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L'economista: gazzetta settimanale di scienza economica, finanza, commercio, banchi, ferrovie e degli interessi privati - A.32 (1905) n.1620, 21 maggio

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SCIENZA ECONOMICA, FINANZA, COMMERCIO, BANCHI, FERROVIE, IN I ERESSI PRIVATI

Anno XXXII

Yol. XXXVI

Firenze, 21 Maggio 1905

N. 1620

S O M M A R I O : Le spese militari - Non si r is c a t t o ]e Am^ su1 | ^ew

Pot'R Z casa^el^Pane'diA l i filosofia di S A g n in o

-ration en Grande Brettagne - Monumento a ¿ r t n e l o ^ « d o -

Mer-I m Ì e t ó o e T v i r d e l Ì e Borse - Società commerciali e industriali - Notizie commerciali.

L E SPESE M I L I T A R I

Non scriviamo contro il progetto per le nuove spese per la marina, già presentato o contro quello per le spese per l’ esercito che sarà presentato fra breve. Per discutere questo argomento bisogne­ rebbe .un’altra volta esaminare tutto l’ indirizzo politico dell’ Italia e rilevarne gli errori e le contraddizioni. Non sono molti anni che preva­ leva « la lesina » od « il modesto piede di casa » ; bisognava che T Italia avesse pazienza, allora si diceva, rimandasse a lontana epoca le sue aspi­ razioni politiche, coltivasse i buoni rapporti con tutte le Potenze, si fondasse sulla pace, e sulla si­ curezza che nessuno la disturberebbe quando essa si occupasse quasi esclusivamente dei propri af­

fari interni. _ t

Se per molti motivi, e principalmente quello della difficoltà che poteva crea rci'il Papato, un tempo aggressivo verso l’ Italia, fin da principio della fondazione del Regno si commise 1’ errore di volerla fare l’ ultima delle grandi Potenze, an­ ziché la prima delle minori, non aggraviamo tale errore al punto da voler gareggiare in influenza colle nazioni che hanno più mezzi di quelli di cui T Italia dispone. Se non si limita a modeste vedute la nostra azione, non solo avremo sempre una posizione poco seria, perchè le nostre parole saranno sempre troppo più sonore dei nostri mezzi, ma ci rovineremo 1’ avvenire, inquantochè il peso delle spese militari impedirà ogni riforma tributaria e per di più sarà di remora ad un mag­ giore svolgimento economico.

Questa tesi prevalse sino a pochi anni or sono incontrastata ; e furono varie e ripetute le insistenze perchè si riducesse l’ esercito di due corpi d’ armata, si facessero tutte le possibili economie, intensificando anziché estendendo la forza del- 1’ esercito.

E quando parve che le condizioni generali del paese fossero meno disagiate e che di tale miglioramento si risentisse vantaggiosamente il bilancio, così che le entrate cominciarono a dare un margine notevole, da ogni parte - Camera - Governo - Parlamento - fu una ripetuta promessa

di procedere a riforme tributarie ed a sgravi per i consumi popolari. Il movimento in questo senso era così grande che sembrava non esservi che un solo ostacolo, quello di non saper bene da qual parte cominciare a dar sollievo fiscale agli umili.

Da lungo tempo VEconomista ammoniva ; non doversi lasciare che gli avanzi del bilancio si accumulassero senza destinazione ; essere ur­ gente rivolgere- le maggiori entrate o la più gran parte di esse a diminuire le gravezze che più col­ piscono la povera gente ; essere ciò consigliato non solo dalla giustizia e dalla umanità, ma an­ che dalla buona politica, dalla convenienza cioè di cementare maggiormente i rapporti tra le moltitu­ dini e le istituzioni ; dal saggio criterio di non continuare in simile materia col pericoloso sistema di promettere con frasi, in apparenza convinte, con parole scelte tra le più efficaci, , per poi non mantenere.

E segnalava VEconomista insistentemente che se, si fosse lasciato Vavanzo scoperto, sarebbe ve­ nuto inevitabilmente il momento in cui le pub­ bliche amministrazioni se lo sarebbero assorbito tutto e principalmente quelle della guerra e della marina.

Il partito socialista, che su questo punto es­ senziale avrebbe dovuto insistere e far devolvere g li avanzi a vantaggio delle classi più povere, colla sua costante volubilità di affrontare tutte le questioni senza condurne a termine alcuna, e colla sbagliata tattica di chiamar spese improduttive quelle militari e domandarne la diminuzione, ha contribuito non poco al risultato finale che ave­ vamo preveduto.

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L ’ ECONOMISTA 21 maggio 1905 326

Nulla diremo intorno a ciò; subitochè l ’Italia si è assunta questa parte nella politica Europea di una perpetua aspirante a qualche cosa, è ben naturale che cerchi anche di appoggiare le sue perpetue lamentele, almeno colla apparenza della forza. Diciamo colla apparenza della forza, perchè tutti sappiamo che per avere una marina la quale fosse in caso, nella eventualità di un conflitto, di prendere una ardita e sicura posizione, ben altro ci vogliono che i pochi milioni diluiti su lungo periodo, che il Ministro Mirabello domanda al Parlamento ; e che per avere un esercito pronto alla guerra, ben altro occorrerebbe che i 200 milioni che saranno domandati fra pochi mesi, divisi in dieci esercizi. Spenderemo per am­ bedue i Ministeri questo mezzo miliardo e saremo all’ incirca quello che siamo ora ; cioè no ; avremo una illusione di più.

Potremmo anche osservare che si domandano queste nuove diecine di milioni per le spese mi­ litari, dopo che si è appena accertato lo stato miserevole della istruzione primaria e lamentata la piaga degli analfabeti che disonora tanta parte d ’ Italia ; che si trovano tanti milioni per le spese militari, quando ancora si pagano gli insegnanti delle scuole secondarie come commessi di negozio, quando da tanti anni si promette di migliorare le condizioni di quegli infelici nelle mani dei quali mettiamo l’esercizio della giustizia....

Ma tutte queste considerazioni a nulla ser­ virebbero certamente nel momento presente ; la soluzione di queste importanti questioni va pre­ parata di lunga mano, e l’ indirizzo di un paese non si determina senza aver apparecchiata la pubblica opinione.

Quello invece che ci procura un profondo rammarico è l’ incoerenza nella linea di condotta da seguire, è la mancanza di capacità di essere ammaestrati dalla esperienza.

Non sono passati che venti anni dal periodo nel quale il compianto Magliani, mettendo la prò­ pria indiscussa abilità a servizio di una cattiva politica, ha in pieno Parlamento dimostrato che 1’ aumento normale e quasi naturale delle entrate doveva essere di trenta milioni l’ anno ; e basò su questo ipotetico aumento tutta quella serie di aumenti per nuove spese che condussero l’Italia a rinnovare l’ epoca delle pene per il disavanzo; ai trenta milioni di annuale incremento delle en­ trate fatto credere sicuro dal Magliani, successero i dodici anni di guai ; per quanto le previsioni si facessero modeste, gli accertamenti erano sempre inferiori e i disavanzi si accumularono rendendo critica la situazione del Tesoro, che dovè prima alleggerire il suo debito fluttuante coi Buoni a lunga scadenza, poi consolidare anche questi Buoni in debito perpetuo. Nessuno aveva preveduto gli anni magri, nemmeno quando si manifestavano i sintomi più gravi ; si attribuiva il male ad una crisi acuta che domani sarebbe risanata ; durò dodici anni, con quale danno della pubblica eco­ nomia tutti sappiamo.

E nel 1894, quando il male aveva già a lungo durato, ecco un nuovo uomo di Stato, l’on. Son- nino, che vede la nazione in pericolo, propone i provvedimenti più antipatici per impedire il di­ sastro e delinea la situazione coi più neri colori. Era un profeta altrettanto sbagliato quanto il

Magliani, ma da un punto di vista opposto. I fatti smentirono lui, come avevano smentito il suo predecessore.

Proprio dal 1896 incominciò l’ epoca prospera per il paese ; le entrate aumentarono, l’economia pubblica per molti segni accennò a svolgersi, il debito pubblico rientrò in paese ; 1’ aggio sparì, la situazione si rischiarò felicemente.

Ma è proprio destino che le lezioni non dieno alcun profitto.

L ’ assestamento delle finanze dello Stato po­ teva lasciar sicuro il contribuente che se non ot­ teneva dei notevoli sgravi agli oneri che lo tor­ mentano, e nemmeno qualche efficace tentativo di una meno iniqua distribuzione dei tributi, al­ meno sarebbe lasciato tranquillo nel suo letto di Procaste e nuove gravezze non gli sarebbero state inflitte.

Invece stiamo per ripetere gli stessi errori dell’ epoca M agliani; seminiamo i guai per un prossimo avvenire con una leggerezza che rasenta la colpa.

L ’ esercizio di Stato delle ferrovie, per lo meno porterà una maggior spesa di 20 milioni ; tanti all’ incirca ne occorrono per gli interessi del de­ bito che bisognerà pagare con un’ altro debito, e per il nuovo impianto.

Guerra e marina domandano almeno altri 30 milioni insieme per nuove armi difensive.

Mettiamo solo 10 milioni di aumento nor­ male delle spese a cui non si sa resistere, ed avremo nei prossimi esercizi una sessantina di milioni di maggior onere per il bilancio.

Gi par di sentire il prossimo annunzio che l’on. Majorana sta studiando qualche nuova im­ posta od il rimaneggiamento di qualcuna delle esistenti.

Questa è la situazione che si delinea, e come al solito avviene che una serie di Ministeri si affanni a non far nulla perchè il bilancio diventi elastico, è poi un solo Ministero ad un tratto di­ vori tutta la elasticità e metta ancora una volta il contribuente alle prese col disavanzo.

Quando 1’ on. Giolitti si ritirò dal Ministero per motivi di salute, qualcuno ci affermava che egli aveva già stabilito di cogliere la prima oc­ casione decente per lasciare il Ministero, inquan- tochè vedeva che si'voleva aumentare le spese militari, mentre egli avrebbe desiderato che si facessero dei larghi sgravi.

Non abbiamo creduto che quella afferma­ zione fosse vera ; ma l’ uomo politico che allora ci ha dato quell’apprezzamento ci scrive : « cinque « mesi or sono vi ho scritto che subito dopo che « 1’ on. Giolitti si fosse ritirato, si sarebbero au- « meniate le spese militari ; voi non mi avete « creduto. Ora i fatti danno ragione a me ».

Non sappiamo se quello che oggi avviene sia una causale coincidenza o 1’ avverarsi della pro­ fezia, ma sappiamo che è pero 1’ attuazione di un piano da lunga mano apparecchiato.

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Non si riscattano le “ Meridionali ”

Dopo lunghi giorni di voci contradittorie che secondo alcuni nascondevano la incertezza del Ministero sulla questione, si annunzia^ che nella ultima adunaza tenuta dal C onsiglio'dei Mini­ stri, venne definitivamente deliberato di non ri­ scattare la rete delle strade ferrate Meridionali. Il Governo era in facoltà di fare o non fare il riscatto e se ha concluso negativamente non vi è nulla da dire; d’ altra parte si afferma che la Società delle Meridionali, che fino a pochi mesi or sono insisteva fortemente per ottenere il ri­ scatto, si sia mostrata in queste ultime settimane molto più tiepida sulla questione. E si assicura anche che, tanto da parte del Governo, come da parte della Società, non sia stata^ estranea la con­ siderazione, per quanto non esplicitamente mani­ festata, che sia utile e ad ogni buon fine man­ tenere in vita almeno una delle Società esercenti, affinchè, se mai l’ esercizio di Stato non dovesse corrispondere alle speranze che vi hanno posto i suoi fautori, sia già pronto un nucleo esperi- mentato di persone ed un vistoso capitale, che possa liberare, almeno in parte, lo Stato dal compito difficile che si è assunto.

Crediamo che quanto più si procede verso la fine delle Convenzioni, tanto più vivo si faccia sentire in molti il dubbio che lo Stato, prendendo l’ esercizio delle strade ferrate, abbia fatto un cat­ tivo affare sotto molti aspetti. Prima di tutto si vede la maggiore spesa inevitabile, e poi si pensa che, continuando nell’ esercizio privato, si sarebbe risparmiato al Tesoro di assumersi dei gravis­ simi oneri finanziari, dei quali non tutti si ren­ dono conto affatto, ma dei quali si vedranno presto le conseguenze.

E l a . strana ed anormale procedura colla quale venne adottato 1’ esercizio di Stato, senza permettere che il Parlamento liberamente si pro­ nunziasse sulla questione, costringendolo anzi ad accettare i fatti compiuti, eccita maggiormente i timori.

E tanto più gli animi rimangono perplessi in quanto, per confessione stessa di coloro che sono naturali difensori delle sue risoluzioni, si comprende che la causa principale per cui il G o­ verno abbandona il riscatto, è quella del timore che lo si giudichi troppo condiscendente verso la Società. Non è nè la Camera nè il Governo che non vogliono il riscatto, ma sono gli on. Saporito e Tedesco che hanno fatto paura all’ una ed al- l’ altro.

Così adunque le Meridionali rimarranno eser­ centi delle seguenti linee:

1. Bologna-Ancona- F oggia-0 tranto. 2. Castellammare A dr .'-Sulmona-Aquila- Rieti-Terni. 3. Foggia-Napoli. 4. Termoli'-Campobasso-Benevento. 5. Sulmona-Isernia. 6. Campobasso-Iserni -. 7. Foggia-Potenza. 8. Bari-Taranto.

9. Rocchetta S. Antonio-Gioia del Colle. 10. Barletta-Spinazzola.

11. Ofantino-Margherita Savoia. 12. Telese-Bagni.

Il Governo poi ha facoltà di stipulare l’ eser­ cizio privato — secondo ultima legge appro­ vata' — per le seguenti linee :

Ascoli-S. Benedetto del Tronto. Teramo-Gi ulianova.

Foggia-Lucera. Foggi a-Manfr edoni a. Zollino-Gallipoli.

Pertanto la rete delle Meridionali sarà co­ stituita da circa 2200 chilometri di strade fer­ rate e manterrà, a quanto si dice, e del resto è probabile, la sua sede a Firenze.

Opportuni accordi sono intervenuti già tra il Governo ed il Direttore Generale delle Meri­ dionali Comm. Borgnini, per fissare le condizioni con cui deve essere fatto 1’ esercizio delle Meri­ dionali.

I lettori certamente ricordano che sino dal­ l’ anno decorso, quando si parlava, con così poca cognizione di causa, del riscatto, abbiamo avver­ tito che, non facendo il riscatto, le Meridionali rientravano dal 1° luglio in possesso della con­ cessione del 1862 e quindi delle tariffe e delle condizioni di trasporto che quelle concessioni con­ tengono ; aggiungevamo che non sarebbe stato possibile ammettere la applicazione delle vecchie tariffe e delle vecchie condizioni, e che quindi, se il riscatto non avveniva, il Governo doveva prendere accordi colla Società, affinché applicasse non le vecchie ma le nuove condizioni di tra­ sporto.

Dopo qualche incertezza, il Ministero allora ammise la giustezza di questa tesi, sulla quale del resto non si avrebbe potuto nemmeno discutere.

E infatti, a quanto sappiamo, sulle linee ge­ nerali di questa questione è corsa tra il Governo e la Società una intesa.

Ancora non si sa quali sieno i patti stabi- liti, ma è certo che saranno tali da non sacrifi­ care le regioni che sono servite da quella rete, nè da rendere meno facile il movimento tra la rete delle Meridionali e quella dello Stato.

La Società, se il Governo saprà mantenere facili rapporti tra la propria rete e quella pri­ vata, potrà sviluppare in quelle regioni tutta la sua attività e con un personale già ammaestrato e intelligente, come quello di cui dispone, potrà far vedere al paese se sia stato bene illuminato il Governo ad assumere l’ esercizio di Stato.

ANCORA SUL REGIME DEGLI ZUCCHERI

IN I T A L I A

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N

328 L ’ ECONOMISTA 21 maggio 1905

Che cosa ha da fare colle idee che io so­ stengo e che V Economista pure sostiene in teoria, se la industria dello zucchero in Italia sia o no rimasta bambina e quindi possa camminare da sola senza protezione o con molto minor pro­ tezione ?

Ella dice ben sì: in teoria siamo d’ accordo; il protezionismo è stato ed è un male; 1’ .Econo­ mista lo ha combattuto e lo combatte ; ma con ciò esso non può isolarsi dal mondo e dal movi­ mento quotidiano dei fatti per limitarsi a ripe­ tere sempre e solamente ; viva il libero-scambio, od abbasso il protezionismo !

Osservo che sono ben pochi i protezionisti — io non ne conosco alcuno, ■— i quali non si pro­ fessino liberi-scambisti in teoria. Non ci sa­ rebbe dunque più differenza tra il liberismo del- l’ Economista e quello dei protezionisti italiani autori e sfruttatori della tariffa del 1887, che V Economista sino a questi ultimi tempi non aveva mai cessato di combattere ?

Che, per ragioni puramente di tattica, un liberista non possa disinteressarsi dei fatti e debba sciegliere necessariamente fra le varie vie più o meno rapide per arrivare alla attuazione delle sue idee, questo è cosa che io non ho difficoltà di ammettere. Ammetto anche che fra liberisti possa essere dissenso più o meno grave circa i mezzi da seguire per tradurre in realtà pratica la teoria del libero-scambio.

Certo sarebbe preferibile potere dare alla nostra propaganda non solo scientifica, ma anche elettorale e politica, il carattere di una lotta ge­ nerale e ad oltranza contro il principio stesso del privilegio economico, attaccando contempo­ raneamente da tutti i lati la cittadella dei mo- nopolii protezionisti; ma di chi la colpa, se una tale impresa non è oggi possibile per la esiquità numerica e la deficienza di forze del partito li- beralista italiano e se chi non si adatta a rima­ nere inoperoso e sente il bisogno di agire in con­ formità delle sue idee, non solo in teoria, ma anche in pratica, deve per forza contentarsi di fare le « piccole scaram ucce » che a me Ella rimprovera come di esito molto difficile e perchè è grande in esse lo sperpero delle forze, le quali « dovreb­ bero essere tutte rivolte a vincere il caposaldo del protezionismo, che è la protezione alla gra­ nicoltura ».

Quanto al dazio sul grano, dicendo che esso è peggiore di quello sullo zucchero e di quello sul ferro e di tutti i dazi industriali messi in­ sieme — e votati da un Parlamento di agrari per amore del dazio sul grano — Ella, signor Professore, predica ad un convertito. Ella e l’-Eco- nomista sanno che io non ho mai mancato una occasione per spezzare una lancia contro l ’ esoso monopolio degli agrari e che in questa campagna — non per colpa mia abbandonata dai partiti poli­ tici che si dicono a parole democratici — sono andato così oltre da buscarmi un processo (finito in una assolutoria) pel famoso eccitamento al­ l’ odio di classe.

Posso quindi parlare senza rimorsi e senza scrupoli di coscienza. In tutta sincerità le dico che, se siamo d’ accordo in teoria e compieta- mente nella questione del dazio sul grano, non siamo più d’ accordo quando in pratica Ella so­

stiene la tesi che, vivendo in regime protezionista, anche i liberisti non devono negare il loro con­ corso a stimare e pesare il tanto di protezione che lo Stato deve dare, oppure rifiutare alle sin­ gole industrie. E neppure siamo d’ accordo in ciò che la protezione una volta carpita allo Stato costituisca un diritto per quelli che sono riusciti a carpirla, come Ella ammette nella conclusione del suo articolo, dicendo che lo Stato ha il dovere di far vivere una industria che ha voluto far nascere e che lotta ancora nel complesso, tra scarsi guadagni ed enormi perdite di capitali.

Io osservo che lo Stato non ha voluto niente. Chi ha voluto creare l’ industria dello zucchero in Italia sono stati l’ on. Maraini e i suoi buoni colleghi della « Unione Zuccheri ».

Dopo Bastiat, è pacifico tra liberisti, anche solo teorici, che il protezionismo è la spoliazione legale se si vuole, ma sempre spoliazione, dei consumatori a profitto delle caste politiche domi­ nanti, le quali, quando, abusando della loro forza politica, stabiliscono dazi protettivi, in loro favore, sanno benissimo che questi dazi non sono contratti e che, allo stesso modo in cui i produttori momen­ taneamente più forti perchè politicamente meglio organizzati, non hanno avuto alcun riguardo per i diritti e gli interessi legittimi dei consumatori, questi a loro volta appena lo potranno non avranno alcun dovere di considerare come diritti acquisiti delle leggi che sono puramente ed esclusivamente dei veri e propri abusi di potere.

« Contro il diritto non vi è diritto », diceva Bossuet, e il primo diritto dei contribuenti e con­ sumatori è di non pagare tributo ad altri che allo Stato, rappresentante dei bisogni e degli interessi collettivi.

Ma, questione di diritto a parte, io ho am­ messo ed ammetto che possa sembrare meno equo privare di ogni protezione i 33 fabbricanti di zuc­ chero, mentre perdura l’ attuale regime di pro­ tezionismo industriale ed agrario. Perciò, mi sono limitato a sostenere la applicazione della Con­ venzione di Bruxelles, senza le riserve fatte ap­ provare per l’ Italia dall’ on. Maraini, cioè la ri­ duzione della sopratassa doganale sugli zuccheri a lire 5.50 il quintale per i greggi e a lire 6 per i raffinati.

L a questione non è se una simile protezione sia o non sia sufficiente per le 33 fabbriche della nazionale « Unione Zuccheri ».

Secondo i calcoli ultimi dell’ on. Maraini pa­ gando lo zucchero 6 lire per quintale al disopra del prezzo che potrebbe fare la produzione estera, la nazione italiana è tassata a favore della « Unione Zuccheri » di un interesse annuo del 6 all’ 8 per cento su tutto il capitale investito nelle fabbriche e raffinerie nazionali da zucchero. Come « ri­ guardo » ' speciale e temporaneo per gli zucche­ rieri, così benemeriti ec. di avere fatto bene o male, i loro interessi a danno degli interessi dei con­ sumatori, mi pare che basti ! In caso contrario, allora meglio sarebbe lasciar perire l’ industria dello zucchero e servire ai. fabbricanti sul pro­ vento fiscale del dazio l’ interesse annuo dei loro impianti divenuti inutili.

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metterebbe niente, e guadagnerebbe molti milioni d’ incasso sul suo provento attuale fra dazio e tassa di fabbricazione sullo zucchero.

Ma io non ho bisogno di dire a lei che i bi­ lanci delle Società anonime per solito non dicono che una parte del vero e che, per giudicare dei guadagni effettivi di una Società industriale, non basta conoscere le somme che gli azionisti hanno ricevuto a titolo di interessi o di dividendi. Molte altre cose bisognerebbe sapere, in ¡specie :

a) quali capitali gli azionisti hanno effet­ tivamente versato in confronto a quelli che figu­ rano sulle azioni ;

b) quali « annacquamenti » e quali errori d’impianto sono stati saldati coi lucri industriali;

c) quali provvigioni e mediazioni sono state pagate ai promotori più o meno politici dell’ im­ presa ;

d) quali stipendi e quali indennità sono annualmente serviti agli alti impiegati ed ai « gros bonnèts » della amministrazione, ecc. eco.

Per fare un esempio, io potrei dirle che una delle Società da lei ricordate, appena finito il proprio impianto, si accorse che le macchine pro­ fumatamente pagate non servivano e dovevano essere cambiate, ciò che cagionò una svalutazione di capitale, rapidamente coperta sugli utili suc­ cessivi dell’ azienda.

A ltre fabbriche sono state fondate in paesi, dove non si riuscì ad introdurre la coltivazione della barbabietola in modo che quelle fabbriche non raggiunsero mai il minimo di produzione cal­ colato, ecc. ecc....

Se si ammette che le manipolazioni finan­ ziarie a base di « watering » o gli errori indu­ striali sono una ragione per fissare e mantenere indefinitamente ad una industria la protezione nella misura elevatissima del nostro regime-sugli zuccheri, allora si può andare molto lontano ed io mi permetto di domandarle dove si fermerà lei, signor Professore !

A i dati desunti dai bilanci, si possono con­ trapporre i valori dei titoli saccariferi quotati in borsa, come nel seguente prospetto :

Società e anno di fondazione Società L. L. di raffin. zuccheri (1872)

Valore Valore versato attuale 200 445 Industria zuccheri (1898) 200 388 Zucchereria Nazionale (1899) 100 205 Società Yalsacco (1898) 100 170 Società Eomana (1) (1903) 50 125

Fabbr. zucch. Ligure-San vi tese (1899) 200 170 Fabbr. zucch. Ligure-Vicentina (1899) 200 170

Totale

Società Eridania (1899) 1050200 16731050 Totale compresa la Eridania, 1250 2723 Se si comprende nel calcelo la « Eridania », da questo prospetto appare che chi avesse avuto una azione per ciascuna delle Società indicate si troverebbe dopo pochi anni a poter vendere in borsa per lire 2723 ciò che in realtà non figura versato che per lire 1250. L ’ aumento di valore è dunque stato rapido e grande ragguagliandosi al 117 per cento del capitale primitivo.

(1) Successa alla Società Italo-Tedesca fondata nel 1898.

Se escludiamo invece la « Eridania », 1’ au­ mento di valore è pur sempre ragguardevole, del 59 per cento, ancora notando che rimane inferiore a quello che sarebbe quando le due Società, che hanno i loro titoli al disotto del valore nominale, figurassero nel calcolo per la parte proporzionale dei loro capitali con quelli delle altre Società.

Quanto alla famosa « Eridania » io non nego che i suoi « miracoli » non siano tutti dovuti al- 1’ esercizio della industria dello zucchero. Ma è ' vero o non è vero che i favolosi guadagni della « Eridania » hanno la loro base nel protezionismo zuccheriero e che simili giuochi non si sarebbero neppure potuti pensare sopra alcuna delle indu­ strie non protette che sono in Italia ? Lo Sta to dunque si fa complice dei giuochi di borsa più sfrenati ed è colla garanzia e connivenza dello Stato che si va sfruttando la buona fede del pùb­ blico ingenuo e sottraendo i capitali e le energie alle industrie sane e produttive del paese !

Convengo che, in Italia, non è piacevole la condizione di un liberista, il quale non si con­ tenta di affermarsi tale in teoria, ma vuole es­ sere anche in pratica fedele e coerente, alle sue idee. Se ha capitali suoi da fare fruttare, uno scrupolo di coscienza gli impedisce di inve­ stirli nella maggior parte dei titoli industriali, perchè ciò lo farebbe complice di una spoliazione che non ammette e condanna. Se ha bisogno di lavorare per vivere, ha precluso il campo dei mi­ gliori stipendi e dei Consigli di amministrazione delle Società, che sono meglio in grado di rimu­ nerare l’ attività di coloro che si dedicano alle professioni industriali e commerciali. Abbia anche l’ ingegno di un Breda o di un Maraini, il po­ vero liberista deve tirarsi in disparte e lasciare che altri meno intelligenti ed attivi di lui si ar­ ricchiscano coi mezzi sanzionati dalla morale molto transigente dei giorni nostri, standosene pago per conto suo della assai più modesta soddisfazione di poter dire sempre di non avere operato in niente contro i propri principi, esposto per di più al pericolo di sentirsi dai liberisti in teoria rin­ facciare come una colpa questa sua ostinata ed irremovibile volontà di non consentire o parteci­ pare comecchessia ad alcuno dei vantaggi pratici di un sistema che egli condanna e combatte, per­ chè iniquo ed ingiusto.

Può darsi che il mio sia un liberismo troppo intransigente e fuori di moda. Nel caso, sarei io solo che avrei ragione di dolermi delle conseguenze, a cui personalmente esso mi porta. Se continuo a fare delle « scaramuccie » contro la « Unione Zuccheri » o il « trust » della Terni, è esclusi­ vamente perchè non mi trovo abbastanza com­ pagni a lato per propagare da tutte le parti l’as­ sedio alla fortezza ancor salda del protezionismo.

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330 L ’ ECONOMISTA 21 maggio 1905

deboli della fortezza protezionista, non disperando che quando i liberisti teorici si decideranno alla grande e suprema battaglia, questa breccia allar­ gata potrà presentare loro il varco per fare in­ vasione nel campo nemico e per riuscire vincitori di tutte le posizioni.

L e domando scusa se, per la necessità di spiegarmi chiaramente, ho dovuto alquanto abu­ sare del diritto di replica da lei gentilmente of­ fertomi, e coi sensi della maggior osservanza mi rassegno di lei, chiarissimo signor Professore,

Bricherasio, 15 maggio 1905.

Devotissimo Ed o a r d o Gi r e t t i.

P. 8. Mi cade sotto gli occhi la circolare in data 10 corrente di un noto banchiere-com­ missionario in borsa, il quale invia alla sua clien­ t e l e raccomanda caldamente, fogli di prenotazione alle 22,000 azioni della nuova Società « Zucche­ rificio e Distilleria Alcools Gulinelli », rilevataria dello stabilimento del Conte Luigi Gulinelli a Pontelagoscuro (provincia di Ferrara).

Nella circolare è detto che « nell’ultimo quin­ quennio, F utile netto raggiunse la cifra di lire 500,000 ogni anno, e, notisi, con la sola produ­ zione dello zucchero ».

Mi è venuta vaghezza di conoscere quale è stata questa produzione, riscontrando , F ultima Relazione del Direttore generale delle gabelle, ed ecco le cifre che ho trovate:

Quiut. di zucch, greggio

Anno fiscale 1899-900 18,217 » 1900-901 39,819 » 1901-902 29,651 » 1902-903 26,330 » 1903-904 61,299 Quinquennio Quintali 175,316 Media annua » 35,063 La circolare continua :

« Ricordiamo che in questi ultimi due anni, anteriori all’ esercizio iniziato il 1° luglio 1904, e del quale gli utili che si riassumono in circa F 8 per cento sono di spettanza della nuova so­ cietà, più accanita che mai fu la concorrenza degli zuccherieri fra di loro, a tal segno che il raffinato scese a 114 lire il quintale, e che una potente società, la Ligure-Lom barda, dovette giungere al punto di sospendere tutti i contratti a termine in corso, e vendere ai bassi prezzi della giornata, onde conservare la clientela, men­ tre oggi per effetto dell’ « Unione Zuccheri » i prezzi sono risaliti e si aggirano sulle 138 lire al quintale.

« Malgrado questi ribassi, Futile netto degli esercizi 1902 e 1903 fu rispettivamente di lire 506,000 e 450,000 ».

Segue poi un calcolo sul costo della produ­ zione dello zucchero, il quale non concorda per niente con il famoso memoriale presentato recen­ temente al Governo e ai deputati della « Unione Zuccheri ». L a verità è una, ma i signori dello zucchero la fanno vedere diversamente secondo che si tratta di fare effetto sui ministri oppure sui nuovi azionisti ! Ciò prova soltanto che i bi­ lanci delle Società vanno accolti con benefizio d ’ inventario e letti coll’ occhio attento a quello che, secondo i casi, si vuol mostrare o nascondere.

Poche parole ho da soggiungere a quanto scrissi nell’ ultimo fascicolo dell’ Economista in risposta all’egregio sig. Giretti, il quale, in verità, nella sua replica, nè confuta il mio principale argomento, nè porta sulla questione nuova luce.

E per esser breve e riassumere il mio pen­ siero, lo esporrò sotto forma di paragrafi, se­ guendo la stessa lettera del sig. Giretti :

1. ° Non ho domandato al sig. Giretti di provare i larghi guadagni delle 33 fabbriche di

zucchero, ma, rilevando la sua affermazione che l’ industria dello zucchero si sia in Italia arric­ chita col protezionismo, ho replicato che questa affermazione deve essere provata coi fatti, mentre i fatti ch’io avevo sott’occhio provavano il contrario.

2. ° Non credo di poter essere annoverato tra i liberisti in teoria ed i protezionisti in p ra ­

tica ; ma ripeto che, dato il protezionismo, come cittadino e come studioso ritengo di fare opera buona e giusta tentando che tale sistema si renda meno nocivo possibile. E così, come com­ batterei — pur essendo liberista — il Governo che stipulasse cogli altri Stati dei trattati di commercio della durata di un anno o duè, per­ chè un così breve periodo non farebbe che rovi­ nare l’ economia del paese, così combatterei la politica economica del Governo che avesse in mira coi dazi fiscali di concedere o non concedere, di allargare o restringere capricciosamente e senza coerenza la protezione a qualche industria.

3. ° Non accetto la teoria storico-econo­ mica che le classi dominanti facciano senz’ altro le leggi a loro favore; esse le fanno a loro fa­ vore perchè in quel momento storico rappresen­ tano, o si crede che rappresentino, il maggiore in­ teresse generale. E il fatto stesso che ii signor Giretti riconosce di essere solo o quasi solo nella campagna liberista (e tante volte di ciò si la­ mentò pure l’Economista) dimostra che il prote­ zionismo è creduto ora un sistema che rappre­ senta il maggior interesse generale. Noi, egregio signor Giretti, che crediamo diversamente, ope­ riamo pure perchè si facciano i rimboschimenti al bacino del fiume che ci inonda, ma mentre si discute su questo più largo problema, cerchiamo di regolare meglio che sia possibile il corso del fiume e contenerlo negli argini, sebbene sappiamo che, più si alzano gli argini, « più si alza il letto del fiume ».

4. ° E non ammetto nemmeno la distin­ zione tra teoria e p ratica, perchè non conosco buone e sane teorie che non sieno derivate dalla pratica; e le buone teorie diventano cattive, quando non corrispondono più alla pratica. A mio credere i liberali in economia hanno perduto molto in numero ed in influenza, appunto perchè limitandosi, per la maggior parte, a gridare: viva il libero-scambio, anche quando tutto il mondo diventava protezionista, parvero, agli occhi dei più, fuori del mondo.

5. ° E ’ verissimo che io credo che i libe­ rali non devono negare il loro concorso a sti­

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O.o Non ho mai detto che quelli che sono protetti dalla tariffa acquistino un diritto ; certo essi difendono il loro interesse e fanno bene ; ma è lo Stato che deve essere intelligente e perspi­ cace intorno alla conseguenza della sua politica economica ; deve cioè comprendere che un indi­ rizzo, o liberale o protezionista, non può essere nè capriccioso nè mutevole, ma costante e in tutti ì casi intelligente ; poiché anche l’ errore può essere sciocco od intelligente.

E se Bossuet ha detto che contro « il diritto non vi è diritto » avrebbe detto, nel sen§o in cui vorrebbe il sig. Giretti, una corbelleria ; — ogni limitazione di diritto è un diritto contro un altro diritto.

7.° Su benissimo che i bilanci delle Società anonime, causa specialmente la rapacità del fisco, si leggono difficilmente ; ma in una sola cosa di­ cono la verità, almeno per gli azionisti : nel di­ videndo che distribuiscono. Tutto il rimanente ha importanza molto relativa per ciò che riguarda il capitale. E l’egregio sig. Giretti inutilmente cita il valore di borsa delle varie azioni ; quei 623 ovvero 1473 milioni di maggior valore di Borsa, non sono un capitale funzionante nella industria; e se mai qualche azionista più scaltro o più solle­ cito può realizzarlo, gli azionisti non potrebbero certo, se lo volessero, realizzare quel maggior va­ lore che sta solamente sulla carta ed è unica­ mente Una speranza.

E se è vero che quei prezzi favolosi hanno per base il protezionismo, non è già che il pro­ tezionismo li produca e determini. Senza prote­ zionismo, l ’ Inghilterra ha molti titoli quotati ad altissime cifre oltre il versato ; senza protezio­ nismo le azioni della Società delle Assicurazioni Generali valgono 16,000 lire mentre è di poche centinaia il versato ; per gli engoiìments della Borsa il protezionismo non è necessario. L ’ argo­ mentazione del sig. Giretti somiglia a quella di un mio amico, che mi credeva clericale perchè abitavo nella casa dove abitava un parroco.

8. ° In quanto alla intransigenza del libe­ ralismo, intransigenza che sarebbe il prodotto della « coscienza », non ho ben capito che cosa voglia dire il sig. Giretti ; ma se egli vuole che l’ economista liberista non tocchi nulla di ciò che viene dal protezionismo, lo costringerà a vi­ vere nel deserto, dati i tempi presenti. E se il suo pensiero corrisponde alle sue parole, il sig. G i­ retti, se mai fosse un industriale, dovrebbe ven­ dere il suo prodotto ad un prezzo meno il dazio, per non lucrare sul protezionismo. Tutte le dot­ trine hanno i loro apostoli ed anche i loro mar­ tiri ; il sig. Giretti sarebbe un martire; ma diven­ terebbe una esagerazione se tutti agognassero al martirio per il libero scambio. In meno prosaico terreno di quello degli intèressi materiali, il sig. Giretti vorrebbe, ad esempio, che uno spiri­ tualista si dimettesse dall’ insegnamento se diven­ tasse Ministro un materialista....

9. ° Infine, in quanto alla circolare di cui si occupa il proscritto, dirò che non vado mai a cercare le medicine nella quarta pagina dei gior­ nali, e mi sorprende che egli vada là a cercare buoni argomenti.

E t de hoc satis, per ora.

A . J. de Johanìus.

LA DISOCCUPAZIONE E 1 SUOI RIMEDI”

II.

La previdenza sociale applicata alla disoc­ cupazione si è avuta specialmente in periodi di grandi crisi industriali, che gettavano sul lastrico a diecine, a centinaia di migliaia i disoccupati, ai quali Ìe associazioni di mestiere, anche se for­ temente organizzate e finanziariamente ricche, non potevano assolutamente provvedere. A llora gli enti pubblici e gli istituti di beneficenza si preoc­ cuparono del problema e corsero ai ripari con la­ vori straordinari, con elargizioni in danaro, con la istituzione di case di lavoro, di colonie agri­ cole e con casse di sussidio.

Così si ebbero le casse di San Gallo e di Berna nella Svizzera che applicarono la prima l’ assicurazione obbligatoria con sussidi del Co­ mune, e la seconda l’assicurazione volontaria. A San Gallo la cassa fondata nel 1895 obbligava tutti gli operai domiciliati nel Comune e con un salario da 2 a 5 franchi al giorno, qualunque fosse la loro professione, a pagare una quota uni­ forme di 10 a 30 centesimi la settimana in pro­ porzione del salario ; in cambio essi ricevevano in caso di disoccupazione una indennità variabile da 1.80 a 2.40 al giorno, secondo il salario. Ma la uniformità delle quote, per la quale gli operai che meno risentivano la disoccupazione dovevano pagare per i giornalieri e per gli operai che hanno la morta stagione, indispose gli operai i quali cer­ carono con tutti i mezzi di sottrarsi _ all’ obbligo del pagamento delle quote. Alcuni difetti di or­ ganizzazione, un po’ troppa burocrazia ed un vin­ colo troppo stretto con l’ amministrazione dei po­ veri precipitarono la rovina della istituzione che era stata votata con entusiasmo da quasi tutti

gli interessati. .

L a cassa di Berna invece cominciò a funzio­ nare nel 1893 ed e fondata sul principio della libertà. Essa aveva però un numero assai scarso di soci, 644 al 31 marzo 1902, e in parte mag­ giore la spesa per i sussidi è a carico del Go- mune, sicché può dirsi più che altro una Cassa di beneficenza.

Sullo stesso tipo fu creata nel 1896 una Cassa a Colonia con quote di centesimi 34 prima, poi 44 e in seguito di 38 centesimi per gli operai non specializzati e 50 per g li specializzati, per 34 settimane in un anno e con sussidi variabili da 2.50 a 1.82 al giorno nel periodo compreso tra il 10 dicembre e il- 10 marzo. Poi gli Statuti fu­ rono modificati e la Cassa fu collegata all’ Ufficio di collocamento che permise di scoprire alcuni casi di simulazione tra i richiedenti il sussidio di di­ soccupazione.

Anche in Italia fu seguito l’esempio sviz­ zero dalla Cassa di Risparmio di Bologna, la quale istituì nel 1896 mna Cassa di previdenza per la mancanza di lavoro involontaria e incol­ pevole. Gli operai che vi si inscrivevano anno per anno col versamento d i 5 o di 3 lire si pro­ curavano un’ assicurazione che poteva salire a 40 giorni di salario, ma se per loro fortuna re- (*)

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332 L ’ ECONOMISTA 21 maggio 1905

stavano immuni da disoccupazione correvano ri­ schio, pel principio di mutualità, di sottostare alla perdita complessiva dei versamenti e degli inte- teressi a benefizio comune della massa degli iscritti disoccupati nell’esercizio successivo. Però questo concetto della solidarietà era superato ne­ gli operai dal sentimento della proprietà dei loro esigui peculi, che li faceva rifuggire dall’ inscri­ versi per tema di perdere le 5 o le 3 lire, non vinti dal confronto del beneficio che dall’ assicu­ razione poteva ad essi derivare.

Cosi gli effetti dapprima furono scarsi e al­ lora ritenendo che ciò dipendesse dalla forma del- 1’ assicurazione prescelta si abbandonò il concetto dell’ assicurazione e sopprimendo nel regolamento tutto ciò che vi poteva essere di aleatorio per i risparmiatori si conservò in ogni caso intatta e disponibile all’ iscritto o ai suoi successori la proprietà dei versamenti e dell’ interesse ordi­ nario a questi attribuito. Si stabilì quindi che gli operai iscritti e depositanti una data somma in un libretto, godessero degli interessi di lire 200,000 date dalla Cassa di Risparmio inve­ stite in consolidato, in proporzione dei depo­ siti messi in ogni libretto e in nessun caso per somma superiore a lire 40 da ritirarsi a lire 1.50 ogni giorno dapprima, e poscia settimanalmente. Questo ordinamento fece crescere le domande talché temendosi di non poter pagare le lire 40 promesse fu tolta ogni cifra assoluta di massimo, lasciando al Consiglio di fissarla, si esclusero gli operai sotto i 18 anni e le donne e ai disoccu­ pati tra i 18 e i 21 si attribuì solo una lira al giorno e si limitò la residenza al Comune di B o­ logna e non più alla Provincia. Altre restrizioni vennero stabilite nel 1903, ma, sorvolando su queste particolarità, noteremo che g l’ interessi at­ tualmente destinati a questa specie di previdenza sono quelli di un capitale di lire 356,300, g l’ in­ scritti al 31 maggio 1904 erano 691, il loro cre­ dito era al 31 dicembre di lire 31,520.87; dopo la disoccupazione invernale al 31 marzo era ri­ dotto a lire 20,2522.14 a al 31 maggio era di lire 20,665.86.

A Venezia esiste da oltre 4 anni una So­ cietà di previdenza per gli operai disoccupati sorta per iniziativa di benemeriti cittadini con forte aiuto- morale e largo concorso del Comune, ma anche ivi « l’ esperimento di assicurazione è interamente fallito, cosicché si riconosce dallo stesso Consiglio direttivo della Società che esso ha bisogno di essere ristudiato a fondo, riveduto e corretto ». Nell’anno 1902-1903 erano iscritti alla Cassa 445 operai e ne furono sussidiati 215 per un importo di lire 9972.45; l’anno successivo si ebbero 452 inscritti e 329 sussidiati con lire 17,207.50.

Senonchè il sistema più raccomandato è, ora, quello belga. Dal Belgio partì l’ idea che, dati g l’ insuccessi delle Casse sopra descritte, e dato lo sviluppo preso dalle Casse delle Associazioni di mestiere, piuttosto che creare delle Casse uf­ ficiali costose, di successo così incerto, così dif­ ficili a organizzarsi e così soggette alle frodi, e che non sono altro che opere di assistenza e di patronato, meglio sarebbe che i poteri pub­ blici incoraggiassero efficacemente delle opere vive e sociali al più alto grado e integrassero lo

sforzo collettivamente compiuto dagli operai nel seno della loro Associazione. Si sarebbe così dato modo ai soci di queste Casse di arrivare a una comprensione più giusta dei loro doveri verso se stessi e verso i loro fratelli e si sarebbero messi in grado certi mestieri, nei quali la disoccupa­ zione è notevole, di compiere, aiutati, il primo sforzo per mettere in piedi una Cassa. Cominciò infatti il Consiglio provinciale radicale-socialista di Liegi, votando nel 1897, una sovvenzione di 1500 franchi alle Casse, di assicurazione contro la disoccupazione della provincia che avessero almeno due anni di esistenza, ma la piccolezza del sussidio, l’eco debolissima che destò il prov­ vedimento e la poco felice ripartizione del sus­ sidio furono le cause della indifferenza del pub­ blico e degli interessati.

Invece ben altro sviluppo prendeva il si­ stema adottato a Gand, consistente in una sov­ venzione aggiunta dal Comune alle quote di sussidio per la disoccupazione che ogni operaio, isolato o associato, si è risparmiate o assicurate. Il 29 ottobre 1902 il Municipio votava alla una­ nimità, meno un voto, un regolamento per un « Pondo di disoccupazione » su queste basi: 4 ° le sovvenzioni sono date non solo agli operai, che facciano parte di Casse di assicurazione contro la disoccupazione, ma a tutti coloro i quali, col risparmio o altrimenti, associati o isolati, cer­ chino premunirsi contro i danni della disoccupa­ zione ; in mancanza di associazioni o di sindacati, ogni operaio isolato che faccia dei risparmi, può fare inscrivere al Eondo il proprio libretto di ri­ sparmio e ottenere sussidi al pari degli altri ; 2° ogni cassa di risparmio o di. assicurazione di­ retta a lenire i danni della disoccupazione può ottenere gli stessi favori, qualunque sia il suo carattere politico ; 3° nessuna sovvenzione viene data direttamente ai sindacati e alle associazioni, ma direttamente ai disoccupati.

Naturalmente furono prese delle precauzioni per evitare che il contributo del Comune potesse raggiungere cifre troppo elevate. E ne venne che i Sindacati i quali distribuiscono ai soci disoc­ cupati un sussidio settimanale di 9 franchi col­ l’ aggiunta fatta dalla città di Gand possono aumentare il sussidio di 3 franchi (50 per cento sul sussidio massimo di un franco al giorno) portandolo così a 12 franchi, i Sindacati che prima pagavano 6 franchi ne pagano ora 9 e quelli che ne distribuivano 3 possono accor­ darne 4.50.

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soci, appartenenti a tutti i gruppi organizzati : socialisti, cattolici, neutri e liberali. Non solo, ma i Sindacati che non le avevano, istituirono le Casse di assicurazione per potersi affiliare .al Tondo comunale,, altri raddoppiarono la quota sociale, o triplicarono e decuplicarono il sussidio di disoccupazione o prolungarono la durata del soccorso. E in 25 mesi furono distribuiti dai Sin­ dacati franchi 83,881.76 e col Fondo comunale franchi 36,963.91, in tutto franchi 120,845.70

L ’ esempio di Gand fu seguito da altri Co­ muni e ora ve ne sono nel Belgio 21 che hanno votato la istituzione di Fondi per la disoccupa­ zione. Si obbietta al sistema di Gand che le sov­ venzioni del Comune non sono rivolte che a una frazione della classe operaia, cioè agli operai che formano i Sindacati, ma il Varlez, che fu l’idea­ tore e il propugnatore del sistema, domanda se è un argomento serio il sostenere che non si deve creare fin d’ ora un’ opera che potrà rendere dei servigi a molti operai, col pretesto che non si può fin d’ ora estenderne i benefici a tutti. E ’ da notare ad ogni modo che a Gand ora si propone di far godere dei vantaggi del sistema anche gli operai non organizzati che facessero dei risparmi o presso le loro Società di resistenza od altre, o che rilasciassero ritenute sul salario agli indu­ striali per utilizzarle in caso di disoccupazione. Il sistema di Gand ha trovato qualche fa­ vore in Francia e in Germania, ma ancora non vi ha avuto applicazione in misura sensibile. Esso è certo più pratico di altri espedienti, ma è da notare che pur essendo fondato sulla organizza­ zione professionale operaia fa intervenire il Co­ mune e che se avesse un’ applicazione completa implicherebbe un onere alquanto gravoso. T ut­ tavia è da riconoscere che esso presenta il van­ taggio di esigere che i lavoratori si assicurino nelle loro associazioni ; l’aiuto del Comune è am­ messo soltanto per integrare l’ opera di queste. Di ciò va tenuto conto nel giudizio di confronto fra i vari sistemi.

R

ivista

B

iplioqrafica

Giovanni Borelli. - Per la casa del Pane di G.

Sangiorgi. — Ravenna, Tip. Alighieri 1904, op. pag. 63 (L. 0.50).

Con la forma più suggestiva l’ Autore, d i­ fende l’ idea del Sangiorgi di provvedere alla di­ stribuzione gratuita del pane. Quando il San­ giorgi, con entusiasmo da apostolo, lanciò questo concetto, molti trovarono facili obiezioni per com­ batterlo; l’Autore riassume queste obbiezioni e vi appone una serie di filantropiche considerazioni.

Noi, ammirando la filantropia del Sangiorgi e del suo difensore, crediamo che, pur non es­ sendo impossibile la attuazione di una simile istituzione, essa precorra di troppo i tempi, per­ chè domanda un così largo sentimento di uma­ nitarismo per essere compresa, il quale non ri­ sponde ancora, nè alle presenti nè probabilmente alle prossime condizioni della psiche umana.

Tuttavia le idee, anche le più precoci, hanno bisogno di apostoli ostinati per maturare.

Dott. Ercole Nardelli. - I l determinismo nella

filosofia di S. Agostino. Milano, Paravia 1905, pag. 217. (L. 3).

L ’Autore crede che gli storici e soprattutto quelli della filosofia, abbiano troppo trascurato gli scrittori religiosi; mentre questi hanno quasi sempre, in certo modo, rappresentato il pensiero filosofico dell’ epoca in cui scrissero. Sceglie quindi uno dei più venerati dottori della Chiesa, S. A go­ stino e nell’opera nella quale tratta del liberò arbitrio, ricerca quali fossero le dottrine soste­ nute dal Santo su tale questione.

L ’Autore crede di poter dimostrare, ed il tentativo è fatto con molta dottrina e con vera chiarezza, che S. Agostino ammetteva « che la vo­ lontà umana fosse determinata da motivi ».

Necessariamente, per trattare il sempre astruso argomento l’ Autore lo esamina da molti punti di vista; si prepara prima il terreno con una trat­ tazione generale sulla Filosofia e Religione ; stu­ dia l’ ambiente nel quale visse S. A gostin o; ac­ cenna al problema della libertà morale ed al concetto di determinismo precedente a S. Agostino.

Nella seconda parte esamina la dottrina del filosofo di Tagaste, specialmente nella relazione tra « la grazia ed il libero arbitrio ». Nella terza parte discute alcuni problemi riferentisi a tale questione e cioè : le prove date da S. Agostino sul libero arbitrio ; come esso concilia il libero arbitrio colla prescienza divina,, e quale sia l’ es­ senza della libertà secondo S. Agostino.

Questo lavoro si legge con facilità, perchè l’ Autore ha saputo dettarlo evitando la forma grave di molti filosofi.

F r a n c e s c o C a p a lo z z a . - La « partita doppia »

applicata alla contabilità dei convitti nazionali. Oampobasso, De Gaglia e Nebbia, 1904, op. pag. 61 (L. 1.50).

Perchè il regolamento in vigore non pre­ scrive alcun metodo di scrittura per la tenuta della contabilità nei Convitti Nazionali, l’Autore di questo lavoro ha creduto opportuno di esporre, per coloro che sono affatto digiuni di contabilità, il modo di applicare a quelle amministrazioni la « partita doppia » . E d infatti, premessi brevi cenni generali su tale sistema di contabilità, l’ Autore con una esposizione semplice e quasi sempre chiara, e con abbondanza di esemplificazioni, mette in grado chiunque vi applichi un po’ di buona vo­ lontà, di intendere e di usare la partita doppia, da molti ancora ritenuta come un sistema arduo e quasi enigmatico. Il breve lavoro è quindi utile.

Alfred d e s Cilleuls. - Le socialisme municipal

à travers les siècles. — Paris, A. Picard et fils, 1905 pag. 400 (fr. 7.50).

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334 L ’ ECONOMISTA 21 maggio 1905

forme che, nel tempo passato, ha rivestito l’ille­ gittimo intervento delle municipalità in materia economica; di descrivere le vestigia che tale in­ tervento ha lasciato ; di enumerare infine gli ac­ crescimenti che ha avuto. Crede giustamente l’Autore, di rilevare da quale non lodevole verti­ gine siano prese tante Àssemble comunali, che,’ per un desiderio di vana popolarità, hanno get­ tato i. Comuni in braccio alla speculazione degli affari.

Non è possibile riassumere in brevi parole questo lavoro che, per molti motivi, è meritevole di attenzione; noi ci proponiamo di darne un am­ pio resoconto in più articoli, seguendo mano a mano gli studi dell’ Autore, ma intanto segna­ liamo questo volume come un’ opera che, corre­ data di molti documenti interessanti e di copiose notizie, delinea la storia di questo movimento che non riuscirà certo a vantaggio della pubblica economia.

Prof. E d m o n do Villey. - Principes d’ Economie

politique. — Paris, G-uillaumin et C., 1905, pag. 746 (fr. 10).

Non occore che lodiamo quest’ opera, che ha già raggiunto la terza edizione e quindi si è fatta da sè un posto eminente tra i trattati di Economia Politica. E veramente tra i moltissimi trattati vec­ chi e recenti, pochi sono quelli che hanno il van­ taggio di una lucidità di pensiero e di dizione facile come quello del prof. V illey. Non diremo per que­ sto che tutto quanto è esposto in questo libro possa essere accettato senza discussione; l’Autore ha voluto qualche volta non soffermarsi troppo sopra certe definizioni e forse volle evitare di esporre le cause per le quali gli economisti su certi punti non sono concordi ; ma prescindendo da ciò, questo volume può esser dato in mano ad un profano della scienza sicuri che acquisterà con facilità e quasi con diletto, molte nozioni precise ed ordinate.

Scorrendo il volume ci siamo indugiati, ad esempio, sulla esposizione della teoria del valore e ci siamo sorpresi che l’Autore distingua l ’utilità dal valore, dicendo essere quella un rapporto tra l ’ uomo e le cose, questo un rapporto tra le cose, il che farebbe credere che le cose avessero un valore indipendentemente dall’ uomo ; la qual cosa non poteva essere nel pensiero dell’Autore (pag. 208). Così a pag. 531 troviamo che parlando della mo­ neta l ’Autore domanda che essa abbia valore in­ trinseco; vi è veramente un valore intrinseco? e la parola intrìnseco non è in contraddizione colla parole valore, che è un rapporto ?

Queste ed altre osservazioni di secondaria importanza non diminuiscono affatto la effettiva bontà del trattato, che va consigliato a coloro che vogliono, senza grande fatica, formarsi un con­ cetto chiaro delle nozioni economiche.

G e o r g e s U n w in . - Industriai Organisation in

thè sixteenth and seventeenth Centuries. — Oxford, Clarendon Press 1904, pag. 277. Il passaggio della industria, dalla forma coo­ perativa a quella libera, che è divenuta la grande industria, passaggio che durò ben due secoli, è argomento dello studio diligente del sig. Unwin. E diciamo diligente, poiché non si tratta di una semplice esposizione di idee generali, ma del­

l ’esame paziente ed accurato di documenti, di li­ bri e di leggi che l’ Autore ha accuratamente raccolti per suffragare la sua tesi.

L ’Autore comincia a descrivere, dopo una breve introduzione nella quale spiega e riassume il metodo seguito e le risultanze ottenute, lo stato di associazione (amalgamation) nelle quali si tro­ vavano i mestieri al X V I secolo, e la successiva differenziazione colle Giìdes ; distingue quindi la azione del capitale industriale da quello commer­ ciale, illustra le vicende della Compagnia Elisa­ bettiana, le corporazioni dei piccoli padroni, il protezionismo sotto Giacomo I e le prime origini delle Trades-Union.

Due appendici contengono documenti ed estratti di documenti importantissimi, in base ai quali l’ Autore ha potuto compiere il suo lavoro.

Il libro si chiude co n . un indice dei mano­ scritti, e de’ libri ed articoli consultati, e con un altro indice alfabetico.

Beatrice P o t t e r - W e b b . - La Cooperation en

Grande Brettagne. — Paris, E. Cornely et C. 1905 pag. 336 (fr. 3.50).

Benissimo ha fatto la Casa editrice Cornely e C., a pubblicare, tradotto in francese, il clas­ sico libro sulla Cooperazione nella Gran Bretta­ gna della signora Beatrice P otter-W ebb . Pochi sono i libri che trattano di simili fatti econo­ mici, che abbiano raggiunto la celebrità di quello della signora W eb b , perchè pochi hanno saputo internarsi profondamente nell’ intimo senso dei fe­ nomeni e meno ancora hanno avuto la capacità di rendere cosi chiaro ed elaborato il frutto dei loro studi.

A ll’ opera classica, già nota agli studiosi e della quale appunto perciò non è il caso qui di dare più ampia notizia, si aggiunge, nel volume edito dalla Cornely e C., un’ appendice del si­ gnor Henri Jullien sullo stato attuale del movi­ mento cooperativo della Gran Brettagna. E sic­ come il libro della signora W e b b è stato pub­ blicato in Inghilterra sino dal 1891 e gli ultimi dati che esso contiene si riferiscono al 1899; l’ appendice del signor Jullien è un complemento alla opera di cui vien data la traduzione, in quanto fornisce gli elementi più recenti del mo­ vimento cooperativo.

Cosi il volume accresce di utilità è diventa un prezioso manuale per gli studiosi.

M onum ento a GABRIEL TARDE. — Gabriel Tarde, professore al Collegio di Francia e mem­ bro dell’ Istituto, del quale già abbiamo avuto occasione di segnalare le importanti opere ai nostri lettori, è mòrto l’ anno scorso. I suoi nu­ merosi amici ed ammiratori hanno deliberato di erigere un monumento alla sua memoria nella sua città natale, Sarlat (Borgogna). A questo scopo si è costituito un Comitato, di cui il signor Felice Alcan, editore delle opere di Tarde (108, Boulevard Saint-Germain, a Parigi), è il teso­ riere, ed a lui possono essere dirette le sotto- scrizioni.

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RIVISTA ECONOMICA E FINANZIARIA

L a Camera di commercio di Amburgo nel suo ultimo rapporto annuale consiglia il Go­ verno tedesco a prendere l’ iniziativa della crea­ zione di un fr a n c o b o llo in te rn a z io n a le . A t­ tualmente infatti — osserva il rapporto — molte lettere provenienti dall’ estero e contenenti do­ mande rimangono inevase appunto perchè non possono contenere il francobollo per la lettera di risposta. Tale proposta dovrebbe esser presa in favorevole considerazione . dall’ Unione postale internazionale nell’ interesse del commercio in­ ternazionale.

L e Camere di commercio italiane dovrebbero subito appoggiare questa proposta la cui attua­ zione agevolerà senza dubbio le comunicazioni e costituirà un nuovo fatto internazionale della maggiore importanza.

— A l Senato si discusse in questa setti­ mana la nuova p r o p o s ta d i le g g e s u lla c a c ­ cia . E ’ apparsa vivissima la divergenza di in­ tenti tra i proprietari ed i cacciatori; i primi per esigere il rispetto della proprietà, i secondi per rilevare che la facilità di proclamare le ban­ dite, rende impossibile l’ esercizio del diritto di caccia.

Non si può dire certo che si sia trovato una formóla conciliatrice, anzi vi è da credere che non sia facile trovarla. Perciò si può ritenere che il progetto, anche se approvato dal Senato, non avrà seguito e di fatto sarà così approvata la proposta del senatore Vitelleschi di non modifi­ care lo stato delle cose.

— Venne tenuto a Roma un C o n g r e s s o d e g li o liv io u lto r i il quale prese le seguenti

deliberazioni-1. Che nell’ eseguire l ’accertamento cata­ stale particellare sia tenuto conto delle circostanze speciali, anche posteriori alla legge Io marzo 1886 che abbiano influito sui prezzi dei singoli pro­ dotti agrari e su di ogni altro elemento della stima catastale, specie in rapporto alla produ­ zione olearia,. che per sopravvenute recenti^ ma­ lattie ed accertamento di parassiti negli ulivi e pei prezzi caduti ed avviliti per cause di con­ correnza dei succedanei e delle facilitazioni dei trasporti, non può essere gravata d’ imponibile in base alla media del dodicennio anteriore al 1880.

2. Che prossimamente, sino all’attuazione del nuovo catasto, per le ragioni precedente- mente esposte, in tutte le regioni oleifere del regno, sia esteso il beneficio concesso alle pro- vincie meridionali e cioè l’ esonero della imposta erariale e delle sovraimposte provinciali e co­ munali.

nella forma ed alle condizioni che reputerà più vantaggiose. L a conversione sarà eseguita entro il 24 cori-, mese ; il Consorzio delle Banche ha assunto il nuovo titolo 4 per cento ammortizza- bile al corso di 87 1/2 per un totale di 524 mi­ lioni di cui 250 milioni sono stati presi ferm i e 234 per opzione, restando il rimanente di 40 mi­ lioni a disposizione del Tesoro Rumeno. ^

Così il Governo Rumeno avrà unificato il suo debito al solo saggio del 4 per cento, non rimanendo del 5 per cento che 6 milioni e mezzo del prestito interno 1894, e 185 milioni del pre­ stito 1903, che non può essere convertito prima del 1913. Il Tesoro avrà un risparmio di circa 5 milioni 1’ anno.

Le condizioni di questa operazione sono le seguenti :

1° I portatori dei tre prestiti 5 per cento 1881, 1892, 1893, per 1’ ammontare totale di 424,613,000 fr., i quali accetteranno i nuovi ti­ toli di rendita 4 per cento ammortizzabili in 40 anni a partire dal 1° ottobre 1905, in cambio dei loro titoli attuali, riceveranno una soulte del 10 1/2 per cento del capitale, cioè fr. 52.50 per ogni obbligazione da 500 fr. Questo premio sarà dato in rendita 4 per cento al momento della conversione o in denaro per le frazioni di premio inferiori ad una obbligazione di 500 fr.

2° Oltre i 424,613,000 fr. capitale 5 per cento così convertito in rendita 4 per cento, sarà creato un capitale supplementare di 100 milioni dello stesso tipo 4 per cento, di cui 67,720,000 fr. serviranno al pagamento del premio ed alle spese di commissione, e fr. 39,280,000 rimarranno a disposizione del Governo Rumeno.

— Anche il p re s tito s e r b o , che pure ab­ biamo annunziato nelle passate riviste, è stato finalmente concluso. Esso ammonta a 110 milioni di lire colla rendita del 4 1/2 per cento ed è assunto da un Consorzio di Banche, composto della Banca Ottomana, della Société Financière d’ Orient, della Berliner Handelfsgesellscbaft, e della Casa Bethmann di Francoforte.

Il prestito è ammortizzabile in 50 anni e sa­ rebbe assunto al prezzo di 84 od 85 per cento.

— Ed è pure stato firmato il contratto per 11 p r e s tito t u r c o di 120 milioni da emettersi in Francia al 4 per cento.

La densità della popolazione in vari Stati

Dall’ ultimo volume pubblicato sul censimento ita­ liano dalla Direzione Generale della Statistica, togliamo le cifre di densità della popolazione.

Va da sè che si tratta di densità, diremo cosi, em­ pirica ; poiché viene tenuto conto della superficie to­ tale dei singoli Stati senza togliere quella parte che è inabitabile, come fiumi, laghi, montagne ecc. Quindi un paese piano e solcato da pochi fiumi, come il Belgio, dà una densità che non è paragonabile colla densità della popolazione d’ Italia, ad esempio, che sulle Alpi e sugli Appennini ha tanta superficie che non è abi­

tabile. . „ , ..

Ad ogni modo le cifre servono a dare una idea | approssimativa della distribuzione della popolazione ri­

spetto al suolo. Mettendo i diversi Stati in ordine de- crescente di densità si ha il seguente prospetto : __ In una precedente R ivista abbiamo data

la notizia che la Rumenia stava trattando con un gruppo di Banche francesi tedesche e rumene p e r la c o n v e r s io n e d el s u o c o n s o lid a t o 5 per cento in rendita ammortizzabile 4 per cento.

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