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COLLEGIO DI BARI. Membro designato dalla Banca d'italia. Membro di designazione rappresentativa. dei clienti FATTO

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(1)

COLLEGIO DI BARI

composto dai signori:

(BA) DE CAROLIS Presidente

(BA) TUCCI Membro designato dalla Banca d'Italia

(BA) SEMERARO Membro designato dalla Banca d'Italia

(BA) DI RIENZO Membro di designazione rappresentativa

degli intermediari

(BA) POSITANO Membro di designazione rappresentativa

dei clienti

Relatore ESTERNI - ANDREA TUCCI

Seduta del 08/06/2020

FATTO

Il ricorrente riferisce di essersi recato presso una filiale dell’intermediario resistente in data 6.02.2019 al fine di versare l’importo portato da un assegno circolare, emesso in data 21.11.2018 e “mai consegnato”. In tale occasione, l’operatore di sportello lo informava che il titolo era già stato incassato in data 27.11.2018, presso altra banca. L’odierno ricorrente provvedeva, quindi, a sporgere querela.

Tanto premesso, il ricorrente ritiene che l’intermediario resistente sia tenuto al riaccredito dell'importo indicato sull'assegno circolare, ancora in possesso dello stesso ricorrente, affermando che il titolo negoziato sia il risultato di una clonazione. In particolare, ravvisa la responsabilità dell’intermediario resistente, per avere condotto i controlli di autenticità in modo negligente e senza procedere alle dovute verifiche, anche ai fini di antiriciclaggio.

Tanto premesso, il ricorrente chiede il riaccredito della somma di € 24.000,00.

L’intermediario eccepisce, innanzi tutto, che il ricorrente non ha presentato ricorso anche nei confronti dell’intermediario negoziatore, “quale litisconsorte necessario”.

L’intermediario precisa di intrattenere con il ricorrente un rapporto di conto corrente (cointestato) e riferisce che, in data 21.11.2018, il cliente richiedeva l’emissione di un assegno circolare non trasferibile, per l’importo di € 24.000,00, a favore di un terzo, da addebitare sul proprio conto corrente.

Il titolo era provvisto del codice “Data Matrix”, il quale, se alterato, risulta illeggibile.

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obbligati alla lettura del codice e alla segnalazione al trattario/emittente di eventuali anomalie riscontrate, trasmettendo in tali casi a quest’ultimo “l’immagine dell’assegno per consentire lo svolgimento delle verifiche di competenza” (sul punto, richiama la decisione n. 16401/19 del Collegio di Milano).

Al riguardo, l’intermediario precisa di non aver ricevuto alcuna segnalazione di irregolarità del titolo negoziato e osserva che dalla denuncia presentata dal ricorrente il 7.02.2019 emerge che quest’ultimo, individuata un’offerta per l’acquisto di un’automobile, contattava il venditore e concordava il pagamento mediante assegno circolare. Per potersi accertare della “genuinità” dell’assegno, il venditore ne avrebbe domandato copia al cliente, il quale avrebbe richiesto al personale dell’intermediario “di inviare copia del titolo per posta elettronica ad un indirizzo che non ricorda” (circostanza “improbabile” e, in ogni caso, non dimostrata dal cliente).

L’intermediario resistente ritiene, quindi, che dalla ricostruzione fornita dal ricorrente risulti

“senza dubbio” una sua condotta “gravemente colposa”, consistente nell’avere inviato l’immagine dell’assegno a uno sconosciuto, in tal modo agevolando la realizzazione di una truffa, peraltro ricorrente e nota.

L’intermediario ipotizza, inoltre, che il titolo sia stato clonato e negoziato “dal medesimo beneficiario” a favore del quale era intestato l’assegno originario.

Non troverebbe, quindi, applicazione l’art. 43 l. ass., in tema di responsabilità aggravata banca che paga assegno non trasferibile a persona diversa dal soggetto legittimato; né il ricorrente assume che il pagamento sia avvenuto in favore di persona diversa dal beneficiario, lamentando soltanto che sarebbe stato negoziato il titolo clonato.

L’intermediario precisa, inoltre, che la negoziazione dell’assegno sarebbe avvenuta in conformità con la procedura interbancaria “CIT” (“Check Image Truncation”), introdotta prima del 27.11.2018 (data di presentazione dell’assegno all’incasso).

L’intermediario resistente precisa che, nel caso di specie, non vi erano motivi per non recepire l’estinzione dell’assegno, che risultava negoziato da un intermediario qualificato al beneficiario in favore del beneficiario indicato sul titolo (sul punto, richiama alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità e dell’Arbitro sulla diligenza del bonus argentarius, fra le quali Cass., n. 15145/2014 e Coll. di Milano, dec. n. 155/2018).

L’intermediario osserva, inoltre, che il ricorrente ha atteso oltre due mesi prima di richiedere l’estinzione del titolo non utilizzato, così riducendo la possibilità di recupero dell’importo. Al riguardo, l’intermediario precisa che, venuto a conoscenza dell’accaduto, si attivava nei confronti della banca negoziatrice con missiva del 28.02.2019 per ottenere l’accredito della somma, richiedendo contestualmente le generalità del beneficiario da fornire al cliente per consentirgli di agire giudizialmente. Siffatta comunicazione rimaneva, però, senza riscontro, così come il sollecito inviato in data 16.05.2019.

Da ultimo, l’intermediario richiama la pronuncia n. 1049/2019 della Corte di Cassazione, che in ipotesi analoghe avrebbe riconosciuto una responsabilità di natura contrattuale derivante da contatto qualificato nei confronti della banca negoziatrice, “l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno”.

L’intermediario chiede all’Arbitro di voler “in via preliminare, dichiarare improcedibile e/o inammissibile il ricorso a causa della mancata integrazione del contraddittorio con il coinvolgimento nel procedimento (dell’intermediario che ha negoziato il titolo) e comunque di respingere nel merito il ricorso”.

DIRITTO

(3)

Il Collegio ritiene opportuno esaminare, preliminarmente, l’eccezione – formulata dall’intermediario – di inammissibilità del ricorso per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’intermediario che ha negoziato il titolo.

L’eccezione non merita di essere accolta, in conformità con il consolidato orientamento di questo Arbitro, secondo cui, nel procedimento dinanzi all’ABF non sussiste la possibilità di estendere il contraddittorio a soggetti diversi da quelli originari (cfr., ex multis, Coll. Bari, dec. n. 21137/2018; Coll. Roma, n. 8371/16; Coll. Milano, n. 1691/18. Cfr., inoltre, Coll.

Milano, n. 3230/15; Coll. Roma, n. 2396/17, per la precisazione secondo cui l’intermediario resistente non ha facoltà di formulare domande all’Arbitro, in ragione del carattere monodirezionale del procedimento).

Nel merito, la controversia in esame concerne l’accertamento di eventuali profili di responsabilità della banca emittente per il pagamento di un assegno circolare, a favore di soggetto non munito dell’originale del titolo, in sede di negoziazione.

Al riguardo, il Collegio richiama, innanzi tutto, il consolidato orientamento dell’Arbitro, in virtù del quale la diligenza della banca emittente o trattaria e di quella negoziatrice nel controllare la genuinità di un assegno deve essere valutata ai sensi dell’art. 1176, 2° co., c.c., dovendo, quindi, essere commisurata a quella particolarmente qualificata dell’accorto banchiere (ex multis Coll. di Bari, dec. n. 16716/17; Coll. di Milano, dec. n. 521/17). Siffatto orientamento ha trovato riscontro nella più recente giurisprudenza di legittimità. In particolare, Cass., Sez. Un., 21 maggio 2018, n. 12477, riprendendo le statuizioni già enunciate da Cass., Sez. Un., n. 14712/07, ha fornito importanti puntualizzazioni in merito all’interpretazione dell’art. 43, co. 2, l. ass. (applicabile anche in tema di assegno circolare, ex art. 86 l. ass.), e ai suoi rapporti con la disciplina di diritto comune, contenuta nel combinato disposto degli artt. 1176, 1189 e 1992, cod. civ. Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che:

- “l’espressione "colui che paga", adoperata dall'articolo 43, comma 2, l.a., va intesa in senso ampio, sì da riferirsi non solo alla banca trattaria (o all'emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice, che è l'unica concretamente in grado di operare controlli sull'autenticità dell'assegno e sull'identità del soggetto che, girandolo per l'incasso, lo immette nel circuito di pagamento”;

- “la responsabilità del banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata ha natura contrattuale e, in particolare, da “contatto sociale qualificato”, “avendo la banca un obbligo professionale di protezione (obbligo preesistente, specifico e volontariamente assunto), operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso”;

- ne consegue che “non appare più sostenibile la tesi secondo cui detta banca risponde del pagamento dell'assegno non trasferibile effettuato in favore di chi non è legittimato "a prescindere dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sull'identificazione del prenditore";

- pertanto, “nell'azione promossa dal danneggiato, la banca negoziatrice che ha pagato l'assegno non trasferibile a persona diversa dall'effettivo prenditore è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza dovuta, che è quella nascente, ai sensi dell'articolo 1176 c.c., comma 2, dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve”

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- la disposizione contenuta nell’art. 43, co. 2, l. ass., “regolando anche le ipotesi di responsabilità derivanti dall'errore sull'identificazione, si pone in rapporto di specialità sia rispetto alla norma di diritto comune, dettata in tema di obbligazioni, di cui all’articolo 1189, comma 1, sia rispetto a quella, riferita ai titoli a legittimazione variabile, di cui all'articolo 1992 c.c., comma 2, le quali circoscrivono entrambe detta responsabilità alle ipotesi di dolo o colpa grave”.

Sulla base delle premesse sopra sintetizzate, le Sezioni Unite hanno enunciato il principio di diritto, secondo cui “la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato - per errore nell'identificazione del legittimo portatore del titolo - dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall'effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'articolo 1176 c.c., comma 2” (Cass., Sez. Un., n. 12477/18, cit.; Cass., Sez. Un., n. 14712/07, cit.).

Il richiamato orientamento trova applicazione anche allorché – come nel caso di specie - la negoziazione sia avvenuta tramite procedura di Check Image Truncation (CIT), la cui adozione agevola il processo di negoziazione, ma comporta, inevitabilmente, il rischio, per gli intermediari, della mancata piena percezione delle difformità dei titoli negoziati, rispetto agli originali. È, questo, un rischio senz’altro inerente l’attività dell’impresa bancaria, come tale destinato a gravare sul soggetto che quell’attività professionalmente esercita (cfr., ad es., ABF Milano, decisione n. 2989/2015, per il rilievo che la procedura in esame “è adottabile su base squisitamente volontaria ed è finalizzata a soddisfare essenzialmente un’esigenza di economicità degli intermediari; ogni rischio connesso al minor livello di controllo che essa comporta non può che ricadere in capo all’intermediario che da tale procedura tragga vantaggio, anche se a costo di escludere alla banca emittente o alla trattaria la verifica fisica del titolo. Ciò, tuttavia, non può comportare che l’intermediario possa andare esente da responsabilità per il mancato espletamento di tale verifica. Più semplicemente, il fatto che la banca accetti di pagare il titolo “al buio” equivale a ometterne volontariamente la sua verifica materiale, con ogni connessa conseguenza in caso di titoli che presentino irregolarità cartolari che solo l’esame fisico del documento consentirebbe di rilevare (ovvero le irregolarità derivanti dalla falsificazione del titolo o dall’apocrifia della sottoscrizione”. In senso conforme, cfr. ABF Bologna, dec. n. 17418/18, anche per il rilievo che l’adozione della procedura in esame “non può tradursi in un aggravamento del rischio a carico dei clienti, rispetto alla procedura tradizionale, visto che il ricorso alla procedura dematerializzata avvantaggia le banche (in termini di risparmio di costi e di tempo), che dunque devono sopportarne anche il maggior rischio che ne consegue, in applicazione del noto principio cujus comoda eius incommoda”).

Nel caso di specie, si è in presenza di un assegno circolare, per un importo di € 24.000,00, emesso in data 21.11.2018 e negoziato presso altro intermediario (non convenuto nel presente procedimento), in data 27.11.2018, come attestato dallo stesso intermediario resistente, il quale ha anche prodotto copia del titolo originale, presentatogli dal cliente in data 6.02.2019, al fine di recuperare l’importo portato dall’assegno stesso.

La copia allegata risulta poco leggibile. Tuttavia, sul lato facciale l’importo portato dall’assegno corrisponde a quello indicato dalle parti, così come il numero del titolo.

Inoltre, sembrerebbe emergere la presenza sul fronte del QR code “Data Matrix” (ossia del codice bi-dimensionale il cui contenuto è leggibile in fase di acquisizione dell'immagine). Il nominativo del beneficiario sembrerebbe corrispondere a quello indicato dallo stesso ricorrente.

Sul retro, è visibile la girata, e, scritta, a penna, la data in cui il cliente ha presentato il titolo per il recupero della somma presso l’emittente e la sua firma.

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Non è, invece, in atti la copia dell’assegno presentato per l’incasso; il che non consente di procedere alla comparazione tra i due titoli, al fine di verificare il rispetto degli standard fissati dall’ABI, di cui alla Circolare Serie tecnica n. 21, del 12.06.2014 e alla Circolare Serie tecnica n. 5, del 22.03.2016.

Con riferimento alla procedura CIT, la circolare ABI - Serie Tecnica n. 12 - 4 luglio 2018 sulla digitalizzazione degli assegni stabilisce che la presentazione al pagamento di un assegno circolare “senza limiti di importo” debba avvenire in CIT mediante la trasmissione dei dati previsti dall’art. 8 del Regolamento Banca d’Italia del 22 marzo 2016, tra i quali è incluso il nome del beneficiario. La trasmissione dell’immagine è prevista solo ove il negoziatore rilevi incoerenze/anomalie sul titolo ovvero qualora sia richiesto dall’emittente, perché ritenuto necessario per svolgere le verifiche di competenza sull’immagine ovvero, ancora, per specifico accordo bilaterale tra emittente e negoziatore.

Nel caso di specie, l’intermediario resistente afferma di non aver ricevuto alcuna segnalazione dall’intermediario che ha negoziato il titolo e precisa, altresì, che da parte sua non vi erano motivi per non “recepire l’estinzione dell’assegno, risultando lo stesso negoziato da un intermediario qualificato […] proprio al beneficiario a favore del quale il titolo era stato emesso”.

Non vi è in atti documentazione da cui si possa desumere la presenza di elementi anomali sull’assegno che si assume clonato, tali da comportare la trasmissione dell’immagine dello stesso alla resistente.

Né il ricorrente lamenta che l’importo portato dal titolo sia stato incassato da un soggetto diverso dall’originario beneficiario.

Non di meno, può ritenersi pacifico, fra le parti, che l’assegno sia stato pagato a un soggetto non cartolarmente legittimato, poiché l’originale del titolo è rimasto nella disponibilità dell’odierno ricorrente. La fattispecie in esame, dunque, rientra nell’ambito di applicazione delle regole contenute nell’art. 43 l. ass. e dei princìpi da queste desunti dalla giurisprudenza di legittimità, sopra richiamata.

Alla luce di quanto sin qui osservato, può ritenersi sussistente la responsabilità dell’intermediario resistente, anche sotto il profilo della carente organizzazione dell’attività, per non avere adottato le cautele opportune per prevenire il pregiudizio derivante al cliente dall’eventuale clonazione del titolo e, in particolare, per non avere proceduto ad alcun controllo sul titolo, senza che rilevi l’eventuale concorrente responsabilità dell’intermediario negoziatore, trattandosi di problema attinente ai rapporti interni fra soggetti obbligati in solido (cfr. anche Collegio di Bologna, decisione n. 22964/18, per il rilievo secondo cui “in considerazione del fatto che l’utilizzo della procedura di check truncation, finalizzata ad obiettivi di economicità e di maggiore snellezza nella negoziazione dei titoli, esclude la possibilità per l’emittente o la trattaria di visionare l’assegno e saggiarne la correttezza cartolare, l’orientamento che si è formato nei Collegi dell’ABF è nel senso che ogni rischio (di frode o falsità) connesso al minor livello di controllo che essa comporta debba ricadere – nell’ottica di una corretta distribuzione dei rischi derivanti dal ricorso al suddetto sistema – sull’operatore bancario che da tale servizio trae vantaggio. In questa prospettiva, si ritiene che la responsabilità dell’intermediario possa essere esclusa solo nel caso in cui, quand’anche si fosse proceduto secondo i metodi tradizionali (ovvero per mezzo della materiale rimessione dell’assegno), l’irregolarità del titolo (derivante dalla alterazione o falsificazione dello stesso) non sarebbe stata comunque agevolmente rilevabile (cfr.

Collegio di Milano, decisione nn. 155/2018, 9936/2016 e n. 3507/2016).

L’intermediario resistente, d’altronde, non ha fornito la prova che neanche l’esame visivo del titolo avrebbe consentito di percepirne le difformità, rispetto all’originale.

Quanto alla condotta del ricorrente, dall’esame della denuncia, prodotta dall’intermediario

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dell’assegno emesso) chiedeva di ricevere una copia del titolo e afferma che la copia veniva spedita da un operatore dell’intermediario, su sua richiesta. Al riguardo, non fornisce evidenza né dell’effettivo invio della mail né dell’indirizzo al quale l’immagine sarebbe stata trasmessa, che già nella denuncia precisava di non poter “riferire”.

Aggiunge, però, che il messaggio email veniva ricevuto dal venditore.

Da parte sua, l’intermediario resistente nega che un proprio operatore abbia inviato una email al falso venditore e ipotizza che lo stesso cliente abbia trasmesso copia dell’assegno allo sconosciuto, agevolandone la clonazione.

Al riguardo, osserva il Collegio che il comportamento imprudente del ricorrente ha agevolato la truffa che sarebbe stata perpetrata a suo danno e, pertanto, assume rilevanza ai fini del disposto dell’art. 1227, 1° co., cod. civ., determinando una riduzione della misura del risarcimento.

Sul punto, il Collegio richiama la recente pronuncia di Cass., Sez. Un., 26 maggio 2020, n.

9769, relativa alla diversa fattispecie dell’effettivo invio per posta del titolo in originale, ma recante statuizioni di massima rilevanti anche per il caso di specie, per quanto riguarda, in particolare:

(i) l’applicabilità della regola contenuta nell’art. 1227, cod. civ., alla fattispecie regolata dall’art. 43, l. ass., che configura una responsabilità per il danno derivante dalla violazione dell’obbligo di procedere all’identificazione del portatore del titolo, posto a tutela di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo, non già per l’inadempimento dell’obbligazione cambiaria incorporata nel titolo;

(ii) la sussistenza di un danno risarcibile, per effetto della “mera perdita dell’importo versato o addebitato, a causa dell’indebito pagamento del titolo”;

(iii) la rilevanza causale della condotta imprudente del danneggiato, per la

“esposizione volontaria al rischio” o, comunque, per la “consapevolezza di porsi in una situazione di pericolo”, mediante la spedizione del titolo.

Per le suesposte ragioni, il Collegio ritiene sussistente la responsabilità dell’intermediario resistente e il concorso del fatto colposo del ricorrente e ritiene equo ridurre il risarcimento dovuto nella misura del 50%.

P.Q.M.

Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso dispone che l’intermediario corrisponda al ricorrente l’importo di € 12.000,00.

Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.

IL PRESIDENTE

firma 1

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