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Ottobre - Novembre 2020 BIMESTRALE Anno 2 N. 5/2020

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Academic year: 2022

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Cresce la micromobilità per muoversi in modo sostenibile

Paolo Serra - Pag. 14

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Ottobre - Novembre 2020 BIMESTRALE Anno 2 N. 5/2020

L’Italia, nonostante sia particolarmente esposta ai danni causati dal cambiamento climatico, ha rallentato il passo sulla strada della decarbonizzazione. Dopo un decennio di buone performance, che tra il 2005 e il 2014 ha visto diminuire del 27% le emissioni, un taglio di 160 milioni di tonnellate di gas serra, dal 2014 al 2019 si è raggiunto appena l’1,6% di riduzione in concomitanza con una timida ripresa economica. M.A. Melissari - pag. 17

Editoriale

Resilienza

Riccardo Bucci - Pag. 3

Lazio, terza regione italiana per numero di imprese che fanno eco-investimenti M. A. Melissari - Pag. 13

Nuovo fotovoltaico nel settore agricolo.

Una scelta green per il Paese e per il clima Riccardo Milozzi - Pag. 8

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Come si valuta l’impatto di un intervento dell’uomo sull’ambiente?

Massimo Luciani - Pag. 12

La bussola del clima per indirizzare i finanziamenti “green” del recovery plan e raggiungere la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra al 2030

Porcini autunnali: i consigli dello Chef Correra per acquisti consapevoli

Corrado Correra - Pag. 6

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La pubblicazione resta ad insindacabile giudizio dell’editore

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Seconda ondata Covid 19. Momenti ancora più difficili per famiglie e imprese.

In questo 2020 funestato da violenti episodi di crisi climatiche, da una pandemia che non si arrende, da dispersione del patrimonio economico familiare e aziendale, i temi ambientali e la presa di coscienza che l’economia lineare non è più un sistema perseguibile sono entrati di prepotenza nel dibattito pubblico.

Per capire l’impatto che questo 2020 ha

avuto sulle nostre esistenze, e sul pianeta, serviranno molti anni. Il virus ha dato una svolta alla storia? In quale direzione?

L’umanità ha preso coscienza della fragilità del suo vivere al di sopra della disponibilità di risorse naturali? Sono solo alcuni degli interrogativi ai quali troveremo risposta con il passare del tempo e se metteremo tutti in atto alcuni cambiamenti necessari.

Eppure cresce un sentimento di speranza, perché l’emergenza sanitaria e tutto quanto accade hanno imposto tante nuove riflessioni e un rinnovato impegno nel progettare un futuro resiliente, giusto e sostenibile. La parola chiave è resilienza, come fanno gli alberi che, pur perdendo le foglie in autunno, si rinnovano ogni anno in primavera e crescono ogni giorno, adattandosi e conquistando nuovi spazi vitali. La ricetta è dare spazio e attenzione a tante idee nuove, tenendo ben presente che l’umanità deve comunque affrontare un’altra grande emergenza, quella climatica e, non meno importante, che l’uomo deve trovare un diverso equilibrio sulla base di una nuova visione nel suo rapporto con la natura, con gli altri, con le cose e con sè stesso.

Cambiare rotta è diventato necessario a partire da noi cittadini, che dobbiamo modificare le nostre ormai consolidate abitudini per assumere nuovi e migliori comportamenti, meno impattanti tanto sull’ambiente quanto sull’organizzazione di Riccardo Bucci - Direttore Responsabile, Vivere Sostenibile Lazio

L’EDITORIALE

([email protected])

sociale. Non si tratta solo di sostituire il SUV con l’auto ibrida, ma di andare di più in bicicletta, lasciando l’auto in garage. E ancora, non di comprare solo le offerte 3x2 al supermercato, ma di consumare il più possibile prodotti biologici e naturali, a km zero, evitando possibilmente gli sprechi a cui il vecchio sistema economico ci ha abituato. Si può ragionare su ciò che acquistiamo, guardare con occhi nuovi l’impiego del nostro tempo, la nostra salute, i rapporti sociali e relazioni personali, la comunità e il territorio. Finalmente anche le Istituzioni e gli Stati di tutto il mondo, stanno incentivando nuovi processi e produzioni e varando leggi e normative, in direzione di un’economia circolare rispettosa delle risorse, dell’ambiente e delle persone. E se è vero che la lotta al Covid ha dato nuovo slancio alla cooperazione fra Stati, la lotta ai cambiamenti climatici e alle disuguaglianze sociali potrà riprendere con molto più vigore del passato.

BUONA SOSTENIBILITÀ

RB

Resilienza

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Il modello alimentare amico del Pianeta

In un Pianeta le cui risorse sono in progressivo esauri- mento e in cui la diffusione di patologie croniche non trasmissibili è in aumento, risulta fondamentale tro- vare uno stile di vita e alimentare che favorisca il be- nessere umano e quello ambientale. La buona notizia è che il cibo che ha impatti maggiori sull’ambiente è anche quello che dovremmo mangiare meno perché poco idoneo a una vita in salute. Oggi, grazie a nume- rosi studi sull’argomento, sappiamo con certezza che la dieta occidentale, ricca di carne, latticini e grassi di origine animale, con forte incidenza di alimenti iper- processati, è all’origine di molte patologie attuali e morti premature, nonché è la più pesante per il clima:

il solo settore zootecnico è responsabile del 18% del- le emissioni del Pianeta, più del settore dei trasporti, per non parlare dei rilevanti impatti sugli ecosistemi, essendo una delle principali cause di deforestazione, degrado del suolo e delle risorse idriche. Gli Oceani sono un altro ambiente sovrasfruttato: il 31% degli stock ittici globali è sfruttato al di sopra del livello di sostenibilità e il 61% sfruttato a pieno regime. Nel Me- diterraneo la situazione non è da meno: il 78% degli stock valutati sono soggetti a sovrasfruttamento. In agricoltura e allevamento poi l’impatto su CO2 acqua è reso evidente da alcuni numeri per avere un chilo di ortaggi sulla nostra tavola si produce un quantitativo di gas a effetto serra, in prevalenza CO2, che va da un minimo di 250 grammi a un massimo di 5000, per la carne questo valore oscilla fra gli oltre 3.000 e 60.000, mentre per il formaggio questo valore oscilla fra 5.300 e 14.000. Non solo, per produrre un kg di carne dai 4.000 litri di acqua agli oltre 15.500 litri (per un kg di carne bovina). Relativamente all’impatto ambientale, la sostituzione del filetto di manzo con altre fonti pro- teiche di origine vegetale (come i legumi) ridurrebbe il riscaldamento globale potenziale di un 80% con un consistente risparmio di acqua.

Infine un monito a Governi e istituzioni di tutto il mon- do affnché elaborino linee guida per accompagnare i cittadini nello scegliere la propria alimentazione non solo tenendo conto dei valori nutrizionali ma anche della loro sostenibilità ambientale.

9 anni per cambiare menu: il futuro del pianeta è anche nel nostro piatto

SPRECO ALIMENTARE

8 min TEMPO DI LETTURA:

di APS Litorale Nord

Abbiamo solo 9 anni per poter garantire il benessere futuro ad una popolazione globale in continua cre- scita, vale a dire per rivedere il sistema di produzione alimentare a livello globale, attraverso un cambio dei regimi alimentari di ciascun Paese: solo così potremo invertire il trend in picchiata della perdita di biodiver- sità. Il modo con cui ci alimentiamo ha, infatti, causa- to, finora, la perdita del 70% di biodiversità terrestre e del 50% di quella d’acqua dolce. Stiamo divoran- do il Pianeta senza capire quanto la nostra salute sia profondamente connessa con quella dell’ambiente in cui viviamo, come ha dimostrato anche la crisi Co- vid-19. La scelta di cambiare i nostri regimi alimenta- ri ormai è obbligata e non riguarda solo quale cibo scegliamo, ma anche in che modo i nostri alimenti vengono prodotti e da dove provengono. parola del WWF che nell’ottobre scoso ha lanciato il report “In- vertire la rotta: il potere riparatore delle diete ami- che del Pianeta”: Si tratta di una ricerca scientifica condotta sulle diete di 147 paesi di tutto il mondo che mostra gli impatti che i diversi regimi alimentari e scelte di consumo provocano su ambiente, biodi- versità, suolo e clima e anche sulla nostra salute. Il report non solo offre una visione globale, ma indica un approccio locale per favorire l’adozione di diete sostenibili per uomo e natura a livello nazionale e in- dividuale. Secondo l’analisi svolta, la scelta di un “mo- dello alimentare amico del Pianeta” a livello globale comporterebbe: aria più pulita e temperature più basse con una riduzione di circa il 30% delle emissio- ni di gas serra, maggiore biodiversità sul Pianeta, ri- ducendone di almeno il 5% la perdita, più spazio per natura e specie poiché si ridurrebbe di almeno il 40%

il bisogno di terreni agricoli, una popolazione più in salute e con un’aspettativa di vita più lunga poiché il tasso di mortalità prematura si ridurrebbe di alme- no il 20%. Per ottenere questo, abbiamo bisogno di trasformare l’intero sistema dell’alimentazione dalla produzione al consumo fino alla gestione delle per- dite e degli sprechi. Adottare una dieta sostenibile significa consumare in maniera responsabile e spo- stare la domanda del mercato per accelerare altre azioni nell’ambito di una green economy e dare il proprio contributo al raggiungimento di un sistema alimentare sostenibile per tutti. In sostanza la dieta raccomandata comporta scelte non solo sul tipo di alimenti, ma anche sui metodi di produzione e so- prattutto sulla loro provenienza.

Ai consumatori italiani il WWF suggerisce 7 parole chiave per migliorare il proprio regime alimentare a favore del Pianeta: LOCALE (privilegiare prodotti lo- cali e di stagione), VEGETALE (mangiare più cereali, legumi, ortaggi e frutta che carne), BIO (prediligere prodotti provenienti da agricoltura biologica), RE- SPONSABILE (scegliere il pesce giusto, consuman- do pesce adulto e specie meno conosciute), SANO (mangiare cibi sani e nutrienti e ridurre al minimo gli alimenti eccessivamente trasformati), VARIO (di- versificare la dieta), ANTISPRECO (ridurre gli sprechi, mangiando tutto ciò che si acquista). In assenza di interventi urgenti, l’umanità entrerà velocemente nei prossimi decenni in un grave stato di emergen- za. Ci restano solo 9 anni, sostiene la ricerca del WWF per trasformare il sistema alimentare e raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. In alternativa dovremo essere disposti a affrontare danni poten- zialmente irreversibili a tutto ciò che ci circonda.Gli

Partner di Vivere Sostenibile Lazio per la divulgazione anti spreco alimentare

Mangiare è un gesto ecologico: ognuno di noi può incidere in maniera positiva o negativa sulla propria salute e allo stesso tempo su quella dell’ambiente a seconda di cosa sceglie di mettere in tavola

impatti negativi di ciò che mangiamo sono stati mes- si alla luce molto recentemente anche in occasione della crisi del Covid-19, rendendo chiaro a tutti che se continuiamo a sfruttare senza limiti le risorse na- turali assisteremo con ogni probabilità all’incremento di crisi globali come la pandemia appena trascorsa.

Tra le principali cause alla base della diffusione di ma- lattie infettive come il Covid-19, è stato dimostrato essere l’insostenibile conversione di terre per l’agri- coltura, gli allevamenti intensivi e il traffico illegale di specie selvatiche, spesso per il consumo alimentare.

Dal Campo alla Tavola

In media per ogni pasto di un italiano, il cibo consu- mato percorre quasi 2.000 chilometri prima di arriva- re a tavola. Fino all’era industriale il cibo veniva pro- dotto per lo più “dietro l’angolo”, da allevamenti, mari e terreni vicini al consumatore. Oggi con l’avvento delle multinazionali, il processo di produzione degli alimenti è sempre più dislocato in vari Paesi del mon- do e buona parte del cibo che consumiamo provie- ne dall’estero, come gli asparagi dal Cile o le carote importate dal Sud Africa o i gamberi dall’Argentina.

Così abbiamo un peggiore sfruttamento delle risorse naturali (ed umane), sia in ambito agricolo che nella pesca, nonché una peggiore qualità dei cibi prodotti che nel trasporto perdono molti nutrienti. L’impatto ambientale aumenta in modo particolarmente signi- ficativo se l’importazione è per via aerea.

Da qui parte il primo dei principi indicati dal WWF, ovvero, la scelta di prodotti alimentari coltivati nel proprio territorio.Sono ormai centinaia le tipologie di offerte di prodotti locali, dai GAS (Gruppi di Acqui- sto Solidale) all’e-commerce promosso da aziende agricole: valorizzare le piccole realtà locali e favorire l’agrobiodiversità, che negli ultimi anni. si è notevol- mente ridotta sotto la spinta dell’aumento della pro- duttività e dei profitti, perché l’espansione di mono- colture riduce la capacità dei territori di adattarsi ai cambiamenti ambientali in atto.

Se mangiare frutta e verdura è importante, altrettanto importante è mangiarle nel momento giusto, sceglie- re come principio la stagionalità. In natura le specie animali si nutrono in maniera diversa a seconda delle stagioni e questo è importante per la conservazione degli ecosistemi. L’uomo, grazie alla tecnologia e alle importazioni, può potenzialmente mangiare in ogni momento lo stesso alimento mentre uno dei principi più importanti di una dieta sana ed equilibrata è pro- prio la varietà legata ai cicli naturali. I prodotti di sta- gione, soprattutto se locali, impiegano poco tempo per arrivare sulle nostre tavole mantenendo così un più elevato contenuto di vitamine e nutrienti rispetto a quelli fuori stagione. Oltre agli aspetti salutistici ci sono le questioni ecologiche: i prodotti di stagione aiutano l’ambiente perché in generale determinano minori emissioni di carbonio. La produzione in ecosi- stemi artificiali o in serre richiede un enorme quantità di energia per il mantenimento delle temperature di coltivazione, energia che viene prodotta in massima parte con l´impiego di combustibili fossili. È il caso del pomodoro dove, per la coltivazione in serra, il fat- tore di emissione è circa 60 volte superiore a quello della coltivazione in campo. In inverno, una buona soluzione per ridurre il consumo di pomodori freschi sta nell’usare le conserve e limitare al massimo le in- salate, mangiando altre verdure e provando ricette diverse.

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Platanus orientalis. Il Platano. Scrivo orientalis perché volevo parlare del platano classico, quello cantato da Omero e consacrato ad Elena che vi ci si impiccò a Rodi.

Fino al XVII secolo il P. orientalis era l’unica specie presente in europa. Nel 1636 arrivò il Platanus occidentalis, importato dall’America, più massiccio e resistente e le due specie hanno cominciato ad ibridarsi ed é nato il Platanus acerifolia, il nostro platano, comune nelle alberature urbane.

Il Platano é di origine antichissima. Sono stati ritrovati reperti pollinici in strati risalenti addirittura al Cretaceo configurando la genesi delle due specie come differenziazione da un unico progenitore.

Era venerato per la sua possenza... per la sua ombra...per la maestosità. Erodoto racconta che Quando Serse di persia partì alla conquista della grecia nel 480 a.c.

incontrando un platano particolarmente frondoso, volle impreziosirlo con ornamenti di oro zecchino e lo fece sorvegliare da un picchetto del suo corpo di guardia d’Elite, gli Immortali. Questo onore, riservato ad una pianta, fece molto scalpore e viaggiò lontano nel mondo antico e riecheggia ancora oggi nella storia.

Le foglie come mani aperte benedicenti, come la grande madre, ispirarono la sua

consacrazione ad Ellene, l’antichissima dea lunare dei Cretesi e successivamente, per estensione, ad Elena, figlia di Zeus.

Menelao ne pianto’ uno in un boschetto dell’Arcadia poco prima di partire per Troia e Agamennone fece altrettanto a Delfi, perché la guerra si presagiva lunga.

Erano già sbarcati sulle spiagge di Troia da 9 anni e gli eserciti in stallo, volevano tornare a casa quando Ulisse, deciso a restare raccontò un prodigio a cui aveva assistito e che portava

STORIE DI ALBERI

4 min TEMPO DI LETTURA:

Il Platano, antico amico dell’uomo cantato da Omero

di Massimo Luciani

Del platano si apprezza soprattutto l’ombra proiettata dalla sua enorme chioma.

Ad Atene, al tempo di Platone, gli studiosi amavano conversare sotto i platani della passeggiata dell’Accademia e i poeti ne tessevano le lodi. Prima i Greci e poi i Romani riferiscono di platani colossali, tali che vi si potevano allestire sui rami banchetti per 15 persone, come fece Caligola nelle campagne di Velletri, i cui platani monumentali sono amati ancora oggi.

In Italia vivono ammirevoli esemplari monumentali, ad esempio: il platano Curinga, in calabria, con una circonferenza del tronco di 18 metri, o il platano di Scomboli, all’orto botanico di pavia, piantato alla morte di Linneo nel 1778 che supera i 45 m di altezza o ancora il platano dei 100 bersaglieri, in veneto, con una circonferenza del tronco di 15 metri.

L’uso fitoterapico della pianta é poco praticato, ma ha ottime proprieta lenitive, sfiammanti e regolatrici della crescita cellulare, contro gli eczemi e le irritazioni cutanee e studi recenti lasciano presupporre si possa trovarne impiego contro melanomi ed altre patologie oncologiche.

Noi, intorno ad una fonte, presso i sacri altari, offrivamo agli immortali un’ecatombe senza difetti,

sotto un bel platano, dove scorreva acqua purissima;

fu allora che apparve un grande prodigio: un serpente dal dorso rosso, terribile, che Zeus Olimpio aveva fatto venire alla luce.

Sbucava da sotto all’altare e si lanciava sul platano.

Iliade. Libro II.

Platano- L’albero dei filosofi, dalla grande ombra, amico dei bambini e dei viaggiatori

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ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE

Saperi

Sapori

&

Porcini autunnali:

i consigli dello Chef Corrado Correra

per acquisti consapevoli

Ottobre è un ottimo mese per i funghi autunnali di vario genere, ma nel misto dei cesti, se il clima sarà clemente, si potranno ancora deporre molti funghi Porcini.

I tradizionali serbatoi italiani sono l’Appennino Ligure, quello Tosco-emiliano e quello Umbro-marchigiano e poi giù fino al Lazio e all’Abruzzo.

Come riconoscerli e valutarne la freschezza:

Controllate con attenzione che la “barbule” (i filamenti sotto il cappello) siano bianche o verde chiarissimo; ricordatevi che il gambo deve essere tozzo e senza buchi, segno di presenza di parassiti; il gambo deve essere sodo, chiaro e non molliccio, dal colore omogeneo e senza ammaccature; Il cappello carnoso e integro e dal colore marrone intenso.

Come pulirli correttamente senza rovinarli

Con un coltellino, possibilmente a lama liscia e ben affilato, pulire la terra sul gambo con molta delicatezza; una volta abbastanza pulito, bisogna continuare a togliere i residui con un pennello o un panno di cotone sempre asciutto; con molta delicatezza ora si può separare il gambo dal cappello: il consiglio è di effettuare un movimento rotatorio perché poco traumatico per il fungo; se non fosse ancora ben pulito è bene continuare con uno straccio leggermente umido o al limite passare il fungo sotto un getto d’acqua fredda per pochi istanti. I funghi sono come spugne e tendono ad assorbire acqua e umidità per poi ammollarsi molto velocemente; infine passarli con un panno ben asciutto per togliere i residui di terra e eventuale rimanenze d’acqua.

Ora andiamo a cucinarli!

Il taglio è variabile e dipende dalla successiva lavorazione: è preferibile lasciare intera la testa o, almeno, eseguire il minor numero possibile di tagli affinché trattenga al meglio i succhi. È importante che la cottura sia aggressiva e veloce, in modo da far perdere meno succhi possibili al fungo: tanto la temperatura dell’olio quanto quella della piastra deve essere ben calda. Il porcino si può consumare anche crudo, condito con sale di Maldon, olio evo, pepe. Tuttavia, in linea generale e se non se ne conosce bene la provenienza, è consigliabile sempre cuocerlo. Il sale di Maldon è molto diffuso fra le cucine stellate e apprezzato dai gourmet di tutto il mondo per il suo sapore spiccato, capace di dare vivacità ai piatti. Data la

sua croccantezza e friabilità è l’ideale per tantissimi piatti e, grazie allo spessore dei suoi cristalli, non si scioglie subito al palato interagendo più a lungo con il cibo e permettendo notevoli giochi di sapori.

Dove cercare i porcini di ottobre

Ottobre è un altro ottimo mese (oltre l’agosto) per i Boleti:

le temperature sono stabilmente più adatte allo sviluppo dei corpi fruttiferi che divengono meno esigenti e più resistenti a sbalzi termici. I Boletus edulis cominciano a scendere progressivamente di quota: se entro i primi del mese saranno già pressoché spariti dalle abetaie e pinete in ombra, risulteranno ancora ben presenti nelle faggete e Castagni dai 5-600 mt fin verso i 1200- 1300 mt, con clima caldo ed umido. In caso di piogge adeguate, ottobre potrebbe regalare insolite abbondanti fruttificazioni di Porcini edulis in boschi puri di Pino strobo (più eccezionalmente di Pino Douglas o bosco misto con vari Pini). In questo caso non sarà insolito trovare esemplari radi ma particolarmente massicci, tozzi-sodi ma al tempo stesso ben sviluppati in volume generale con peso oltre i 100/200 grammi. Le nascite iniziano a spostarsi dai terreni spogli a quelli più fogliati e con ricca lettiera, spesso anche nel rodoro-vaccinieto boschivo e non prativo, soprattutto in presenza di clima ancora caldo e su versanti esposti al sole. Aumentano le nascite sotto Betulla, anche se difficilmente si avranno buttate abbondanti. Decisamente più ricche invece, le nascite in questo ambiente dei Leccini.

Porcini Rossi (Boletus pinophilus)

Nonostante sia il Porcino del freddo, non è insolito trovarlo accucciato al riparo dai venti freddi tra Eriche, radici, rami a terra o rocce, quasi mai tra gli spessi strati di foglie, perché preferisce di gran lunga i suoli scuri, le torbe ricche di carbonio e comunque i suoli spogli senza lettiera. Buone le nascite anche nelle pinete pure, con sottobosco di ginepro e mirtillo. Presenze in aumento, fino a ricche o abbondanti, anche alle quote collinari sotto Castagno o Castagno-Pino silvestre, sempre con sottobosco di Eriche, Mirtillo e ricco di Muschi. Proprio grazie alla sua predilezione per i suoli ricchi di carbonio, non è insolito trovare questo fungo in boschi che negli anni passati hanno subito un incendio, proprio là dove l’acqua piovana ha creato depositi di ceneri e carbonio.

Corrado Correra, ristorante Prime di Ladispoli

Come riconoscerli e valutarne la freschezza,

come pulirli correttamente, come prepararli

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TEMPO DI LETTURA:

L’Italia è dotata di un patrimonio olivicolo ecceziona- le. L’olivo o ulivo è un albero sempreverde, i cui frut- ti giungono a maturazione completa da fine ottobre a dicembre, che si presume sia originario dell’Asia Mi- nore e della Siria, poiché in questa regione l’olivo sel- vatico spontaneo è comunissimo fin dall’antichità, for- mando delle foreste sulla costa meridionale dell’Asia Minore. Qui, appunto, i Greci cominciarono a coltivar- lo scoprendone le sue grandi proprietà, cui diedero il nome speciale di Eλαια che i Latini fecero olea. E fin dall’antichità i suoi frutti furono utilizzati per l’alimen- tazione. L’ulivo è un albero a crescita lenta ed è molto longevo: in condizioni climatiche favorevoli può diven- tare millenario e arrivare ad altezze di 15-20 metri.

Il nostro patrimonio olivicolo è anche estremamente variegato. Ad oggi sono state censite circa 540 varietà di olive da cui è possibile estrarre extravergini tipici e dalla caratteristiche uniche. Ogni varietà è tipica di una determinata zona di Italia, sono poche quelle varietà presenti in più zone della nostra penisola.

Per preservarne e proteggere la natura storica e per va- lorizzare al meglio ogni singola varietà, sono nate tutte le diverse diciture diffuse sull’olio extravergine, e non solo: DOP, IGP, MONOVARIETALE... Ogni varietà è diver- sa dall’altra, producono olive con caratteristiche ben delineate e quindi danno vita ad oli completamente diversi sia dal punto di vista chimico che organoletti- co. Alcuni oli sono ricchi di polifenoli e hanno profu-

mi e sapori intensi, altri sono leggeri e delicati; in alcu- ni prevale il piccante, in altri spicca il profumo di frutto fresco. Le diverse cultivar prendono il nome di mono- cultivar, (dal greco monos “solo, unico”) e con questo si intende un olio extravergine prodotto e ottenuto al 100% da una sola tipologia di olive. Questo tipo di olio rappresenta una piccolissima parte dell’olio che trovia- mo in commercio poiché è possibile reperirlo solo ri- fornendosi da piccoli produttori o piccole aziende agri- cole. Un olio mono-cultivar è infatti un olio, fortemente sostenibile, dalla forte personalità, molto tipico e molto rappresentativo del territorio in cui è prodotto. Questo perché il gusto di questo tipo di olio non dipende solo dalla cultivar, ma anche dalla zona di coltivazione, inte- so come variabilità in termini di latitudine, longitudine, altitudine, clima e caratteristiche del terreno e tantissi- mi altri fattori, proprio come anticipato sopra. Ogni olio mono-cultivar nasce con l’intento di esaltare la tipicità e l’identità delle diverse varietà autoctone, di modo da valorizzare i diversi territori di produzione. Ogni varie- tà, infatti, è compatibile con l’ambiente di origine in cui è inserita e generalmente è incapace di replicare le pro- prie caratteristiche agronomiche al di fuori del proprio territorio di coltivazione. Proprio per questo gli oli mo- no varietali non sono confrontabili, ogni olio è dotato di caratteristiche chimico-fisiche e sensazioni organo- lettiche diverse. Queste caratteristiche uniche e pecu- liari potranno essere percepite e apprezzate nelle sue

ALIMENTAZIONE CONSAPEVOLE

Olio extravergine d’oliva novello:

un patrimonio italiano sulle nostre tavole

infinite sfumature a seconda dei gusti del consumato- re, che attraverso una ricerca sempre più attenta po- trà trovare la migliore combinazione con il cibo, valo- rizzando ed esaltando il sapore delle pietanze.

In conclusione, tra tutti, gli oli mono varietali costitui- scono la massima espressione di tipicità e peculiarità territoriale.

di Redazione

Cioccolato bianco,

un prodotto da rivalutare

TEMPO DI LETTURA: 4 min

Sul cioccolato fondente e al latte siamo certamente più informati in merito alle diverse qualità, composi- zioni e proprietà benefiche. Del cioccolato bianco in- vece si parla poco e con tono spesso critico ed è sog- getto a falsi miti. Per saperne di più ci si può affidare agli esperti e ai degustatori professionisti del Gambe- ro rosso che raccontano cosa c’è davvero nel ciocco- lato bianco, gli ingredienti e le caratteristiche, compi- lando una vera e propria carta d’identità del prodotto.

Gli ingredienti indispensabili per ottenere il cioccolato bianco sono tre: lo zucchero, l’elemento presente in quan- tità maggiori; il burro di cacao, che di regola costituisce almeno il 20% del totale; il latte (sotto forma di sostanza secca), aggiunto in quantità superiori al 14%. In quasta li- sta spicca l’assenza del cacao in polvere, componente che determina il colore scuro del cioccolato fondente o al lat- te. In compenso si trova una discreta dose di burro di ca- cao, ed ecco spiegato il motivo della pastosità che rende il prodotto inconfondibile all’assaggio e adatto anche alla lavorazione artistica (c’è chi ne fa persino delle sculture).

Come scegliere un buon cioccolato bianco e come degu- starlo? Monica Meschini, founder e tutor di International Institute of Chocolate and Cacao Tasting specifica che il 99,9% del cioccolato diffuso nei supermercati è prodotto con burro di cacao deodorizzato di dubbia provenienza.

Purtroppo, l’assenza di odore e sapore serve a nascondere eventuali difetti di origine o di lavorazione, quindi in que- sti casi percepiamo soltanto una nota fortemente dolce di fiori bianchi proveniente dalla vanillina o, meglio, da una buona vaniglia. Ma il cioccolato bianco non è tutto uguale, e i chocolate makers attenti alla qualità inseriscono nella ricetta burri di cacao d’origine in quantità pari o superiori

al 45%, ciascuno dei quali sprigiona note aromatiche di- verse, tipiche della zona di provenienza: possono essere fruttate, floreali, tostate o vegetali, esattamente come nel cacao da cui il burro stesso è stato pressato. Queste informazioni vengono da Monica Meschini, founder e tu- tor di International Institute of Chocolate and Cacao Ta- sting. I migliori cioccolatieri, inoltre, selezionano con dei criteri ben precisi il latte in polvere. Per regolarci, quando acquistiamo una tavoletta facciamo attenzione all’odo- re. Ad esempio, rientrano fra i profumi positivi un buon latte o una vaniglia di qualità. Anche leggere l’etichetta risulta utile: è preferibile evitare prodotti contenenti aro- ma di vaniglia, vanillina o aromi non meglio identificati.

In generale la parola “aroma” – anche se associata ad al- tre voci- è sinonimo di sostanza che riproduce il gusto, ma non ha niente a che vedere, con il prodotto indicato.

A proposito di aromi, il cioccolato bianco non ha una gran- de complessità aromatica di per sé, dunque molti cioccola- tieri inseriscono nelle loro tavolette alcuni ingredienti per compensare l’assenza della massa di cacao che, invece, rila- scia note olfattive particolarmente intense. I professionisti si avvalgono soprattutto della vaniglia di Bourbon, Tahiti o Madagascar, oppure abbinano al cioccolato materie pri- me non troppo invadenti, capaci di esaltare naturalmente il sapore e il profumo del latte, come i frutti di bosco, le fo- glie di menta, le nocciole e i pistacchi. Questi ultimi si uti- lizzano anche per bilanciare il retrogusto zuccherino con l’aggiunta di una gradevole punta salata. Non solo: a volte il sale viene addizionato direttamente al composto per creare un gioco di contrasti che aumenta non poco la sfi- ziosità del prodotto. L’abilità del produttore sta nel trovare il perfetto equilibrio fra la carica gustativo-aromatica delle

inclusioni e la delicatezza tipica del cioccolato bianco. Va detto che anche la scelta del latte ha il suo peso, perché è presente in quantità importanti: i cioccolatieri esperti sele- zionano latti aromatici, non grassi, con una resa tattile pia- cevole. E lo zucchero? Chi vuole sperimentare preferisce il mascobado, con il suo sentore di liquirizia, o lo zucchero di canna, che ricorda la melassa. Così alcuni tipi di cioccola- to bianco possono vantare un profilo aromatico notevole.

Non ultimo si può sfatare il falso mito che il valore ener- getico sia molto elevato perché i nutrizionisti confermano che non si discosta molto dalle varietà più scure, anzi, è leggermente inferiore. Cambia invece la composizione dei nutrienti, che vede protagonisti grassi saturi e zuccheri semplici. Ma dobbiamo considerare che il burro di cacao è composto sia da acido oleico (insaturo) che da acido steari- co (saturo): il primo è quello dell’olio d’oliva, che impedisce la deposizione del colesterolo sulle arterie, e il secondo, pur essendo saturo, all’interno del nostro corpo si trasfor- ma prevalentemente in oleico. Ciò significa che i grassi del cioccolato bianco non sono nocivi come si potrebbe pen- sare, anche perché il suo livello di colesterolo ‘cattivo’ risulta inferiore a quello di molti formaggi presenti sulle nostre ta- vole in porzioni ben più abbondanti. Certo, se paragonato al cioccolato fondente quello al latte è meno ricco di polife- noli e sostanze antiossidanti, ma per beneficiare di tali pro- prietà dovremmo consumare quantità significative di ta- volette ad alto tasso di cacao, con ricadute negative su altri fronti. Il cioccolato non fa magie in nessun caso. Ma è sba- gliato rinunciarci, perché con moderazione ogni alimento si può inserire nella dieta quotidiana. Quindi, come rego- larsi per evitare gli eccessi? Basta un quadratino da 5 gram- mi, che fatto sciogliere lentamente in bocca rilascia aromi e soddisfa il bisogno di una coccola momentanea. Che sia bianco, al latte o fondente, è bene scegliere sempre un buon prodotto e allenare il palato ad apprezzarlo. La degu- stazione del cioccolato può regalare grandi soddisfazioni.

di Redazione (Fonte: Gambero Rosso)

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Nuovo fotovoltaico nel settore agricolo.

Una scelta green per il Paese e per il clima

AGRI-CULTURA

6 min TEMPO DI LETTURA:

Il cambiamento climatico in atto è una delle più devastanti calamità che si sta abbattendo sul nostro pianeta e sull’umanità. Le azioni, le iniziative e le scelte per combatterne il progressivo peggioramento e, per quanto possibile, mitigarne gli effetti costituiscono delle autentiche priorità. Occorre quindi abbandonare più rapidamente possibile l’era delle fonti fossili e attivare in tutte le applicazioni disponibili le rinnovabili e l’efficienza energetica, il cui contributo è decisivo per decarbonizzare l’economia. Tra queste c’è il settore agricolo. Certamente

il tema del fotovoltaico in agricoltura è un tema delicato, anche per una serie di criticità emerse in passato, ma si tratta di una fase che può essere superata e devono essere considerati i risultati raggiunti oggi dalle migliaia di imprese agricole che ne hanno sostenuto la crescita e delle ulteriori ricadute che potrebbero derivare da un nuovo e più importante sviluppo di questa fonte rinnovabile. L’obiettivo al 2030 fissato dal PNIEC per il fotovoltaico, e ancor più quello maggiormente sfidante che verrà richiesto dal nuovo target di riduzione delle emissioni climalteranti, alla luce di queste considerazioni impongono di affrontare la questione di un nuovo e più importante sviluppo del fotovoltaico con approccio oggettivo, facendo tesoro delle esperienze di questi anni, ma anche tenendo conto delle nuove soluzioni disponibili, senza pregiudizi e preclusioni e senza generalizzazioni. La CIA - Agricoltori Italiani ha collaborato alla stesura di un Position Paper, un testo di convergenza

tra soggetti diversi per la decarbonizzazione,

www.bertirotti.info - FB: @Bertirotti

di Riccardo Milozzi, Presidente CIA Roma

recependo gli input dell’ Europa che punta alla riduzione della CO2 attraverso un modello agricolo multifunzionale. Un attento uso del suolo agricolo è imprescindibile, anche nel caso del fotovoltaico, in quanto risorsa preziosa per l’agricoltura e per la società e l’inserimento degli impianti nel paesaggio agrario dovrà essere adeguatamente valutato, ma prima ancora è necessario riconoscere che il paesaggio possa essere modificato per coniugare bellezza ed armonia con la necessità di rendere vivibile un territorio.

In questi anni, più di una contestazione è stata mossa al fotovoltaico in agricoltura, come la realizzazione da parte di soggetti economici esterni alle imprese agricole, il cui modello di business prevedeva un riconoscimento economico per l’occupazione dello spazio utilizzato e non una partecipazione attiva alla produzione energetica. Ancora di più si è discusso dell’impatto degli impianti fotovoltaici a terra sul paesaggio agrario e sull’agricoltura, in termini di sottrazione di terreno coltivabile; dibattitto che ha assunto sempre più rilievo tanto da comportare una drastica revisione della normativa e il divieto di accesso agli incentivi pubblici sulla produzione elettrica per le nuove installazioni. Parallelamente, troppo poco ci si è soffermati a considerare se le aree agricole coinvolte, fossero state realmente sottratte alla coltivazione e, non, piuttosto, valorizzate. Ancora meno, è stato considerato il miglioramento in termini di competitività di quelle aziende agricole che hanno partecipato alla crescita del solare fotovoltaico in Italia coniugando al meglio produzione agricola ed energetica. Perciò in aggiunta all’attenzione che merita il giusto uso del suolo agricolo, anche l’inserimento degli impianti nel paesaggio agrario dovrà essere adeguatamente valutato, ma prima ancora è necessario riconoscere che il paesaggio possa essere modificato per coniugare bellezza ed armonia con la necessità di rendere vivibile un territorio, dove è presente una comunità locale, alla quale vanno forniti servizi, strade, abitazioni, spazi produttivi, energia.

In ultima analisi, un territorio agricolo privo di infrastrutture come strade, reti elettriche, edifici per la conservazione e trasformazione dei prodotti, servizi sociali, reti di trasporto, non sarebbe nelle condizioni di garantire una adeguata qualità della vita delle popolazioni residenti. il futuro sviluppo del fotovoltaico

nel contesto agricolo, dovrà essere declinato puntando sul pieno coinvolgimento degli imprenditori agricoli, i quali dovranno svolgere un ruolo da protagonisti, integrando sempre più la produzione di prodotti di qualità con la generazione di energia rinnovabile. Per citare solo un esempio, una soluzione per favorire l’installazione degli impianti a terra è la possibile costituzione di una comunità di energia rinnovabile, definita dalla Direttiva europea 2018/2001 come soggetto giuridico autonomo, che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria di persone fisiche, PMI o autorità locali (comprese le amministrazioni comunali) il cui obiettivo principale, piuttosto che profitti finanziari è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, tramite l’utilizzo, esclusivamente, di fonti di energia rinnovabile. Pertanto vanno favorite le comunità di energia rinnovabile, costituite da aziende agricole limitrofe che decidono autonomamente e congiuntamente dove e come installare un impianto, sia in bassa che in media tensione.

È ora il momento di definire regole del “si può fare a condizione che” e superare così facili divieti da cui nessuno trarrebbe vantaggio.

Pertanto si è ritenuto opportuno che CREA, in

quanto ente di ricerca delle politiche agricole,

svolga uno studio specifico che, partendo

dalla valutazione delle esperienze pregresse

e dalle indicazioni contenute nel documento

già prodotto dal tavolo di lavoro, elabori una

strategia win-win che veda vincitori oltre che

compartecipi tutti i soggetti implicati.

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Emergenza clima: oltre 11mila disastri e 3.600 mld di danni in 50 anni

6 min TEMPO DI LETTURA:

di RELOADER onlus - M.A. Melissari

Basta ascoltare la radio o guardare un TG per rendersi con- to di quanto stia pesando, e con quale frequenza, il cam- biamento climatico sulle vite della gente a livello mondia- le. E nel nostro quotidiano rileviamo quasi ogni giorno le bizzarrie di un clima che ci sorprende con fenomeni dav- vero eccessivi, quanto meno a nostra memoria.

La conferma oggettiva e scientifica di quanto sta avve- nendo l’ha data l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) che nel documento ‘State of climate services 2020’, prodotto da 16 agenzie internazionali e istituzioni finan- ziarie e presentato a Ginevra qualche giorno fa, riporta che negli ultimi 50 anni, più di 11.000 disastri sono stati attribuiti a rischi meteorologici, climatici e legati all’acqua, e hanno comportato 2 milioni di morti e 3,6 trilioni di dol- lari in perdite economiche. Nel 2018, a livello globale, circa 108 milioni di persone hanno avuto bisogno dell’aiuto del sistema umanitario internazionale a causa di tempeste, inondazioni, siccità e incendi. Si stima che entro il 2030 questo numero potrebbe aumentare di quasi il 50% a un costo di circa 20 miliardi di dollari all’anno. Mentre il nume- ro medio di morti registrato per ogni disastro è diminuito di un terzo durante questo periodo, il numero di disastri registrati è aumentato di cinque volte e le perdite econo- miche sono aumentate di un fattore sette. Dai dati presen- tati risulta evidente anche che questi eventi meteorologi- ci e climatici estremi, aumentati in frequenza, intensità e gravità a causa dei cambiamenti climatici, hanno colpito le comunità vulnerabili in modo sproporzionato nel mondo e che una persona su tre non è ancora adeguatamente co- perta dai sistemi di allerta precoce. Da qui la necessità di passare alla previsione basata sull’impatto, un’evoluzione da “come sarà il tempo” a “cosa farà il tempo” in modo che le persone e le imprese possano agire tempestivamente sulla base degli avvisi di allerta. Gli estensori del rapporto indicano anche dove e come i governi possono investire in efficaci sistemi di allerta precoce che rafforzano la resi- lienza dei paesi a molteplici rischi meteorologici, climatici

e idrici e fornisce 16 esempi di successo per pericoli tra cui cicloni tropicali e uragani, inondazioni, siccità, ondate di caldo, incendi boschivi, tempeste di sabbia e polvere, locuste del deserto, inverni rigidi e scoppi di laghi glaciali.

A fronte d’efficacia di questi sistemi operativi, si rilevano però grandi lacune in merito alla capacità delle ammini- strazioni e agli investimenti finanziari che non sempre flu- iscono nelle aree in cui gli investimenti sono più necessari.

E, sebbene questo riguardi quasi il 90% dei Paesi meno sviluppati e dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, pur- troppo lo vediamo spesso anche nel nostro Paese. I dati forniti da 138 Stati membri che compongono l’OMM che è la massima agenzia mondiale per la meteorologia, mo- strano che solo il 40% di loro dispone di sistemi di allarme rapido multi-pericolo (MHEWS). Ciò conferma che a livello globale in media una persona su tre non è ancora coperta da allarmi precoci, di solito perché le reti di osservazione sono spesso inadeguate. Attualmente, solo 75 membri dell’OMM (39%) hanno indicato di fornire servizi di previ-

sione basati sull’impatto. Se non bastasse, non esiste una capacità sufficiente a livello mondiale per tradurre il preal- larme in un’azione tempestiva, soprattutto nei Paesi meno sviluppati: l’Africa per esempio deve affrontare le maggiori lacune di capacità. In questo vasto continente, sebbene la capacità sia buona in termini di conoscenza e previsione del rischio, solo 44.000 persone su 100.000 sono coperte da allarmi precoci, nei Paesi in cui i dati sono disponibili.

Un aumento dei disastri legati al clima indica dunque che è necessario aumentare gli investimenti nell’adattamento a tutti i livelli, anche in particolare nella riduzione dei rischi meteorologici, idrici e climatici attraverso investimenti per migliorare l’accesso alle informazioni sui rischi e miglio- rare i sistemi di allerta precoce multi-pericolo. Sebbene i finanziamenti annuali monitorati per il clima abbiano rag- giunto per la prima volta nel 2018 il valore di mezzo tri- lione di dollari, il finanziamento dedicato all’adattamento è solo una frazione molto piccola (5%) e il finanziamento per le informazioni sui rischi e i sistemi di allerta precoce è solo una frazione di quel 5%. L’azione è ancora molto al di sotto di quanto dovrebbe e le stime includono che saran- no necessari 180 miliardi di dollari all’anno per il periodo 2020-2030, come suggerito dalla Commissione globale sull’adattamento.

Il rapporto offre anche sei raccomandazioni per una stra- tegia in grado di migliorare i sistemi di allerta precoce in tutto il pianeta. Tra queste, investimenti per colmare le la- cune in particolare nei Paesi meno sviluppati, concentrarsi sul passaggio dall’arrivo delle informazioni alle azioni, ga- rantire un finanziamento sostenibile del sistema di osser- vazione, monitorare i flussi finanziari per la comprensione, sviluppare maggiore coerenza nella valutazione e nell’effi- cacia dei sistemi di allerta, eliminare le differenze e le man- canze dei dati. “I sistemi di allarme rapido (EWS) costitui- scono un prerequisito per un’efficace riduzione del rischio di catastrofi e per l’adattamento ai cambiamenti climatici.

Essere preparati e in grado di reagire al momento giusto, nel posto giusto, può salvare molte vite e proteggere i lecomunità di tutto il mondo ”, ha affermato il Segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), il professor Petteri Taalas. “il cambiamento clima- tico continuerà a rappresentare una minaccia continua e crescente per le vite umane, gli ecosistemi, le economie e le società per i secoli a venire. Il recupero dalla pandemia COVID-19 è un’opportunità per andare avanti lungo un percorso più sostenibile verso la resilienza e l’adattamento alla luce del cambiamento climatico antropogenico”.

Economia Circolare - Il contributo della produzione di materiali alle emissioni di gas serra

Si parla molto del contributo dell’economia circola- re alla decarbonizzazione dell’economia globale, ma poco di quante emissioni di gas serra genera la pro- duzione di materie prime come metalli, cemento e minerali non metallici, plastica e gomma e biomasse e pochi cittadini ne hanno una idea precisa. Un re- cente rapporto del Programma ambientale delle Na- zioni Unite (UNEP) ha focalizzatol’attenzione su que- sto tema e, in particolare, su come il passaggio a un modello di economia circolare possa contribuire al conseguimento degli obiettivi climatici. Secondo l’U- NEP, infatti, la produzione di materiali è responsabile di quasi un quarto delle emissioni globali, pari a 11,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (dati 2015).

Guardando ai diversi materiali, il principale contribu- to in termini di emissioni è dato dalla produzione di metalli (in primis acciaio, ferro e alluminio), che da sola genera quasi 5 miliardi di tonnellate di CO2 equi- valente, seguita dalla produzione di cemento e dei minerali non metallici (4,4 GtCO2eq). A questi settori si aggiunge poi il processo produttivo di plastica e gomma, responsabile di 1,5 GtCO2eq, e la produzio- ne di biomassa e prodotti del legno, che genera quasi un miliardo di tonnellate di CO2eq. Il report contiene anche una analisi dei trend di queste emissioni, cre-

sciute in maniera molto rilevante negli ultimi anni:

solamente vent’anni fa le emissioni connesse alla produzione di materiali erano meno della metà del valore più aggiornato e pari a circa il 15% delle emis- sioni complessive.

Il raggiungimento della neutralità carbonica entro la metà del secolo in corso non sembra, dunque, pos- sibile senza orientare questi processi produttivi alla circular economy. Tuttavia si tratta di industrie pro- duttive ad alta intensità di impiego energetico e di materia prima vergine, per le quali le sole politiche di efficienza energetica e di penetrazione delle fonti rin- novabili non saranno da sole sufficienti. In particola- re, secondo l’UNEP, bisognerebbe puntare prioritaria- mente sulla sostituzione della materia prima vergine con materia da riciclo; l’impiego di minori quantitativi di materiali; una maggiore resistenza e durabilità dei prodotti; un più facile recupero, il riutilizzo e il riciclo dei materiali attraverso l’ecodesign dei prodotti.

Il report evidenzia, infine, anche il ruolo centrale nel- la promozione di un nuovo modello di sharing eco- nomy che potrebbe contribuire alla riduzione della domanda di materiali grazie a un uso più intensivo del prodotto (sia esso un mezzo di trasporto o un edi- ficio). RELOADER onlus

3 min TEMPO DI LETTURA:

Emissioni globali della produzione di materiali: 49 miliardi di tonnellate di Gt CO2 eq

Contributo dell’economia circolare e del riciclo alla decarbonizzazione globale ad oggi: 23%

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La scelta non più rimandabile della “resilienza trasformativa”

6 min TEMPO DI LETTURA:

Se l’Italia era già indietro prima della pande- mia nell’attuazione degli Obiettivi dell’Agen- da ONU 2030, il Rapporto ASviS appena pre- sentato parla di un ulteriore peggioramento per il 2020. La scelta di un percorso di “resi- lienza trasformativa” è sempre più urgente e richiede prima di tutto un utilizzo coerente delle risorse UE e di quelle nazionali in dire- zione della sostenibilità.

Il Portavoce dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) Enrico Giovannini:

“Abbiamo perso 5 anni su 15 per attuare l’A- genda 2030. L’accordo del 2015 non è stato preso abbastanza seriamente dalla classe di- rigente, dalla politica e dall’opinione pubblica e così l’Italia mancherà molti dei target fissati al 2020. La crisi in corso rischia di allontanarci dal sentiero verso l’Agenda 2030, ma la scelta dell’Unione europea a favore dello sviluppo sostenibile consente di cambiare direzione.”

Sarebbe davvero un grave errore pensare di ripristinare la situazione in cui ci trovavamo prima dell’emergenza Covid-19, che deve invece rappresentare un momento di rottu- ra. Dalla pandemia in poi, l’obiettivo è avere una società più resiliente, in grado di rispon- dere a future crisi, e soprattutto trasformata, cambiata nel profondo e indirizzata verso un nuovo modello di sviluppo che sia sostenibile nella più ampia accezione (economica, socia- le e ambientale), come definito dall’Agenda 2030 dell’ONU (firmata dai 193 Paesi dell’Onu il 25 settembre 2015) e dai suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, gli SDGs (Sustainable Development Goals). A quanto pare, però, il percorso è ancora lungo. Perché, se per l’Ita- lia il percorso verso l’Agenda 2030 dell’ONU appariva già in salita prima della crisi, oggi diventa ancora più difficile: nel 2020, infatti, si registrerà un peggioramento per 9 dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile.

Gli indicatori compositi elaborati dall’ASviS mostrano che la pandemia fa male allo svi- luppo sostenibile. Mentre secondo i dati per il 2018 e il 2019 l’italia era migliorata per quattro Obiettivi (povertà, condizione eco- nomica e occupazionale, economia circolare e istituzioni efficienti), era rimasta stabile per dieci (alimentazione, salute, istruzione, disu- guaglianze di genere, sistemi igienico-sani- tari, energia, disuguaglianze, cambiamento climatico, ecosistemi terrestri, partnership) ed era peggiorata solo per due (innovazio- ne e città), i dati provvisori disponibili per il 2020 mostrano invece un arretramento per nove Obiettivi (povertà, alimentazione, salu- te, istruzione, parità di genere, occupazione, innovazione, disuguaglianze, partnership),

un miglioramento solo per tre (l’economia circolare, la qualità dell’aria e i reati). Per i cin- que rimanenti non è stato possibile valutare ancora l’effetto della crisi. Per questo bisogna intraprendere immediatamente il cammino verso una transizione ecologica “giusta”, capa- ce di generare nuova occupazione e sviluppo economico e sociale, utilizzando in modo co- erente le risorse UE e nazionali per rilanciare il Paese in un’ottica di sostenibilità economica, sociale e ambientale. Il Rapporto ASviS analiz- za anche le novità legislative dell’ultimo anno e il fortissimo impegno finanziario per ridurre gli effetti della crisi in atto. Se la Legge di Bi- lancio per il 2020 era stata la più orientata allo sviluppo sostenibile degli ultimi cinque anni, gli interventi in risposta alla pandemia sono stati in gran parte diretti alla protezione del sistema socioeconomico, più che alla sua tra- sformazione verso la sostenibilità. Nei cinque Decreti-legge analizzati, 436 articoli (54%) sono orientati alla protezione, 158 (19%) alla promozione, 98 (12%) alla trasformazione, 73 (9%) alla preparazione, 43 (5%) alla preven- zione. In molti casi, gli interventi avrebbero potuto essere disegnati con una visione più orientata a prevenire nuovi shock e a prepa- rare il mondo economico e sociale ad un nuo- vo assetto più sostenibile, sfruttando anche gli orientamenti che stanno emergendo nella parte più innovativa del mondo imprendito- riale e della finanza. Per cambiare direzione, e proprio in vista della definizione del “Piano di ripresa e resilienza”, il Rapporto definisce quindi alcuni orientamenti per il nostro Paese:

1- la costruzione di una seria e dettagliata stra- tegia di sviluppo sostenibile per fornire una visione solida e coerente dell’Italia al 2030;

2- il rafforzamento delle strutture della Presi- denza del Consiglio per assicurare il coordina- mento delle azioni rispetto ai diversi Obiettivi dell’Agenda 2030;

3- il forte coinvolgimento delle Regioni, delle Province e dei Comuni nel disegno e nell’at- tuazione delle politiche per conseguire gli SDGs;

4- la predisposizione di un’Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, con un forte ruolo di coordinamento da parte del Co- mitato interministeriale per le politiche urba- ne opportunamente riformato;

5- l’aggiornamento del Piano Nazionale Inte- grato Energia-Clima (PNIEC) per allinearlo agli obiettivi europei e l’approvazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici;

6- la creazione, presso la Presidenza del Con- siglio, di un Alto consiglio per le politiche di

di M.A. Melissari

genere, per coinvolgere in modo continuati- vo la società nella programmazione e valuta- zione delle politiche contro le disuguaglianze di genere;

7- il coinvolgimento dei Ministeri per inserire le azioni volte al raggiungimento degli SDGs nella loro programmazione operativa;

8- l’inserimento nella Relazione illustrativa di tutte le proposte di legge di iniziativa del Go- verno di una valutazione ex-ante dell’impatto atteso sui 17 SDGs e sui singoli Target, per as- sicurare la coerenza delle politiche pubbliche;

9- la predisposizione di una Legge annuale sullo sviluppo sostenibile, per disporre di un veicolo normativo destinato a introdurre mo- difiche di carattere ordinamentale con un’ot- tica sistemica ispirata all’Agenda 2030.

Giovannini: “I prossimi mesi saranno cruciali

per disegnare e impostare le politiche pub-

bliche del prossimo triennio. La domanda di

scelte pubbliche e private a favore dello svi-

luppo sostenibile non è mai stata così forte

dato la crisi ha chiarito le profonde interazio-

ni tra dimensioni ambientali, sociali, econo-

miche e istituzionali del nostro mondo, cioè

i quattro pilastri dell’Agenda 2030. L’Unione

europea ha indicato la strada da percorrere e

l’Italia può essere protagonista di questa tra-

sformazione per coglierne gli enormi vantag-

gi. L’Italia del 2030 può essere molto migliore

di quella che avevamo un anno fa. Per questo

non si deve tornare indietro. Visione, corag-

gio, innovazione, persistenza e partecipazio-

ne sono indispensabili per realizzare un’Italia

più sostenibile e il patrimonio di conoscenze

e impegno civile delle centinaia organizzazio-

ni aderenti all’ASviS sono a disposizione delle

istituzioni nazionali e locali per fare, qui e ora,

le scelte migliori possibili, “senza lasciare nes-

suno indietro”.

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E se fossero i rifiuti stessi e gli imballaggi a desiderare una seconda vita?

Esce il 16 ottobre nelle sale cinematografiche italiane il film d’animazione Trash, un adventure movie per tutte le età, che unisce divertimento e missione educativa, interamente prodotto e realizzato in Italia e che vede come protagonisti un gruppo rocambolesco di “rifiuti”, oggetti ormai dismessi alla ricerca di un nuovo scopo che dia un senso alla loro vita.

Un cartoon educativo e al tempo stesso divertente, che vuole far passare il valore e la realtà del riciclo e delle seconde possibilità per i materiali di uso quotidiano, sostenuto da Corepla e dai consorzi di filiera degli imballaggi. Trash ribalta le parti e affronta uno dei temi caldi dell’attualità legati all’ambiente, il riciclo dei rifiuti e come tutti noi, con le nostre azioni concrete, possiamo fare la differenza.

Scatole, bottiglie, latte. Rifiuti. Abbandonati in strada, nei mercati, sotto i ponti. Ignorati da chiunque, inerti.

Finché non cala la notte… Slim è una scatola di cartone rovinata. Vive in un mercato, con il suo amico Bubbles – una bottiglia da bibita gassata – e altri compagni. Sopravvive nascondendosi dai Risucchiatori, macchine aspiratutto addette alla pulizia. Slim è rassegnato, non crede più in nulla, neanche alla leggenda della Piramide Magica, un luogo mitico in cui è possibile per i rifiuti avere una seconda possibilità, rinascere ed essere ancora dei Portatori utili a se stessi e agli altri, fino a quando un imprevisto cambierà il suo destino.

Trash è una produzione Al-One Srl, diretto da Luca della Grotta e Francesco Dafano con un brano inedito di Raphael Gualazzi nella colonna sonora. Sarà distribuito da Notorious Pictures dal 16 ottobre al cinema.

Dal cinema alla realtà, insieme per un mondo più green e sostenibile. M. A. Melissari

SCELTE SOSTENIBILI

Il riciclo diventa un cartoon. Nelle sale dal 16 ottobre

Come si valuta l’impatto di un

intervento dell’uomo sull’ambiente?

4 min TEMPO DI LETTURA:

Quando si costruisce un cavalcavia, come rea- gisce l’ambiente? In Italia viene applicata una normativa finalizzata alla valutazione dell’im- patto delle attività umane attraverso la ricerca e la misura di indicatori ambientali.

Per misurare questi indicatori é necessario in- quadrare la situazione individuando un “ecoto- po”. Si tratta di uno spazio geografico omoge- neo sia dal punto di vista strutturale, (geologia e morfologia) sia dal punto di vista funzionale, (piante e animali) e rappresenta l’unita pae- saggistica minima.

Un buon parametro per identificare un eco- topo consiste nell’individuare uno spazio minimo in cui esista una catena alimentare completa. Erbivori-predatori-parassiti-detriti- vori-saprofiti. Un generico tratto di fiume o tor- rente presenta proprio questo tipo di aspetto. I macroinvertebrati che ci vivono, sono organi- smi bentonici, cioè che vivono a contatto con i substrati come rocce, radici, detriti, ma sono capaci di muoversi autonomamente. Passano almeno una parte del loro vita nell’acqua, il loro ciclo vitale dura almeno un anno e copro- no tutti i livelli della catena trofica. Si tratta di animaletti : larve di insetti e adulti, vermi piatti, sanguisughe, crostacei, gasteropodi, che con- dividono un habitat e creano una rete di rela- zioni che sono espressione della condizione ambientale.

Per valutare lo scostamento di un sito da una condizione ottimale si procede all’elencazione delle specie presenti ed alla misurazione della rappresentatività delle singole specie e si pa- ragonano ad apposite liste compilate su am- bienti tipo, ecologicamente sani o comunque in una situazione indisturbata.

Per misurare l’impatto di un cantiere edile nei pressi di un fiume si procede all’analisi di un sito, a monte del cantiere, dal punto di vista ge- omorfologico, climatico e vegetazionale. Que- sto permette di incasellare l’ecotopo in una

griglia di riferimento. Si procede quindi al cam- pionamento dei macroinvertebrati, per mezzo di un retino apposito, cercando di prelevare cam- pioni da tutti i microhabitat presenti: la dimen- sione delle rocce, la presenza di detriti organici, la presenza di radici, pianta acquatiche o depositi di legno in marcescenza creano molti microhabitat diversi. Si procede quindi alla selezione e conta manuale degli individui presenti registrando fa- miglie e generi rappresentati ed anche il numero di individui per taxa. Si é così in grado di stabilire la “condizione” della zona in stato “indisturbato”.

A valle del cantiere si individua un ecotopo simile e si procede al campionamento. Comparando i risultati si ottiene una stima dell’impatto del can-

tiere. Un tempo la norma tutelava le acque libere:

fiumi, torrenti e laghi, solo in funzione della de- stinazione d’uso, potabile, irrigua, industriale in un’ottica puramente utilitaristica. Oggi si è invece recepito il concetto di auspicabilita’ nella qualità delle acque con l’introduzione di norme che tute- lassero anche specie animali e vegetali ed in ge- nerale con una tendenza al miglioramento eco- logico piuttosto che alla mera conservazione. Lo studio e l’applicazione di questi protocolli deve portare ad una maggior comprensione delle re- lazioni ambientali e ad una accresciuta consape- volezza del nostro ruolo all’interno dei processi naturali in modo da permettere alle generazioni future una qualità ambientale sempre migliore.

di Massimo Luciani

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