• Non ci sono risultati.

Azione di regresso ex art. 11 T.U. del 1965 ed attuali limiti al recupero da parte dell'INAIL

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Azione di regresso ex art. 11 T.U. del 1965 ed attuali limiti al recupero da parte dell'INAIL"

Copied!
10
0
0

Testo completo

(1)

Azione di regresso ex art. 11 T.U. del 1965 ed attuali limiti al recupero da parte dell'INAIL

di

Enzo Vincenti*

Alcune considerazioni di ordine generale consentono di introdurre il contenuto di questo intervento incentrato su particolari aspetti dell'istituto del regresso in tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Dunque, una preliminare e compendiosa riflessione, che solo in apparenza può sembrare prescindere da quelle problematiche tecnico-giuridiche investenti ambiti specifici della materia da esaminarsi, le quali costituiscono in ogni caso il referente privilegiato della presente trattazione, frutto del quotidiano operare in un settore della giurisdizione delimitato e fortemente caratterizzato, quale è quello lavoristico e previdenziale, ove la soluzione del caso concreto risulta, più che altrove, condizionata dall'incedere pressante delle novità legislative, imposte dal continuo, a volte incerto, mutamento della realtà socio-economica e da una giurisprudenza consapevole di tale substrato di intervento e, non infrequentemente, precorritrice del legislatore di settore.

E' evidente che, proprio sotto il profilo da ultimo accennato, il pensiero corre indubbiamente a valorizzare l'incidenza del solco interpretativo impresso alla materia dai variegati interventi della Corte Costituzionale, apparsi più di una volta soverchiare l'atteggiamento prudente del giudice di legittimità invero, poi solerte ad un rapido allineamento, se non addirittura (come si vedrà più oltre ) ad un ribaltamento di posizioni consolidate anche laddove non era tenuto dal vincolo della pronuncia del Giudice delle leggi e sintonizzarsi maggiormente con le istanze preconizzanti della giurisdizione di merito.

Si è, pertanto, assistito ad una peculiare frantumazione di un sistema normativo quello della legislazione assicurativa obbligatoria sull'infortunistica del lavoro in apparenza solido e soprattutto frutto di una ragionata esperienza, rielaborata anche sotto la spettro informatore dei principi costituzionali di settore (art. 38 cost.).

A prescindere, infatti, da ogni considerazione sulle categorie giuridiche nazionalizzanti il sistema complessivo del T.U. n. 1124/65 (quella del principio del rischio professionale e quella, distinta ed autonoma, del concetto di rischio professionale), non può non convenirsi, insieme ad acuta dottrina, sul fatto che all'impianto della tutela infortunistica si è pervenuti come risultanza di determinati rapporti di forza delle contrapposte compagini sociali coinvolte, cristallizzatasi in atto legislativo di mediazione quale "immagine speculare dell'assetto raggiunto dagli interessi contrastanti facenti capo alle diverse forze sociali".

Un dinamismo sociale, dunque, che, seppur faticosamente lievitato dai principi costituzionali ed in cerca della loro attuazione è stato ricondotto ad unità ed ha trovato approdo nella definizione legislativa del T.U. del 1965, la quale rivela indubbiamente come la primaria attenzione sia quella della garanzia dei lavoratori per i rischi connessi all'attività lavorativa, precipuamente considerati dal referente normativo di cui al 2° comma dell'art. 38 Cost.; nondimeno, si è, però, ricercato al contempo proprio perché frutto di mediazione tra interessi contrapposti un punto di equilibrio ovvero un contrappeso di sostegno alle sottese istanze della controparte imprenditoriale, che è stato rinvenuto nell'istituto dell'esonero, sia pur parziale, della responsabilità civile del datore di lavoro (2).

Una siffatta mediazione legislativa, dopo un apprezzabile periodo di stabilità, è stata investita dagli accennati fermenti evolutivi della giurisprudenza ed in particolar modo da quella costituzionale, in tal modo forzandosi gli ambiti definiti della regolamentazione positiva; naturalmente per le intime correlazioni poste tra la disciplina dell'esonero e quella del regresso dell'Istituto previdenziale, anche

*

(2)

quest'ultimo settore ha decisamente risentito delle nuove e più aggiornate istanze di tutela che venivano ad affermarsi.

Orbene, quel che preme evidenziare è che, nella materia in questione, l'intervento giurisprudenziale non appare essersi originato come diretto ed immediato interprete del conflitto di forze che si è visto essere alla base della produzione legislativa, mutuando la propria legittimazione in base ad una consapevole e subitanea applicazione dei precipitati giuridici scaturenti dall'art. 38 Cost.

e, dunque, in virtù di una elaborazione propria di settore, bensì abbia raccolto e portato ad ulteriore logica conseguenza i risultati di un'altra felice tappa dello sviluppo interpretativo, quella riguardante la tematica della tutela del diritto alla salute nel campo dell'ordinaria responsabilità civile risarcitoria.

Non vi è dubbio che quest'ultima abbia proceduto per un certo tempo in modo autonomo, senza evidenziare contatti con il settore della tutela infortunistica del lavoro: ne è prova, che i momenti paradigmatici di emersione del fermento giurisprudenziale in materia di c.d. danno biologico dapprima la sentenza n. 88 del 1979 e poi, quella fondamentale, n. 184 del 1986 della Corte Costituzionale hanno trovato ragione esclusiva di affermarsi nell'ambito esclusivo della responsabilità civile ordinaria, senza alcun aggancio alla problematica previdenziale.

Se una prima e, forse, non esaustiva, spiegazione della separazione iniziale dei pieni di intervento in questione può essere rinvenuta nella diversità di oggetto della tutela previdenziale rispetto e quella risarcitoria ordinaria, nondimeno il raccordo che emerge essersi realizzato tra tali settori ordinamentali va ascritto a merito di una raggiunta consapevolezza giurisprudenziale, la quale ha saputo di per sé valorizzare forse, in un momento di assenza di quel dinamismo sociale propulsivo dell'intervento del legislatore il termine di riferimento essenziale e comune di entrambe le specifiche tutele e cioè la persona umana, in ogni caso coinvolta nella sua intera complessità e come tale da apprezzarsi nel frangente del ristoro indennitario o risarcitorio di quei pregiudizi che ne vengono a menomare le possibilità di esplicazione nei vari settori dell'esistenza, tra cui quello lavorativo costituisce, certamente, parte non secondaria.

Le accennate interferenze di campo, se da un lato hanno fornito la stura ad un globale ripensamento di assetti consolidati, per altro verso si pongono come fattore maggiormente problematico della disciplina che ci occupa in particolare.

Dato acquisito, ormai, è quello della nuova formulazione della fattispecie legislativa, a seguito dell'intervento demolitorio del Giudice delle leggi, dell'istituto del regresso consentito all'INAIL, nei confronti del datore di lavoro, a dei suoi incaricati, responsabili civilmente per l’infortunio o la malattia professionale del lavoratore dipendente in base all'art. 11, 1° e 2° comma del d.p.r. 1124/65, una volta accertata la penale responsabilità di detti soggetti anche in via incidentale dal giudice civile, l’istituto assicuratore può agire per la ripetizione dai medesimi delle “somme pagate” all’infortunato o ai suoi aventi diritto a titolo di indennità e di spese accessorie, ma non può “avvalersi, nell'esercizio del diritto di regresso... , anche della somma dovute al lavoratore infortunato a titolo di danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica” (così la parte dispositiva della sentenza n. 485/1991 della Corte Costituzionale, dichiarativa dell'illegittimità costituzionale “in parte qua” del citato art. 11, 1° e 2' comma T.U. n. 1124 del 1965 ).

In sostanza, la norma, che sino ad allora ara stata interpretata ed applicata secondo il principio per cui il rimborso spettante all'INAIL trovava il suo unico limite nel complessivo ammontare del risarcimento che sarebbe dovuto all'infortunato da parte del responsabile secondo la norme generali sui danni da fatto illecito e, dunque, senza possibilità di selezionare tipo e voce di danno, viene esplicitamente ridotta nella sua portata dispositiva e preclude all'Istituto assicuratore il rimborso integrale di quanto erogato, non solo nei limiti del "quantum” risarcitorio stabilito a norma del codice civile, ma in relazione ad una individuata e determinata voce di danno.

Al contempo, la stessa sentenza n. 485 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 10, 6° e 7° comma del medesimo T.U. "nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio è derivato, al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità

(3)

lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall’INAIL”.

Il parametro di costituzionalità che si è ritenuto in entrambe le ipotesi vulnerato è l'art. 32 Cost. e cioè il presidio della tutela della salute; gli interventi invalidanti si presentano, dunque, coessenziali e legati dalla medesima “ratio”', quella di preservare all’assicurato l'integrale risarcimento del danno biologico, alla stregua di un diritto costituzionalmente tutelato.

Come è noto, l'approdo raggiunto dalla Corte Costituzionale è frutto di una rotta già ben tracciata in precedenza, essendo sufficiente rammentare al riguardo i congruenti e coevi interventi segnati dalle pronunce n. 87 e n. 356 del 1991: la prima, di inammissibilità sulla questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3 e 74 d.p.r. 1124/65 nella parte in cui non si prevede il risarcimento del danno c.d. biologico patito dal lavoratore nello svolgimento e a causa delle proprie mansioni, ciò

“richiedendo scelta discrezionali riservate a un (peraltro auspicabile) intervento legislativo”; la seconda, di accoglimento e dichiarativa dell’illegittimità dell'art. 1916 c.c. concernente la disciplina della surrogazione dell'assicurato nei diritti dell'assicurato negli stessi termini poi ribaditi nella sentenza n. 485, che mutua dalla pronuncia n. 356 il proprio iter argomentativo e l’evidente analogia di situazioni.

Il percorso non si è poi arrestato e, invero coerentemente con le premesse, lo stesso Giudice delle leggi questa volta preceduto dalla Corte di legittimità ha fornito il suo autorevole avallo (sentenza n.

37 del 1994) alla ulteriore opera di erosione del contenuto del diritto di regresso dell’INAIL, questa volta inibito in relazione al “quantum” risarcitorio dovuto dal responsabile civile a titolo di danno morale, in precedenza voce pacificamente inglobata nel limite quantitativo che costituiva referente dell'azione di regresso.

Ciò compendiosamente premesso in termini di ricostruzione sistematica appare rilevante l'esame di alcune peculiari questioni poste dalla materia che ci occupa. Nella trattazione che segue vi è la consapevolezza di una sovrapposizione al già ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ha avuto modo di affermarsi ed, in tal senso, ho ritenuto di privilegiare, rispetto alla compiutezza della analisi autorevolmente intervenute quegli spazi o spunti critici sebbene tramite una disorganica e non certo esaustiva lettura che pur tuttavia permangono e che trovano correlazione con la esigenze immediate dell'operatore giuridico di settore.

I punti di emergenza delle maggiori difficoltà interpretative a dei non ancora sopiti contrasti applicativi della normativa in tema di regresso INAIL vanno enucleati, esemplificativamente, nella interferenza del concetto di capacità lavorativa generica sul contenuto del c.d. danno biologico e nella esclusione del danno morale dal coacervo del complessivo credito su cui viene esercitata detta azione da parte dell'Istituto assicuratore; a ciò si aggiunge, in stretta interdipendenza con le implicazioni che pone la “ratio” giustificatrice della accennata autonomia del danno morale, la meno considerata tematica del pregiudizio alla capacità lavorativa specifica, nonché, rispetto alla intera problematica in esame, le incidenze di ordine squisitamente processuale che possono trovare origine in virtù della disciplina speciale del rito di cui agli artt. 442 e ss. c.p.c., incontestatamente applicabile alla fattispecie dell'azione regolata dall'art. 11 T.U. n. 1124/65.

Il primo tema accennato, danno biologico e capacità lavorativa generica, è quello che, senza dubbio, presenta il più ampio spettro di difficoltà interpretative, ciò comportando una difformità di soluzioni del caso concreto, a discapito, naturalmente, del superiore principio di certezza del diritto.

Al riguardo, i contrasti in materia iniziano, per così dire, sin dall’origine, essendo in discussione addirittura e soprattutto l’esatta individuazione del contenuto concettuale dei due termini in correlazione, con conseguenti inscindibili implicazioni sull'estensione, significato e natura della tutela provvidenziale gestita dall’INAIL.

Ricondurre ad unità le variegate posizioni dottrinali ed i divergenti orientamenti giurisprudenziali appare, allo stato, impresa assai ardua; ritengo, con questo intervento, di offrire, al più, un contributo chiarificatore, naturalmente consapevole che trattasi di ulteriore opinione che va ad aggiungersi ad altre già autorevolmente manifestate.

(4)

Orbene, punto di partenza dell'analisi è l'individuazione del concetto giuridico del c.d. danno biologico e, stante la pluralità di fonti attendibili al riguardo, la delibazione mutua i suoi contenuti dall’opzione interpretativa espressa dalla Corte Costituzionale in una seria di note pronunce (tra cui anche quelle già citate), che costituiscono strumenti di giuridica valutazione, non solo dotati di rilevante autorevolezza, ma, in alcuni casi, di necessario ed obbligato riferimento, stante la valenza precettiva e vincolante (laddove, evidentemente, si sia addivenuti all’invalidazione della norma scrutinata).

Riassumendo concisamente il percorso ermeneutico seguito dal Giudice delle leggi, può innanzitutto affermarsi la sostanziale sinonimia delle espressioni “danno biologico” e “danno alla salute” rispetto al contenuto concettuale che con le stesse s’intende esprimere, sebbene un uso giuridico proprio delle due definizioni porti a ritenere insieme a parte autorevole di dottrina e giurisprudenza sussistente una distinzione di ambiti e la maggiore estensione o, meglio, l'onnicomprensività del concetto di danno alla salute, rispetto al quale il danno biologico è soltanto un aspetto, quello statico, attinente alla lesione dell'integrità psicofisica in sé per sé considerata, mentre accedono all'interno del più ampio termine definitorio del danno alla salute anche quei pregiudizi che incidono su tutti gli ulteriori attributi primari ad inscindibili della persona umana e cioè sul modo in cui l'uomo viene complessivamente ad esplicarsi nella sua esistenza, manifestando le proprie coessenziali attitudini (aspetto c.d. dinamico del danno alla salute).

In realtà, nella nota sentenza n. 184 del 1986 una tale distinzione risulta espressamente auspicata;

difatti, posto il fondamentale discrimine tra danno/evento e danno/conseguenza ascrivendosi alla prima categoria “la menomazione dell’integrità psicofisica dell’offeso” quale evento interno al fatto illecito e costituente un tipo specifico di danno in quanto identificantesi con un tipo specifico di evento, che, come tale, una volta provato nella sua esistenza diventa immancabilmente risarcibile mentre al genere danno/conseguenze vanno ricondotti sia il danno morale che quello patrimoniale in quanto componenti esterne dell'intero fatto illecito, comprensiva dell'evento, al quale sono legati da un ulteriore nesso di causalità (distinto da quello che sussiste all’intorno della fattispecie dell’illecito tra comportamento ed evento), la risarcibilità dei quali è condizionata innanzitutto dall'esistenza del fatto illecito, ponendosi, poi, rispetto a quest'ultimo soltanto come eventuali la corte affronta il problema dei “contenuti semantici delle varie espressioni usate in materia della giurisprudenza e dalla dottrina” pervenendo alla conclusione che danno biologico, danno fisiologico e danno alla salute, laddove si ponga “l'accento sull'evento, naturalistico interno alla struttura del fatto lesivo della salute”, costituiscono espressioni “equivalenti” diversamente e nell'ipotesi in cui manchi la suddetta precisazione, dove reputarsi “più corretto parlare di lesione della salute e non di danno alla salute, lasciando al termine danno l’accezione naturalistica che di regola assume in sede privatistica” e ciò perché la lesione alla salute, quale bene giuridico costituzionalmente tutelato dall'art. 32 Cost., “è l'intrinseca antigiuridicità obiettiva del danno biologico o fisiologico essa appartiene ad una dimensione valutativa, distinta da quella naturalistica, alla quale invece fanno riferimento le locuzioni danno biologico e danno fisiologico” e come tale seppur si voglia in tale contesto giuridico costituzionale continuare a parlare di danno alla salute in luogo di lesione alla salute “è un danno giuridicamente valutato, costituente l’essenza antigiuridica dell’intero fatto illecito, danno presunto, se è vero che non va provato alcun effettivo impedimento delle attività realizzative del soggetto offeso”.

Dunque, una distinzione di significati appare in materia assumere rilievo per la sentenza n.

184/1986 ed, a ben guardare, un rilievo non meramente accademico, considerato che, una volta provata la menomazione dell’integrità psicofisica e cioè l’esistenza del danno biologico naturalisticamente inteso, viene da sé l’esistenza della compromissione delle “attività realizzative del soggetto offeso”, attenendo questa ad una dimensione prettamente valutativa del pregiudizio al bene salute, che in definitiva si sostanzia in un danno “presunto”.

Invero, se non si segue, l’ulteriore corso motivazionale della pronuncia, l'esaminata precisazione semantica sembra perdere di efficacia, considerato che si ritrova in diversi contesti un uso praticamente indifferenziato della due locuzioni; è certo, comunque che la ritenuta sinonimia non può

(5)

essere posta in dubbio proprio in virtù dell'accezione di danno biologico assunta successivamente dalla stessa Corte Costituzionale ed, in particolare, nella sentenza n. 356 del 1991 che costituisce il presupposto delle pronuncia n. 465 del 1991 sull'azione di regresso dell’INAIL, laddove, partendosi dall'affermazione secondo cui “la menomazione dell'integrità psicofisica del soggetto offeso costituisce quindi danno integralmente risarcibile di per se stesso” che evoca il significato eminentemente naturalistico della locuzione, si giunge però a delineare l'autonomia concettuale del

“danno biologico”, così definito, rispetto ad un ambito di tutela risarcitoria che implica di per sé la dovuta “considerazione" di tutti i riflessi pregiudizievoli che vengono ad incidere sullo svolgimento integrale della personalità umana.

Si afferma, difatti: “la considerazione della salute come bene e valore personale, in quanto tale garantito dalla Costituzione come diritto fondamentale dell’individuo, nella sua globalità e non solo quale produttore di reddito, impone invece di prendere in considerazione il danno biologico, ai fini del risarcimento, in relazione all'integrità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stesa nella propria vita: non soltanto, quindi, con riferimento alla sfera produttiva, ma anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva ed ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana”.

Appare, pertanto, evidente che l'accezione risulta ora comprensiva di quel contenuto semantico che in precedenza la Corte aveva ritenuto essere maggiormente pertinente al concetto di lesione della salute o di danno alla salute presunto e giuridicamente valutato.

Una siffatta conclusione si pone, e mio avviso, come fonte di un ulteriore passaggio logico- giuridico, che questa volta più che involgere i profili prevalentemente semantici, a volte frutto soltanto di astratto interesse può far emergere conseguenze di ordine squisitamente pratico.

Nell'ottica del concetto onnicomprensivo di danno biologico, la sentenza n. 356/1991 non pare, infatti, acquietarsi sul compendioso riferimento della pronuncia n. 184/1986 al “vulnus” delle “ attività realizzativi del soggetto offeso” che costituirebbero il contenuto del danno alla salute nella sua dimensione giuridico-costituzionale, “danno presunto/danno giuridicamente valutato”; tali ultime espressioni non si rinvengono nella motivazione della sentenza n. 356 ed è ben diversa la portata dell'utilizzato concetto di “danno integralmente risarcibile di per se stesso” che, non casualmente, è rapportato alla “menomazione dell'integrità psicofisica” e dunque a quell’aspetto naturalistico o statico del danno biologico, rispetto al quale, però, devono “considerarsi”, in termini di effettività e pienezza della tutela risarcitoria, anche gli ulteriori riflessi pregiudizievoli, praticamente influenti sulla

“sfera produttiva, spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva ...” (anche se l'indicazione non può ritenersi esaustiva).

Appare, quindi, potersi evincere che la necessità del ristoro integrale del danno biologico non prescinda dal contenuto che dello stesso è proprio e tale contenuto, a sua volta, non costituisca referente indifferenziato e, come tale, privo di apprezzabile rilievo, tanto, che dalla individuazione di singoli aspetti sostanziali non si giunge ad un risultato meramente definitorio, ma si effettua l'estrapolazione di uno di detti aspetti, attraverso un operazione interpretativa direttamente incidente sull'economia della pronuncia stessa e, correlatamente, su quella n. 485/1991, che ne riprende le argomentazioni.

In sostanza, non dubita la Corte che la “sfera produttiva” intesa nel senso di “attitudine a svolgere attività produttive di reddito” attenga all'ambito della tutela risarcitoria integrale del danno biologico (tenendosi ben distinta da quella della perdita o riduzione, effettiva e potenziale, di reddito quale conseguenza della menomazione dell’integrità psicofisica, costituente il danno patrimoniale in senso stretto), ma ritiene, altresì, che la copertura assicurativa INAIL “non ha ad oggetto il danno biologico di per se stesso e nella sua integrità” e ciò perché “le indennità previste dal d.p.r. n. 1124 del 1965 sono collegate e commisurate esclusivamente ai riflessi che la menomazione psicofisica ha sull'attitudine al lavoro dell’assicurato, mentre nessun rilievo assumono gli svantaggi, le privazioni e gli ostacoli che la menomazione comporta con riferimento agli altri ambiti e agli altri modi in cui il soggetto svolge la sua personalità nella propria vita”.

(6)

Operata, quindi, l'estrapolazione di un aspetto contenutistico del danno biologico, nonché recepita e ribadita siffatta impostazione nella sentenza n. 485 unicamente a quella secondo cui "allorquando la copertura assicurativa, in virtù di norme di legge o di contratto che la disciplina, non abbia ad oggetto il danno biologico, ai limiti ad indennizzare la perdita o riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto (come avviene per l'attitudine al lavoro nel regime dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), consentire che l'assicuratore, nell'esercizio del proprio diritto di surroga nei confronti del terzo responsabile, si avvalga anche del diritto dell'assicurato al risarcimento del danno biologico non coperto dalla prestazione assicurativa, significa, appunto, sacrificare il diritto dell'assicurato stesso all'integrale risarcimento di tale danno, con conseguente violazione dell'art. 32 della Costituzione", l'approdo finale è quello, appunto, della illegittimità costituzionale dell'art. 11, 1° e 2° comma d.p.r. 1124/65, norma i cui effetti dispositivi sono stati esplicitamente circoscritti tramite l'esclusione della facoltà di esercitare il diritto di regresso da parte dell'INAIL per le somme dovute al lavoratore infortunato "a titolo di risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica".

In definitiva, si è individuata secondo il significato proprio dell'espressione utilizzata nel dispositivo ed a maggior ragione in forza della "ratio" motivata che sorregge l'intera pronuncia esplicitamente la pertinenza della perdita o riduzione della capacità lavorativa generica intesa quale attitudine al lavoro (che del resto è l'unica locuzione utilizzata dal legislatore del T.U. del 1965 e rispetto alla quale non può che ritenersi effettuata la traduzione nei termini del tradizionale linguaggio giurisprudenziale e medico legale) come quota parte del danno biologico onnicomprensivo e, in modo non corto indifferente alle premesse "latu sensu" selettive che si è inteso sopra rimarcare, se ne è operata l'enucleazione.

Peraltro, in linea con il risultato cui è pervenuto il Giudice delle leggi appare quella dottrina che, condivisibilmente, rileva come "di fatto una parte preponderante delle prestazioni INAIL per invalidità permanente riguardano menomazioni senza reale incidenza sulla capacità di lavoro e di guadagno, tanto più nell'attuale situazione del lavoro che vede sempre più ridotta la quote dei lavori realmente manuali"; nel medesimo solco, poi, si pone la "Relazione della Commissione di esperti istituita dal Consiglio di Amministrazione dell'INAIL con delibera n. 59 del 5 novembre 1991" il cui documento finale è del 17/12/1993 nella quale si afferma che "INAIL indennizza ogni permanente menomazione di ordine biologico che possieda, in misura essenziale, riverbero funzionale dislavorativo ... Una conferma di quanto sopra rilevato viene dalla considerazione che le tabelle allegate al T.U. , pur se redatte in un periodo in cui il lavoro, agli affetti dell'assicurazione infortuni era riferito, come è noto, alla potenza del motore umano, nella loro quantificazione recano valori ben superiori e quelli che si otterrebbero in un'ottica strettamente meccanicistica dell'uomo e ben superiori a quelli propri della valutazione delle medesime menomazioni in sede di responsabilità civile ... Su tale presupposto la Commissione, ha ritenuto che l'attuale valutazione delle conseguenze dannose dell'infortunio sul lavoro e della malattia professionale ammesse all'indennizzo già inglobi, in certa qual misura, il danno biologico...ciò dovrebbe comportare ... una distinta imputazione del danno biologico di per sé considerato".

Non può, quindi, condividersi quell'altra parte di dottrina che, sulla scorta dell'apprezzamento delle finalità ad esigenze presenti nella mente del legislatore del 1965, riconduce l'indennità previdenziale nell'alveo del ristoro del solo lucro cessante e, dunque, esclude che possa in essa ritenersi ricompresa una quota di danno biologico cosi come non è da condividersi Cass. n.

8341/1991 che tale opinione dottrinale fa propria e, pur consapevole del contrasto con altre precedenti pronunce (Cass. n. 1954/1990, n. 5033/1988 e n. 2612/1986), assume, senza mezzi termini, che il c.d. danno biologico non è valutabile in alcun modo in sede di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

Va, pertanto, ribadito il ben diverso orientamento che si è visto discendere dalle esaminate pronunce della Corte Costituzionale e che trova ineludibile espressione nello stesso dispositivo della sentenza n. 485 del 1991, ciò naturalmente imponendo all'operatore del settore di affrontare il non facile problema di scorporare dal complessivo danno biologico dovuto all'infortunato la quota parte

(7)

imputabile alla sfera produttiva e cioè incidente sull'attitudine al lavoro, anch'essa attributo essenziale della personalità umana.

E' certamente auspicabile in materia un globale intervento di ridefinizione normativa dei contenuti e finalità dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, propugnato da Corte Cost. n. 87 del 1991 e dagli studi di settore indicato come risolutivo delle ormai troppe aporie di sistema, ma, nel frattempo, non è dato denegare giustizia e, pertanto, una soluzione dei casi concreti sottoposti alla cognizione del giudice s'impone.

Proprio al riguardo, non trovo impraticabile la linea di valorizzare il fattore "temporale", già seguita dal Tribunale di Milano immediatamente dopo l'intervento del Giudice delle leggi, con l'accorgimento invero di tener conto, nella considerazione del tempo giornaliero presuntivamente dedicato ad attività extralavorative, della c.d. "quota neutra" costituita dalle ore deputate al sonno e, dunque, presuntivamente sottratte alle attività realizzatrici della personalità estranea alla sfera produttiva; non, quindi, una quota pari ad 1/3 di danno biologico sulla quale l'INAIL può esercitare l'azione di regresso in tal modo quantificata secondo una correlazione alle ordinarie 8 ore lavorative nel corso della giornata bensì una quota superiore, che ben può indicarsi nella "metà" atteso che è dato presumere non essere proprio pari a 8 le ore dedicate al sonno ma un tempo, seppur di poco, inferiore: 6/7 ore e, soprattutto, presumere parte di esse funzionalmente collegate al recupero delle energie psicofisiche dispensate nelle ore lavorative e come tali riconducibili comunque nell'alveo dell'esplicazione della sfera produttiva della personalità umana.

Naturalmente, tutto ciò è da riferirsi alle somme pagate dall'Istituto per la rendita da inabilità permanente e, dunque, in correlazione al danno biologico c.d. permanente, non potendo esercitarsi l'azione di regresso sulla quota di risarcimento dovuto all'infortunato per il danno biologico c.d.

temporaneo, considerato che in tal caso la eventuale prestazione previdenziale quella per inabilità temporanea assoluta si risolve nella reintegrazione patrimoniale per la mancata prestazione lavorativa e, dunque, assolve alla funzione esclusiva di sopperire alla perdita reddituale effettiva, senza potersi fondatamente ravvisare l'imputabilità, anche parziale, dell'indennizzo al diverso ambito della mera attitudine al lavoro (più oltre, si vedrà se ed in che misura dette somme, in ragione della funzione loro propria, siano ricuperabili) .

Ciò precisato, ritengo, valorizzabile in questa fase di transizione verso l'auspicato nuovo modello di assicurazione obbligatoria, un ulteriore percorso, non alternativo e quello basato sul fattore

"tempo", ma integrativo del medesimo e suscettibile di adeguarsi alle innegabili peculiarità del "caso concreto" che viene all'evidenza nelle aule giudiziarie ed, al contempo, di restituire dignità alle regole del processo dunque, in primo luogo ai precipitati giuridici di garanzia che, nel giudizio civile (ed in quello speciale del lavoro), discendono innanzitutto dal rispetto regola generale del contraddittorio, senza per questo vulnerare il principio di intangibilità ed integrale risarcibilità del danno biologico.

Il discorso, indubbiamente, porta a considerare in primo luogo criteri e tecniche di valutazione del danno biologico ed alle sottese esigenze da preservare, tra cui quella di uniformità di trattamento, che però non può e non dove impedire la delibazione della peculiarità del caso singolo; una liquidazione, quindi, che equitativamente tenga uniformemente conto dei molteplici aspetti della personalità umana pregiudicati dalla menomazione dell'integrità psicofisica, ma che, laddove reso necessario dalla specificità del caso, possa consentire un ristoro satisfattivo dell'individualità insopprimibile del soggetto.

Del resto, ciò consente di salvaguardare il principio di non disparità in relazione al substrato del concetto di persona umana, come tale esprimente un valore comune per tutta "l'umanità" e di rendere effettivo e pieno il risarcimento dell'individuo, le cui potenzialità di affermazione nell'esistenza trovano variegate forme di espressione; nondimeno, in tal modo viene mantenersi l'unitarietà ed onnicomprensività del concetto di danno biologico, si evita la sua frammentazione in diverse ed autonome voci di danno, ma si evita anche di negare rilevanza ai contenuti propri di tale danno ed, anzi, se ne vivificano le peculiarità; in tal senso, l'operazione non pare discostarsi da quella che la stessa Corte Costituzionale ha effettuato con riferimento alla quota di danno biologico indennizzata dall'INAIL perché afferente al ristoro della sfera produttiva (alla quale innanzi, è stata quindi data

(8)

evidenza proprio per i suoi possibili effetti pratici), concretandosi in una operazione selettiva e nella possibilità di scorporo di singoli aspetti del contenuto complessivo ed unitario.

Ciò promesso, l'attenzione dove trasmigrare sul piano processuale, considerato che la divisata impostazione liquidatoria non può assolutamente prescindere dall'idonea attivazione della parte interessata, la quale sarà onerata di allegare, in punto di fatto ed in modo specifico, quali siano gli aspetti prettamente relazionali, culturali, sociali o comunque collegati al suo valore di "uomo", esulanti dalla mera attitudine al lavoro, tali da esser stati pregiudicati nella loro essenza individuale e cioè aldilà dell'ordinaria considerazione della possibilità esplicative della personalità, ciò costituendo il referente della specificità del caso concreto e dell'effettività e pienezza del ristoro.

Tale punto di vista, evidentemente tipico dell'azione risarcitoria del danneggiato (naturalmente, anche di quello che agisce ai sensi dell'art. 10, 6° e 7° comma d.p.r. n. 1124/1965 nei confronti del datore di lavoro responsabile civilmente per l'infortunio lavorativo), può peraltro adeguarsi al diverso ambito dell'azione di regresso esercitabile dall'INAIL, ove in ogni caso il punto di emergenza è il credito risarcitorio dovuto dal responsabile civile all'infortunato; in tal senso, le specificità individuali che invero non sembrano esser cosi rare verrebbero ad incidersi positivamente o negativamente (e ciò a seconda della loro esistenza), sull'ammontare risarcitorio utile per il ricupero dell'Istituto, interagendo con il criterio temporale sopra accennato, nel senso di allargare o diminuire la fascia del tempo imputabile alla sfera eminentemente produttiva, rispetto e quella relativa all'esplicazione degli altri aspetti della personalità.

Un siffatto onore di allegazione, al quale conseguentemente viene a rapportarsi il "thema probandum", appare doversi addossare, nella specifica ipotesi, all'INAIL, il quale agisca per il recupero della somme pagate in base ad una fattispecie legale quella dell'art. 11 T.U. del 1965 che ormai costitutivamente esclude tra esse quelle dovute all'infortunato a titolo di danno biologico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica; dovrà, quindi, essere l'Istituto a dover allegare e provare quale quota di risarcimento del danno è ancora oggetto del regresso e, naturalmente, a doversi in tal senso attivare nel rispetto delle regole processuali proprie del rito lavoro, tra cui primariamente l'art. 414, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., che impone sin da subito al ricorrente l'esposizione delle ragioni di fatto e diritto a fondamento della domanda e la determinazione della stessa, nonché l'indicazione delle istanze probatorie e le produzioni documentali.

Non può, in ogni caso, escludersi che una tale indagine venga introdotta dal datore di lavoro evocato in giudizio, avendo costui sicuro interesse a valorizzare, ai fini della esatta determinazione della pretesa risarcitoria dell'assicurato soprattutto laddove il lavoratore danneggiato non abbia esercitato l'azione risarcitoria, le funzioni estranee a quella socialmente rilevante costituita dall'attitudine al lavoro, quale esclusa dall'indennizzo previdenziale e, pertanto, non recuperabile dall'INAIL.

A questo punto il discorso necessariamente deve essere allargato alla considerazione delle ulteriori voci di danno sulle quali l'azione di regresso dell'Istituto assicuratore viene ad incidere e rispetto alle quali ci si chiede se possa ancora trovare soddisfazione.

Si è accennato inizialmente al "revirement" della giurisprudenza di legittimità rispetto al precedente e consolidato orientamento che riteneva sicuramente ricompresa la componente del danno morale nel complessivo ammontare risarcitorio quale unico limite quantitativo che incontra l'assicuratore allorché agisce in surroga ex art. 1916 o in regresso ex art. 11 d.p.r. 1124/65 ("ex plurimis" Cass. 4928/88 e 11296/91), è qui sufficiente rammentare le ragioni della revisione operata dalla Cassazione, le quali si compendiano nell'affermazione secondo cui i limiti dell'azione devono essere ricercati nel rapporto assicurativo e nella sua funzione indennitaria, escludendosi dunque dall'ambito della surroga o del regresso quelle componenti del danno spettanti al danneggiato nei confronti del terzo o del datore di lavoro che siano estranee alla copertura assicurativa, diversamente venendo espropriato l'assicurato del suo diritto all'integrale risarcimento del danno, con conseguente palese violazione del principio generale espresso dall'art. 2043 c.c. (così, in sostanza, Cass. nn. 7577 e 11277 del 1992).

(9)

Il nuovo corso della corte di legittimità che invero coevamente trovava resistenza in una pronuncia, la n. 11098/1992, riaffermante l'indirizzo progresso ha consentito al Giudice delle leggi, con la sentenza n. 37/1994, di ritenere infondata la questione di illegittimità costituzionale relativa alla pretesa estensione del regresso INAIL alle somme dovute dal responsabile civile per il titolo in questione, con motivazione adesiva all'orientamento di nuovo conio.

Quel che, allora, preme qui sottolineare, non è tanto la congruenza o meno della nuova interpretazione che, peraltro, trova convincente supporto nel diffuso impianto argomentativo utilizzato dalla Cassazione ed autorevole avallo dalla Corte Costituzionale, bensì le coerenti conseguenze che dalla stessa devono trarsi, considerato che il rapporto di necessarietà tra copertura assicurativa ed azione di regresso non si arresta a determinare l'esclusione del danno morale dalla possibilità di ricupero dell'Istituto, ma investe anche quelle altre voci di danno che l'assicurazione stessa non copre.

Nel senso appena evidenziato rileva evidentemente il c.d. danno patrimoniale "puro" o in senso stretto, quale specifico titolo di danno che proprio nell'ottica di uno sviluppo coerente del suddetto orientamento favorevole ad estendere la risarcibilità in via ordinaria ed a circoscrivere la portata della

"copertura assicurativa si verrebbe a porre, se del caso, nell'alveo di quei pregiudizi non coperti dalle indennità INAIL, se è vero che ancora la Corte Costituzionale sentenza n. 356/1991 ha condivisibilmente rilevato che la copertura assicurativa prevista dall'attuale sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non ha per oggetto esclusivamente il danno patrimoniale in senso stretto ove per tale si intenda la perdita o la riduzione del reddito posto che la prestazione dell'INAIL spetta a prescindere dalla sussistenza a mano di una effettiva perdita o riduzione dei guadagni dell'assicurato".

In sostanza, anche in tale ipotesi la specificità del caso concreto assume fondamentale ed imprescindibile rilievo e, di conseguenza, si ripongono le osservazioni che in precedenza sono state sviluppate in ordine ai rapporti tra contenuto dell'azione e dimensione processuale del suo esercizio.

Non in tutti i casi, infatti, la copertura assicurativa INAIL manca di indennizzare il danno patrimoniale puro e ciò avviene soltanto laddove l'assicurato evidentemente mantiene lo stesso tenore reddituale che aveva prima dell'infortunio o della malattia professionale.

Appare, quindi, esercitabile il regresso per le prestazione indennitario collegate all'inabilità temporanea assoluta ovviamente, per la parte non pertinente al danno biologico temporaneo che si correva alle funzioni extralavorative e cioè per quel periodo di tempo in cui la malattia (ascrivibile all'evento assicurato) sospende l'obbligazione lavorativa ed interviene l'indennizzo previdenziale a sostituire l'obbligazione retributiva nella sua tipicità di corrispettivo all'interno di un rapporto sintagmatico.

Analogamente dove ritenersi nelle ipotesi in cui sempre mantenuta salva la quota di danno biologico della quale innanzi si è discusso la corresponsione della rendita per inabilità permanente si sovrapponga alla percezione da parte del lavoratore beneficiario della normale retribuzione sino ad allora goduta.

Diversamente, dovrà opinarsi nel caso in cui, a seguito dell'evento pregiudizievole assicurato, vengano meno specifici e determinati emolumenti costituenti il reddito professionale, ovvero la concreta possibilità acquisitiva di maggior reddito, dei quali la prestazione indennitaria, di regola, non tiene conto, essendo funzionalmente correlata alla normale attitudine lavorativa e liquidata in base a retribuzioni convenzionali e comunque entro determinati minimali o massimali di reddito.

In definitiva, il limite all'azione di regresso, in quanto carente la copertura assicurativa, si presenta evidente nelle ipotesi ove sussiste per l'assicurato il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, da mancato guadagno e/o lucro cessante, collegato al "vulnus" di peculiari professionalità (si pensi, solo esemplificativamente, a quelle impegnate in altissima tecnologia o in settori strategici del mercato aziendale), le quali costituiscono fonte addizionale di reddito rispetto e quello conseguibile in virtù della generica capacità lavorativa; in tal senso, può, quindi, affermarsi l'esclusione della copertura assicurativa in relazione al danno alla specifica capacità lavorativa dell'assicurato, quale ascrivibile al

(10)

genere del danno/conseguenze, secondo l'insegnamento della richiamata sentenza n. 184/1986 della Corte Costituzionale.

Riprende, pertanto, importanza il profilo processuale dell'azione di regresso, con le sue implicazioni in tema di individuazione dell'oggetto della pretesa e dell'impianto allegatorio a sostegno della stessa, anche se diversamente per quanto concerne il danno biologico come elemento costitutivo, seppure in negativo, della fattispecie legale vigente all'esito dello scrutinio di legittimità costituzionale la limitazione della facoltà di recupero in relazione agli ulteriori danni non oggetto di copertura assicurativa dovrebbe, questa volta, trovare ingresso in giudizio tramite idonee contestazioni da parte del convenuto datore di lavoro, volte a far contenere le pretese creditorie dell'Istituto, al quale spetta nello specifico allegare e provare le somme pagate a titolo di indennità.

Nondimeno, può escludersi la partecipazione al giudizio dello stesso lavoratore infortunato, rispetto al quale l'ipotesi della comunanza di causa potrebbe fondare una chiamata anche "iussu iudicis" (giammai essendo ipotizzabile un litisconsorzio necessario per l'autonomia che in ogni caso permane tra l'azione di regresso INAIL e quella risarcitoria dell'infortunato); la costituzione in giudizio del lavoratore potrebbe, infatti, consentire l'acquisizione di quegli elementi utili all'opera di delle voci di danno, con evidente beneficio per l'attività di cognizione sull'accertamento del complessivo ammontare del danno dal medesimo subito, secondo una corretta imputazione ad individuazione del "quantum" delle singole voci che lo compongono.

Evidentemente tutto ciò sottende che ciascun soggetto processuale, nell'ambito dei propri compiti, si attivi con rinnovato impegno per un corretto e proficuo svolgimento del giudizio ed impone al giudice, in particolare, una conduzione attenta e scrupolosa del processo, segnata sin dell'inizio da un accurato esame della struttura e contenuti dell'atto di impulso.

Tutela sostanziale e regole processuali trovano, quindi, nella vicenda esaminata, in quella selezione delle varie voci di danno che vanno a comporre il coacervo creditorio sul quale è ammissibile il ricupero INAIL, ciascuna con propria autonomia strutturale, ed, in sostanza, nella perduta compattezza dell'azione di regresso ex art. 11 d.p.r. n. 1124/65, nuove ragioni per ribadire una compenetrazione necessaria ed ineludibile, laddove si intenda affermare la pienezza di imprescindibili garanzie in un ambito di certezza giuridica, che anche nello specifico settore deve poter essere in pieno recuperata, al fine di elidere ogni ambito arbitrario di giudizio, seppure in un momento di transizione e di difficoltà interpretative, che in ogni caso nulla hanno a che vedere con una gestione del processo negligente e sciatta, imputabile soltanto alla carente assunzione delle proprie specifiche responsabilità da parte di tutti i soggetti che in esso operano.

Riferimenti

Documenti correlati

Il datore di lavoro che preveda di erogare, nel periodo di tempo per il quale deve essere anticipato il premio, retribuzioni inferiori a quelle effettivamente corrisposte

19, è stato pubblicato il decreto interministeriale 31 ottobre 2002, che rivaluta le prestazioni economiche erogate dall'Istituto nel settore industriale con

- Il datore di lavoro che preveda di erogare, nel periodo di tempo per il quale deve essere anticipato il premio, retribuzioni inferiori a quelle

Oggetto: Assegno per l'assistenza personale continuativa. La Corte Costituzionale, con l'allegata sentenza n. 3, in relazione ad un caso di paraparesi spastica agli

A seguito di tale provvedimento, le rendite per inabilità permanente erogate dall'Istituto indipendentemente dal loro ammontare annuo, saranno pagate a rate

A norma dell'art. 116 del testo unico sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con decreto del

488; per la liquidazione delle rendite per inabilità permanente e delle rendite ai superstiti, la retribuzione convenzionale annua stabilita ogni triennio con

Responsabile UOS Programmi di Screening ATS Brianza Tutor Medici Specializzandi in Igiene Epidemiologia e Sanità Pubblica Università degli Studi Milano Bicocca Referente per UOS