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VALUTAZIONE DELL’INVALIDITÀ TEMPORANEA

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Academic year: 2022

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VALUTAZIONE DELL’INVALIDITÀ TEMPORANEA

Dr. Diego Mulè – Dr. Diana Seggio

La sentenza della Corte Costituzionale del 14/07/1986 n. 184 ha determinato una sostanziale modificazione delle modalità operative nella valutazione medico-legale del danno alla persona che ha avuto immediati riflessi pratico-operativi nella valutazione degli esiti permanenti.

Tale sentenza, infatti, ha segnato l’introduzione del concetto di danno biologico, definito come "il pregiudizio derivante alla persona dalla menomazione dell’integrità psicofisica, temporanea o permanente, suscettibile di accertamento medico-legale" e configurò il danno biologico come danno-evento legato da nesso causale all’atto illecito, mentre il danno morale subiettivo ed il danno patrimoniale da ridotta capacità lavorativa, rappresentano i danni-conseguenza eventualmente derivanti dal primo.

L’innovazione di tale sentenza consiste nella risarcibilità del danno biologico in ogni caso ed indipendentemente dalle conseguenze morali o patrimoniali da ridotta capacità lavorativa che ne derivino.

L’introduzione del concetto di danno biologico ha permesso di esprimere in termini più adeguati ed aderenti alla realtà i riflessi negativi sulla integrità psicofisica del soggetto passivo di una menomazione, prescindendo dalle conseguenze negative sulla efficienza lavorativa e lucrativa dello stesso che avevano rappresentato sino ad allora il vero punto di riferimento.

In altre parole, il danno biologico è definito come "la riduzione delle capacità del soggetto di estrinsecarsi compiutamente in qualsivoglia attività (nel senso di realizzarsi al meglio in funzione delle sue inclinazioni e preferenze) della sua esistenza". Ovvero ancora il pregiudizio derivante alla persona dalla menomazione dell’integrità psicofisica, temporanea o permanente, suscettibile di accertamento medico-legale".

Per quanto attiene alle menomazioni ed ai postumi di carattere permanente, si è ormai consolidata una precisa prassi che, anche se presenta in molti casi numerose divergenze e opinioni difformi, ha trovato un sufficiente equilibrio per la quantificazione percentuale dei postumi.

Riteniamo rilevante a tal punto, prima di entrare nel merito del problema, porre l’attenzione sul fatto che, se vale il concetto ormai decretato e universalmente accettato di danno biologico come menomazione dell’integrità psico-fisica, è evidente che lo stesso concetto deve valere per la quantificazione dell’invalidità temporanea che è in primo luogo una menomazione dell’integrità psico-fisica del soggetto a carattere transitorio con possibili incidenze in ambito lavorativo.

Già nella sentenza della Cassazione Civile n.1130 della 1985 si legge:"…è pienamente risarcibile il danno biologico consistente nella menomazione agli organi e alle funzioni fisiopsichiche indipendentemente dalla perdita della capacità lavorativa.

In tale voce autonoma di danno rientra anche il danno per il periodo di invalidità temporanea assoluta e parziale".

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E’ implicito nel concetto di danno biologico anche quello della temporanea menomazione anatomo-funzionale derivante alla persona dalle conseguenze lesive del fatto illecito patito.

Ciò nonostante il giudizio sulla invalidità temporanea è rimasto a lungo essenzialmente ancorato all’incidenza della malattia sull’attività lavorativa del leso.

Infatti è prassi il riferimento all’incidenza del quadro post-lesivo in termini di invalidità temporanea lavorativa e tale ancor oggi è in molti casi espressamente il quesito posto dal Giudice.

Sulla base di tale parametro si è visto spesso riconosciuto un periodo di invalidità temporanea certamente sproporzionato alle reali necessità imposte dal quadro post- lesivo per il solo fatto che il soggetto risultava documentatamente aver osservato quel periodo di assenza lavorativa. Infatti, proprio per quest’ultima evenienza ormai largamente praticata, e cioè l’esibizione di documentazione clinica che attesta l’assenza dal lavoro, il giudizio sull’inabilità temporanea biologica si dovrà giocoforza riferire al concetto di integrità psico-fisica, a cui si affianca strettamente se non esclusivamente la voce di danno già codificata di invalidità temporanea lavorativa.

E’ comune prassi operativa che nella stima del danno a minore ed all’anziano, allorché non siano identificabili aspetti di tipo reddituale, neppure indiretti, il danno biologico temporaneo venga espresso sulla base di criteri strettamente clinici in termini di <<malattia >> metatraumatica e con riferimento alle consuete attività quotidiane proprio a voler rimarcare l’assenza di ripercussioni economiche.

In sostanza, il danno biologico è rappresentato dalla riduzione della efficienza psicofisica di un soggetto in conseguenza di una lesione temporanea e/o permanente ed è di tutta evidenza come un danno biologico temporaneo o permanente non possa teoricamente e di fatto essere "assoluto", del 100%, che equivale alla morte del soggetto o a situazioni biologiche post-lesive eccezionali (es. coma apallico), pressocchè equiparabili alla morte corticale.

In particolare teniamo a sottolineare che alla luce dei concetti sopra riportati, il danno biologico temporaneo, che è relativo alla fase evolutiva della malattia traumatica, intesa come fase necessaria alla riparazione anatomica ed al recupero funzionale, deve essere determinato dalla entità dei disagi connessi alla malattia in sé o imposti dal trattamento terapeutico necessario.

Va da sé che solo alcune lesioni, soprattutto in fase acuta, potranno imporre la perdita di qualsiasi autonomia di vita, facendo dipendere il paziente da terzi o anche dalle macchine.

Per tal motivo le riduzioni temporanee dell’efficienza psicofisica non potranno perciò che essere espresse in termini percentuali tenendo conto di quanto venga limitata la possibilità del soggetto di svolgere la vita consueta. La graduazione percentuale si dovrà basare sulla ricostruibile gravità della transitoria menomazione di volta in volta in atto.

A tal proposito sarà necessario indicare fasce di incidenza, ed essenziale per un giudizio di invalidità temporanea sarà perciò far riferimento a:

• Caratteristiche della menomazione;

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• Soggettività che comporta;

• Grado di compromissione che ne consegue sulla cenestesi sulla capacità di autonomia di vita, sulla vita di relazione.

La menomazione potrà essere più o meno importante in relazione ad aspetti diversi:

• Le caratteristiche di sede, tipo ed entità della lesione;

• Le caratteristiche di tipo ed entità della conseguente malattia, considerata anche l’intensità della connessa sintomatologia dolorosa;

• Le caratteristiche di tipo ed entità di eventuali complicanze.

Desumibile già da questa generica, ma esemplificativa, classificazione la differente incidenza sulla autonomia di vita degli apparati menomati, per cui sembra necessaria quella graduatoria di valori indispensabile per la valutazione reale della temporanea.

Si dovrà quindi tener conto dell’entità delle ripercussioni delle menomazioni sugli aspetti costitutivi della vita; con logica valutativa si dovrà tenere conto di:

• Una dipendenza per luoghi e per atti;

• Una totale dipendenza fisica;

• Una dipendenza da una macchina.

Il giudizio clinico-medico-legale dovrà scaturire da:

• Esame delle comprovate caratteristiche della lesività iniziale;

• Risultanze di eventuali indagini strumentali e/o radiografiche;

• Evoluzione clinica usuale di lesione consimili;

• Esame della certificazione dei sanitari curanti ove coerente con gli altri elementi tecnici obiettivi di limitazione;

• Soggettività algico-disfunzionale;

• Altre ripercussioni che la malattia ha sulla cenestesi del leso.

100%

• Impossibilità a svolgere gli atti propri della vita quotidiana e la maggior parte delle usuali attività:

1) degenza ospedaliera;

2) allettamento domiciliare.

• Notevoli disagi nell’espletamento degli atti della vita quotidiana:

1) difficoltà di alimentazione;

2) difficoltà di vestizione;

3) difficoltà nell’espletamento dei bisogni fisiologici;

4) difficoltà a curare l’igiene personale.

• Impedimento alla deambulazione:

1) stivalone gessato;

2) fissatori esterni;

3) gesso pelvipodalico;

4) gesso pelvicondilico;

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5) gesso femoropodalico, femoromalleolare;

6) uso di collare cervicale a mentoniera;

7) Gorgiera o Minerva gessata con o senza diadema;

8) Busto gessato con spalle, busto gessato di tipo antigravitario, busto gessato sottomammillare;

9) tutori ortopedici ( corsetti e valve contentive);

10) utilizzo di bastone di appoggio.

• Grave limitazione della capacità prensile:

1) apparecchi gessati immobilizzanti l’arto superiore dominante.

• Sindrome neurologiche post-traumatiche:

1) commozione cerebrale;

2) coma apallico;

3) ematoma epidurale;

4) ematomi intracranici.

Appare doveroso specificare che anche tutti gli apparati della vita vegetativa, ovvero finalizzati a manifestazioni relazionali della vita, richiamano questa valutazione. Però altrettanto importante è evidenziare la difficoltà a riconoscere il 100% di invalidità temporanea poiché si è consapevoli del fatto che a fronte di tale riconoscimento non esiste in realtà una compromissione tale da poterla giustificare.

Tale percentuale è giustificatamene attribuita solo per una realtà che annulla transitoriamente l’uomo.

75%

• Difficoltà di deambulazione o di postura (immobilizzazione del rachide cervicale e cervico dorsale):

1) gesso funzionale;

2) scarpetta gessata;

3) ginocchiera articolata fissa;

4) fasciatura alla Desault o bendaggio “a 8”;

5) stecche di Zimmer, Tensoplast;

6) uso di corsetto o busto ortopedico;

• Immobilizzazioni dell’arto superiore non dominante:

1) gesso toracobrachiale;

2) gesso brachiometacarpale;

3) gesso antibrachiometacarpale;

4) guanto gessato con una o più dita comprese.

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• Situazioni dolorose o incidenti in modo rilevante sulla cenestesi:

1) cefalea intensa;

2) sindromi neurovegetative;

3) crisi vertiginose;

4) parestesie.

• Quadri clinici che richiedono particolare cautele (trauma cranico fratturativi anche senza segni neurologici, ecc).

Non vediamo più completo riferimento per il danno biologico temporaneo, ma merita sottolineare in questa fascia di percentuale una difficoltà a graduare tale pregiudizio;

infatti si dovrà confrontare con il grado di tolleranza del singolo e cioè col come vive la menomazione quell’infortunato. Occorrerà pertanto tener conto che mentre alcune menomazioni saranno di per sé espressive di un grave pregiudizio alla qualità di vita, altre potranno vederla non assolutamente intaccata, altre ancora saranno condizionate dall’età o dalla capacità reattiva, trovando concretezza in caratteristiche insite nel singolo soggetto; ci riferiamo all’età, al livello socio-culturale, alla vita di relazione, al sesso.

Come si evince, la corretta applicazione dei criteri sopra enunciati dovrebbe far fede ad una precisa aggettivazione, non sempre purtroppo corrispondente alla realtà documentata, che dovrebbe per l’appunto servire ad inquadrare correttamente la componente transitoria del danno biologico in oggetto.

50%

• Situazioni che non limitano in modo significativo la possibilità di svolgere gli atti propri della vita quotidiana:

1) condizioni di dolore non grave;

2) prime fasi di convalescenza di taluni quadri post-traumatici (esempio frattura ossa del naso, sindrome soggettiva post-distorsione cervicale di media entità, sindrome soggettiva del traumatizzato cranico, frattura di singole dita, ecc.).

3) fase di riabilitazione funzionale conseguenti a taluni quadri post-traumatici, es: elettrostimolazioni e massaggi onde migliorare il tono e il trofismo muscolare;

esercizi di contrazione muscolare , contro gravità e contro resistenza, esercizi di mobilizzazione articolare attiva e passiva, esercizi di rieducazione dell’arto alle funzioni generiche e specifiche svolte dal traumatizzato prima della frattura.

• Lesioni a segmenti artuali localizzate e che limitano ma non impediscono la funzione:

1) lieve distorsione caviglia;

2) lieve distorsione di polso;

• Lesioni dentarie di entità tale non associate ad altre lesività a carico del massiccio facciale:

1) infrazione di corona;

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2) frattura di corona non complicate;

3) frattura di corona e di radice;

4) lussazioni.

Tale indicazione di fascia percentuale si concretizza ad un mero riferimento numerico, nel senso che il pregiudizio al danno biologico temporaneo trae validità dalla elevata incidenza di tali menomazioni, quindi fa riferimento a puri parametri biologici e clinici legati rigorosamente alla persona e al danno. Infatti la valutazione delle menomazioni dell’apparato osteoarticolare, che in genere sono le più frequenti, viene effettuata per mezzo di una pedissequa trasposizione della documentazione clinica nonché dei certificati di prolungamento di malattia, in riferimento ai quali si verificherebbero tutt’altro che infrequenti palesi disparità, inconciliabili con fini di equità e coerenza valutativa.

Giusta collocazione in tale fascia percentuale trovano le lesioni dentarie, in quanto raramente sono da sole di entità tale da annullare la capacità di lavoro per periodi protratti, soprattutto nei casi in cui l’attività esercitata sia di natura autonoma e non a rapporto dipendente. Infatti , se non sono associate ad altre lesività a carico del massiccio facciale esse determinano generalmente un breve periodo di inabilità totale nell’immediatezza dell’evento lesivo, al quale può seguire un periodo , anch’esso di breve durata, di incapacità temporanea parziale.

Una situazione del tutto particolare si verifica quando un danno dentario di natura prevalentemente estetica non consente quelle attività professionali in cui i requisiti fisiognomici rappresentano appunto l’attributo principale. In questi casi, di non frequente riscontro, un danno dentario può giustificare anche periodi protratti di inabilità temporanea totale.

Di più complessa valutazione è invece l’eventuale incapacità temporanea parziale in relazione alle necessarie cure odontoiatriche. Queste, intese nella loro accezione più ampia, necessitano, come è comune acquisizione, di periodi di tempo relativamente lunghi, compresi all’interno della giornata lavorativa, il che può far sorgere il problema se esse costituiscano, oltre che un danno emergente per le spese che comportano, anche un lucro cessante per il tempo che ad esse il leso dedica, perché sottratto ad una attività produttiva.

25% • Fase di convalescenza evoluta.

• Lesioni circoscritte e di scarsa rilevanza:

1) contusioni;

2) escoriazioni; ecc.

Intorno al 10%

• Situazioni la cui incidenza sull’efficienza complessiva del leso è così modesta da non comportare in genere necessità di astensione dal lavoro:

1) contusioni od escoriazionie superficiali,

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2) ferite lacero-contuse circoscritte e senza riflessi disfunzionali di rilievo.

• Stati emotivi patologici o reazioni psichiche patologiche post-traumatiche (danno psichico temporaneo).

• Trattamenti riabilitativi e cure odontoiatriche.

Va ricordato che ove residuino postumi di elevata entità non è logicamente corretto indicare una percentuale di danno biologico temporaneo pari o inferiore all’entità del danno biologico permanente.

La graduazione in fasce percentuali della temporanea inabilità si rende necessaria ed imprescindibile per ovviare o quantomeno collocare in maniera esatta le patologia che ha ridotto temporaneamente la capacità del soggetto di estrinsecarsi compiutamente in qualsivoglia attività, compatibilmente ai parametri clinici obiettivabili o molto spesso solo soggettivi.

L’entità nosologica che si offre più di ogni altra, poiché di gran lunga la più frequente nella pratica peritale, come esempio concreto e comune è rappresenta dal

"colpo di frusta", dove la soggettività più o meno accentuata è talvolta correlata a rilievi clinici del tutto assenti, ovvero aspecifici. Per tali motivi la valutazione della

“temporanea” inabilità risulta nella realtà assolutamente incoerente sia per quello che attiene strettamente alla definizione di inabilità temporanea biologica che per quello che attiene alla inabilità temporanea lavorativa, inserendosi in questi "ambiti" delle variabili non poco determinanti, ad esempio a seconda che la quantificazione sia formulata,in ambito penalistico, in ambito di infortunistica sul lavoro, in ambito di polizza privata infortuni, ai fini della tutela fornita dall’I.N.P.S.

Nell’ambito della valutazione del danno alla persona in responsabilità civile, rispetto al parametro "inabilità temporanea", compito del medico legale è dunque quello di quantificare il periodo in cui, per effetto delle conseguenze del fatto lesivo che lo ha colpito, il soggetto è stato temporaneamente incapace di espletare gli atti, sia lavorativi, sia exstralavorativi, che caratterizzano la sua vita prima che il fatto lesivo si verificasse.

E, sempre nel rispetto dell’attuale concezione giuridica, va considerato che anche le conseguenze temporanee di una determinata lesione, per essere risarcite, devono avere come presupposto anzitutto un nocumento al bene salute del leso.

Solo successivamente, e laddove ne ricorrano gli estremi, andrà verificato se questo temporaneo nocumento alla salute del leso ha determinato anche un pregiudizio alle specifiche attività, attraverso le quali lo stesso soggetto è produttore di utilità economicamente rilevanti.

Pare opportuno ricordare, per avvalorare il concetto che non è scontato il parallelismo tra entità patologica certificata, o dai sanitari del pronto soccorso o dai medici che eseguono certificati di prolungamento di malattia, quasi sempre come banale "colpo di frusta rachide cervicale", e reale temporanea inabilità, ma che spesso è vero il contrario; ed ogni "distorsione del rachide cervicale" è unico per se stesso.

Infatti sono tanti i fattori che possono variare da un caso all’altro: l’età, la dinamica dell’incidente, il modo in cui è stato affrontato, le condizioni osteoarticolari, i

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legamenti e i dischi intervertebrali, la direzione dell’impatto e la velocità al momento dell’incidente.

A causa di questi molteplici fattori, i sintomi del colpo di frusta possono essere diversi da persona a persona, variando da un semplice indolenzimento a lesioni più o meno invalidanti.

Troppo spesso, il medico di famiglia si trova davanti a soggetti che ingigantiscono i sintomi (a fronte di scarsi rilievi obiettivi) talvolta con fini poco leciti, accumulando una certificazione di prolungamento della malattia davvero difficile da poter suffragare con elementi clinici obiettivabili, soprattutto se si parte dal presupposto che un tipico esempio di sintomatologia acuta, cosi come riportato dalla letteratura di merito, ha una durata media di circa tre giorni e spesso si risolve prima dei venti giorni.

Nei casi non complicati (ad esempio da fratture o lesioni midollari) che costituiscono la maggioranza, oltre alla terapia medica o ultrasuoni o fisioterapia prevede anche il collare che immobilizza il rachide cervicale.

Certamente ciò limita il soggetto negli atti della sua vita quotidiana che comunque non può giustificare un inabilità assoluta del 100% in quanto ad onor del vero bisogna puntualizzare che l’indicazione terapeutica prevede che va indossato per circa due settimane, soprattutto durante la notte e la guida; di giorno va portato a intervalli di due ore.

Ecco quindi la dimostrazione dell’esigenza di una più precisa percentualizzazione della temporanea non solo nel caso specifico della distorsione del rachide cervicale ma in tutte quelle entità nosologiche che sono caratterizzate da scarsi rilievi obiettivabili o "discutibili" per la loro influenza sull’espletamento degli atti, sia lavorativi, sia exstralavorativi, che caratterizzano la vita del soggetto prima che il fatto lesivo si verificasse e che comunque devono spingere il medico valutatore a fare un’approfondita anamnesi e analisi delle circostanze dei fatti non perdendo di vista anche la compatibilità con l’attività svolta dal soggetto e cioè se lavoratore dipendente o autonomo.

In ultima analisi occorre sottolineare la necessità di un giudizio di congruità dell’invalidità temporanea lavorativa osservata dal leso che è in funzione sia delle caratteristiche delle lesioni, sia dell’attività lavorativa svolta dal leso.

Indicando in caso contrario quale sarebbe stata la durata dell’invalidità temporanea lavorativa giustificata (rivalsa dell’I.N.P.S. e dell’I.N.A.I.L).

In conclusione, riteniamo che sia ormai da tutti sentita l’esigenza di superare l’incoerenza di un giudizio che non tiene conto della realtà biologica e l’ambiguità di un parere tecnico che, espresso con riferimento alla invalidità temporanea lavorativa, già ora sia in sede stragiudiziale sia dal Giudice civile tradotto in termini di danno biologico temporaneo e come tale risarcito, anche se si tratta pur sempre di giudizio convenzionale e come tale impreciso ma forse più aderente a quel tentativo di equità che deve ispirare il giudice ed anche il medico legale sia in veste di suo ausiliario, sia in sede extragiudiziale.

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