa esercizi e rivendite Tassa vetture e domestici Tassa velocipedi Imposta sui redditi fab
bricati e terreni ' 13,786,258.57 Imposta sui redditi di ric
chezza mobile 20,028,712.47 1903 1,090,525.19 959,622,84 221,976.77 164,177.72 1904 1,138,025.29 1,013,209.91 234,530.71 197,130.10 14,368,839.70 19,713,500.02 Particolareggiate notizie ci danno ancora i
D a n statistici milanesi a proposito dell’istruzione
pubblica, e su questa ci piace soffermarci breve mente, onde dimostrare come diminuisca sempre più in Milano la piaga dell’ analfabetismo.
1’ anno scolastico 1901-1902 furono 41,001, du rante l ’ anno 1902-1903 furono 41,647, e infine durante* 1’ anno 1903-1904 salirono a 43,018, ai quali sono da aggiungere, per completare la sta tistica dell’istruzione, qualche centinaio di alunni (nel 1903-1904 quasi un migliaio), che ebbero istruzione paterna e privata.
Una delle prime città a introdurre nelle scuole la refezione scolastica, fu, com’ è noto, Mi lano,, tanto che oggi essa ha assunto un onere grave per il bilancio. Basti dire che nel 1903- 1904 furono distribuite 2,656,482 razioni, delle quali 721,011 a pagamento e, 1,935,471 gratuite. La spesa per tali refezioni fu di una media gior naliera di 1,143.14: l’ importo della spesa comu nale raggiunse le lire 187,475.94.
Gli scolari che frequentarono i ginnasi in complesso si aggirarono sui 600 maschi e 300 femmine; la cifra è quasi invariata da quella del precedente anno scolastico. Quelli che frequenta rono i licei furono oltre 400 maschi e 24 femmine. Non sarà inutile avere un’ idea di quanto fu il prezzo delle derrate alimentari, e quale il movimento dei servizi igienici della grande città. L ’esercizio del pubblico macello rese al Comune di Milano oltre mezzo milione, mentre gli ani mali abbattutivi furono oltre 170 mila,, e si, pre sentarono al mercato oltre 200 mila capi di be stiame; si introdussero in città oltre 700 mila ettolitri di vino, e circa 100 mila quintali di . carne. Il movimento delle derrate del resto ri
sulta pure da altri dati indiretti, che la Rela zione non trascura, e così dal numero delle analisi eseguite nel laboratorio batteriologico mu nicipale, o nel laboratorio chimico, ecc.
La Relazione ci dà pure ragguaglio delle misure igieniche prese dagli Uffici competenti del Comune di Milano: essa ci parla dell’esito ottenuto dalle ispezioni praticate per la vigilanza del suolo e dell’ abitato del Comune (si trova rono, nel 1904, 1,439 i rilievi da rendere rego- lamentaci, mentre 9,123 furono resi regolamen tari), e ci parla pure del servizio d ’ ispezione sa nitaria nelle Scuole, da cui risulta che furono allontanati nell’anno 1903-1904 dalle scuole 3,148 alunni, e riammessi 2,217. Ci si dice ancora che si operarono, nel 1904, 41,199 vaccinazioni contro 35,52.5 del 1903, ciò che dimostra come questa im portante misura di igiene preventiva sia entrata nella, persuasione di un maggior numero di fa miglie, pur calcolando l ’aumentato numero, della popolazione. Ricavasi infine che 171,851 indivi dui approfittarono dei bagni pubblici, contro 126,372 che ne avevano approfittato nello scorso anno 1903, tanto che i bagni stessi dovettero essere aumentati e migliorati, sicché la somma per questi erogata, che nel 1903 raggiunse 23,288 lire, salì nel 1904 a 28,537.
In Milano, città lavoratrice per eccellenza, doveva prendere largo sviluppo la istituzione dei probiviri, e infatti il numero delle controversie risolute dai singoli collegi fu superiore a ogni aspettativa. Si. tennero nel 1904 ben 744 udienze (721 nel 1903) e si emessero 350 sentenze, assai meno che nell’ anno 1903, nel quale le sentenze raggiunsero il numero di 525. Questo fatto co stituisce però il buono dell’ istituto: di contro infatti si hanno, nel 1904, 806 controversie conci- .
Hate o abbandonate, mentre sole 622 lo furono nel 1903.
La Relazione, tra i servizi pubblici di cui rende conto nel modo più preciso, dà pure qual che istruzione sull’ importante servizio dell’acqua potabile ih Milano: anzi è il solo argomento nel quale essa aggiunge un po’ di commento alle ci fre, la esposizione unica e semplice delle quali è stata l’ oggetto di tutti i dati statistici cui ab biamo fin qui accennato. Per assicurare a Milano acqua potabile buona e abbondante, si iniziarono seri studi fin dal 1888, eseguendo profonde per forazioni del terreno. I pozzi scavati nel 1896 erano 6, la cui portata complessiva fu verificata a circa 155 litri al minuto secondo. L ’aumento continuo del consumo dell’ acqua portò alla neces sità di impiantare un serbatoio, contenente 1200 metri cubi di acqua.
Nel 1896 e 1897 si fecero n uovi. lavori onde sopperire alle aumentate necessità, e nel 1902 si ebbe ultimato un impianto nuovo avente una potenzialità di 200 litri al secondo, alimentato da 8 pozzi. Altro impianto fu costruito nel 1903 e due nuovi serbatoi e ancora un impianto si ebbero nel 1904.
In conclusione al 31 dicembre di quest’anno la conduttura di acqua raggiunse oltre 168 chi lometri di sviluppo, estendendosi a tutti i quar tieri, in specie ai più popolosi, a quelli aventi scuole, ospedali ecc.
Questo breve riassunto dei principali lavori eseguiti dal Comune milanese nel 1904 ci dimo stra ancora una volta quello che ci dimostrarono i D ati statìstici del 1903, vale a dire il progres sivo aumentare dei bisogni da un lato, ma anche, dall’ altro, il progressivo, assiduo, energico au mentare dei provvedimenti, presi da quell’ am ministrazione comunale pel benessere della città.
N e lk quale evidentemente le discussioni sono brevi e feconde, mentre i fatti sono molti ; e questo spiega sopratutto il grado di perfezio namento economico e industriale cui Milano è saputa arrivare, sì da essere ragionevolmente ad ditata come esempio a tutte quante le città italiane.
È POSSIBILE ASSIMILARE ELI ITALIAII
D E L L A T U N I S I A ?
Salvo le eccezioni rappresentate da piccoli numeri, noi crediamo piuttosto di nò che di sì. Siccome però il sig. Gastone Loth la pensa in modo affatto diverso, vediamo su che cosa egli appoggi le sue speranze, in qual modo venga motivando i suoi suggerimenti.
Gli ultimi capitoli del suo libro (1) volgono sulla condizione delle persone e dei beni, sulle cause naturali di fusione tra italiani e francesi, su alcuni modi artificiali di assimilazione da spe rimentare, sulle riforme da introdurre nei sistemi oggi applicati per la naturalizzazione.
Prima del Protettorato francese, gli italiani,
per alcuni privilegi e larghe concessioni avute, e più ancora .per merito della loro operosità e abilità, in Tunisia venivano quasi ad essere....
tutto. E ’ naturale e ragionevole che dopo l’ occu
pazione francese siffatta situazione di cose non potesse più durare. Era giusto, per esempio, che cessasse 1’ ingerenza, - del resto collettiva, degli italiani e di altri europei, nelle finanze tunisine, quando la Francia, pur garantendo i crediti degli stranieri, stabilì nella Reggenza una Ammini strazione finanziaria su nuove basi. Era anche giusto, dopo insediati tribunali francesi per tutti gli europei, che rimanesse abolita, in materia sia civile, sia penale, sia di polizia, la giurisdizione consolare. E , per quanto altri possa avere diversa opinione, in questo giornale alcuni anni or sono fu detto non essere strano nè assurdo neppure il decreto che fa obbligo agli avvocati, i quali vogliano perorare dinanzi ai tribunali francesi della Tunisia, dove si applicano la procedura francese e il diritto francese, di provvedersi d’ una laurea francese anche quando già ne posseggano una ottenuta in altro Stato. Nell’antico Consiglio Sanitario, prima del 1885, gli italiani avevano un rappresentante nella persona del loro Con sole, che ne era membro di diritto. Oggi quel Consiglio è composto soltanto di francesi o di tu nisini. Non v ’ è nulla da ridire. Fino al 1881 nessuna imposta o tassa veniva chiesta a un suddito italiano senza il consenso dell’Autorità consolare. Da allora in poi i Consoli non inter vengono più nella compilazione degli elenchi d’im posta. Anche questo è naturalissimo. Sono tutte cose che possono non piacere agli italiani ; ma, dato il Protettorato, sarebbe assurdo supporre che possano essere diverse.
Un piccolo avanzo degli antichi diritti go duti dagli italiani si può riscontrare nella facoltà eh’ essi hanno ancora in alcuni luoghi di prender parte alle amministrazioni municipali. Diciamo in alcuni luoghi, perchè su questo punto v ’ è nella Reggenza poca uniformità. Nei piccoli centri, dovè finora 1’ ente municipale è allo stato di embrione e le sue attribuzioni sono pochissime, solo i fran cesi e gli indigeni v ’ entrano per qualche cosa, gli italiani ho. Ma in Tunisi e in qualche altra città questi ultimi possono concorrere a formare i Consigli municipali non solo come elettori ma anche come eleggibili. I l Loth lo disapprova. In nessun caso, scrive, gli italiani dovrebbero par tecipare alla vita politica e amministrativa della Tunisia. Capirebbero allora che non si possono godere tutti i vantaggi senza sopportare nessun carico, e cercherebbero d’ acquistare, più che ora non facciano, la qualità di cittadino francese. Oggi hanno tutto l’ interesse, di restar fedeli alla propria nazionalità,, dacché possono, sebbene ita liani, prender parte anche alle deliberazioni -mu nicipali. — E sin ¡qui, guardando le cose, come è pur necessario, dal punto di vista francese, non gli si può dar torto.
T utt’ al più si potrebbe.iuuovere un.dubbio concernente non -lina questione di diritto, ma una di fa tto. Gli italiani non siano più eleggibili : sta benissimo. Ma neppure elettori ? In certi luoghi, allora, gli elettori dove li troverete ? Non avete scritto voi stesso che alcuni centri rurali Sono Costituiti quasi soltanto da italiani ?
Ah, sicuro : si torna sempre lì ! Sappiamo bene che è questo il dente che vi duole! E il povero sig. Loth, dopo avere enumerato tutti i provvedimenti stati presi per franqiser la. T u nisia, s’ accorge che si ha un bel fare ma a.tut- t’ oggi gli italiani « continuano a formare uno Stato nello Stato ».
Perciò qualche volta, inevitabilmente, dà nel generico, accenna, più che non sappia precisare. Dice, per esempio, che la cordialità delle rela zioni tra l’ Italia e la Francia non può impedire al Governo tunisino d’ esercitare, sotto il sinda cato del Residente Generale, depositario dei po teri della Repubblica, l’ autorità regale a cui può pretendere su tutta 1’ estensione del territorio della Reggenza. Oh, guarda !... E chi mai lo nega ? Non gli italiani davvero ; verso » quali il Residente, che è poi, per ordine e conto della Repubblica Francese, il vero sovrano, ci pare che finora non si sia mai peritato e abbia fatto tutt’ altro che complimenti ! « Sembra, scrive an cora il Loth, che certe restrizioni potrebbero, senza inconvenienti, portarsi sull’ insieme dei pri vilegi riconosciuti agli italiani di Tunisia dalle ultime convenzioni diplomatiche ». Cèrte restri
zioni? 0 se oramai, restringi e restringi, taglia
di qua, sopprimi di là, abolisci più su, assorbì un pò per ogni verso, avete rifatto ogni cosa a modo vostro ! Qui parliamo, s’ intende, non ah l’ egregio sig. Loth, ma al Protettorato.
Nonostante, cerchiamo un altro pò di spie gazione. « D i certo, gli italiani residenti in T u nisia hanno, come semplici privati, un diritto assoluto all’ uso di tutte le libertà compatibili colla legislazione del paese; ma, riuniti in asso ciazioni e in vari aggruppamenti, devono essere sottoposti a una sorveglianza sufficiente perchè 1’ espansione delle idee francesi non venga da essi contrariata ». Qui stiamo sempre sulle generali. Sorvegliate, sorvegliate pure. Già gli italiani in Tunisia non cospirano, e tutto quello che fanno lo fanno alla luce del sole. Sono perfino stati accusati di celebrare troppi anniversari clamoro samente, di allestire troppi cortei con bandiere e musica ! Se sorvegliate le Associazioni, v e drete.... quello che già sapete, cioè che non tur bano mai 1’ ordine pubblico ; e allora, da gente civile, vi toccherà non diciamo premiarle, ma ri spettarle. Si deve credere che non vi passerà per la mente di abolire la Camera di Commercio, mentre oggi i negozianti di tutti i principali Stati istituiscono reciprocamente Camere di Com mercio all’ estero ; che non sopprimerete la Coo perativa di Credito, nè quella di Consumò," nè la Cassa di Risparmio, nè il Consorzio Agrario; nè la Società di mutuo soccorso tra gli operai, tutte istituzioni oneste, operose e benefiche; che non vorrete demolire 1’ Ospedale italiano.
pa-rere più lontana, ma vi si giungerà egualmente, perchè dal lato della condizione dei beni e delle persone, ogni giorno che passa mescola sempre più alla nostra esistenza nazionale la moltitudine d’ immigranti della penisola ». — Si potrebbe dunque domandargli perchè le nostre scuole gli diano, quantunque dissimulato, tanto malumore. Ma riprendiamo il suo periodo lasciato interrotto. « E ’ difficile ammettere che le scuole non siano sottoposte a ispezioni regolari, nello stesso modo con cui vengono fatte negli istituti scolastici francesi ».
Benissimo. Non sappiamo se le ispezioni oggi abbiano luogo, ma è certo che sono di di ritto, perchè il trattato del 1896 dichiara che le scuole saranno mantenute, ma « senza pregiudi- z io-dei diritti superiori spettanti all’ Amministra zione locale in materia d’ igiene e d’ ordine pub blico, per l’ applicazione delle leggi di polizia e di sicurezza ». Entro questi limiti, se le ispezioni si fanno,*ne emergerà che tutto procede regolar mente e lodevolmente. Caso mai, se risultasse che alcune scuole sono troppo affollate, sarebbe una buona ragione per non porre ostacoli al loro in grandimento. Oltre questi limiti, le ispezioni sareb bero vessatorie, benché emergerebbe sempre che le scuole sono floride, bene ordinate, utili. Incivile sarebbe volerne dettare i programmi, che del resto sono molto simili a quelli delle scuole francesi. Eppoi per quale scopo? 0 se agli italiani è stato chiuso l’ adito a parecchie occupazioni di carattere pubblico e a tutte le cariche ufficiali!
Sta in fatto che la Francia incontra, diffi coltà d’ ogni genere nel suo tentativo di far di ventare francese un paese che tale non era, che tale non è, che tale — salvo sbagliare, perchè non ci diamo per profeti —■ non sarà mai. Fre nare la nostra emigrazione, no, perchè della mano d’ opera italiana ha assoluto bisogno; importare in Tunisia coloni francesi, no, perchè non ci vo gliono andare ; distruggere colla violenza tutto ciò che laggiù gli italiani hanno costituito di solidale, di serrato, di provvido, di cosciente, di durevole, no, perchè vi si oppongono i trattati ancora vigenti. Dunque? Dunque procedere con metodi molteplici e concomitanti, ma lenti, indi retti, ingegnosi. Il Loth ne indica quattro.
Uno è la scuola, cioè la scuola francese. « Per lottare efficacemente contro la preponderanza nu merica degli italiani, è necessario insegnare da per tutto il francese ». Questo è giusto, ragio nevole, da approvarsi sotto ogni rispetto. Se, per ipotesi, domani invertissimo le parti, noi fa remmo lo stesso. Ma, avverte lo scrittore, le abi tudini di vita nuova contratte dagli italiani nelle scuole francesi minacciano di non durare, quando gli adolescenti abbiano compiuto i corsi. Pertanto occorrono istituzioni post-scolatiche, come confe renze, corsi per adulti, piccole associazioni ami chevoli tra scolari e anche tra ex-scolari. Qui pure dobbiamo approvare, compiacendoci che di queste ultime già ve ne siano anche nella colo nia italiana.
Un altro modo per stimolare l’ assimilazione consiste nel favorire i matrimoni misti, più che altro fra donne italiane e uomini francesi, per chè allora la famiglia quasi naturalmente diventa francese e i figli seguono la nazionalità del padre.
Di tali matrimoni il Loth si compiace di ve derne già parecchi, benché a noi, stando alle sue notizie, non sembrino molti, proporzionalmente al numero degli italiani residenti in Tunisia. Ma, ammonisce egli porgendo numerosi particolari, per riuscire nell’ intento bisogna che le formalità occorrenti pei matrimoni vengano ridotte assai più semplici, meno lunghe e meno costose che oggi non siano.
Un terzo modo sarebbe il servizio militare. Dopo la scuola, costituisce per la naturalizzazione una preparazione ottima, mentre se lo si presta invece sotto le bandiere di uno Stato diverso da quello a cui la scuola appartiene, distrugge, circa i sentimenti di nazionalità, l’ influenza di essa. Ma qui sta l’ osso duro. La legge italiana del 31 gennaio 1901 sull’ emigrazione dispensa dal servizio militare in tempo di pace i giovani ita liani nati e residenti in Tunisia. Quelli residenti ma non nati colà sono tenuti a tornare in Italia per fare il soldato. Sono numerosi, è vero, i re nitenti di leva; ma, osserva il Loth, per gli in teressi francesi va male in ogni modo. I giovani che tornano in patria perdono, nell’ essere soldati italiani, gli effetti dell’ educazione che era stata loro data nelle scuole francesi di Tunisia. Per quelli poi che non si muovono, non c’ è altra con seguenza che di rompere ogni relazione col Con solato italiano e coi vari rappresentanti del loro paese d’ origine ; ma intanto essi rimangono co modamente in Tunisia, vincendo in ogni specie di lavoro la concorrenza coi giovani francesi, che all’ obbligo di servir la patria non possono sot trarsi.
Per evitare tali inconvenienti, il Loth vor rebbe che i giovani italiani nati in Tunisia ser vissero o sotto l’ una o sotto l’ altra bandiera, sicuro come egli è che, se potessero scegliere, preferirebbero quella francese per poter prestare il loro servizio senza muoversi dal paese dove già sono. Ma all’ uopo occorrerebbe una conven zione con l’ Italia, analoga a quella che già vige tra la Francia e la Spagna, mediante la quale i giovani, a l! età voluta, possono esimersi dall’an dare a prestare il servizio militare in patria, purché provino d ’ averlo già prestato, oppure di aver già estratto a sorte il loro numero, nell’ al tro paese contraente. Su questo proposito ci pare davvero che il nostro Autore viva nel mondo dei sogni. Non si può pensare o sperare, ma solo sognare, che l’ Italia, per una reciprocità di cui non saprebbe che farsi e che praticamente si ri durrebbe quasi a zero, e proprio con applica zione a quella Tunisia dove è stata trattata così male, stipulerebbe una simile convenzione!
liasco anche se si attribuisca a un tratto la na zionalità francese a tutti coloro che non facciano un’ esplicita dichiarazione negativa. Si ha un esempio eloquentissimo. Nel 1888 il Brasile, de sideroso d’ affrettare la fusione degli immigrati con la popolazione del paese, decise che tutti coloro che non dichiarassero il loro fermo propo sito di conservare la nazionalità d’ origine, ver rebbero, senza bisogno d’ alcun passo da parte loro, considerati cittadini brasiliani. Or bene, il 95 0 /0 degli immigrati nella provincia di S. Paolo declinarono formalmente un tanto onore. L ’assor bimento d’ una razza per parte d ’ un’ altra è un lavoro lungo. Bisogna dar tempo al tempo.
Il Loth per altro, mentre non vuole la pre cipitazione e dichiara che la cittadinanza fran cese deve essere un premio riserbato solo a chi se lo meriti, opina che in Tunisia si esageri que sto giusto principio coll’ andare anche troppo a rilento, e che delle richieste di naturalizzazione (ma non credano i lettori che ne vengano pre sentate moltissime!) se ne scartino troppe. Egli accenna anche, senza -addentrarvisi molto, alla possibilità di stabilire una piccola naturalizza zione, come avviamento a quella intera, da con cedersi a chi la desideri, purché siano persone dabbene, mediante una tassa lievissima. Essa darebbe il godimento dei diritti civili, ma non ancora di quelli politici, da riserbarsi ai figli dei neo-francesi. Sarà, ma l’attrattiva non ci sembra debba essere grandissima.
Insomma la ricetta per far diventare fran cese la popolazione europea della Tunisia com prende parecchi ingredienti, da adoperarsi con pazienza tutti assieme, amalgamandoli meglio che si può in dosi a mano a mano variabili. Non manca neppure, nelle ultimissime pagine — e in verità non meritava un più largo posto — la so lita calda sollecitazione ai sordi, cioè ai contadini della madre patria, acciò passino il mare in buon numero per venire a ingrossare la schiera dei coloni francesi. La quale sollecitazione, già fatta tante volte e da tanti, più è calda, più è ripe tuta, e più sordi li trova.
In ogni modo,, tutti i sistemi fin qui escogi tati, più o meno buoni che siano, hanno bisogno, come saviamente dice il Loth, dell’ aiuto del tempo. In tal caso, mentre certo all’italianità sovrastano in Tunisia non pochi pericoli,.non è forse esclusa la possibilità di scongiurarli.
Ci riserbiamo a dirne qualche cosa in un
ultimo articolo. E. Z.
R
ivista
B
ibliografica
C o m u n e di V e n e z i a . - Case popolari. — Ber gamo, Istituto it. di arti grafiche 1905.
Con una straordinaria, e ci permettiamo di dire eccessiva, sobrietà di parole il Comune di Venezia dà informazioni sulla esistenza di una
Commissione per la costruzione ed amministra zione di case sane economiche, che funziona da
molti anni a Venezia, che ha dato ottimi risul tati. « È dessa, dice il conte Grimani in una
prefazione di poche righe, è dessa quasi un ente intermedio tra le due iniziative, la pubblica e la privata che si contendono la risoluzione del grave problema delle abitazioni popolari. Trae in fatti la vita dal Comune e della locale Cassa di Risparmio... Ad essa Commissione il provvedere con piena autonomia all’ acquisto delle aree e alla costruzione delle case, mentre della provvista dei fondi risponde il Comune in parte con stanziamenti sul proprio bilancio, in parte col grande concorso della Cassa di Risparmio, la quale per lungo corso di anni tiene vincolata a questo scopo parte notevole della quota di utili erogabili a scopo di beneficenza. Sono pure destinati a nuove costru zioni i redditi delle case costrutte. Queste for mano parte del patrimonio comunale, ma sono amminitrate dalla Commissione, il cui bilancio è sottoposto all’ approvazione del Consiglio Comu nale ».
A queste brevi illustrazioni del Sindaco di Venezia seguono tredici tavole coi disegni delle case e colle piante di esse molto bene riprodotti, ed una tavola che contiene alcuni dati di fatto. Si rileva che le case costruite sono dieci, per un costo di circa 425 mila lire, ed occupano un’ area di 4,070 m2 la quale costò 34,831 ; la cubatura di questi dieci corpi di fabbrica è di 26,000 m3 circa e contiene 97 appartamenti con 288 vani, che danno dimora a 946 persone.
V i sono poi anche case in costruzione per un costo preventivato di 781,335 lire, sopra un area di circa 11,500 m2, una cubatura di 54,000 m3 che comprendono 20 corpi di fabbrica aventi 211 appartamenti di 615 vani, capaci di dar dimora a 1150 persone.
La Commissione poi ha altri 29 mila ni2 di area per le future costruzioni.
Citiamo una cifra meravigliosa : le spese di Amministrazione non arrivano a 14 mila lire.
Non si può dire che la costruzione di case popolari che possono albergare 2000 persone pòssa costituire la soluzione del problema operaio a Venezia; ma si può ritenere che il sistema se guito a Venezia sia quello che potrà più presto deve la soluzione. In confronto ad altre città pare che la divisa su tale argomento sia stata a Venezia: poche parole e molti fatti.
G in o A r ia s . - Il sistema della costituzione econo
mica e sociale italiana nell’età dei Comuni. —
Torino, Roux e Viarengo 1905, pag. 558 (L. 8). Premettiamo subito che ci troviamo davanti ad un lavoro di grande importanza dettato da un giovane di ingegno e di dottrina, il quale sa come si deve studiare e non dà il suo giudizio se non quando crede di poterlo giustificare. Lodi quindi ed incoraggiamenti devono essere dati. Ciò non toglie però che l’ impressione che si riceve dal voluminoso lavoro è quella che l ’argomento fosse superiore alle forze di chi lo ha intrapreso, e così dicendo intendiamo di lasciare impregiudicata la questione se altri avrebbe potuto far meglio.
possi-bile trattare in modo esauriente il tema indicato dal titolo.
L ’ Autore sa in modo chiaro, sebbene tal volta troppo spiccio, combattere e respingere le teorie storiche economiche o storico-sociali pro poste ai diversi studiosi sulle cause che deter minarono il grande movimento della età dei co muni: ma alla sua volta quando, dopo molta preparazione, egli stesso espone una propria teo ria, egli dice che la causa del movimento è : « la natura intrinseca e il modo di svolgimento delle energie economiche produttive intorno alle quali l’ organizzazione stessa si concentra. E ’ un feno meno tutto naturalista e, a mio modo di vedere, indipendente da ogni influsso dell’ azione umana consapevole. »
Ora questo enunciato dimostra troppo chia ramente che l ' Autore si è, per così dire, inebriato della sua tesi, e non ha saputo misurare abba stanza la portata delle sue parole. Infatti vi sa rebbe stato un periodo storico, e per giunta tra i più attivi, quello dei Comuni, nel quale il fe nomeno si è svolto indipendentemente da ogni
azione umana consapevole. Ma si presenta un
dilemma evidente : o si tratta di una inconsa pevolezza propria di tutte le età, e di tutti i tempi, cioè ci si riferisce alla negazione del li bero arbitrio individuale o sociale, ed in tal caso questa inconsapevolezza non spiegherebbe il fe nomeno speciale del movimento di quella data epoca, e la teoria non avrebbe base. 0 l’Autore vuol dirci che in qualunque altra epoca la So cietà si è svolta sotto l’ influsso della azione umana consapevole, meno nella età dei Comuni in cui .l’ influsso di questa azione mancò, ed al lora l’ Autore ha l ’ obbligo non tanto di ripeterci gli argomenti, ed i fatti dai quali gli pare di ricavare tale « inconsapevolezza », ma per provare il suo asserto ha l’ obbligo di dirci che cosa sia avvenuto nel mondo fisico e sociale nella età dei Comuni, per la quale ebbe a mancare l’ influsso della azione umana, che prima e poi fu operante.
Qui senza dubbio vi ha esagerazione di pensiero, ovvero le parole non hanno tradotto il pensiero dell’ Autore. E ’ molto difficile che ridu cendo ad un solo elemento od a pochi elementi la formula dell’evoluzione sociale, si possa man tenersi nel verosimile. V i è, non solo la difficoltà di comprendere i fatti all’ infuori dalle condizioni attuali, difficoltà di per sè stessa quasi insupe rabile, ma vi è anche l’ ostacolo della capacità di sintesi, quando nella sintesi si deve abbracciare una larga estensione di fatti e di tempi.
Per ciò dobbiamo concludere come abbiamo cominciato nel esprimere la nostra impressione sul libro del sig. A rias; ardito il lavoro, dotto l’ Autore, diligente e severo lo studio, ma spropor zionato il tema alla potenzialità dello scrittore. P r o f. E d u a r d o C im b a li. - L ’ ipocrisia del pre
sente movimento per l’arbitrato e la pace inter nazionale. — Poma, B. Lux 1905, pag. 78
E ’ invero molto strano che il prof. Cimbali, rileggendo il suo lavoro nelle bozze non abbia, compreso che non è con quel linguaggio nè con quella forma che si possono trattare dalla catte dra argomenti che hanno bisogno di ragioni e non di frasi per essere dimostrati.
Certo è che, pur ammettendo che molte delle cose dette dal prof. Cimbali in questa sua prefazione sieno giuste, nel complesso rimano la impressione che sarebbe stato meglio se l’ Autore avesse negata la stampa al suo discorso.
J.
RIVISTA ECONOMICA E FINANZIARIA
Segnaliamo un importante Congresso eco nomico tenutosi a Cuneo in occasione del 50° anniversario di fondazione della locale Cassa di Risparmio.
Era i temi discussi rileviamo quello sul « sistema contabile unico per le Casse di rispar mio del Regno » (rei. avv. G. Berrini). Si votò un ordine del giorno col quale « riaffermata 1’ u- tilità e la necessità di ordinamenti contabili semplici e variabili per le Casse di risparmio, si fanno voti che le Casse stesse si accordino per fissare dei criteri generali intorno alle loro con tabilità, valendosi occorrendo, della collaborazione del ministero, tenendo conto delle esigenze delle singole Casse ».
Si discusse anche sulle Società mutue coo perative comunali contro i danni dell’ incendio (rei. dott. Gioda), e si concluse col nominare una Commissione incaricata di studiare il progetto di uno statuto per riunire le Società di mutua assicurazione locale in una federazione di assicu razione.
R iferì il prof. Armuzzi di Ravenna sulla questione della tassa di manomorta, ed il Con gresso deliberò di promuovere pel primo seme stre 1906 un convegno dei rappresentanti delle Casse di risparmio allo scopo di risolvere le questioni concernenti la applicazione della tassa alle Casse suddette e stabilire l’azione più op portuna da esplicarsi, invitando intanto il mini stro d’ agricoltura a provocare da quello delle finanze provvedimenti opportuni in relazione a quanto verrà deliberato dal convegno progettato.
Altro argomento intesessante fu quello (a relazione Berrini) sul tema : « L e leggi finan ziarie nei rapporti alle cooperative ». Ecco i voti fatti dal Congresso :
che gli atti e gli scritti delle cooperative siano soggetti al bollo solo quando concorrono i due requisiti accennati nell’ art. 26 n. 9 della legge 13 settembre 1874, cioè dopo 5 anni dalla loro fondazione, e finché il capitale sociale effet tivo non superi le lire 30.000;
ehé alle Società cooperative in nome collet tivo, per gli effetti delì’ imposta di ricchezza mo bile, debbasi applicare l ’art. 16 della legge 24 agosto 1877;
che, occorrendo, il Governo accordi alle Coo perative vantaggi economici, e non abbia con disposizioni vessatorie a rallentare la loro be nefica ed utile azione.
un nuovo grande istituto di credito agrario. Vi intervennero circa 200 delegati di associazioni agrarie di Casse di risparmio, di istituti popolari e di credito, i deputati della provincia, moltis simi presidenti di Banche popolari e di Casse di risparmio.
Dopo che Raineri, quale relatore, ebbe dato conto delle pratiche fatte dalla Federazione dei consorzi agrari, specialmente colla Federazione delle cooperative agrarie di Germania per un ac cordo sopra acquisti e vendite collettive di ma terie prime di agricoltura e prodotti del suolo, Luzzatti espose il programma della nuova Cassa nazionale agraria, la quale - assumerà nella pro vincia di. Piacenza una grande importanza.
Egli prese occasione per ricordare la forza delle organizzazioni agrarie e tutta l’eccellenza del credito popolare italiano. La nuova cassa aiuterà e purificherà le esportazioni dando note vole impulso all’agricoltura italiana segnatamente al mezzogiorno, servirà a collegare i sindacati agrari italiani coll’ estero, trovando nei loro scambi cospicui larga materia alle operazioni, gioverà ad ogni forma di lavoro e alla cooperazione agra ria, e avrà nella sapiente applicazione del credito al movimento della produzione del suolo una sal dissima base.
Quanto ai mezzi, Luzzatti dichiarò come la Cassa nazionale agraria dovrà sorgere con un ca pitale di 50 milioni, che sarà facilmente rac colto fra gli agricoltori e cooperatori italiani, Banche popolari ecc. Una sottoscrizione nazionale, fatta traverso la pura clientela di siffatte istitu zioni, come egli può farne affidamento, darà ri sultati sicuri. . L ’ oratore consiglia che le azioni di questo nuovo istituto come cooperazione si li mitino nei dividendi, e alimentino con una parte degli utili le cattedre ambulanti promuovendo anche Casse rurali.
Dopo altri discorsi, l’assemblea unanime ap provò il programma della Cassa Centrale A gra ria riconfermando il Comitato presieduto da Luz zatti, e dandogli facoltà, occorrendo, di completarsi e provvedere alla fondazione dell’ Istituto.
— Diamo alcune notizie sul contenuto della nuova convenzione commerciale franco-russa, con clusa recentemente. Essa si compone di sei parti, cioè :
1) Modificazione del trattato di commercio e di navigazione del 1874;
2) regime di viaggiatori di commercio; 3) cambiamenti portati dalla Russia al suo regolamento doganale ;
4) concessioni nelle tariffe ;
5) consolidamento di alcuni articoli della tariffa doganale russa ;
.6) consolidamento di alcuni articoli della tariffa doganale francese.
I negoziatori francesi hanno ottenuto nella maggior parte dei casi il mantenimento delle cifre del trattato del 1893, e delle riduzioni sui prodotti che figurano alla testa del commercio della Francia colla Russia, riguardo alle cifre della tariffa.
La Francia godrà inoltre del beneficio della nazione più favorita pei trattati conclusi o da concludersi con altre nazioni (come p. e. il trat
tato del 1904 colla Germania), che provocheranno una riduzione dei diritti su un certo numero di importanti articoli della produzione nazionale francese.
Per norma dei produttori di foraggi ripor tiamo quanto rilevasi da un rapporto del R . Con solato Generale d’ Italia a Barcellona circa la riduzione del dazio sui foraggi in Spagna.
Causa lo scarsissimo raccolto dei foraggi e la deficienza dei prati, si è resa difficilissima in molte provincie della Spagna, e specialmente nella Andalusia, l’ alimentazione del bestiame. Questa condizione di cose ha indotto il governo di Madrid a sopprimere temporaneamente il dazio di entrata che grava sui foraggi ; questa misura, andata in vigore il 9 agosto, cesserà di avere effetto il 31 marzo 1906.
Sul grano e sulla farina invece i dazi ven gono aumentati rispettivamente di 2 e 3 pesetas, con decreto del Governo spagnuolo del 12 set tembre u. s.
— Il Board o f trade dà alcuni ragguagli circa la riorganizzazione del sistema monetario colombiano.
Le condizioni finanziarie della Colombia - esso dice - erano deplorevoli da ogni punto di vista : di qui la costituzione, avvenuta per de creto governativo del 6 marzo 1905, di una So cietà di persone allo scopo di organizzare la
Banca centrale della Colombia con 1,600,000 lire
sterline di capitale.
Il Governo accorda a tale Banca il diritto di emissione fino al doppio del capitale versato : di contro essa deve avere in deposito una somma in oro uguale almeno al 30 per cento dell’am montare emesso. Il Consiglio nazionale di ammor tizzamento trasferirà alla Banca tutti i biglietti nuovi fabbricati in Inghilterra, che la Banca deve incaricarsi di cambiare con quelli deteriorati, salvo a dichiarare senza valore quelli che non saranno presentati allo scambio entro il 1° aprile 1907.
La emissione più importante confidata alla Banca è il ristabilimento graduale della moneta metallica, che si spera completare nel 1909.
Altre disposizioni sono, state prese dal G o verno colombiano circa il movimento di esporta zione. Cosi un decreto stabilisce un monopolio sulla vendita e l’ esportazione del tabacco e proi bisce l’esportazione e la vendita del tabacco per conto privato e l’ importazione assoluta del ta bacco a partire dal 1° settembre 1905, obbligando i coltivatori del tabacco a vendere al Governo tutto il tabacco raccolto, a un prezzo che sarà determinato ciascun anno.